7° Giorno, 31 maggio

STAVA – CASTEL JUVALNATURNO PLAUSTELL – PARCINES (km.16 circa)

Il treno mi porta a Stava, sebbene questo paesino sia a pochi chilometri da Naturno. Attraverso l’Adige e riprendo il cammino verso il parcheggio con annesso negozio bar “La Bottega dei contadini” dal quale una strada ma anche un pullmino, bus-navetta, portano al Castello di Juval.

La visita merita anche solo per i panorami mozzafiato.

Quante volte in questi giorni ho ammirato questo maniero così imponente sull’omonimo sperone che domina la Val Venosta ma anche la Val Senales che proprio a pochi metri più avanti ha la sua deviazione.

Il Castello fu eretto nel 1250 su uno sperone appuntito, il Monte Giove, a circa 1000 metri di altezza. Inimmaginabile come abbiano potuto costruirlo su uno sperone così impervio e svettante, ma proprio a questo è dovuto il suo incredibile fascino, insomma arroccato come un vero nido d’aquila.

Fu costruito, su luoghi preistorici che alcuni reperti datano a 8000 anni fa, dal nobile Hugovon Montalban, e le sue tracce certe risalgono al 1278. Passò poi nel 1368 ai signori di Sarkenberg, ma il suo massimo splendore si ebbe dal 1540 quando passò ai Sinkmoser.

Nel 1813 fu venduto dagli Hendle, che possedevano altri castelli nella vallata, a Josef Blaas, un contadino, che lo lasciò andare in rovina.

Nel 1913 lo acquistò l’olandese William Rowland che ne curò un attento restauro e nel 1983 passò infine a Reinhold Messner insieme a prati e vigneti che arrivano a valle. Questi restaurò alcuni locali ed una torre con un tetto di cristallo. Cosa eccezionale. Piacerebbe anche a me dormire sotto un tetto di stelle. Praticamente una favola. Ci sono anche alcuni edifici trasformati in agriturismo, bar ristorante, utili al servizio del Museo.

Sebbene vi siano sale e saloni da vedere, parte del Castello è adibita ad abitazione privata e non è quindi accessibile. Non trovo comunque, nel rimanente restauro o mantenimento dell’edificio, lo stesso fascino del Castello di Coira o di altri castelli da me visitati; talvolta mi pare un po’ trascurato.

Essenzialmente è diventato uno dei 5 Musei di Messner sparsi in Alto Adige; e fa parte del grande progetto museale: Messner Mountain Museum.

Questa realizzazione è dedicata al mito della montagna perché per molti popoli la sacralità di alcune montagne è componente della loro vita, con miti e divinità correlate.

Nei cortili interni vi sono alcuni cedri himalayani ultracentenari e, sparsi negli anfratti, sculture piccole e grandi provenienti da India, Nepal e Tibet. Non a caso è la più ampia collezione al mondo dedicata ai cimeli tibetani.

Nelle stanze si notano alcuni lacerti di affreschi, ma vi sono:

la sala delle mille gioie dedicata a Cesar Ling,

la sala delle maschere con oggetti provenienti dai 5 continenti,

la Sala Tantra per la meditazione,

la cantina con gli equipaggiamenti delle sue spedizioni e sui travi, chiodi e appigli per l’allenamento del figlio che ha ereditato la stessa passione del padre.

Ed in un'altra cantina vi sono ben riposte marmellate, succhi e sciroppi realizzate con molta passione dalla moglie con i prodotti del luogo.

La biblioteca è ricca di libri sulla montagna ed è il luogo dove lo scalatore si rifugia per scrivere e per amministrare la Fondazione, da lui creata, che si occupa di sostenere i popoli delle montagne in tutto il mondo.

La Cappella con simboli religiosi di più religioni.

Ed infine quadri di vari autori che rappresentano le grandi montagne sacre del mondo.

