Il mio terzo nome è Costantino, dopo quello del nonno paterno, Alberto, e del materno, Michele. Costantino era fratello minore di Alberto e gli era molto affezionato, oltre che grato per averlo, come medico, curato e guarito da un brutto malanno che si era preso con certe esuberanze giovanili.
Questo mio prozio non l’ho mai incontrato e di lui so molto poco: aveva fatto il militare di carriera fino al grado di colonnello, diventando responsabile degli approvvigionamenti per l’esercito nella zona di Ancona – dove visse a lungo e morì - ; era in condizioni economiche più che floride; rimasto vedovo, senza figli, convisse con una governante (di cui non so il nome), alla quale morendo lasciò tutto il suo patrimonio. Tuttavia, in nome dell’affetto e gratitudine per il fratello Alberto, ancora in vita donò alle sue figlie un elegante appartamento a Napoli: non so se a tutte e quattro – Emilia, Bianca, Ninì e Ada - o se soltanto alle due nubili, Emilia e Ninì.
Mi ero sempre chiesto come mai, né in vita né con un lascito avesse pensato all’unico nipote maschio, Enzo, figlio di Alberto e mio padre. Solo qualche mese fa ho appreso da mia cugina Maria Rosaria, figlia di Ada, che in realtà lo zio aveva offerto anche a lui una casa, ma che Enzo aveva preferito farsi dare l’equivalente in danaro per avviare la realizzazione di un cantiere navale. Progetto che la guerra e la disonestà dei soci ebbero cura di far fallire.
A me, nipotino mai conosciuto, lasciò tuttavia un ricordo: un cannocchiale ottocentesco con il quale mio figlio bambino, ora astrofisico, guardava la luna.
a. p., agosto 2014