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17 novembre 2024
Riflessioni sulla mia esperienza di intervisione musicoterapica in seno al gruppo dei colleghi di MtIntervisionFree
Buongiorno mi chiamo Paola Brani sono una musicoterapeuta di Carpi, una cittadina ubicata in provincia di Modena.
Sono venuta a conoscenza di questo gruppo di intervisione attraverso Marco Farina un chitarrista come me e, come me, musicoterapeuta che, qualche anno fa, mi ha invitato a iscrivermi e mi ha fatto conoscere questa realtà.
Ho subito accettato di farne parte perché, non essendomi iscritta a nessuna associazione, per mia scelta, mi sentivo abbastanza isolata e poi anche perché ho visto che faceva parte di questo gruppo anche Giangiuseppe Bonardi, che è una persona per cui nutro una grande stima.
Nel nostro lavoro, abitualmente, noi musicoterapeuti ci avvaliamo dell’aiuto di un supervisore, cioè di una persona di maggior esperienza rispetto alla nostra che possa riflettere con noi sui casi più difficili e che ci possa dare un punto di vista esterno finalizzato alla individuazione di alcune criticità che si possono riscontrare nella relazione terapeuta-persona in cura.
Ammetto che la mia esperienza con il mio supervisore non è stata sempre molto tranquilla, nel senso che, probabilmente per il mio modo di essere di persona estremamente insicura e un po’ per il carattere del mio supervisore, mi sono spesso sentita giudicata più che aiutata nel comprendere quello che funzionava e quello che invece andava rivisto.
Quindi dalle supervisioni ne uscivo sempre abbastanza malconcia e piena di dubbi su quello che stavo facendo; la vivevo come un momento di critica, più che di confronto o di riflessione, però sapevo che era comunque per me un momento necessario __ ci tengo a puntualizzare che il mio supervisore è assolutamente una persona estremamente competente che ha la mia stima, per cui le osservazioni che mi faceva le ho sempre prese in considerazione __.
Dopo questa premessa arrivo alla cosa che interessa noi oggi che è la mia esperienza di intervisione; esperienza per me nuova.
Prima di arrivare a presentare un mio caso ho partecipato a diverse intervisioni in cui sono stati presentati percorsi molto diversi tra di loro.
Confesso che sono rimasta molto colpita dalla professionalità, dalla competenza dei partecipanti e dalla varietà di strategie utilizzate a volte anche fantasiose ed imprevedibili per affrontare le situazioni musicoterapiche prese in esame.
Ovviamente noi studiamo i “modelli rodati” di musicoterapia e abbracciamo quello/i con qui ci troviamo meglio, ma poi, anche se a tavolino studiamo un percorso, ci diamo delle linee da seguire, spesso procediamo a vista, perché nel corso delle sedute modifichiamo quello che abbiamo programmato in base alle risposte e alle reazioni delle persone in cura.
In che modo lo facciamo è molto soggettivo e la bellezza di questo lavoro è proprio il fatto che ogni musicoterapeuta trova modi e strategie diverse. Avere la possibilità di confrontarmi con più persone non solo con una, come è il momento della supervisione, scambiando esperienze, approfondendo anche diversi ambiti di intervento e tecniche terapeutiche, è indubbiamente una grande opportunità.
Noi musicoterapeuti siamo esposti ad un carico emozionale elevato e usciti dalla seduta spesso ci sentiamo soli, carichi di sentimenti inespressi, di dubbi sul proprio operato e avvertiamo il bisogno di uscire dall’isolamento di avere un supporto, di sentire di appartenere ad una comunità, abitare uno spazio che contenga le preoccupazioni e i dubbi che viviamo trovarci in una realtà protetta in cui possiamo permetterci di esplorare schemi di riferimento diversi dai nostri è una grande opportunità.
In questo gruppo ho sentito di aver stabilito nuove connessioni. Nell’intervisione ci si arricchisce reciprocamente, si può riflettere sulla propria operatività clinica, si scambiano opinioni e conoscenze che i singoli partecipanti hanno acquisito e che sono diverse tra di loro.
