vademecum

miscellanea di informazioni di pagaia

Le voci di questo vademecum, ove non diversamente indicato, sono state da me create negli anni e non sono revisionate. Possono quindi contenere anche informazioni datate o sulle quali ho fatto ulteriori riflessioni non ancora riportate. Grazie a chi mi segnalerà inesattezze o mi darà suggerimenti, sempre ben accetti!

ABBIGLIAMENTO

Negli sport acquatici, l’abbigliamento serve a proteggersi dal freddo e dal sole (e in misura minore da urti e abrasioni).

Ci si protegge dal sole con abbigliamento coprente che offra una barriera ai raggi UV e al contempo non attiri calore, quindi di colore chiaro. Se fa caldo il cotone va bene, perché bagnato aiuta a rinfrescare. Se fa freddo il cotone non va bene perché se bagnato assorbe calore dal corpo.

Con il freddo è tuttora ottima la lana, oppure un tessuto sintetico specifico; comunque, almeno l’abbigliamento non impermeabile indossato sul corpo va coperto con una cosiddetta giacca impermeabile detta “giacca d’acqua” (spraytop). Molti paddler preferiscono indossare una muta in neoprene tout court, intera o a salopette, di spessore adeguato alle proprie esigenze. Richiamo l’attenzione sul fatto che, se vi è il rischio non trascurabile di cadere in acqua, l’abbigliamento va calibrato sulla temperatura dell’acqua e sul tempo in cui ci si può rimanere, NON sulla temperatura dell’aria.

In acque bianche, anche in estate, se c’è il rischio di cadere in acqua frequentemente, è meglio usare una muta intera di spessore almeno 5mm; la quale costituisce anche una seppur minima protezione contro gli urti. Non lo ritengo un dispositivo imprescindibile perché ormai ci sono molti paddler che riescono a percorrere fiumi di seconda classe senza cadere e quindi con un minimo rischio di patire il freddo.

In inverno sia in acque aperte sia in acque fluviali, la navigazione con la muta stagna è non solo un piacere, ma anche una sicurezza.

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Nei corsi si insegna a vestirsi in funzione della temperatura dell'acqua e non della temperatura dell'aria. In generale e' una buona regola, ma il pagaiatore esperto la adegua alla propria esperienza. Vestirsi in funzione della temperatura dell'acqua in una giornata di sole o in caso di allenamento, comporta sudare, faticare, stare male. Quindi, se il rischio di rovesciarsi e' basso e la possibilita' di (auto)soccorso relativamente facile, vestirsi meno del "dovuto" e' per me la scelta saggia.

Io preferisco neoprene: salopette in neoprene, giacca d'acqua, gilet (che e' un ottimo isolante e che posso mantenere in coperta e indossare al bisogno).

ANNEGAMENTO

Articolo di Davide Gaeta

CANOA, KAYAK, SITONTOP, PAGAIA

Sono canoe tutti quei natanti per la cui propulsione si usa normalmente una pagaia e in cui il pagaiatore è normalmente seduto o in ginocchio rivolto verso l'avanzamento.

Il kayak (o sit-in) è quel particolare tipo di canoa con un pozzetto in cui ci si infila e al cui bordo si aggancia un paraspruzzi.

Il sitontop (o sit-on) è quel particolare tipo di canoa ottenuta preformando la coperta per accogliere persone e cose.

E' pagaia qualunque remo in cui il punto di applicazione della forza e il fulcro sono azionati dal soggetto pagaiatore e in cui il punto di scarico della forza è nell'acqua.

CANOA a TERRA

Non c'è bisogno di dannarsi per poggiare la canoa sulla carena (la parte che va immersa in acqua) quando la coperta (la parte superiore della canoa) presenta normalmente costole e irrigidimenti che limitano molto meglio la deformazione.

Il problema di poggiare l'imbarcazione si presenta in varie occasioni; esaminiamole in dettaglio:

- a riva sulla spiaggia (mettiamo anche che ci sia un sole feroce): se non volete essere schiavi della vostra canoa e se non avete comprato una "ciofeca", lasciatela lì tranquilli, poggiata con la carena sulla sabbia

- in garage o in giardino: qui la canoa poggiata deve sopportare unicamente il proprio peso però per un periodo abbastanza lungo; inoltre a casa ci può essere l'esigenza di qualche opera di manutenzione o semplicemente di godere la vista dell'oggetto cui siamo affezionati. Le barre di un cavalletto non sono allora adatte: il peso concentrato della canoa su due strisce trasversali di carena sicuramente non le fa bene; meglio allora metterla a terra quando non dobbiamo fare manutenzione. Si può considerare però l'utilità di montare sui cavalletti delle culle larghe per canoa canadese, regolabili in larghezza che sostengono molto bene la carena

- su auto: se non ci sono sovrastrutture di coperta che possono danneggiare il tetto dell'auto, il modo migliore di caricare la canoa è rovesciata, cioè con la coperta appoggiata sulle barre e la carena rivolta al cielo. Certamente per ogni canoa sarebbe opportuno distanziare le barre e cercare la posizione di appoggio su punti dello scafo più rigidi, come tipicamente quelli delle paratie stagne nei kayak da mare. Le cinghie di tenuta poi abbracciano la carena e la serrano in modo uniforme, quindi quanto di meglio si possa fare. Se proprio la si deve caricare diritta, cioè con la carena in basso, allora delle culle come quelle citate sopra sono essenziali se non si vuole deformare lo scafo. Le culle a J invece sono culle da kayak (quelli da torrente per intenderci) e non sono adatte alle grandi sit-on-top.

CARICARE la CANOA sull’AUTO

Vorrei condividere una riflessione sul modo di fissare la canoa sull'auto.

Ho pubblicato in proposito tempo fa alcune foto (https://photos.app.goo.gl/QFsPNzNxX2bMC9aw8), ma poi ho pensato altrimenti riguardo ad un dettaglio che mi sembra determinante.

A condizione di usare le classiche due barre trasversali sul tetto e le cinghie di tenuta, molti canoisti sono soliti collegare con una corda una o entrambe le maniglie di punta della canoa a ganci solidali con la vettura, normalmente posti in basso al muso o alla coda dell'auto.

Questo fissaggio è di sicurezza: se per un qualunque motivo la canoa si staccasse dal tetto, la corda eviterebbe che la canoa ormai libera voli dietro in mezzo alla strada con conseguenze potenzialmente catastrofiche per le vetture che sopraggiungono.

Premesso ciò, a proposito di questo fissaggio di sicurezza vedo 3 possibilità:

A - legare la maniglia davanti

B - legare entrambe le maniglie, davanti e dietro

C - legare la maniglia dietro

A questo punto, in caso di scollegamento della canoa dal tetto (rottura dei fissaggi delle barre, rottura delle cinghie, etc) posso disquisire solo teoricamente perché per mia fortuna o capacità in oltre 30 anni non mi si è mai staccata una canoa dal tetto.

Nel caso A, la canoa finirebbe lateralmente alla vettura e potenzialmente sotto le ruote, facendo perdere aderenza e portando l'auto fuori controllo, quindi una condizione di estremo pericolo.

Nel caso B, stessa situazione, anzi forse con maggiore tendenza della canoa a finire sotto le ruote.

Nel caso C invece la canoa verrebbe proiettata all'indietro, sbattendo sull'asfalto ma rimanendo collegata all'auto, che potrebbe trascinarla fuori pericolo, per esempio in corsia di emergenza. La canoa sarebbe probabilmente distrutta, ma sarebbe salva l'auto e - se a distanza di sicurezza - anche le auto che seguono.

In conclusione ritengo che la legatura corretta sia solo quella di coda, cioè C.

Spero di essere stato chiaro e sollecito commenti ed esperienze.

Ancora sullo stesso argomento:

teoricamente due evenienze possono scollegare la canoa dal tetto:

- si stacca una barra (o entrambe)

- si rompe una cinghia o una fibia

la pressione del vento probabilmente fa sollevare la canoa e la strappa dal tetto.

a seconda di come la si è assicurata avverrebbe ciò che ho descritto in apertura di questa discussione.

Come ho scritto in apertura di discussione, volevo condividere con voi alcune riflessioni senza alcuna pretesa di verità.

Per facilitare la lettura di quanto segue indicherò:

- con fissaggio primario, quello fatto con cinghie alle barre dell'auto

- con legatura di sicurezza, quella fatta con corde fissate alle maniglie e a ganci posti in basso sul davanti e sul didietro della vettura

La tecnica di legatura di sicurezza su cui mi sto orientando - corda solo dietro - deriva da mie riflessioni, ma è basata su sicuri fissaggi primari con le cinghie! se i fissaggi delle cinghie alle barre non sono sicuri, l'eventualità di perdere la canoa è maggiore se la si è adottata una legatura di sicurezza solo dietro, perché è evidente che con la velocità la spinta dal basso di una canoa non assicurata anche davanti sollecita grandemente la cinghia davanti.

In altre parole:

- se si esegue un fissaggio primario a regola, con cinghie sicure su barre sicure, allora resto convinto della mia teoria che la legatura di sicurezza vada fatta solo dietro (i motivi sono esposti in apertura di discussione)

- se non si sa eseguire un fissaggio primario a regola (o non lo si può eseguire), allora penso che sia meglio legare in sicurezza davanti.

In ogni caso tenere presente che la cinghia davanti del fissaggio primario è quella che deve sopportare il maggior carico della pressione del vento, quindi deve essere la migliore.

A margine dico che sconsiglio l'uso di cinghie a cricchetto: sono fonte di incidenti alle dita; è più difficile verificarne l'integrità; possono stressare lo scafo oltre misura; in caso di rottura in tensione hanno una parte metallica di un paio d'etti che può creare danni seri.

caricare la canoa sull'auto

CARICARE il SUP sull’AUTO

Vale in parte quanto gia' detto sopra per la canoa. Aggiungo qualche consiglio per chi voglia caricare il sup direttamente sul tetto senza usare le barre trasversali, ma approfittando del passaggio delle cinghie negli sportelli o meglio nelle barre longitudinali.

Le tavole devono essere pulite, altrimenti graffiano la carrozzeria. Per le rigide, frapporre una coperta o un asciugamano. Per le gonfiabili si puo' anche ometterlo. Tener conto che senza barre le tavole appoggiate direttamente sul tetto rompono l'aerodinamica della vettura, quindi per lunghi tratti la maggiorazione dei consumi e' notevole.

CASCO

In acque aperte semplicemente non ce n’è bisogno.

In acque bianche invece vale per il casco quanto detto per il gilet, con il pericolo rappresentato da urti alla testa. Anzi, dato il rischio di cadere di faccia, nei fiumi con acque basse è consigliabile un casco con mentoniera. E’ quindi un dispositivo imprescindibile.

CINGHIE di TRASPORTO per AUTO

Porto canoe sul tetto dell'auto da 30 anni senza averne mai persa alcuna e vorrei dire anche la mia esperienza: le cinghie migliori secondo me sono quelle semplici autobloccanti, che però si trovano di varia qualità sul mercato.

Occorre che siano:

- di tela robusta, spessa

- con un inserto di protezione tra la fibia e la canoa

- con una fibia robusta, spessa, solida

Punto critico di una cinghia è l'attacco del nastro di tela alla fibia: il cilindro metallico deve essere solido, preferibilmente di sezione circolare e ben saldato al corpo della fibia.

Se avete dubbi sulla cinghia che avete comprato, per esempio perché la sentite elastica o dubitate della resistenza della fibia, testate la cinghia intorno ad un grosso albero: avvolgetelo, infilate il nastro nell'autobloccante come fareste con una canoa e tirate con forza, molta forza (attenzione a prevedere che si possa rompere e a non cadere a terra!): se la cinghia è buona lo capirete, se non è buona si romperà e allora sarà stato meglio in giardino che con la pressione dell'aria sotto la canoa a 130 km/h sull'autostrada!

Come riavvolgere le cinghie

CINTURA a SGANCIO RAPIDO

In acque aperte semplicemente non ce n’è bisogno.