La visita guidata dal giovane Bert appassionato ammiratore del suo ”castellano” mi travolge per questi oggetti inconsueti e colorati, ci sono anche tappeti e tessuti, molto distanti dal nostro gusto. E sebbene cinema, televisione e libri ci abbiano fatto conoscere almeno l’esistenza di popoli così diversi e con divinità che talvolta ci fanno sorridere, non ci si può comunque sottrarre al fascino misterioso dei loro sguardi. Che siano posizionate così fra l’erba o in sale dai soffitti di legno scolpito o appoggiate sul ripiano di una sventrata finestra a caduta sullo strapiombo, risulta alquanto anacronistico ed a mio avviso offuscano in qualche modo sia il valore del Castello, sia la loro importanza reale. Inoltre non riesco a valutarne l’importanza non conoscendo le credenze e la capacità artigianale artistica dei popoli che in epoche sconosciute li hanno prodotti.

Non posso dimenticare di parlare di quest’uomo che ha iniziato a scalare a 5 anni. Nato nel 1944 nel sud Tirolo vive con la sua famiglia a Merano ed in questo Castello trascorre il periodo estivo, quando il maniero è chiuso al pubblico.

Quarant’anni di esplorazioni nelle estreme regioni della terra hanno portato alla realizzazione di 5 strutture museali sparse in Alto Adige.

Innumerevoli sono i riconoscimenti, premi ed onorificenze anche in Nepal e Pakistan (una foto nel suo studio lo ritrae con il Dalai Lama) ottenuti nel corso degli anni. Ha scritto 50 opere letterarie tradotte in 12 lingue. Conta al suo attivo 3500 imprese alpinistiche, di cui un centinaio scalate per la prima volta, ma soprattutto è famoso per aver scalato tutte le montagne superiori agli 8.000 metri. A piedi ha attraversato l’Atlantide e la Groelandia, il deserto dei Gobi e Takla Makan.

Mi fermo qui, contrastata dall’ammirazione verso l’atleta, il superuomo, e indifferente verso l’uomo d’affari che tutto trasforma per denaro; ma sarà poi così? Io non conosco la storia della sua vita!

E contrastata ancora per l’impoverimento delle popolazioni a cui abbiamo sottratto i loro simboli, ma compiaciuta di poterli ammirare senza andare lontano. Del resto anche la nostra arte ha girato il mondo ……

Ridiscendo a valle e procedo, sulla statale trafficata, verso Naturno, relativamente vicino. Alcuni edifici al servizio della centrale elettrica più grande e più potente dell’Alto Adige preavvisano il paese. Io risalgo velocemente verso la parrocchiale prima che chiuda.

E’ dedicata a San Zeno e situata in posizione dominante rispetto il paese. Le prime tracce della Chiesa risalgono al periodo precarolingio (conserva ancora alcuni lacerti di affreschi risalenti a tale periodo), ma l’aspetto attuale, a due navate, risale al 1474.

Rientro in paese sulla strada alta che sfiora il Castello emblema del paese. Peccato non si possa visitare poiché si vedrebbero soffitti, stufe ed arredi, anche risalenti al periodo medievale. Fu voluto dai conti del Tirolo e domina la valle, ma il luogo era già stato scelto dai romani che vi costruirono una torre.

Passaggi di proprietà, incendi e restauri hanno influito su un aspetto che sembra renderlo un po’ falso, perché, nonostante le sue due torri affiancate, non sembra più un maniero incombente, ma una casa signorile. Non a caso fino al 1992 fu un albergo, ed i restauri passati per adattarlo allo scopo avranno tenuto conto anche di queste esigenze.

Raggiungo la Chiesa di San Procolo.

Meno male che l’irrigazione delle mele non bagna più gli affreschi esterni come succedeva una ventina d’anni fa. La cosa, rimasta nei miei ricordi, mi aveva sconvolto.

Della Chiesetta avevo un ricordo dolce e bellissimo, immersa nei meli e nel silenzio. Ora le case la hanno quasi raggiunta, ma il fascino della sua bellezza è rimasto intatto, forse migliore di come la ricordassi perché, immagino, gli affreschi antichissimi sono stati restaurati. Un guardiano, guida, tuttofare accoglie i visitatori con simpatia e grandi sorrisi. E’ un piacere ascoltarlo e gratificante la sua disponibilità.

