1° Giorno, 23 maggio

PASSO RESIA (dogana – sorgente Adige) – BURGUSIO (Km. 18-20 circa)

Parto per Malles con il trenino della Val Venosta che da Merano la raggiunge come capolinea della vecchia ferrovia. La linea era stata abbandonata per molto tempo ma ora, restaurate le antiche stazioni e ripristinato il vecchio percorso, è ritornata a scodinzolare qua e là lungo la valle. A Malles, dove arrivo verso le 10, poco dopo arriva l’autobus che va al Passo di Resia, e prosegue oltre il confine. Da Malles inoltre ci sono autobus che vanno in tutte le direzioni, anche in quella percorsa dal treno.

Poichè sono fortunata, e trovo sull’autobus un posto davanti, ho modo di conversare con l’autista che mi illustra i paesi e mi racconta gli avvenimenti dei luoghi. Mi chiede dove voglio scendere e quel che vorrei fare ed allora gli racconto. Mi raccomanda di stare attenta ai ciclisti poiché corrono e sono alquanto prepotenti. Anzi, dice, che la gente ora non è più così contenta di questa invasione di ciclisti ovunque, perché sono arroganti e senza rispetto per gli altri. Io non so che dire, mi pareva di aver sentito voci contrarie, comunque farò attenzione.

Quando passiamo da Curon, dove si vede il campanile dell’antico paese fuoriuscire dal lago, mi racconta delle difficoltà della gente del luogo nel lasciare le case in cui erano nati e cresciuti, specialmente i vecchi, quelli di 60 o 70 anni. Ahimè allora lo sono anch’io, sorrido constatando la verità della cosa. Neppure a me piacerebbe cambiare la mia casa, seppure con una migliore. Le consuetudini di una vita sono difficili da sradicare e con gli anni sopraggiunge un difficile adattamento alle nuove regole del gioco.

A questo punto, accettando il fatto di essere vecchia, (ma anche l’autista sta raggiungendo la pensione ehehehe) non mi resta che combattere con tutte le mie forze per far prevalere l’ultimo scampolo di giovinezza che mi resta.

Stamattina però, arrivando alla stazione e sentendo suonare la campanella che preannunciava l’arrivo del treno, ho dovuto correre per prenderlo al volo. E sedutami poi ansimante come non mai, mi ero detta che ormai queste cose non erano più per me, insomma avevo perso il mio “smalto”. Chi me lo faceva fare? Ed eccomi qui con questo quasi vecchio che mi fa sembrare ancora più anziana e stanca.

A Resia, mt.1508, rimango l’unica ospite dell’autobus che mi lascia poi, proprio al confine. Resia è il punto più alto e poi si scende verso la vecchia Dogana che segna il confine con l’Austria. Fotografo in giro, prendo un caffè in un hotel lì vicino e poi lentamente risalgo verso il Passo di Resia (mt. 1525). Sto percorrendo l’antica strada romana ClaudiaAugusta, costruita nel 50 d.C.

Ahimè proprio un buon inizio, risalire fra i prati e l’acqua di un piccolo ruscello impetuoso, forse affluente dell’Inn, che prosegue poi in Austria. Il percorso, quello della pista ciclabile, non è terribile e risale addentrandosi fra prati gialli per i fiori di palude e per quelli del radicchio selvatico in piena fioritura. Qualche fienile di legno in mezzo ai prati mi riporta ad antichi ricordi. Ma alfine, arrivo in cima e sotto digrada il paese ed il lago con un giro di montagne innevate da togliere il fiato. Sono tutte incappucciate per la bufera dei giorni precedenti e la neve rimanda luccichii di sole come fossero brillanti.

Poche sono rimaste le vecchie case di questo paese, altre sono state sommerse con la creazione del lago artificiale. Sulla cima, prima di proseguire mi guardo intorno alla ricerca di indicazioni. Per fortuna incontro due muratori che lavorano per migliorare il Rathaus (municipio) a cui chiedo informazioni sulla sorgente dell’Adige. Uno non capisce l’italiano come spesso accade da questi parti, ma l’altro mi indica la strada. Una piccola freccia di legno, con una scritta in tedesco ormai sbiadita, appoggiata ad una casa, è tutto ciò che indica il percorso per arrivare alla sorgente.

