Il mondo globalizzato del tardocapitalismo avanzato si può dire accomunato da due elementi spaziali: i controsoffitti e le rotatorie.
Il tempo che trascorriamo internati è scandito dai primi; quello che trascorriamo esternati è dettato dalle seconde. Pure gli edifici della bigness koolhaasiana non sfuggono a questa riduzione: non sarebbero abitabili senza i primi, e non sarebbero raggiungibili senza le seconde.
Per i primi, qualsiasi cosa vi si mette al di sotto la si proietta istantaneamente in un immaginario temporale che è il nostro: il controsoffitto è la forma memetica dello spazio abitato interno all’alba del XXI secolo.
Per le seconde, qualsiasi cosa vi si mette al di sopra va sempre e comunque bene, vero? Le porte urbane non esistono più – l’architettura delle porte urbane vive solo di tempo passato –: la rotatoria è la forma memetica dello spazio percorso esterno all’alba del XXI secolo.
Se il mondo fosse una successione di rotatorie al di sotto di uno spazio controsoffittato la cui atmosfera è meccanicamente controllata, qualcuno sarebbe forse a disagio?
P.s.: è risaputo che l’archetipo dei primi è la volta celeste e quello delle seconde il Giardino dell’Eden. Ma è risaputo anche che l’inquinamento luminoso nelle nostre città è ai massimi storici e, soprattutto, che Dio è morto.