In acque bianche invece serve per attaccare il leash e per potersene liberare mediante uno sgancio rapido. Si può usare anche l’anello di acciaio posto sul retro dei gilet per uso fluviale, ma con la consapevolezza che, in caso di sgancio, si viene a perdere la possibilità di venire recuperati proprio tramite l’anello del proprio gilet.

CONSIGLI MATERIALI e ABBIGLIAMENTO

NB: ultima revisione 20 agosto 2018, prezzi e link potrebbero non essere aggiornati.Grazie a chi mi segnalerà inesattezze o mi darà suggerimenti, sempre ben accetti!

Consigli di acquamossa ai pagaiatori meno esperti:

L’elenco che segue mostra l’abbigliamento indicato per un fiume di 2 grado in primavera/estate/autunno ed è pensato per la Discesa Internazionale del Tevere. Non può essere ritenuto una pubblicità del negozio Decathlon (che certo non ne ha bisogno da noi); tuttavia fornisce una indicazione del miglior rapporto qualità/prezzo che conosciamo sul mercato, utile se non altro per una comparazione.

Salopette Subea 5,5mm uomo euro 54,99

http://www.decathlon.it/salopette-subea-55mm-uomo-id_8330583.html

La salopette in neoprene è abbigliamento comodo e necessario in fiume. Questa salopette è pesante ed è adatta per tutto l’anno. Meglio se indossata sopra una maglietta termica sintetica. Prendere una misura aderente ma tale da consentire di indossarci sotto un pile, in caso di freddo.

Muta Kayak Longjohn CK500 in neoprene 2,5mm euro 35,99

http://www.decathlon.it/muta-uomo-longjohn-ck500-id_8110166.html

Questa salopette non è pesante ed è adatta per il periodo primaverile e per un fiume come il Tevere. Meglio se indossata sopra una maglietta termica sintetica. Prendere una misura aderente ma tale da consentire di indossarci sotto un pile, in caso di freddo. Se la misura non è troppo aderente, può essere accoppiata con un pantalone intimo specifico sotto la muta: vedi sotto.

Intimo Pantaloni Adulto Grigi euro 14,99

http://www.decathlon.it/intimo-pantaloni-adulto-grigi-id_8315583.html

Intimo consigliato da usare sotto il Longjohn CK500 per aumentare l’isolamento da freddo.

Muta Kayak Longjohn CK500 JUNIOR in neoprene 2,5mm euro 24,99

http://www.decathlon.it/muta-neoprene-longjohnck500-jr-id_8306817.html

Stesso modello del precedente, ma per junior e con un prezzo inferiore di ⅓!

Giubbotto SK500 grigio/arancio euro 40,99

http://www.decathlon.it/giubbotto-sk500-grigio-arancio-id_8204268.html

Una giacca d’acqua (spray top) è necessaria per la navigazione in acque mosse; inoltre è un accessorio che fà la differenza in caso di pioggia o freddo. Va indossato sopra la salopette (in caso di freddo a sua volta sopra un pile a pelle) e sotto il gilet di galleggiamento!

Giubbotto JUNIOR DG500 grigio/rosso euro 30,99

http://www.decathlon.it/giubbotto-junior-dg500-grigio-id_8203848.html

Stesso modello del precedente, ma per junior e un prezzo inferiore di ¼!

Aiuto al galleggiamento BA500 70N euro 45,99

http://www.decathlon.it/aiuto-al-galleggiamento-ba500-70n-id_8166146.html

Un PFD è fondamentale e obbligatorio in fiume con rapide. Questo gilet manca però di un anello posteriore a sgancio rapido a cui attaccare il leash. Va comunque bene per il canoista non esperto.

Calzari DG500 euro 29,99

http://www.decathlon.it/calzari-dg500-id_8303524.html

Calzari alti e robusti sono fondamentali in fiume. Questo modello in neoprene 5mm è robusto e caldo.

Casco euro 25,99

http://www.decathlon.it/casco-aquilone-da-trazione-id_8132894.html

Fondamentale e obbligatorio in fiume con rapide.

Coil leash stand up paddle euro 30,99

http://www.decathlon.it/leash-stand-up-paddle-id_8335504.html

In fiume lo stand up paddler deve usare un coil leash fissato posteriormente al gilet.

CONSIGLI PER UNA ESCURSIONE / RADUNO

Consigli di acquamossa ai pagaiatori meno esperti:

Spesso, da quando si parte a quando si arriva, possiamo contare solo su ciò che ci siamo portati a bordo. Ecco quindi alcuni consigli per i meno esperti sull'abbigliamento e sulle provviste da portare con sé.

Sicurezza personale

Dotazioni personali

Vedi le altre voci specifiche in questa pagina

RADUNI

I buoni comportamenti da adottare:

CORDA DA LANCIO

Le corde da lancio vengono utilizzate principalmente in due operazioni:

1 - per un salvataggio individuale, in cui il soccorritore lancia la corda alla persona in pericolo

2 - per un salvataggio collettivo, in cui la squadra di soccorso pianifica un'azione per recuperare una persona in pericolo

Nel caso 1, non è tanto la lunghezza della corda ad essere importante, ma la sua portata e precisione di tiro: data la dimensione della tua mano, data la tua forza, data la tua abilità, data il tipo di corda e la forma della sua sacca, è possibile che si ottenga una portata maggiore o più precisa con una corda da 15 m che con una corda da 20 m.

Nel caso 2 è preferibile la corda più lunga di quella più corta. Eppure è più ingombrante e pesante.

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Throwing ropes are mainly used in two operations:

1 - for an individual rescue, in which the rescuer throws the rope to the person in danger

2 - for a collective rescue, in which the rescue team plans an action to recover a person in danger

In case 1, it is not so much the length of the rope that is important, but its range and shooting accuracy: given the size of your hand, given your strength, given your ability, given the type of rope and the shape of its bag, it may be that you get a greater or more precise range with a 15m rope than with a 20m rope.

In case 2, the longer rope is better than the shorter one. Yet, it is bulkier and heavier.

ESKIMO in MARE

L'eskimo non è una manovra avanzata, bensì una manovra accessoria.

La capacità di fare eskimo in mare ha soprattutto una funzione psicologica, di confidenza in sé stessi. La sua riuscita al di fuori di un contesto di esercizi infatti, più che su un colpo di pagaia è basata su un colpo di c.... Se ci si rovescia in mare vuoi dire che le condizioni oggettive (onde frangenti, raffiche potenti, buio) o soggettive (stanchezza, ipotermia, paura) sono tali da rendere la riuscita dell'eskimo solo una speranza.

Meglio a quel punto conoscere e confidare invece nelle manovre avanzate di risalita.

FORI AUTOSVUOTANTI delle SITONTOP

Me lo dicono sottovoce anche i produttori di canoe che i fori degli autosvuotanti sono un punto debole dello scafo e i carrellini appositi con i tubi che si infilano dentro i fori stressano la struttura.

Il mio consiglio è di non caricare lo scafo quando portato sul carrellino.

GILET o PFD

Cosa è e quando usarlo

PFD è l’acronimo di Personal Flotation Device (in italiano: dispositivo di aiuto al galleggiamento), acronimo universalmente usato.

Distinguiamo acque aperte da acque bianche.

In acque aperte, in caso di rovesciamento, se il paddler non perde il contatto con la canoa o con la tavola (perché indossa il leash o perché la canoa non viene portata via dalle onde o dal vento, la canoa o la tavola sono una riserva di galleggiamento molto maggiore di quella offerta dal gilet. Il paddler potrà quindi decidere di indossarlo, o di portarlo sulla canoa/tavola, prevalentemente per motivi di freddo o di stanchezza o di sicurezza psicologica.

In acque bianche invece il gilet è un dispositivo imprescindibile, come ben noto in ambito canoistico: trovarsi a nuotare in acque bianche senza gilet presenta un pericolo di annegamento con elevato rischio.

Ogni pfd, sia per acque aperte che per acque bianche, dovrebbe avere strisce catarifrangenti e un fischietto in dotazione.

Il gilet serve ad aiutare a galleggiare il canoista che finisce in acqua: può far freddo, può essere difficile risalire in canoa, si può essere feriti o accusare un malessere: il gilet aiuta a non andare giù e annegare.

Se si perdono i sensi il gilet utilizzato normalmente in canoa non aiuta: il corpo potrebbe girarsi a testa in giù e allora ... Occorrerebbero i gilet in uso sulle barche a vela, ma impediscono il movimento del canoista.

Come comportarsi e cosa indossare?

Confesso senza imbarazzo che in estate, con mare calmo, non lo uso.

In inverno invece lo uso anche con mare calmo.

Se poi il mare è mosso mi sento più sicuro con un gilet di aiuto al galleggiamento (con spinta 50N: è sufficiente).

Attenzione: quando comprate un gilet asssicuratevi che oltre alla chiusura sul davanti abbia la fibbia o la chiusura in vita: è la più importante perché impedisce che il gilet si sfili!

Gilet in acque aperte: fatti e miti

PFD è l’acronimo di Personal Floating Device (in italiano: dispositivo di aiuto al galleggiamento), acronimo universalmente usato. Risponde alla norma EN ISO 12402-5. Il termine aiuto al galleggiamento non va confuso con quello di giubbotto di salvataggio, che risponde alle norme EN ISO 12402-4, EN ISO 12402-3, EN ISO 12402-2. La differenza fondamentale è che:

Negli sport di pagaia (canoa e sup) si usa normalmente l'aiuto al galleggiamento (o pfd). Per brevità lo chiameremo sotto gilet.

Fatti (veri)

Miti (falsi)

Il gilet autogonfiabile

Sui gilet autogonfiabili confesso che, in tanti anni di navigazione in canoa, non ho mai visto come è fatto né tantomeno quale sia la procedura di collaudo.

Diffido di chi puntualizza costantemente sulla sicurezza facendola dipendere dall'attrezzatura: in ogni attività umana la sicurezza - intesa come la minimizzazione dell'incidente con conseguenze gravi alle persone o alle cose e non come l'andare vestiti come un Babbo Natale - è un aspetto che a me non piace enfatizzare rispetto ad altri come, ad es., l'avventura, la passione, il divertimento, l'emozione.

Detto ciò, quando mi pongo seriamente un problema di sicurezza ho un mio metodo di valutazione di ciò che sto facendo o che sto facendo fare: nella situazione di analisi porrei mio figlio?

Allora, quando porto mio figlio in canoa in una situazione di pericolo l'unico dispositivo che mi fa stare più tranquillo è il gilet tradizionale di salvataggio con collare e a galleggiabilità asimmetrica (con un pettorale più grande dell'altro che fa ruotare il corpo), cioè l'unico che INTRINSECAMENTE galleggia e riporta il corpo senza sensi in posizione di respiro con la testa fuori dall'acqua e la bocca in alto. Mai affiderei mio figlio ad una pasticca di un autogonfiabile!

Però questo discorso non può valere per me (intendo me come canoista e non come passeggero): non si può pagaiare per ore in mare con un gilet con il collare, ma neanche con un gilet "pesante" da 100-150N che ostacola i movimenti e, scusate se insisto, che smorza il piacere della pagaiata!

Mi è capitato invece spesso di farmi un bagno al largo con il mio gilet da 50N: per piacere, per fare un bisogno, per guardare il fondo. Se in tali occasioni avessi avuto un autogonfiabile me lo sarei dovuto togliere, mettendomi automaticamente in situazione di NON-protezione.

In conclusione vedo l'autogonfiabile come concepito per imbarcazioni più grandi, per non dover camminare in coperta con un gilet brutto e scomodo e indossare invece qualcosa che protegge veramente in caso di caduta accidentale - lì sì! - con probabile perdita di sensi.

In canoa non serve qualcosa che ti tenga a galla nell'estremamente improbabile caso che perdi i sensi, ma in quello probabile che per stanchezza o freddo ti serva un aiuto al galleggiamento, appunto.

ICF - International Canoe Federation

The ICF as a multi-sport organisation, which consists of all canoeing and paddling activities. The ICF embraces every activity in which a paddler is facing the direction of travel with a single or double bladed paddle.

LEASH PAGAIA

Le cime (corde) libere in canoa sono sempre pericolose.