Altra risalita fra prati e boschi, fa molto caldo, ma il luogo non è lontano. Non solo, è particolarmente romantico nella penombra del bosco che lascia filtrare i raggi dorati del sole. Intorno ai due rivoli d’acqua che fuoriescono dalla montagna in mezzo al bosco, hanno costruito una piattaforma d’assi e qualche panchina; un luogo idilliaco. L’acqua del nostro grande Adige inizia da qui, da queste due fontanelle quasi inesistenti ma poi rii, torrenti ed altri fiumi contribuiranno a renderlo bello ed orgoglioso.

Poco sopra, una finta roccia di plastica stinta e corrosa segnala però che lì probabilmente esiste una grotta, la vera sorgente del fiume. Un po’ meno romantica forse, ed allora meglio vederlo lì, sgorgare fra i sassi.

Ritorno alla deviazione e mi avvio lungo il lago. Io scelgo di percorrere la parte sinistra per poter vedere i paesi con quel che resta delle loro antiche case, anche se la pista ciclabile, quella utilizzata per lo più dai ciclisti, percorre la parte destra in mezzo ai boschi. Ma anche qui vi è una strada ben tenuta fatta apposta per i pedoni.

Ed allora avanti costeggiandolo ed ammirandolo. Il luogo non è molto fascinoso per la verità poiché, data la stagione (bisognerà attendere luglio agosto con il disgelo) il lago è molto scarso d’acqua; immagino sia al di sotto di 10 o 15 metri. Però gli alberi e qualche cascata che si riflettono nella parte opposta gli danno talvolta un aspetto decoroso.

Certo non è vedere un bel laghetto verde con sponde di smeraldo che sembra annaspino placidamente verso gli alberi, ma è tutto un grigio ocra dato dai sassi e dalla sabbia visibilmente scoperti. In un certo senso il paesaggio risulta quasi lacerato da questa mancanza di verde, da questo strano riflettersi opaco nell’acqua che pare in attesa di compiutezza.

Arrivo a Curon (mt. 1498), il cui territorio è uno dei più estesi dell’Alto Adige, su una stradina creata apposta per ciclisti e pedoni e che passa all’esterno dei tunnel della provinciale. Da lì individuo scavi che sprofondano nelle case sommerse, dato il basso livello del lago. Di fronte al Campanile che emerge, c’è un grande piazzale panoramico dove sostano una moltitudine di motociclisti per fotografare questa curiosità. Vi è anche una costruzione con il plastico del luogo così com’era prima della costruzione della diga e del conseguente bacino che sommerse il paese. Poco più in alto vi è anche un bel cimitero gotico sebbene con poca pace, dato il frastuono della strada e di tutta questa gente che sosta poco sotto. Al di là del tunnel, che dallo spiazzo porta al nuovo paese, mi fermo a fotografare e cerco invano un luogo in cui pranzare. L’hotel è chiuso ma mi pare che tutto il paese sia immobile, tranne la strada provinciale incessantemente percorsa da motociclisti impazziti.

Curon, con il suo campanile del XIV sec. che emerge dal lago, ben rappresenta la storia di questi luoghi. Ma l’uomo ha cambiato la storia, anche dei nostri ricordi scolastici “l’Adige nasce dai tre laghetti di Resia” . Questo lago è nato nel 1950, ma già in epoca fascista si erano iniziati alcuni lavori accantonati a causa della guerra. Ma risalendo attraverso il tempo, anche un ingegnere del luogo, a metà del 1800, era intervenuto sul laghetto di mezzo, quello di Curon, per risanare la zona. Lavori poi sospesi, a causa di una inondazione che devastò alcuni paesi a valle, e terminati solo nel 1858.

Altri interventi furono iniziati anche ai primi del ‘900 dal governo austriaco. Insomma periodi di ansie e tribolazioni che culminarono con la sommersione di ettari ed ettari di terreno fertile, con l’allontanamento di 150 famiglie, in gran parte emigrate, a cui furono riconosciuti scarsi risarcimenti. Quelli che rimasero furono alloggiati in baracche.

Non pensiamo mai che il benessere di molti (energia elettrica, in questo caso) è dovuto al sacrificio di pochi. Ecco, forse questo campanile protetto dalle Belle Arti, rappresenta così duramente e tristemente il progresso della storia, ma non fu certamente una bella storia.

