Terraformazione è progetto. Non si può avere terraformazione fuori da un orizzonte di senso che non abbia a che fare con il vivente. Al di fuori di una volontà orientata – che è caratteristica propria del vivente – non si può dare alcun progetto per l’esistente. Stante il fatto che il vivente ha inscritto il morire, non si ha terraformazione al di fuori di un orizzonte di senso "morente", cioè che ha a che vedere con la morte.
1. La morte come forza terraformante biologica
È in primis un fatto biologico: più concretamente, si potrebbe dire che la nostra sussistenza animale dipende da un ipermeccanismo pseudo-sferico che va morendo: il Sole – e l’alimentazione non è che una ricerca di luce solare: ovvero, per interposto oggetto, di energia di un corpo che muore.
2. La morte come forza terraformante politica
Se è innegabile il fatto che ogni generazione cerca di lavorare sugli errori della generazione precedente, è anche vero che tale lavorìo generazionale è possibile in quanto, di volta in volta, la generazione precedente prima o poi smette di vivere. Quale "pensare-altrimenti" sarebbe mai possibile all’interno di una situazione a-mortale?
3. La morte come forza terraformante architettonica
Anche in ambito architettonico, una morte agente sulle questioni viventi può essere portata a galla, spazzolando la storia "contropelo" – controstoria architettonica? La città otto-novecentesca è parsa riprendere le caratteristiche del cimitero post-settecentesco, formalizzato da Saint-Cloud (1804): quell’"igienismo" disciplinare (anche architettonico) ha avuto forse il suo prototipo nel tipo cimiteriale che si è andato affermando dalla seconda metà del Settecento.
"I morti apportano innovazioni alla loro città [...]. E i vivi [...] vogliono farlo anche loro. [...] Sarebbero stati i morti a costruire l’Eusapia di sopra a somiglianza della loro città". Come nella Eusapia di Calvino, chi ha costruito chi?.