Alcuni affreschi decorano la parte esterna, ma la navata interna con un piccolo altare è praticamente rimasta intatta.

La Chiesa di San Procolo, dedicata al Santo, vescovo di Verona e protettore degli animali e delle acque, è considerata la più antica Chiesa dell’Alto Adige; risale al VII sec. e gran parte dei suoi affreschi interni sono precarolingi, altri gotici.

All’esterno vi è anche un Museo dedicato a San Procolo che raccoglie i reperti di 1500 anni di storia del territorio.

Naturno a 528 mt. con oltre 5.000 abitanti è una cittadina privilegiata per posizione, servizi e sport benessere.

Mi fermo velocemente per un breve spuntino, poi ritorno all’Adige ed alla pista che lo costeggia fino a Plaus. Tenta di piovere ma desiste subito. La Val Venosta è una zona molto ventosa, ma con scarsità di pioggia.

Procedo verso Plaus. Sto quasi arrivando al ponte per svoltare quando sono attratta da un serpentello verde investito probabilmente da un ciclista che neppure se ne sarà accorto. Mi fermo per osservare ma vengo assalita dall’entusiasmo di due ciclisti di Merano che si fermano e mi chiedono notizie di….SANTIAGO. Finalmente, penso, qualcuno si è accorto della mia conchiglia. Possibile che fra tanti ciclisti, nessuno fosse mai andato a Santiago?

Ed allora avanti con la stura alla bottiglia dei miei ma anche dei loro ricordi. Ci sono stati qualche anno prima. Uno ci è ritornato una seconda volta, rifacendo in parte il Cammino francese, ma a quel punto era rimasto deluso e non aveva più voglia di ritentare per altre strade. Ed allora ancora avanti con consigli e poi saluti. Loro risalgono sulla bici e ritornano a Merano, io devio verso Plaus.

Non è granché come paese ma mi colpiscono alcuni affreschi che decorano la recinzione esterna del cimitero e quindi della Chiesa di S. Ulrico. Questa Chiesa, di origini romaniche, fu devastata da un incendio nel 1400 e la nuova Chiesa, gotica, fu consacrata nel 1403.

Gli affreschi del recinto colpiscono perché hanno tutti lo stesso soggetto: La Danza macabra. Le 18 scene colorate sono state dipinte da Luis Stephan Stecher in epoca recente e rappresentano la morte con grande forza espressiva nell’esistenza contadina, nella storia dei luoghi, ma anche la vita nella fede e nei tempi moderni.

Mi inoltro fino a raggiungere Castel Taranto, contrapposto a Castel Naturno nel controllo della vallata.

E’ stato costruito in zona predominante ai piedi del Monte Tramontana e questo, si, ha mantenuto tutta la sua imponenza di fortezza imprendibile. Fu costruito anch’esso da funzionari ministeriali dei Conti del Tirolo (in questo caso i Taranti) nel 1217. Vari passaggi di proprietà hanno attraversato i secoli. Fu ristrutturato ed ampliato nel XVI sec. e nonostante sia stato nuovamente ristrutturato dalla famiglia Gottschall che nel 1964 lo acquistò, oggi appare alquanto trascurato esternamente. Conserva internamente antichi soffitti, porte, stufe ed arredi di pregevole manifattura. Importanti sono gli affreschi della cappella ma tutte queste meraviglie non possono essere ammirate. Il castello non è visitabile.

Mi conforta però vedere in basso, lungo la strada, con quanta cura sia tenuta la siepe di recinzione; è di rose, tante, bellissime e profumatissime. Come sono stata fortunata a passarci proprio ora nel culmine del loro fulgore!

Riattraverso il ponte di Plaus per ritornare alla pista ciclabile fino a Tell ed a una deviazione che mi indica la possibilità di andare a Parcines.

Allora, poiché proprio lì voglio andare, ignoro Rablà, lì vicino, con il suo Museo della Ferrovia e attraverso la statale per arrampicarmi con grande fatica, (troppe cose in una giornata a piedi) verso il paese che si srotola proprio sotto la montagna.