Alquanto affamata procedo verso la fine del lago. Intravedo il grande sbarramento e nella parte opposta attirano la mia attenzione alcuni alti pilastri di ferro di cui non conosco l’utilizzo, ma immagino servano a regolamentare il livello dell’acqua. Ci sono anche tre enormi catini di ferro riempiti di alberi e che sembrano sospesi sul lago, serviranno come piazzole di sosta privilegiata.

Sulla diga passa la strada che va nella parte opposta e sotto si adagia, degradando lentamente, il paese di S. Valentino alla Muta, mt. 1470.

Il suo lago si chiamava Lago della Certosa perché qui sorgeva un monastero fondato dai certosini, ma esisteva già anche un ospizio per i viandanti fondato nel 1140.

Inizia a piovere, ma desiste subito. Mi fermo ad un ristorante, probabilmente l’unico aperto, dove però forniscono solo pizze; è tardi. Ne ordino una ma ne mangio solo una parte, l’altra la porto via, servirà domani. Quando si ha fame non si è neppure buongustai.

Continuo poi lungo il lago della Muta; questo sì è un laghetto delizioso, ricco di verde ed è pure un’oasi protetta per uccelli, anfibi e pesci. Quanti uccelli di cui non conosco il nome galleggiano pigramente fra i canneti e l’erba lacustre vicino alle rive. E mentre nel lago alto, quello di Resia, era tutto un volteggiare di aquiloni che consentivano acrobazie a piccoli natanti sul lago (si potevano anche noleggiare) qui alcune barchette di legno si cullano nel lago con i loro pazienti pescatori. Questo lago è molto più piccolo ma certamente più fascinoso.

Giunta in fondo al lago, oltre all’approdo con un certo numero di barche a disposizione per il noleggio, vi è anche un quasi ristorante. Ovvero tutto quel che serve per cucinare il pesce pescato e mangiarlo in compagnia o per pulirlo, come fanno alcuni uomini che, quando vi passo vicino, osservo come lo sfilettino, lo mettano sottovuoto e poi in un piccolo frigorifero in macchina. Insomma il paradiso dei pescatori: dall’inizio alla fine. Chissà, forse potrei provare, è un modo per essere soli e tranquilli senza faticare, una versione diversa del camminare.

Chiedo informazioni, ma non sanno nulla, non sono del luogo. Io continuo ma il sentiero aggira il lago a sud su passerelle di legno che attraversano paludi e portano all’altra parte. Da qui esce l’Adige, che continuerò a vedere alla mia sinistra per un bel tratto, che passa tra boschi e spesso in ripida discesa. Per la verità ho anche qualche piccola salita da percorrere, ma per lo più scendo velocemente.

Un grosso ramarro verde fosforescente, mai visto prima in Italia, si ferma in mezzo alla strada; forse ha sconfinato dal suo ambiente naturale lacustre. Mi osserva; poi, attraversato l’asfalto, si immerge fra l’erba alta dei prati.

Incontro molte chiuse per l’acqua (quanto petrolio risparmiato, mi dico), molti caratteristici crocifissi ed uno in un luogo che doveva essere considerato sacro da molti, molti secoli. E’ costruito fra gli alberi sotto una roccia. Ed anche nella roccia è stato scavato un riparo nel cui interno si intravede il dipinto di una Madonnina e poi intorno, sulla roccia, croci piccole e grandi dipinte di bianco.

Una casa imponente è stata abbandonata, probabilmente dopo un grave incendio, però i suoi prati sono irrigati, segno che qualcuno non l’ha definitivamente abbandonata.

Anche più avanti, al di là di un ponte ci sono i ruderi di una casa antica, ma doveva essere quasi un castello per la solidità dei suoi muri di pietra scura e per la sua nobile architettura.

E finalmente arrivo a Burgusio, cittadina deliziosa ricca di belle case, vecchie e nuove e sopratutto importante per l’Abbazia di Montemaria, considerato il Monastero benedettino più alto d’Europa.

Il pomeriggio è inoltrato e la calura del giorno ora lascia spazio alla brezza della sera. Ho ancora strada da fare ed oltre 1 ora di treno per tornare a casa. Ma a Burgusio, dopo poco, passa un pullmino che porta proprio alla stazione di Malles. Domani ricomincerò da qui.