I canoisti di fiume non le usano per questo motivo: pericolo di morte.

In mare le cime per legare la pagaia alla canoa e la persona alla canoa (o alla tavola) si chiamano "leash".

I leash migliori sono fatti a spirale allungabile e hanno sempre un velcro: da fissare intorno al manico della pagaia o da fissare alla caviglia (o in certi casi al braccio o ad uno specifico anello sul retro del gilet).

Il fai-da-te è pericoloso perché non tiene conto della casistica degli incidenti: i leash hanno tanti dettagli difficili da replicare.

Anche l'uso del leash non è da principianti; basta immaginare un rientro a terra con onda frangente e leash caviglia - canoa sit-on-top: ci si dimentica di aprire il velcro, la canoa si rovescia e il povero canoista …

LEASH TAVOLA

In acque aperte il pagaiatore, o paddler, che voglia fare navigazione è bene che si assicuri alla tavola mediante il cosiddetto leash: un cavetto di materiale sintetico (di origine surfistica) fissato con un capo alla tavola e con un altro normalmente alla caviglia. In tal modo in caso di caduta in acqua il paddler potrà recuperare facilmente la tavola e risalirci sopra; altrimenti il vento e le onde potrebbero allontanare la tavola fino a renderla irraggiungibile a nuoto. I leash sono di 2 tipi: quello sciolto (straight leash), e quello arrotolato (coiled leash). Lo straight leash deve essere usato per il surf su onda frangente, perché non deve avere un effetto elastico, che sarebbe pericoloso per le parti taglienti e appuntite della tavola. Il coiled leash deve essere usato per la navigazione, perché non deve avere parti in acqua, che oltre a fare resistenza potrebbero impigliarsi. Circa l’abitudine di fissare il leash alla caviglia o al ginocchio, dipende da preferenze personali (in caso di surf con una tavola pesante è meglio fissare il leash al ginocchio per resistere meglio allo strappo).

In conclusione il paddler di acque aperte valuterà se usare il leash in funzione: del pericolo che correrebbe se perdesse la tavola dopo una caduta; della probabilità di cadere.

Faccio notare che in caso di surf con onda frangente, il leash è più una comodità di recupero della tavola e una sicurezza per eventuali bagnanti.

In acque bianche il leash non è principalmente un dispositivo di sicurezza, bensì soprattutto uno strumento per recuperare velocemente la tavola. Il leash per uso fluviale ha caratteristiche e modalità d’uso diverse da quello per acque aperte. Intanto, per diminuire la probabilità che in caso di caduta il leash possa impigliarsi con rami, sassi o altri ostacoli, esso va fissato non alla gamba bensì a un anello a sgancio rapido. Questo anello può essere quello in dotazione posteriormente ai gilet per acque bianche; oppure può essere quello di una cintura ad hoc (vedi la sezione pfd). Il leash per acque bianche deve essere coiled ed è di preferenza fissato sia alla tavola che al gilet tramite moschettoni. I leash più sofisticati hanno anche la possibilità di regolarne la “rottura” (di solito con strisce di velcro sovrapponibili a piacere): in caso di caduta con situazione di pericolo, qualora non si riesca o sia inefficace l’azionamento dello sgancio rapido, il leash “rompendosi” eviterà di rimanere legati alla tavola.

In conclusione il paddler di acque bianche valuterà se usare il leash in funzione del pericolo che correrebbe se la tavola si allontanasse dopo una caduta e della probabilità di perdere o di recuperare con difficoltà la tavola.

MANIGLIE TAVOLA

Per il trasporto, le tavole gonfiabili hanno al centro una maniglia di tessuto; le tavole rigide invece hanno una scassa in cui infilare le dita. Maniglie o scasse possono essere utili anche per afferrare la tavola quando si cade in acqua. Sia maniglie che scasse devono essere tali da evitare l’incastro involontario di mani e piedi.

In acque aperte l’esigenza di afferrare la tavola per la maniglia è meno sentita.

In acque bianche, ove si utilizzano prevalentemente tavole gonfiabili, invece la maniglia è molto utile, tanto che i modelli specifici da fiume ne hanno 3, 4, 5 o più.

MEDUSE DEL MEDITERRANEO

METEOROLOGIA

Geoingegneria

Un interessante documento dell'ENI

Glossario Meteo

Glossario meteo [dal sito LaMMA]

Indici termici

Giorno di gelo: è definito come il giorno in cui è stata registrata una temperatura minima inferiore a 0°C e una temperatura massima superiore o uguale a 0°C.

Giorno di ghiaccio: è definito come il giorno in cui è stata registrata sia una temperatura minima che una temperatura massima inferiore a 0°C.

Indice di continentalità: è definito come la differenza tra il mese più caldo (la massima della temperatura mensile media climatologica) e il mese più freddo climatologico (la minima della temperatura mensile media climatologica).

[fonte: http://www.lamma.rete.toscana.it/]

Insolazione

Quantità di radiazione solare che raggiunge una data superficie per unità di tempo.

Insolazione assoluta (o eliofania assoluta)

Numero delle ore in cui il sole ha brillato sull’orizzonte. Più precisamente, l'insolazione giornaliera è la somma dei sottoperiodi (ore e decimi di ora) del giorno durante i quali l’irradianza solare diretta ha superato i 120 W/mq

Insolazione relativa (o eliofania relativa)

Rapporto tra le ore di sole e la durata del giorno in uno stesso luogo.

Mari Italiani

figura presa dal sito meteoam.it

Raffica

La raffica è un rinforzo improvviso e temporaneo della velocità del vento. Le raffiche in genere si attestano attorno al 30% in più rispetto al vento medio, ma in determinate situazioni (es. forte instabilità) possono superare del il 50% il vento medio.

Nel bollettino si indica la raffica quando quest'ultima supera di 10 nodi il vento medio previsto. Il valore è espresso in multipli di 5 nodi e indica il valore massimo che il vento può raggiungere per un breve periodo di tempo (tipicamente 1-5 minuti).

Soleggiamento

Numero di ore giornaliere nelle quali un'area geografica è colpita dalla radiazione solare.

Termoclino

"Il termoclino è lo strato di transizione tra lo strato rimescolato di superficie e lo strato di acqua profonda in corpi idrici profondi come oceani, mari e laghi. Le definizioni di questi strati sono basate sulla temperatura. Lo strato di rimescolamento (mixed layer) è vicino alla superficie, dove la temperatura è costante e approssimativamente pari a quella dell'acqua di superficie. Lo strato d'acqua più caldo è chiamato epilimnio e quello più freddo ipolimnio; lo strato di separazione, cioè il termoclino, è chiamato anche metalimnio." [Wikipedia]

Nei grandi laghi profondi del Nord Italia, il termoclino, cioè lo strato di separazione tra quello superficiale (caldo in estate) e quello profondo (costantemente freddo), è vicino alla superficie, quindi anche un banale tuffo di testa dalla tavola, fatto in estate col sole, può provocare uno shock termico.

Visibilità

NUOTO

Per andare in sup serve essenzialmente una tavola, una pagaia e saper nuotare!

Non prendiamo neanche in considerazione il praticare uno sport acquatico senza saper nuotare, sicurezza attiva per eccellenza.

Nei miei corsi insisto molto (anche negli esami) sui due fattori di sicurezza per me più importanti negli sport acquatici: sapersi proteggere dal freddo, saper nuotare. La muta stagna per questo motivo non è in assoluto la muta migliore, perché se protegge meglio dal freddo, limita la capacità natatoria, che in casi estremi ti può salvare.

ONDA FRANGENTE

Il limite del canoista in mare è dato dalla onda frangente: con essa non c'è più navigazione sicura.

Sì, ci si può giocare a riva con le onde, se ben equipaggiati (muta, gilet galleggiante e casco); ma per chi fa campeggio nautico, navigazione o pesca, l'onda frangente è una cosa da temere e da non affrontare.

L'onda frangente al largo fa fare un bagno e può allontanare la canoa dal canoista ad una distanza tale da non poter essere più recuperata dal canoista rimasto in acqua.

L'onda frangente a riva è una delle cause di rottura della spina dorsale e di lussazione di spalla.

Come vedete tralascio ogni considerazione in merito alla perdita dell'attrezzatura, rischio irrilevante rispetto all'incolumità fisica.

Le tecniche di rientro che io utilizzo sono le seguenti:

- osservare dal largo i "treni di onde": come ben sanno i surfisti, le onde non sono tutte uguali, ma c'è un treno di onde più alte seguito (irregolarmente) da un treno di onde più basse. Non è esagerato osservare questi treni anche per parecchi minuti prima di decidersi ad affrontare il rientro

- con onda frangente piccola, tentare di tenere la rotta ortogonale alla riva e se la barca si "intraversa", cioè tende a disporsi parallelamente all'onda, piegare il corpo verso l'onda e appoggiarsi con la pala bassa sull'onda che si frange: l'onda vi trascinerà a riva, la pala eviterà il rovesciamento e l'unica conseguenza è che il pozzetto si riempie di acqua

- con onda frangente grande, in qualche occasione ho usato la seguente tecnica, che presuppone la disponibilità a bordo di una cima da 20-25 metri: sceso in acqua dove l'onda ancora non si rompe, fatta una gassa ad una estremità della cima per impugnarla, fatta una gassa alla maniglia alla prua della canoa (per canoe con il timone occorre alzare il timone!), rimanere più al largo e rilasciare la canoa lentamente tenendo un po' di gioco quando questa è investita dall'onda, e per sé stessi, andare sott'acqua quando l'onda vi investe

- il rientro sulla spiaggia con onda e presenza di bagnanti è sempre da evitare: il pericolo di ferire seriamente o di uccidere qualcuno colpendolo al tronco o alla testa è una colpa grave del canoisti/surfista. Se fossi un giudice condannerei senza pietà il canoista/surfista imprudente.

- legare la canoa al corpo (per esempio alla vita o ad un arto) può essere molto pericoloso per l'arto legato o fatale se la canoa viene trascinata contro gli scogli o a fondo. Una delle regole fondamentali che si imparano nei buoni corsi di canoa o di sicurezza è quello di non avere cime sciolte a bordo e di non legarsi alla canoa. Una cima elastica corta e facilmente rimuovibile (velcro) per la pagaia va bene, purché fissata alla canoa e non al corpo

Senza alcuna pretesa da parte mia di dire "come si fa" ... solo qualche riflessione di esperienza personale.

Chiunque abbia osservato le onde che si frangono a riva ha notato probabilmente che queste arrivano a "treni": un treno di onde piu' alte seguito da un treno di onde piu' basse.

Inoltre (anche se dalla visuale del video non possiamo dire se sia questo il caso), quando le onde si frangono su una spiaggia chiusa a baia da una scogliera, normalmente c'e' una parte della spiaggia che e' piu' protetta, in cui le onde sono piu' basse e da cui la corrente defluisce verso il largo.

Quindi, se proprio dobbiamo uscire in mare o abbiamo deciso di farlo, passare un quarto d'ora o una mezz'ora a studiare la situazione non e' tempo perso.

Mi e' capitato di dover prendere il mare per uscire da una spiaggia su cui avevo pernottato e che minacciava di venire ricoperta dal mare crescente; e di avere paura di fare la fine dello sfortunato del video. Cosa ho fatto?

Avevo portato con me in canoa prudentemente una cima di una ventina di metri, l'ho fissata alla maniglia di prua, ho assicurato con cime tutta l'attrezzatura, ho studiato la situazione della spiaggia come spiegato sopra, ho trascinato la canoa fino al bagnasciuga nel punto migliore per uscire e sono entrato in acqua a piedi e a nuoto tenendo in mano l'estremita' libera della cima, con la canoa rimasta sul bagnasciuga. Quando ho visto che ero certamente nel treno basso di onde allora mi sono affrettato a nuotare verso il largo trascinando la canoa, che libera del mio peso e con la velocita' di tiro che le imprimevo, e' riuscita a superare le onde senza grossi strattoni. Una volta al riparo dall'onda frangente, quindi al largo, ci sono salito sopra e via.