La zona di Parcines fu abitata già in epoca preistorica, circa 5000 anni fa.

A parte la successione dei colonizzatori le cui tracce si identificano solo nei nomi dei luoghi, nel 500 a.C. qui erano insediati gli Illiri e poi i Celti e gli Etruschi ed i popoli venuti dal nord con riti religiosi sconosciuti, ma di tutti si conservano tracce e reperti. Ma poi menhir e perfino una pietra miliare romana la testimoniano come zona privilegiata attraverso i secoli, luogo importante nella zona della Rezia romana.

Tralascio la storia dei latifondi, dei masi, dei disboscamenti per addentrarmi in questo paesino veramente grazioso.

Prossimo a Merano, di cui gode una vista meravigliosa, è posto a mt. 480 con una popolazione di oltre 3.500 abitanti. Una bella Chiesa dedicata a S.S. Pietro e Paolo in stile gotico domina con il suo campanile a cipolla tutta la vallata. Belle sono le sue stradine che si arrampicano verso l’alto e notevole la sua cascata di 97 metri che richiama escursionisti da tutto il mondo germanico. A me ricorda la mia infanzia, quando un’altra cascata faceva parte dei miei giochi infantili.

Ma nella zona ci sono anche castelli, quello molto residenziale del Barone Von Kripp è proprio nel centro del paese. E’ un po’ trasandato ma vi ha sede anche una cantina nelle quale si può acquistare il buonissimo vino della zona.

Ma il motivo per cui ho faticato per arrivare fin qui è la visita ad un Museo quasi unico al mondo, quello delle macchine da scrivere, dedicato al suo inventore Peter Mitterhofer, il più famoso figlio di Parcines.

Il Museo, aperto nella nuova sede nel 1997, conta oltre 2000 pezzi che offrono una vasta panoramica sullo sviluppo della macchina da scrivere dall’800 ad oggi. Ma negli anni 80 del ventesimo secolo le macchine da scrivere furono annientate dai moderni PC.

La storia di questo mezzo, così indispensabile nella vita economica, culturale e privata, fu da principio artigianale e fantasiosa, atta alla ricerca di sempre migliori prestazioni ed impieghi nel vivere, soprattutto commerciale, dell’epoca.

Peter Mitterhofer (1822-1893) primogenito di 9 figli, (visse a Parcines ma era nato a Tell, una piccola frazione vicina) ebbe il merito di tentare una sua realizzazione di macchina da scrivere con 5 modelli, due dei quali realizzati in legno. Era falegname come il padre, ma con un ricco ingegno che lo portava alle sperimentazioni più disparate. Nell’intento di chiedere un sussidio all’Imperatore Francesco Giuseppe I per la realizzazione dei suoi sogni, si recò due volte a Vienna, ma il suo genio non venne riconosciuto. Rassegnato finì i suoi giorni tranquillamente come era vissuto.

Ma un grande merito nella realizzazione di questo Museo, sebbene poco evidenziato, va a Kurt Ryba, appassionato collezionista, che ha donato la sua collezione al Museo “per l’eternità e quale patrimonio culturale inalienabile ed indivisibile”.

Il Museo, al centro del paese, è stupefacente per lo spazio, gli allestimenti e per la quantità di oggetti meravigliosi esposti, alcuni fanno parte anche dei nostri ricordi.

Ci sono macchine di tutte le epoche, di tutte le provenienze, di tutti i colori, per signore e per bambini; alcune con soluzioni impensabili e mai viste.

Una vera esaltazione di tecnica e di fantasia, tanto più emozionante per me che ho consumato le dita su questi tasti della nostra conoscenza.

Lascio il luogo con una certa malinconia forse dovuta anche alla gran stanchezza della giornata lunga, caldissima e faticosa.

Fuori però, fortunatissima, c’è un autobus che da lì va subito proprio a “casa”. Evito così la discesa fino a Tell per ritornare con il treno che non so quando ci sarebbe stato.

Una giornata intensa, piena di meraviglie.