3° Giorno, 25 maggio

SLUDERNO – SPONDIGNA (Km.6)

Ritorno a Sluderno, mt. 920, situata lontano dall’Adige; è quasi un confine fra Alta e Media Val Venosta. Il Gruppo dell’Ortles, la cima più alta dell’Alto Adige che sfiora i 4000 metri, ci sta per lasciare e sotto appaiono a perdita d’occhio meleti e qualche vite.

Ma Sluderno è importante per il suo Castello, il meglio conservato dell’Alto Adige.

Gironzolo per il paese ed accedo alla sua bella Chiesa parrocchiale, tardo gotica, dedicata a Santa Caterina. E’ inserita fra altri edifici religiosi di varie epoche con sporti, affreschi, crocifissi e quant’altro. Maestoso l’alto campanile che domina la vallata. Intorno, in vicoletti romantici, ci sono case notevoli con affreschi, elker, poggioli e fiori e mi capita di bere un caffè in un hotel che ha magnifiche cantine antiche a volta nelle quali sono stati raccolti oggetti disparati per crearne un piccolo museo personale.

Poi lentamente, dopo aver chiesto orari, risultati poi errati, all’ufficio informazioni, mi decido a salire faticosamente verso l’alto per raggiungere il Maniero che domina il paese e la vallata.

Castel Coira fu costruito nel 1253 dai vescovi di Coira che avevano giurisdizione, anche temporale, nell’alta Val Venosta. Quindi questo ed altri castelli risultarono importanti, dopo la conquista del regno longobardo da parte di Carlo Magno nel 774. Non a caso troviamo pitture d’epoca carolingia a San Benedetto a Malles ed a Mustair (Svizzera). Sembra che quest’ultimo importantissimo Monastero sia stato fondato dallo stesso Carlo Magno.

E’ certo comunque che la Val Venosta appartenne al Sacro Romano Impero. Tralascio lotte ed intrighi che contrapposero i Vescovi di Coira con i Conti del Tirolo, ma già una cinquantina d’anni dopo, il Castello passò ai Signori di Matsch. In seguito, con matrimoni, lotte e successioni infinite, passò definitivamente alla famiglia Trapp nel 1541.

E proprio nella seconda metà del XVI sec. avvenne la trasformazione di questo Castello da fortezza in residenza rinascimentale. Da oltre 500 anni appartiene alla famiglia Trapp che vi risiede durante il periodo estivo.

E dopo essermi arrampicata sulla collina dove il castello è stato costruito con torri e mura merlate, entro nel primo cortile a ciottoli, con giro di ronda, balconi in legno e quant’altro, sembra di entrare nel medioevo .

Quando poi passiamo nel cortile padronale mi ricordo di esserci già stata molti anni or sono, ma nulla è cambiato. Sopra le arcate del piano terra vi sono due piani loggiati che circondano il cortile rinascimentale, il più importante è quello al primo piano per il suo soffitto tutto affrescato con rami, foglie e frutti che sembrano limoni mentre invece sono mele cotogne, indice di fedeltà. Fra le foglie sono inseriti dei cartigli con i nomi dei discendenti della famiglia fino al 1600. Le colonnine ed i capitelli di questo loggiato sono deliziosi e tutti diversi l’uno dall’altro.

Sul loggiato si affacciano alcune porte che introducono a stanze importanti del castello, studioli e salotti e la stanza di Giacomo, (vi è una statua che lo riproduce) ricca di soffitto a cassettoni, affreschi, stufa ed oggetti. La cosa che mi colpisce di più è la “pellegrina” appartenuta appunto al Conte Jacob VII Von Trapp (del 1560) che la utilizzò nel suo pellegrinaggio a Gerusalemme. Questo personaggio, che studiò a Padova, morì a soli 34 anni.

Vi è anche una magnifica cappella nuova, fatta costruire nel 1561 da questo Von Trapp e dedicata a San Giacomo. Riesco a fotografarne la statua posta in alto su una parete laterale; quasi una rarità la venerazione di questo Santo in Val Venosta. Vi era anche una cappella romanica in cui sono stati collocati alcuni oggetti religiosi, ma da molto tempo non viene più utilizzata nella sua funzione originale.

Il castello è comunque importante per la sua galleria degli antenati, per il suo ricco archivio, ma soprattutto per la sua privata collezione d’armi che risulta la più cospicua d’Europa. Sono più di 300 armi di offesa e di difesa appartenute alla famiglia attraverso i secoli.

Tranquillamente ridiscendo al paese, nel frattempo svuotato, data l’ora del pranzo. Mi fermo anch’io in un bar per uno spuntino perché devo attendere quasi due ore per la cattiva informazione fornitami.

Attendo perché vorrei visitare il Museo che presenta reperti archeologici rinvenuti nella valle, ma che risulta particolarmente interessante per l’esposizione sull’economia dell’acqua: i Waale.

Questi canali erano così importanti data la scarsa piovosità nella valle. E, sebbene Sluderno sia in posizione riparata e privilegiata, è però una zona molto ventosa come tutta la Val Venosta.

I Waale erano canali irrigui in cui veniva convogliata l’acqua dei torrenti o quella proveniente dai ghiacciai.

Un Waaler, ogni giorno, regolava e puliva le canalizzazioni di sua competenza. Alla manutenzione venivano chiamati i contadini con turni ben precisi e quando i canali erano sotterranei vi provvedevano i bambini, poichè per loro era più facile accedervi.

Dei tanti chilometri dei 300 canali ne sono rimasti una dozzina con brevi tratti, attualmente ben riconsiderati, soprattutto per uso turistico. Lungo i loro tragitti alcune guide portano gli escursionisti “a vedere” la storia.

La cosa che mi ha colpito, se non sconvolta, poiché ben ricordo la durezza della vita nel passato, certamente non paragonabile a quella odierna, era l’uso dei bimbi.

Famosi nella zona erano anche i “bambini delle rondini” quelli che, dai 5 ai 14 anni, per miseria, erano costretti ad emigrare, dal 19 marzo all’11 novembre, per guadagnarsi cibo per la sopravvivenza e forse un vestito.

Trovo questo museo così interessante che mi soffermo un po’ prima di riprendere la mia strada.

Ma non torno all’Adige per rifare il lungo tratto già percorso, procedo sulla statale e quando il marciapiede finisce trovo un fortunoso varco che attraversa la strada ferrata, sebbene sia proibito attraversarla, recupero una nuova pista ciclabile che corre dall’altra parte, parallela alla ferrovia, fino a Spondigna.

Prima di arrivare raggiungo un uomo che sta prendendo il sole appoggiato alla recinzione ferroviaria. Lo supero e corro spedita, lui si mette sulla mia scia e velocemente arriviamo alla stazione ed al primo treno per tornare a casa.

Il treno è affollato; nonostante non abbia camminato molto, ho fatto tardi.

Il Museo che apriva alle tre e la sua visita hanno richiesto un po’ di tempo.