Stesso sistema ho usato talvolta per il rientro su spiaggia, o magari dove avevo notato sassi pericolosi se fossi arrivato a riva surfando: scendendo al largo, legando la cima e rilasciando la canoa sui frangenti prima di me, frenandola con tutto il mio corpo immerso in acqua.

ONDE

Un articolo molto interessante sulla formazione delle onde in acque aperte. Suggerisco di guardare anche il video contenuto nell'articolo.

A parte le deduzioni circa il buon momento per partire da terra e per tornare a terra, la conoscenza dei treni di onde e' utile anche per capire il miglior momento per risalire su un kayak/sup quando si e' al largo.

https://www.surfertoday.com/surfing/the-impact-of-constructive-and-destructive-interference-in-swell-formation

PAGAIA SUP

La pagaia è costituita da un manico, da una pala, da una impugnatura.

Il manico può essere in pezzo unico (a lunghezza fissa) o divisibile/telescopico. Io consiglio quello in pezzo unico perché più sicuro - non avendo punti deboli - oltre ad essere ergonomicamente molto migliore. Il materiale di eccellenza è il carbonio, che però è più fragile dell'alluminio. Se si deve fare un tour impegnativo in cui non si può rischiare di rompere il manico, è bene valutare una pagaia con manico in alluminio.

La pala e l'impugnatura possono essere in carbonio o in plastica. Vale quanto detto sopra per il manico.

PROBLEMATICHE IN ACQUA

(di Pierfederici Giovanni)

Continuiamo a presentarvi, con questo breve articolo, quelli che sono i potenziali pericoli che possono presentarsi in acqua, durante le immersioni, navigando o semplicemente divertendosi con gli amici.
Per altri articoli dedicati al tema "pericoli in mare", vedere a fondo pagina la sezione Articoli Correlati. Precisiamo che l'intento di questi articoli è quello di educare alla cultura della prevenzione. Solo così sarà possibile adottare comportamenti virtuosi e tali da non mettere in pericolo la propria vita e quella degli altri.

SINCOPE IN ACQUA
Per sincope si intende una perdita improvvisa e repentina della coscienza, con arresto involontario della respirazione e conseguente arresto cardiaco, con pericolo di morte se non si interviene nell’immediato con tecniche complete di rianimazione. Al momento della sincope può esserci o meno attività cardiaca. Nel primo caso si parla di sincope ipossica, nel secondo caso di sincope riflessa. La sincope ipossica è causata da una diminuzione della pressione parziale di ossigeno nel sangue, che determina una grave sofferenza cerebrale. In acqua si manifesta durante e dopo apnee prolungate, spesso in soggetti poco preparati e poco allenati. Può manifestarsi anche nella ipocapnia da iperventilazione, ovvero quando si determina una riduzione notevole della pressione parziale di anidride carbonica nel sangue. A volte, negli incidenti sub, si manifesta dopo embolia polmonare.
Nelle sincopi riflesse, come detto, si ha arresto cardiaco e cessazione della respirazione. Tuttavia la sofferenza cerebrale non è determinata da un rapido calo della pressione parziale di ossigeno nel sangue, ma dall'arresto cardio-circolatorio. In acqua la sincope riflessa è molto pericolosa, poiché se non si interviene subito, il rischio di morte è elevatissimo.

CAUSE DELLA SINCOPE RIFLESSA IN ACQUA: L'IDROCUZIONE
L'idrocuzione (neologismo coniato da Lartigue, utilizzato solo in ambito medico-forense) è una sincope che colpisce coloro che si immergono improvvisamente in acque fredde. Colpisce prevalentemente soggetti anziani e, tra questi, coloro che per altre ragioni legate allo stile di vita (scarsa attività fisica, sovrappeso ecc...) sono a maggior rischio di problemi cardio-circolatori. Tuttavia il rischio sussiste anche in soggetti perfettamente sani. Spesso vittime dell'idrocuzione sono giovani nuotatori oppure alcolisti fortuitamente finiti in acqua.
L'idrocuzione si determina quando la pelle molto calda è improvvisamente raffreddata dall'acqua di mare, per cui si ha un repentino calo della temperatura corporea. Non sono importanti i valori di temperatura dell'acqua e della superficie corporea, ma è importante la loro differenza di temperatura relativa.
La perdita di coscienza è spesso improvvisa, ma ci sono delle eccezioni: a volte subentra solo dopo bradicardia e una caduta graduale della pressione arteriosa, manifestandosi dopo 1 o 2 minuti dallingresso in acqua.
Prevenire la sincope da idrocuzione è semplice. Basta immergersi gradualmente in acqua, bagnandosi poco alla volta. Tale consiglio è da prendere alla lettera soprattutto se ci si sente molto accaldati, dopo intensa attività fisica, dopo aver bevuto alcolici e quando non si è in perfetta forma fisica.

FISIOPATOLOGIA DELL'IDROCUZIONE
Ma perchè l'idrocuzione provoca una sincope? Alla base di questo vi sono complessi meccanismi di natura vagale, che cominciano soprattutto a carico di aree particolarmente riflessogene, quali gli occhi, le mucose delle prime vie aeree, le aree del volto associate al trigemino, i genitali e la zona cutanea dell'addome (è facile immergersi in acque fredde sino alle gambe, ma è difficile bagnarsi la pancia e le spalle). L'improvvisa immersione nell'acqua fredda determina una consistente stimolazione delle terminazioni nervose tributarie del glossofaringeo, presenti nelle mucose nasali e a livello del faringe/laringe. Tali aree riflessogene afferiscono al nucleo dorsale del vago, il cui stimolo può tradursi in un arresto cardiaco immediato, ovvero in aritmie ventricolari quasi sempre mortali. Inoltre, in soggetti con apparato cardiocircolatorio compromesso, il repentino richiamo di sangue del territorio splancnico, determina spesso un gravissimo scompenso cardiaco. In sede autoptica, il quadro che si presenta al patologo forense non è particolarmente ricco. In genere sono presenti ipostasi (abbondanti), colorito vivido, fluidità ematica e ipostasi viscerale.

PREVENIRE L'IDROCUZIONE
La prevenzione è semplice ed efficace e si basa su poche regole: mai entrare in acqua accaldati, dopo un pasto abbondante, dopo aver bevuto alcolici e dopo un intenso sforzo fisico. Evitare anche bagni ripetuti poiché il coprpo umano impiega circa 60 minuti per ristabilire l'equilibrio tra temperatura corporea e quella dell'ambiente. La letteratura scientifica riporta casi di idrocuzione dopo bagni ripetuti. I bagni in fiumi e torrenti, sono statisticamente a maggior rischio di idrocuzione.

IDROCUZIONE E PATOLOGIE DELL'ORECCHIO
Alcuni soggetti con lesioni alla membrana timpanica, quando si immergono in acque fredde, possono subire una reazione labirintica, a causa del contatto dell'acqua con le strutture dell'orecchio interno. Tale reazione si manifesta con sintomi autonomici (ansia, tremori, palpitazioni) che si aggiungono alle inevitabili vertigini, tipiche della reazione labirintica, in grado di aumentare notevolmente il rischio di annegamento.

CENNI SULL'ANNEGAMENTO POST PRANDIALE
L'improvviso calo della temperatura corporea, che si manifesta dopo un ingresso rapido in acque fredde, può avere anche altre conseguenze, soprattutto dopo un pasto abbondante. La comparsa o meno di una congestione addominale, dipende dalla temperatura dell'acqua, dalla quantità e dal tipo di cibo ingerito, dal tempo intercorso tra il pasto e l'ingresso in acqua.
La congestione addominale si ha quando, all'improvviso, il sangue è dirottato dagli organi addominali alla periferia del corpo (sottocutaneo), con conseguente algia a livello dell’addome. Tale algia è potenzialmente causa di complicanze che possono evolversi anche nell'annegamento.

ANOMALIE DELL'ANNEGAMENTO POST PRANDIALE
Dopo un pasto abbondante, l'improvvisa immersione in acqua fredda determina, come detto, un improvviso richiamo di sangue dalla regione addominale alla periferia. Tale richiamo comporta l'entrata in circolo di proteine parzialmente digerite, le quali si comporterebbero come agenti allergeni, causando shock anafilattico. La stessa stimolazione della pelle provocherebbe liberazione di istamina e composti istaminosimili, il cui passaggio nel flusso ematico causa quella che viene definita crioanafilassi. Dunque, nell'annegamento post prandiale, spesso il decesso avviene non in seguito a complicanze digestive e/o cardiovascolari, piuttosto agli effetti, detti collassiali, che tali complicanze comportano. Segue perdita di forza e di coscienza, per cui si finisce, indirettamente, per annegare.

COME INTERVENIRE
Come altri analoghi incidenti in mare (annegamento), anche nell'idrocuzione è necessario intervenire tempestivamente con una rianimazione completa, ovvero con il massaggio cardiaco e la respirazione artificiale. La celerità dell'intervento è fondamentale.

(di Pierfederici Giovanni)

INTRODUZIONE
Il grafico sottostante, tratto da Sea Survival, sintetizza la serie di eventi che accadono quando ci si immerge in acque fredde, alla temperatura di 10 °C. In media, dopo sole 3 - 4 ore, le possibilità di sopravvivere sono molto basse. In acque molto fredde, come per esempio quelle dell'oceano Artico, dopo qualche minuto è praticamente impossibile sopravvivere.
Perchè accade questo?

Ebbene, il corpo umano posto in acqua perde calore ad una velocità molto maggiore rispetto a quando si trova in aria. Tale velocità dipende dalla differenza di temperatura tra il corpo umano e l'acqua circostante, ed è influenzata dall'abbigliamento poiché ogni materiale è caratterizzato da un coeficiente di trasmissibilità variabile.
Lo shock termico iniziale, in acque molto fredde, può manifestarsi subito. Il tasso respiratorio aumenta notevolmente ed è facile andare in iperventilazione, il che causa confusione e disorientamento. Poco dopo può sopraggiungere un attacco cardiaco e la morte.
Durante il periodo estivo, in Mediterraneo, considerando le temperature medie stagionali, l'ipotermia sopraggiunge dopo un periodo compreso tra 2 e 12 ore. Durante l'inverno i tempi si riducono ad un intervallo compreso tra 2 a 120 minuti.

L'IPOTERMIA
Il termine ipotermia indica la riduzione della temperatura corporea al di sotto dei 35°C. La temperatura corporea è sotto il controllo del nucleo preottico nell'ipotalamo. Si parla di ipotermia lieve quando la temperatura corporea è compresa tra 35 e 32.2 °C; di ipotermia moderata quando è compresa tra 32.2 e 28 °C; di ipotermia severa quando scende al di sotto di 28 °C. La maggior parte del calore (prodotto dal fegato e dal cuore) è disperso attraverso la cute (90%) mentre una minima parte (10%) è persa attraverso i polmoni. Quando si finisce in acqua, la dispersione del calore subisce un incremento notevole. Vedremo poi un modello matematico per calcolarne le quantità. In acqua la velocità di dispersione del calore è 26 volte maggiore rispetto all'aria alle medesime condizioni di temperatura. Per esempio un uomo in acqua a 20 °C perde calore 26 volte più velocemente rispetto ad un uomo posto in una stanza alla temperatura di 20 °C. Questo dipende dalla grande capacità termica dell'acqua e quindi dalla sua capacità di sottrarre calore.
Durante l'ipotermia si ha una diminuzione delle attività enzimatiche e si ha un'alterazione del metabolismo aerobico, infatti l'emoglobina a basse temperature non è più in grado di rilasciare l'ossigeno ai tessuti e come conseguenza, almeno nella fase iniziale (ipotermia lieve), aumenta la gittata cardiaca ovvero aumentano i battiti cardiaci. Nella fase successiva (ipotermia moderata), si ha bradicardia e conseguente depressione dei centri respiratori. Quando il tessuto non riceve più ossigeno, muore e si ha necrosi tissutale. Nell'alpinismo sono molti i casi di necrosi degli arti e consegunte perdita degli stessi.
Di seguito le principali alterazioni nei casi di ipotermia lieve, moderata e severa:

ipotermia lieve (fase iniziale) 35 - 32.2 °C:

ipotermia lieve (fase secondaria) 35 - 32.2 °C:

ipotermia moderata 32.2 - 28 °C:

ipotermia severa < 28 °C:

Quindi nel caso di ipotermia sono coinvolti il sistema nervoso centrale, il sistema cardiocircolatorio, il sistema respiratorio, il sistema muscoloscheletrico, il sangue, il sistema endocrino, l'apparato gastrico e il sistema renale.