Nella supervisione lo sguardo viene dall’alto perché viene da una persona con maggiori competenze, conoscenze, pratica clinica, nel gruppo non ci sono gerarchie, siamo tutti alla pari (anche se nel gruppo ci sono persone che hanno più esperienza ciò non viene dichiarato).
L’aspetto distintivo dell’intervisione, consiste nella possibilità di fare emergere le conoscenze e le opinioni dei vari professionisti che integrate con il sapere individuale, portano alla creazione di nuove prospettive, di rappresentazioni e soluzioni nei percorsi terapeutici.
Il caso che ho presentato al gruppo è stato quello di una ragazzina affetta dalla sindrome di Kabuki, il nome deriva dai connotati facciali che assumono caratteristiche particolari per cui il volto di chi ne è affetto assomiglia ad una maschera del teatro Giapponese, appunto Teatro Kabuki. È stato per me un caso particolare ed impegnativo perché ha implicato un notevole impegno emotivo e anche fisico. Ad ogni seduta la ragazzina arrivava sempre molto agitata ed arrabbiata e mi accorgevo che emotivamente riusciva a trascinarmi nel suo stato di agitazione o di euforia. Quindi partivamo sempre molto “cariche” e il mio compito era quello di “regolare” queste forti emozioni per poi portarla ad uno stato di calma, di tranquillità e rilassatezza.
Questo percorso mi ha portato spesso ad avere dubbi e perplessità sul mio operato e presentarlo al gruppo è stata un’opportunità di riflessione importante.
Ho l’abitudine di filmare sempre le sedute, chiaramente con il consenso dei genitori o delle persone in cura, quindi avevo portato sei video significativi da mostrare.
Dopo il primo video ho ricevuto decine di domande e per me è stata una piacevolissima sorpresa; non mi aspettavo tanto coinvolgimento.
Tutto ciò ha dimostrato che c’era tra i partecipanti grande interesse e attenzione per il mio caso e ha comportato, come conseguenza, una marea di spunti di riflessione al punto che ho chiesto di poter mostrare tutti i video e tenere le domande alla fine perché temevo non ci sarebbe stato tempo per visionarli tutti.
Pensate che per le intervisioni ci diamo un tempo di tre ore, ma alla fine non bastano mai, il collegamento deve essere forzatamente interrotto altrimenti si andrebbe avanti ad oltranza, tutto questo per dirvi quanto sono produttivi e stimolanti questi incontri.
Quello che ho percepito è che ognuno di noi ha la possibilità di annullare ogni pregiudizio, di mantenersi aperti, umili, curiosi e disposti a comprendere ed imparare dall’incontro con una nuova esperienza.
Altra bella sensazione che ho avuto è quella che le persone del gruppo hanno utilizzato un ascolto empatico, si sono lasciati attraversare dalla narrazione del mio caso per riuscire a percepire i miei vissuti senza confonderli con i propri.
Ciascun partecipante è in contatto con il proprio mondo interiore e, in uno stato di consapevolezza e autenticità si prepara a condividere quello che la narrazione ha suscitato in lui, che siano pensieri, ricordi di esperienze vissute o emozioni.
Proprio perché non esiste una gerarchia, non c’è chi dispensa il sapere e chi in modo subalterno, lo riceve ma c’è una condivisione delle diverse conoscenze.
Questo porta ad un consolidamento del rapporto tra professionisti di differente formazione e stimola la ricerca di strategie terapeutiche nuove.
La cosa che più mi ha impressionato in questo grande gruppo di musicoterapeuti, oltre alla elevata competenza delle persone che lo compongono, è l’entusiasmo con cui lavorano e la grande umanità.
Ogni volta che ho assistito ad una intervisione, ma anche quando io ho presentato il mio caso, ci sono stati momenti di grande commozione condivisa, sempre.
Noi lavoriamo con individui che, prima di tutto, hanno bisogno di trovarsi di fronte a persone empatiche, sensibili ed accoglienti; la relazione è il centro del nostro lavoro di musicoterapeuti e condividere il percorso terapeutico con tante persone e sentirsi ascoltati con grande partecipazione emotiva per me è stata un’esperienza impagabile.