COME INTERVENIRE
In ambito medico le metodiche di intervento sono tante e differiscono per costi e tipologie gestionali. L'importante è valutare se la metodica attuata determina l'aumento della temperatura corporea. Se questo non avviene, occorre cambiare tempestivamente metodo.
A monte dell'intervento medico, se per esempio ci si trova su un'imbarcazione e si è in procinto di issare a bordo un naufrago è importante operare nei seguenti modi:

Il trattamento extraospedaliero e ospedaliero esula dalle nostre competenze, per cui si rimanda ad altri siti o ai testi di medicina. In particolare consigliamo le linee guida dell'American Heart Association e quelle dell'European Resuscitation Council.

IL TEMPO DI SOPRAVVIVENZA
Ovviamente i fattori che influenzano il tempo di sopravvivenza in acqua sono molti. Quelli più importanti sono il tempo di permanenza e la temperatura dell'acqua. Altri fattori sono l'età e il sesso del soggetto, lo stato di salute e, importante, il tipo di vestiario. Lo stato di salute del soggetto influenza il bilancio tra calore prodotto e calore perso; quest'ultimo è dipendente dalla forma del copro e dallo strato adiposo. Su questo aspetto è importante ricordare gli studi di Sloan and Keatinge: le persone magre o con uno strato adiposo modesto perdono più velocemente calore quanto più è bassa l'età; i ragazzi perdono calore più velocemente rispetto alle ragazze. Quindi è importante anche come lo strato adiposo è distribuito nei vari distretti corporei.

La differenza tra calore prodotto e quello perso rappresenta il tasso di dispersione. Indicandolo con Est e indicando il calore prodotto con Q e quello perso con q, abbiamo:

Est = Q - q

Q è il calore prodotto dal metabolismo basale e, secondo la World Health Organization (WHO) dipende principalmente dal peso e dall'altezza del soggetto.
Il calore è perso per conduzione e convenzione, per cui:

q = K A e q = h A dove A indica la superficie del copro, K è la conduttività termina, h è il coeficiente di convenzione che per l'acqua vale 12,500 W m-2 K-1.

La superficie corporea può calcolata nel seguente modo:

A = 0.007184 Weff 0.425 Heff 0.725 dove Weff indica il peso espresso in kg e Heff l'altezza espressa in cm.

Non tutta la parte esterna del corpo perde calore allo stesso modo, per esempio la conduttività termica dei tessuti seguenti vale.

Epidermide: spessore: 0.08 mm. conduttività termica: 0.24 W m-2 K-1
Derma spessore: 2 mm. conduttività termica: 0.45 W m-2 K-1
Grasso sottocutaneo spessore: ≤10 mm. conduttività termica: 0.19 W m-2 K-1
Tessuti interni: spessore: 30 mm. conduttività termica: 0.5 W m-2 K-1

Ora le equazioni si complicano, per cui ci limiteremo a rappresentarle solamente in forma grafica. Considerando un corpo privo di abbigliamento, il tempo di sopravvivenza si può stimare attraverso il grafico sottostante:

Non vi è una relazione lineare e, come si nota immediatamente, il tempo di sopravvivenza si allunga molto quando la temperatura dell'acqua è superiore ai 15 °C mentre al di sotto dei 10 °C è impossibile sopravvivere per più di 5 ore. Se poi il corpo è protetto da vestiti o mute adatte, i tempi cambiano in positivo, allo stesso modo si hanno scostamenti positivi dalla stessa curva, se il rapporto superficie volume è favorevole: individui con uno spesso strato adiposo sopravvivono più a lungo.

UN CONSIGLIO
Quando si cade in acqua molto fredda, molti pensano di potersi riscaldare nuotando. In realtà muovendosi in acqua si perde calore più velocemente. Per cui si consiglia di mantenere la cosidetta HELP position, acronimo che significa Heat Escape Lessening Posture. Tale posizione, fortemente raccomandata, è quella che garantisce la minor perdita di calore. Purtroppo è difficile da mantenere in condizioni di mare agitato.

Heat Escape Lessening Posture

BOX - Perchè in acqua le dita si raggrinziscono? 

Quando si passa troppo tempo in acqua accade che le estremità, in particolare le punte delle dita delle mani, un pò meno quelle dei piedi, si raggrinziscano.

Non è noto esattamente perchè questo accade. Un tempo si proponevano spiegazioni legate alle caratteristiche fisiche della pelle e all'osmosi; ora una nuova ipotesi avanzata dal team del dottor Mark Changizi, considera invece un'altra caratteristica, ovvero quella legata all'attrito e al fatto che la pelle raggrinzita offra una maggior e più sicura presa. In alte parole evita (o eviterebbe) lo scivolamento delle mani e dei piedi quando aderiscono su un substrato qualsiasi.

L'ipotesi del dottor Changizi è interessante, anche perchè basata sul fatto, oggettivo, che il raggrinzimento della pelle è sotto il controllo del sistema nervoso e, se vengono recise le terminazioni nervose deputate, il fenomeno scompare, quindi sono escluse ragioni legate all'osmosi e alla perdita di acqua (disidratazione).

(di Pierfederici Giovanni)

Ogni anno, più di 500.000 persone, muoiono annegate.......

Lo scorso anno pubblicammo un articolo dal titolo QUANTO TEMPO SI SOPRAVVIVE IN ACQUE FREDDE?, che ebbe un discreto successo tra i naviganti. Molti utenti, ci scrivono ancora oggi per chiederci approfondimenti e nozioni sui temi correlati, soprattutto quello relativo al problema, per utilizzare un eufemismo, dell’annegamento che, purtroppo e drammaticamente, ritorna in auge ogni qualvolta comincia la stagione estiva. La maggioranza delle questioni che ci sono state poste, riguardano le cause e le modalità relative all’annegamento e alla prevenzione.
Pur non avendo statistiche aggiornate all’anno in corso, nella maggioranza dei casi gli incidenti avvengono entro poche decine di metri dalla linea di costa. In molti di questi casi, il termine incidente è forse improprio, infatti spesso si tratta di imprudenza e comunque di atteggiamenti superficiali e poco consoni al contesto meteo marino dei luoghi. Entrare in acqua con mare molto mosso, e vi assicuro che si tratta di comportamenti molto comuni, può risultare davvero pericoloso.
In questa sede analizzeremo brevemente eventi ed alterazioni organiche che possono essere associati all’annegamento. Si tratta dunque non della causa primaria dell’annegamento, ma di concause o eventi secondari associati, per passare poi ad una breve descrizione della fisiopatologia dell'annegamento:

morsi e punture di animali: in mare ci sono moltissime specie di vertebrati e invertebrati che possono essere pericolosi per l’uomo. In Mediterraneo, le specie pericolose sono davvero poche, perlopiù si tratta di celenterati (meduse, anemoni, fisalie, ecc..) che possono liberare, per contatto, delle tossine che hanno effetti locali oppure sistemici.
Localmente, a livello della lesione, possono formarsi bolle e vescicole, associate a bruciore e/o dolore che possono perdurare anche alcune ore. I sintomi sono detti, in termini medici, di natura orticaroide. Lesioni più importanti e severe, di tipo necrotico ed edematoso, sono più rare. La puntura da parte delle fisalie, le caravelle portoghesi, sono ancora più gravi e possono risultare letali.
In alcuni casi, ovvero nelle persone particolarmente sensibili, si possono manifestare i sintomi dello shock anafilattico, ove sono interessati il sistema respiratorio, cardiocircolatorio e da ultimo, anche il sistema nervoso.
Queste problematiche, difficili da affrontare nel quotidiano, sono ancora più ostiche se avvengono e si manifestano in acqua e durante un'immersione. Il rischio di annegamento è molto alto e occorre intervenire prontamente, allontanando il soggetto colpito dall’acqua e praticare immediatamente, se necessario (spesso lo è), le procedure rianimatorie.
Oltre ai celenterati, in mare è facile essere punti da pesci velenosi come razze, tracine e scorfani. In genere le tossine dei pesci sono termolabili e il dolore che segue può essere più o meno (forse meno!!!), controllato, immergendo l’arto colpito in acqua calda, meglio se acqua di mare riscaldata. A volte può essere utile alternare l’immersione in acqua calda e in acqua fredda, poiché lo shock termico denatura velocemente le proteine tossiche.
Altre problematiche legate ai pesci sono quelle relative al morso. Murene, squali e altre specie possono causare ferite tanto più gravi quanto più è grande l’animale. Sulle aggressioni da parte degli squali abbiamo scritto molto. Aggiungiamo, in questa sede, che secondo le statistiche dell’ISAF (International Shark Attach File), gli attacchi all’uomo, in questi ultimi anni, sono in calo.
In Mediterraneo negli ultimi due secoli sono stati censiti solo 35 episodi di aggressione a sub, pescatori e imbarcazioni.
Infine ricordiamo alcune alghe microscopiche tossiche, come Osteopsis ovata, che causa frequentemente problemi all’apparato respiratorio oppure agli occhi. È possibile venire a contatto con le sue tossine direttamente in acqua, oppure attraverso l’aerosol sulla spiaggia, come avvenne in località Portonovo (AN) qualche anno fa.
Ebbene, tutti questi eventi possono essere cause secondarie di annegamento. A volte la puntura da parte di un animale che neanche si riesce a vedere, causa, oltre al dolore, anche panico e reazioni emotive che possono essere concause di ulteriori problemi. Ricordo un episodio di molti anni fa, ove una ragazza, punta da una tracina, si lesionò i legamenti crociati del ginocchio sinistro, per uscire affannosamente dall’acqua, correndo su una gamba sola, rischiando seriamente l'annegaento in mezzo metro di acqua.

Ipotermia: quando a causa di incidenti si finisce in acque fredde oppure anche in acque temperate o calde per lungo tempo, si finisce inevitabilmente, anche se con tempistiche diverse, per perdere calore. In acque fredde la perdita di calore è rapidissima, solo pochi minuti. Quando la temperatura corporea scende sotto i 35 °C si parla di ipotermia. Nel 50% dei casi di annegamento, secondo statistiche recenti, si ha a che fare con l’ipotermia. La perdita di calore avviene gradualmente e nel tempo possono manifestarsi i sintomi più gravi, come aritmie, ipotensione, apnea e pseudo rigor mortis, che portano inevitabilmente all'annegamento.
L'ipotermia è gia stata dettagliatamente trattata qui.

Riteniamo che sia importante conoscere le possibili cause che portano all’annegamento, per stabilire utili procedure di intervento e di rianimazione.
In questa sede, tra le cause, abbiamo omesso volutamente quelle relative a fattori geografici e culturali che hanno a che fare con l’annegamento, si tratta infatti di una materia che necessita un approccio diverso e complesso, che esula dallo scopo di questo articolo. Solo alcune statistiche e brevi considerazioni: in Brasile, metà dei decessi per annegamento sono legati alle acque dolci; nei Paesi Bassi il 94% dei decessi si verifica nei canali e solo il restante 6% lungo le spiagge; i soggetti più a rischio in questo paese sono i bambini. Nei paesi dell’est europeo (Bielorussa, Lituania, Lettonia e Russia) i tassi di mortalità sono quasi 15 volte più alti di quelli dei paesi Mediterranei; infatti nei paesi dell'est, le acque mediamente molto fredde, l’eccessivo consumo di alcool e altri fattori socioculturali, insieme alla scarsa rapidità degli interventi di soccorso, contribuiscono all’innalzamento del tasso dei decessi per annegamento; i paesi con il maggior numero di morti per annegamento, sono il Giappone e l’Australia, questo si spiega con il fatto che la maggioranza della popolazione vive lungo le coste; in Italia dal 1969 al 1998, sono morte per annegamento 24.496 persone ( 20.068 di sesso maschile e 4.428 di sesso femminile). Si è passati dai quasi 1.300 morti del 1969 ai 400 decessi del 1998. La prevenzione e l’informazione hanno contribuito attivamente al calo degli incidenti. Dunque, oggi l’annegamento rimane un fenomeno a bassa incidenza, almeno lungo le coste Mediterranee, ma ad alta letalità.

DEFINIZIONE E FISIOPATOLOGIA DELL’ANNEGAMENTO

Sembrerà strano, ma ad oggi, non esiste ancora une definizione univoca e accettata internazionalmente del termine medico annegamento. Le differenti definizione ostacolano tutt’ora la raccolta epidemiologica dei dati e dunque, non sappiamo realmente quanti sono i casi chei si verificano ogni anno nel mondo. Quelli di cui si dispone sono certamente delle sottostime.
La prima definizione è stata quella della Epidemiology of Drowing, del 1998, messa a punto da David Szpilman, che scrisse una relazione sulla definizione e sulle lesioni legate all’annegamento e agli incidenti in acqua.
In seguito a vivaci discussioni, nate sulla base delle definizioni riportate nel 1998, qualche anno dopo, precisamente nel 2002, è stata elaborata una definizione revisionata: per annegamento si intende "il processo di sperimentare uno scompenso respiratorio per sommersione o immersione in un liquido, che può portare alla morte il soggetto entro le 24 ore, oppure a esiti permanenti sulla sua salute e al pieno recupero di tutte le funzioni vitali".
Il processo di annegamento comincia quando le vie aeree si trovano al di sotto del livello del liquido e può essere interrotto in qualsiasi momento; sono stati abbandonate le definizioni di: annegamento bagnato e asciutto (l’aspirazione o meno di un liquido) e di annegamento secondario (insorgenza ritardata del distress respiratorio - ards - polmoniti; oppure morte in acqua a seguito di infarti, traumi cerebrali e vertebrali, crisi epilettiche e ipoglicemiche).
A livello fisiologico, vi sono delle differenze tra annegamento in acqua dolce e acqua salata.
In acque dolci, il passaggio di liquido dagli alveoli ai capillari è molto rapido. Nei cani, purtroppo utilizzati in moltissimi esperimenti in acqua, si è osservato che in circa tre minuti, il 50% del volume ematico è sostituito dall’acqua, per cui si verifica emodiluizione, emolisi e iperkaliemia (aumento della concentrazione di potassio nel sangue). In breve si ha l’arresto cardiaco, mentre l’edema polmonare è meno grave e comunque è tardivo. In acque dolci, gli studi hanno dimostrato che in molti casi gli animali salvati non riportavano gravi conseguenze, nonostante la massiva emolisi (rottura delle pareti cellulari dei globuli rossi).

Perchè in acque dolci si ha emolisi dei globuli rossi?

Perchè l’acqua dolce è ipotonica rispetto al sangue, ovvero ha una concentrazione di sali inferiore; l’acqua di mare è invece ipertonica rispetto al sangue, poiché ha una concentrazione di sali molto superiore. Il sangue ha un contenuto percentuale di NaCl dello 0.9%, mentre l’acqua di mare del 3.5%.
Per cui l'acqua dolce, va a sostituirsi alla parte acquosa del sangue, provocando rigonfiamento dei globuli rossi sino a farli letteralmente scoppiare (lisi).

 

Gli stessi effetti si possono osservare in acque dolci clorate, come quelle delle piscine. L’acqua con cloro ha però effetti più marcati rispetto all’acqua dolce non trattata, soprattutto a livello dei setti interalveolari, che vengono rapidamente danneggiati con conseguente e drastica diminuzione delle superfici respiratorie.
In acque salate il problema è più grave, perchè sia ha trasudazione di liquido dai capillari agli alveoli (l’opposto rispetto a quanto accade in acque dolci), con conseguente emoconcentrazione, ipovolemia (perdita di volume ematico) e danneggiamento delle membrane alveo-capillari, che conduce all’edema polmonare, che risulta essere sempre severo e particolarmente grave, rispetto a quello provocato dall’annegamento in acque dolci. La quantità di acqua salata necessaria per determinare l’arresto cardiaco è però doppia rispetto all’acqua dolce.
Abbiamo dunque evidenziato un aspetto importante:

Le conseguenze dell’anossia per il sistema nervoso centrale sono invece egualmente e altamente pericolose in entrambi i casi.
L’emodiluizione che si ha quando l’acqua dolce va a sostituire il sangue, determina anche deplezione dei sali (calcio, sodio) e questo potrebbe determinare fibrillazione ventircolare e grave anossia cerebrale. Tuttavia, è raro che l’acqua ingerita sia in quantità tale da determinare alterazioni elettrolitiche, per cui la fibrillazione è spesso correlata all’ipossia e all’acidosi, piuttosto che all’emolisi e alla deplezione di sali. L’aumento del potassio non è invece correlata, almeno nell’uomo, alla fibrillazione ventricolare.

La sequenza di eventi che si susseguono durante le fasi di annegamento in acque dolci sono:

La sequenza di eventi che si susseguono durante le fasi di annegamento in acque salate sono:

I danni all’apparato respiratorio, circolatorio e cerebrale, saranno tanto più marcati quanta più acqua entra nei polmoni. Negli animali, l’ingestione di soli 2.2 ml di acqua per Kg di peso, riduce la pressione arteriosa a 60 mm di Hg in soli tre minuti. Nell’uomo, l’ingestione di 1 - 3 ml di acqua per Kg di peso ( circa 210 ml in un uomo dal peso di 70 Kg), riduce la funzionalità polmonare del 40%.

Dunque, abbiamo evidenziato un secondo aspetto importante, ovvero che la serie di eventi sopra descritti, sia nel caso di acqua dolce che salata, determina l’insorgenza di una fase di apnea. Ma prima di descriverla, vediamo quali e quante sono le fasi dell’annegamento.
Secondo le più recenti linee guida le fasi che si possono evidenziare durante un episodio di annegamento sono essenzialmente tre (quattro secondo linee guida meno recenti):

fase di sorpresa e di panico: in una situazione di pericolo, ovvero quando ci si trova in zone di acque profonde, acque correnti, oppure come accade spesso, anche in acque relativamente basse, al primo cenno involontario di immersione si compie un atto riflesso inspiratorio; la glottide è sottoposta a spasmo allo scopo di proteggere i polmoni dall’ingresso dell’acqua. Questo tipo di situazione determina panico, ansia, agitazione e spesso anche gestualità e movimenti che possono essere pericolosi, sia per il soggetto che avrà difficoltà nel ripristinare una corretta posizione in acqua (del resto chi non è preparato e non ha una buona acquaticità, può far ben poco se non prevenire - ed è fondamentale - certe situazioni), sia per il soccorritore, che potrebbe essere ferito o addirittura correre il rischio di annegare insieme al soggetto. Sono stati documentati numerosi casi di tentativi di salvataggi multipli, conclusisi con l’annegamento del soccorritore, stremato dalla fatica per contrastare la gestualità e l’istintiva lotta per la sopravvivenza del soggetto. Questa fase, tuttavia, non è spesso riconosciuta da altri soggetti che si trovano a riva, anche a poca distanza. Contrariamente a quello che si pensa, "mancano" quasi sempre le grida di aiuto, le braccia spesso non si vedono, poiché utilizzate istintivamente per rimanere in superficie e dunque sono spesso immerse. Un particolare è invece molto importante: in questa fase la testa del soggetto emerge dall’acqua molte volte, per almeno 10-20 secondi, nel caso di un bambino, per circa 40-60 secondi nel caso di un adulto. Riconoscere questo tipo di 'atteggiamento' è molto importante, per chiedere repentinamente aiuto, per intervenire e organizzare al meglio i soccorsi;

fase di resistenza: in assenza di soccorso, la vittima perde gradualmente le forze. Viene meno ogni tentativo per rimanere in superficie. Si hanno brevi e continue immersioni e ogni volta che le vie respiratorie vengono sommerse dall’acqua, aumenta lo spasmo della glottide (laringospasmo riflesso);

fase dispnoica: cominciano a manifestarsi gli effetti dell’apnea prolungata. Vengono meno le forze e la coscienza si riduce, a causa della 'fame di aria' si ha apertura spontanea della glottide per cui, i conseguenti atti respiratori, determinano un massivo e ulteriore ingresso di acqua nello stomaco e nei polmoni. L'apertura spontanea della glottide avviene al sopraggiungere del punto di rottura, indotto dall'ipercapnia, ovvero da elevate concentrazioni di anidride caronica nel sangue, e dall'ipossiemia, ovvero da basse concentrazioni di ossigeno nel sangue. In questa fase possono manifestarsi tosse, conati di vomito e convulsioni;

fase terminale o apnoico-anossica: la vittima ha le vie aeree completamente ostruite dall’acqua. Si ha perdita irreversibile della coscienza, a meno di interventi precoci e repentini; perdita progressiva dei riflessi neuromuscolari e conseguente arresto respiratorio e cardio - circolatorio. Prima della cessazione dell'atto respiratorio, possono manifestarsi, per qualche minuto, atti respiratori irregolari e concitati (gasping);

Tutte queste fasi sono riassunte, in genere, nei manuali di Pronto Soccorso, nelle tre fasi di: apnea; di inspirazione riflessa; della perdita di coscienza.

Termina qui, l'aspetto puramente descrittivo e senza pretesa alcuna di essere esaustivi, la breve trattazione dedicata alla fisiopatologia dell'annegamento. Non essendo, il nostro, un sito di medicina, non intendiamo in alcun modo sostituirci ai consigli e ai pareri di coloro che si occupano di diving medicine, pronto soccorso, di rianimazione e di salvataggio. Per cui, chi volesse approfondire i temi su come intervenire, sulle pratiche di rianimazione e di soccorso, può rivolgrsi a siti dedicati.
Ci limitiamo a ricordare, nella tabella sottostante, i punti fondamentali relativi alla prevenzione, di gran lunga il metodo più efficace per prevenire ogni tipologia di incidenti in acqua.

Prevenire l'annegamento e gli incidenti in acqua: alcuni semplici consigli

Come sempre, la prevenzione risulta essere sempre la miglior arma per prevenire incidenti in mare, nei laghi e nei fiumi.
Nei bambini e nei ragazzi sino a 14 anni, l'annegamento è la prima causa di morte nei maschi e la quinta nelle femmine. Per cui, in generale si consiglia:

di insegnare il nuotano ai bambini a partire dai 2 anni di età;
sorvegliare sempre con attenzione i bambini. Circa l'84% dei casi di annegamento avvengono a causa dello scarso controllo degli adulti;
se i vostri figli sono accompagnati al mare da docenti e insegnanti, accertatevi che siano qualificati e preparati, sono numerosi infatti gli incidenti causati da personale inesperto e gli esiti, purtroppo, sono spesso fatali;
mai iperventilare prima dell'immersione per prolungare i tempi sott'acqua.

SPIAGGE
1 - se insesperti, nuotare sempre in zone controllate e presidiate dal personale di salvataggio;
2 - immergersi solamente se le condizioni meteo-marine lo permettono;
3 - evitare assolutamente di tuffarsi da scogliere emerse e soffolte, anche se ben conosciute. Il rischio di incidenti è molto elevato. A parte il rischio di scivolare su rocce coperte da feltri algali, le mareggiate possono provocare assestamenti dei massi e quindi zone ben conosciute possono trasformarsi in vere e proprie trappole. Nel 1984 si verificò un incidente in una zona molto frequentata e conosciuta. Dopo una mareggiata, presso una barriera artificiale, un tuffatore abituale rimase paralizzato dopo aver battuto il capo contro un masso che non doveva esserci, probabilmente spostatosi in seguito ai marosi dei giorni precedenti;
4 - non sopravvalutare mai le proprie capacità di nuotatore. Il 50% degli annegamenti avvengono perchè ci si sente sicuri e allenati. Una buona resistenza fisica si ottiene con allenamenti costanti durante tutto l'anno, per cui si sconsiglia di nuotare per forza di cose in acque profonde e lontano dalla costa;
5 - tenersi sempre a debita distanza, durante il nuoto, da barriere, banchine, aree interdette, foci dei fiumi e corridoi di ingresso e uscita dei natanti;
6 - alcune zone, anche vicino alla riva, sono soggette a correnti relativamente forti. Se la corrente procede dalla costa verso il largo, è inutile nuotare controcorrente. In questi casi si consiglia di tagliare la corrente stessa e nuotare parallelamente alla linea di costa, sino ad uscire dall'area turbolenta. Anche la zona tra le due secche, comune in Adriatico, può risultare particolarmente insidiosa;
7 - chiedere aiuto in caso di crampi, punture e ferite causate da animali e oggetti in acqua;
8 - nuotare in apnea solo in acque sicure e segnalate sempre la vostra presenza;
9 - non immergersi mai dopo un pasto abbondante e dopo aver bevuto bevande alcoliche.

PISCINE
Ai proprietari di piscine si consiglia:
1 - recintare la propria piscina, soprattutto se si hanno bambini. In quest'ultimo caso gli incidenti sono frequentissimi e un recinto è, insieme alla sorveglianza, la miglior prevenzione;
2 - il 50% dei proprietari di piscine non ha la minima nozione di intervento e pronto soccorso, si consiglia dunque di imparare le tecniche CPR di rianimazione;
3 - disporre sempre di attrezzature mediche e di un cellulare in prossimità della piscina, per avitare perdite di tempo in caso di incidente;
4 - non lasciare giocattoli e alti oggetti a bordo piscina, che potrebbero attirare l'attenzione dei bambini.

PROTEZIONI ARTI

In acque aperte semplicemente non ce n’è bisogno.

In acque bianche invece, per limitare i danni in caso di caduta contro rocce, molti paddler usano una o più protezioni tra ginocchiere, parastinchi, gomitiere, protezioni spinali. Mancando ancora prodotti specifici, di solito si usano prodotti per uso downhill.

RADUNI

[liberamente tratto: dal vademecum di AICAN Associazione Italiana Canoa Canadese; dal sito di TiberTour Discesa Internazionale del Tevere; e modificato dall'autore]

Organizzazione

Comunicazione

Indicare l'ente organizzatore, il suo presidente, le persone da contattare

Formulare un programma chiaro contenente:

Comportamenti prima dell'entrata in acqua

Nominare la testa e la coda del gruppo e comunicarlo chiaramente ai partecipanti:

Conoscere le norme di sicurezza e le tecniche di soccorso

Verificare le condizioni meteorologiche e i livelli idrometrici

Fornire le informazioni sui pericoli, verificare la capacità dei partecipanti e le attrezzature

Raccogliere le iscrizioni

Concordare un sistema di comunicazione fra i responsabili e gli addetti alla sicurezza

Briefing prima della partenza

Indicare:

Spiegare:

i principali segnali di comunicazione, le cui caratteristiche devono essere:

Verificare:

Partecipazione

REGIMI FLUVIALI (di ignoto)

Alimentazione dei corsi d’acqua 

L’alimentazione della rete idrografica è parte del cosiddetto ciclo idrologico, che prevede il continuo passaggio dall’atmosfera alla superficie terrestre (prevalentemente sotto forma di precipitazioni liquide o solide) e viceversa (evaporazione). 

Le caratteristiche idrologiche di un corso d’acqua sono innanzi tutto dipendenti dalle precipitazioni che cadono sul suo territorio (bacino idrografico). La loro quantità, la distribuzione durante l’anno, la presenza e persistenza della neve sono i fattori principali che definiscono il regime d’alimentazione (pluviale, nivale, glaciale o l’insieme di questi in vari gradi). Invece, l’intensità e persistenza dei singoli eventi di precipitazione assieme alle caratteristiche morfologiche, geologiche e di copertura vegetale del bacino idrografico caratterizzano gli eventi di piena dei corsi d’acqua. La quantità d’acqua che defluisce lungo un fiume dipende dagli effetti di tutte queste caratteristiche e fattori e a seconda dello stato di deflusso d’acqua si differenziano diversi regimi idrologici: 

Regime di magra: è lo stato idrologico caratterizzato da basse portate. In questi casi il livello e la velocità dell’acqua sono ridotti e il corpo liquido occupa porzioni di alveo limitate. Sono evidenti gli indizi indicanti le zone d’alveo allagate in regimi differenti (massi e sassi ricoperti di alghe, pozze d’acqua ferma isolate, assenza di vegetazione terrestre non stagionale sulle zone riparie più prossime all’acqua). Questo regime, nel Nord Italia è riscontrabile prevalentemente durante la stagione estiva e quella invernale (nei corsi d’acqua a prevalente regime glaciale le magre estive si verificano generalmente verso fine stagione). 

Regime di piena: è lo stato idrologico in cui i corsi d’acqua presentano elevate portate. Generalmente si verifica conseguentemente ad intense e persistenti precipitazioni. In questo caso la velocità e quindi l’energia dell’acqua sono molto più elevate del solito. E’ la situazione in cui si possono verificare le azioni di modellazione degli alvei e delle sponde. Le attività fluviali risultano pericolose e da evitare per la presenza di fattori di pericolo non abituali: maggior velocità e diverso comportamento della corrente, materiale fluttuante anche di notevole dimensioni, nuovi ostacoli alla navigazione quali vegetazione ripariale oppure ponti, cavi o altri attraversamenti a pelo d’acqua o sommersi. La fase di crescita della piena, cioè il periodo di tempo in cui le portate iniziano ad aumentare in modo repentino fino al punto di culmine, è più rapida nei piccoli bacini idrografici rispetto a quelli più grandi. 

Regime di morbida: è lo stato idrologico intermedio ai due sopradescritti. Si riscontra durante la fase finale di un evento di piena oppure durante periodi di precipitazioni non così intensi da poter generare una piena. E’ anche il regime caratteristico dei periodi di disgelo stagionale delle nevi e ghiacciai. Rispetto al regime di piena, la durata di una morbida è maggiore, soprattutto quando è dovuta allo scioglimento primaverile delle nevi. 

Un altro importante e fondamentale fattore caratterizzante il regime d’alimentazione è il fattore antropico. Ormai la stragrande maggioranza (se non la totalità) dei maggiori corsi d’acqua alpini sono regolati da opere idrauliche di vario genere. Le acque possono essere captate, deviate, raccolte in bacini artificiali per scopi idroelettrici, di irrigazione e per uso potabile o industriale. Il loro effetto è riscontrabile principalmente durante i periodi di magra. Dal punto di vista delle attività degli sport fluviali, ciò può portare vantaggi e/o svantaggi a seconda del periodo stagionale e della strutturazione degli impianti. In alcuni casi la presenza di un bacino artificiale permette un costante rilascio d’acqua utile allo svolgimento delle attività fluvial; viceversa, alcuni tratti di fiumi potenzialmente utilizzabili in certi periodi dell’anno possono essere sistematicamente privati del loro deflusso naturale. 

Esistono delle normative che impongono dei deflussi minimi nei tratti d’alveo regimati da opere idrauliche (Deflusso Minimo Vitale). Queste normative, quando presenti, generalmente si basano solamente sulla quantità minima d’acqua indispensabile alla sopravvivenza della fauna ittica o ad esigenze di tipo igienico-sanitario. Non sono prese in considerazione altre necessità come la sopravvivenza dell’ambiente fluviale nella sua totalità, e tutti gli altri casi d’utilizzo del fiume, dallo svolgimento degli sport fluviali, alla pesca sportiva, all’impatto paesaggistico. Per adesso, essendo assente una legislazione in merito, si rimanda alla buona volontà dell’amministratore o gestore di turno. 

Portata 

Definiamo cosa s’intende per portata: la si può considerare come la quantità d’acqua che passa per una certa sezione d’alveo in un determinato intervallo di tempo. In pratica si potrebbe dire che è la quantità d’acqua che vedo passare sotto un ponte per un certo tempo. 

L’unità di misura d’uso abituale è il metro cubo al secondo [m3/s] (si può immaginare la quantità rappresentata da 1 m3/s come il volume d’acqua pari ad uno scatolone delle dimensioni di 1X1X1m che transita in un secondo attraverso ad una certa sezione del corso d’acqua). Per avere un’idea delle grandezze in gioco, il fiume Po in regime di magra ha una portata di diverse centinaia di m3/s, mentre per discendere in kayak un torrente alpino può essere sufficiente una portata di qualche m3/s.

TIPI DI ALVEI FLUVIALI 

La descrizione che segue vuole rappresentare sinteticamente i tipi di alvei che si possono trovare nel territorio nord-orientale. Si è presa come base uno studio rappresentante un ipotetico corso d’acqua, visibile in figura 1 (Trevisan L., 1968). Per semplicità descrittiva la trattazione è fatta dividendo schematicamente per tratti il corso d’acqua (fig.2). Nella realtà, tutte queste situazioni possono essere presenti parzialmente ed anche secondo ordini differenti. Prima di partire con la descrizione si ricorda che è in condizioni di piena che si hanno le maggiori evoluzioni delle forme fluviali. Si può dire, semplificando molto, che più acqua defluisce e più questa è veloce, maggiori sono le energie in gioco, quindi più “forza” ha l’acqua per erodere, trasportare e depositare il materiale dell’alveo e delle sponde. Nei tratti montani anche i fenomeni franosi e di trasporto di materiale dai versanti rivestono un ruolo importante nell’evoluzione delle forme del fiume.

Partiamo da monte: 

Tratto A: è l’alveo che si trova nelle parti più alte delle valli, valli incise proprio da lui stesso nella roccia. La pendenza è significativa mentre le dimensioni sono spesso ridotte tendendo ad essere più fondo che largo. L’alveo può presentare alluvioni grossolane come massi ciottoli e ghiaie oppure essere direttamente in roccia. Come esempio possiamo citare il torrente Mis a monte del lago omonimo oppure l’Astico sopra Lastebasse. 

Tratto B: è sempre un alveo vallivo, ma in questo caso si trova dove il fondo valle è più largo e la pendenza minore. Il materiale alluvionale (ghiaie e ciottoli) sarà in quantità maggiore vista la propensione alla deposizione. La profondità sarà molto minore rispetto alla larghezza. L’Astico nella parte media e bassa della valle può essere un esempio. 

Tratto C: è la parte all’uscita della valle e l’acqua è libera di scorrere liberamente all’interno di un esteso letto di alluvioni ghiaiose creando un intreccio di rami debolmente incisi e non persistenti nel tempo. La larghezza è molto elevata mentre la profondità dell’acqua è generalmente bassa. Un ottimo esempio è il Brenta tra Bassano e Fontaniva. 

Tratto D: si tratta di una situazione simile alla precedente, ma in questo caso l’alveo è costituito da materiale sabbioso dove tra i rami si presentano “isole fluviali” vegetate anche da specie arboree. La profondità inizia ad aumentare mentre diminuisce la velocità, fin’ora abbastanza sostenuta. Rimanendo sul Brenta un breve tratto esemplificativo può essere la zona di Carmignano-Carturo. 

Tratto E: l’acqua è contenuta da arginature e la direzione è tortuosa (meandriforme). La pendenza diminuisce ulteriormente e con essa la velocità dell’acqua. La sezione trasversale indica una profondità elevata all’esterno dei meandri e bassa all’interno. Come esempio il Brenta, tratto Carturo-Limena o il Bacchiglione tra Montegalda e Padova. 

Tratto F: è il tratto d’alveo che raggiunge il mare. Profondità elevate, bassissime pendenze. Il materiale dell’alveo è sabbioso-limoso. Generalmente la direzione è tendenzialmente rettilinea. E’ il tratto in cui la quota della superficie dell’acqua può superare il piano di campagna per via della deposizione dei sedimenti (fiume pensile). Questo è il caso di tutti ifiumi principali sfocianti nell’alto Adriatico. 

Come si è detto, queste sono le caratteristiche che si possono ritrovare nei corsi d’acqua alpini e prealpini. Il Piave è un esempio di fiume che presenta lungo il suo corso tutte queste situazioni. Già il Brenta manca del tratto “A” nascendo dal lago di Caldonazzo. Il suo affluente principale, Cismon, invece si ferma alla forma “C” visto che gli manca il tratto di pianura, al di là del fatto che attualmente il suo tratto finale forma un lago artificiale (lago del Corlo). 

Le opere antropiche hanno un peso enorme sulla modificazione morfologica dei corsi d’acqua. Possono essere semplici soglie (“gradini” di traverso nell'alveo) ricorrenti spesso nei tratti montani, grandi dighe con conseguente lago artificiale o grandi arginature nei tratti di pianura.

Fig. 1: Ipotetico corso d’acqua (Trevisan L., 1968)

Fig. 2: Tipi d’alveo (disegni di Trevisan L., tratto da G.B. Castiglioni, 1986)

Riferimenti bibliografici Trevisan L., I diversi tipi di alvei fluviali e la loro evoluzione Accad. Naz. Lincei, Quaderno n.112, Roma,1968, pp.531-561. Castiglioni G.B., Geomorfologia, UTET Torino, seconda edizione, 1986, pp.436.

RIPARAZIONE CANOA PE

SACCHE di GALLEGGIAMENTO per SITONTOP

Che dire sull'opportunità di inserire delle riserve di galleggiamento all'interno di sitontop con gavoni?

Mi pongo il problema di cosa succederebbe nella malaugurata ipotesi di rovesciamento a tappo aperto.

Effettivamente la DAG (casa francese) riesce a far omologare in Francia la sua Midway fino alle 6 miglia perché il gavone anteriore ha una paratia stagna che lo separa dal resto dello scafo.

Mi viene un dubbio per i sot con il gavone anteriore:

- se non si mette una riserva d'aria, in caso di rovesciamento a tappo aperto immagino che si riempia subito la parte anteriore (tanta acqua di peso pari al peso complessivo dello scafo) lasciando una grande bolla d'aria all'interno che impedirebbe l'affondamento. Dopodiché, con una tecnica nota, il canoista (evidentemente in acqua) affonderebbe ulteriormente la prua rovesciata e con una rapida torsione riporterebbe dritta l'imbarcazione, preoccupandosi poi di svuotarla con una spugna o una mezza bottiglia.

- se si mette una riserva di galleggiamento a prua, in caso di rovesciamento a tappo aperto immagino che tale riserva mantenga in superficie la prua e quindi si riempia la poppa e a quel punto non saprei che manovra fare per raddrizzare la canoa, perché con il gavone metà nell'acqua e metà fuori la canoa si riempirebbe ben oltre il suo peso, anzi si riempirebbe completamente lasciando fuori dall'acqua solo il gavone con la riserva d'aria, un bel problema.

Ci sarebbe da fare qualche prova, ma in condizioni di onda, quando un rovesciamento è più probabile.

SCALA BEAUFORT o DEL VENTO

Scala Beaufort

La Scala Beaufort per il vento contribuisce a determinare le condizioni meteorologiche di riferimento per affrontare mare o lago. Formula empirica: X/2 m/s = X nodi = 2X km/h

grado italiano english francais Nodi km/h m/sec

0 Calma Calm Calme < di 1 < di 1 < di 0,2

1 Bava di vento Light air Tres legere 1 - 3 1 - 5 0,3 - 1,5

2 Brezza leggera Light breeze Legere brise 4 - 6 6 - 11 1,6 - 3,3

3 Brezza tesa Gentle breeze Petit brise 7 - 10 12 - 19 3,4 - 5,4

4 Vento moderato Moderate breeze Jolie brise 11 - 16 20 - 28 5,5 - 7,9

5 Vento teso Fresh breeze Bonne brise 17 - 21 29 - 38 8,0 - 10,7

6 Vento fresco Strong breeze Vent frais 22 - 27 39 - 49 10,8 - 13,8

7 Vento forte Near gale Grand frais 28 - 33 50 - 61 13,9 - 17,1

8 Burrasca Gale Coup de vent 34 - 40 62 - 74 17,2 - 20,7

9 Burrasca forte Strong Gale Fort coup de vent 41 - 47 75 - 88 20,8 - 24,4

10 Tempesta Storm Tempete 48 - 55 89 - 102 24,5 - 28,4

11 Tempesta violenta Violent storm Violent tempete 56 - 63 103 - 117 28,5 - 32,6

12 Uragano Hurricane Ouragan 64 - oltre 118 e oltre 32,7 e oltre

SCALA DOUGLAS o DEL MARE

Scala Douglas

La scala Douglas determina la condizione dello stato del mare in base all'altezza media delle onde più alte, o Altezza Significativa (Hs), definita come la media del terzo di onde più alto:

grado italiano english francais Hs (m)

0 Calmo Calm Calme 0

1 Quasi calmo Calm Calme 0 - 0,10

2 Poco mosso Smooth Belle 0,10 - 0,50

3 Mosso Slight Peu agitee 0,50 - 1,25

4 Molto mosso Moderate Agitee 1,25 - 2,50

5 Agitato Rough Forte 2,50 - 4,0

6 Molto agitato Very rough Tres forte 4,0 - 6,0

7 Grosso High Grosse 6,0 - 9,0

8 Molto grosso Very high Tres grosse 9,0 - 14,0

9 Tempestoso Phenomenal Enorme oltre 14

"L'altezza significativa (Hs o H 1/3) è l'altezza media del terzo di onde più alto. In pratica se si mettono in scala crescente di altezza tutte le onde presenti in un'area della superficie del mare e si prende la media del terzo più alto si ottiene l'altezza significativa. Questa misura ha il vantaggio di essere molto vicina all'altezza che un osservatore esperto rileva ad occhio nudo dal ponte di una barca. Inoltre è statisticamente stabile ovvero è confrontabile con i dati degli strumenti, non presentando grosse variazioni spazio-temporali (a differenza ad esempio dell'altezza massima che è molto discontinua).

L'altezza massima (Hmax) dell'onda è il doppio dell'altezza significativa.

Valgono in particolare le seguenti relazioni statistiche:

Hmax (H 1/2000) = 2 x Hs

H 1/100 = 1,67 x Hs

H 1/10 = 1,27 x Hs

Esempio: previsione di mare molto mosso con onde di 2 metri (significa che vengono previste onde con un altezza significativa (Hs) di 2 metri). Che tipo di onde posso incontrare in mare?

– 1 onda ogni 2000 (Hmax) avrà altezza di 4 metri

– 1 onda ogni 100 (H 1/100) avrà altezza di 3,3 metri ( 2 metri x 1,67)

– 1 onda ogni 10 (H 1/10) avrà altezza di 2,5 metri ( 2 metri x 1,27)"

[fonte: http://www.lamma.rete.toscana.it/]

SCALA DIFFICOLTA' FLUVIALI e TERMINOLOGIA

(di ignoto)

Scala di difficoltà (ICF) che va dal 1° al 6° (7°)

WW1 - 1 Grado: corso d’acqua regolare, piccola corrente, ostacoli inesistenti

WW2 - 2 Grado: corso d’acqua con onde irregolari, piccoli ritorni, rapide facili e di lieve pendenza con piccoli ostacoli. Buona la visuale

WW3 - 3 Grado: corso d’acqua con onde moderatamente alte, rapide con massi, ritorni, salti e gradini. La corrente è molto forte e le morte ben marcate. Buona la visuale La sicura e lo scouting sono facoltativi.

WW4 - 4 Grado: passaggio poco visibile in anticipo. Onde alte, grossi rulli e potenti rapide, ostacoli in corrente, curve strette scivoli e salti. Morte piccole e molto difficili. Lo scouting e la sicura sono obbligatori

WW5 - 5 Grado: passaggio non visibile, rapide molto lunghe e potenti, grossi rulli con forti ritorni, onde alte e irregolari. Cascate e ostacoli nella linea della corrente con morte piccole e difficili. Lo scouting e la sicura sono obbligatori. 

WW6 - 6 Grado: rapide molto difficili, lunghe e continue. Forte pendenza con onde alte e rulli potenti e pericolosi, cascate molto alte e complesse. Ostacoli ed insidie nella linea della corrente, con obbligatorietà di passaggio. Presenza di nicchie e possibili sifoni. Lo scouting e la sicura sono obbligatori.

7 Grado: NE PARLIAMO!!!

Oltre alla classificazione classica ICF che va dal 1° al 6°+, si aggiunge anche la seguente classificazione che tiene conto della struttura morfologica del fiume:

Fiume Tecnico (T)

Fiume in Gola (G)

Fiume di Volume (V)

Fiume misto (M)

+ / - aumentano o diminuiscono la scala

Terminologia dell’acqua mossa

Vediamo di approfondirne alcuni aspetti che ci riguardano.

SCARPE

Le scarpe, in forma di calzari (in neoprene), di scarpette (in gomma, tela, neoprene leggero) o di scarponcini (in gomma e neoprene pesante), hanno due funzioni principali:

In acque aperte, per la prima protezione si usano calzari in neoprene di spessore 2 o 3 mm; per la seconda protezione si usano scarpette.

In acque bianche invece c’è bisogno di assicurare efficacemente entrambe le protezioni; e le scarpe, in forma di scarponcini (per proteggere anche il malleolo), sono molto sollecitate. Devono essere robuste e sono un dispositivo imprescindibile.

SICUREZZA

Mentre preparavo il kayak per la partenza, mi sentii dire: "Bravo! La Sicurezza prima di tutto!".

Gli risposi: "Con questo principio bisogna stare a casa. E infatti con questo pretesto ci hanno chiusi in casa per mesi".

Nell'ambiente degli sport outdoor, "La Sicurezza prima di tutto" è per me una odiosa frase fatta ripetuta a pappagallo.

La frase è mutuata dal mondo del lavoro, dove ha un sacrosanto valore: non si mette a rischio la mano di un operaio per terminare un'opera; l'incolumità del lavoratore viene prima del lavoro.

Ma nel mondo dello sport, dell'avventura, la frase è stucchevole, ipocrita, modaiola, vuota. E liberticida.

Io al primo posto metto la Passione e il Divertimento, perché senza quelli non si esce di casa.

Al secondo metto l'Intelligenza - che lo Stato imbriglia di norme - perché è l'intelligenza che ti permette di valutare tutti i punti sotto e di contemperarli con la Passione.

Al terzo metto la Capacità fisica, che ormai lo Stato tenta di handicappare fin dalla scuola.

Al quarto metto la Capacità tecnica, che oggi sempre meno sanno insegnare genuinamente.

Al quinto metto le necessarie valutazioni di aspetti oggettivi e soggettivi: il Tempo, l'Età, il Meteo, i Materiali, etc

All'ultimo posto, finalmente, la sicurezza, ché se tutti i punti sopra sono stati rispettati di riduce a un orpello legale.

Un episodio a cui ho assistito, di mancato intervento dei bagnini su una spiaggia, è esemplificativo di quanto ho scritto sopra: per 'la Sicurezza prima di tutto' ci sono due bagnini sulla spiaggia, che però non sono intervenuti perché non hanno l'intelligenza e la passione per il loro lavoro: è rispettata solo la norma.

TAVOLE SUP

Le tavole sono di 2 tipi: rigide, con schiuma all’interno; gonfiabili, con aria all’interno. In entrambi i casi le tavole, se non danneggiate, sono intrinsecamente galleggianti, con un volume di 200-300 litri.

Una tavola gonfiabile con una perdita potrebbe non consentire il ritorno a terra.

Una tavola rigida fessurata farà entrare dell’acqua, ma consente generalmente il ritorno a terra. Non sono a conoscenza di tavole rigide o gonfiabili che si siano rotte in navigazione per difetti di costruzione o per urti con oggetti contundenti. La rottura di una tavola è invece più probabile a terra: per urti (rigide) o per surriscaldamento (gonfiabili); comunque è un evento molto improbabile, facilmente evitabile e comunque rilevabile.

Assunto quindi che la tavola sia in perfetto stato, distinguiamo la pratica del sup in acque aperte (mare, lago, fiume senza acqua mossa) e in acque bianche (fiume con acqua mossa), e vediamo i vari dispositivi di sicurezza nei due ambienti.

VALVOLE

Una pagina sinottica sui vari tipi di valvole usate nei gonfiabili