Premessa - Verona

PREMESSA

Dopo aver camminato qua e là per ricucire il Cammino mancante a Verona, ecco arrivare la primavera ed a decidere, per impegni precedentemente assunti, di partire al più presto per evitare di dover camminare in autunno come lo scorso anno.

Ma anche quest'anno ho proceduto a giorni alterni ed utilizzato mezzi diversi che mi riportassero a casa la sera. Molto difficile trovare alloggi lungo l'argine del fiume. Eccomi allora a studiare ed organizzare tappe con orari di treni ed autobus. Il tempo naturalmente è stato sempre buono, del resto lo sceglievo ed adattavo i giorni a mio piacimento.

Un Cammino semplice e monotono; solo dilatate pianure a perdita d'occhio e radi paesini simili e spesso insignificanti.

Ma c'era la possanza orgogliosa del fiume e quei giorni di silenzio infinito. Come non godere della ritrovata vicinanza di Dio?

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VERONA

Non posso però iniziare il mio Cammino di quest'anno senza parlare della mia città da cui sono ripartita.

Innanzitutto premetto che questo fiume Adige fa parte da sempre della mia vita poiché la mia infanzia l'ho trascorsa proprio dove una parte del fiume inizia.

Già, parlo dell'Isarco che confluisce a Bolzano nell'Adige nato al Passo di Resia.

Questo piccolo torrente che nasce nello spartiacque del Brennero è inscindibile dai miei giochi e dalle mie scorrerie di bimba. Nonostante tutto non ci sono mai caduta dentro, né quando lo saltavamo (avevo neppure 8 anni e mi pare che per superarlo saltassimo circa 3 metri) né quando in alta montagna percorrevamo ripidi sentieri a ridosso del suo alveo molto profondo. E poi come non ricordare la cascata che precipitava a valle ed il cui fragore era la costante delle nostre giornate. Ci andavamo spesso all'uscita da scuola, anche d'inverno quando il sottostante laghetto era ghiacciato e, nonostante i nostri genitori ce lo proibissero, nel timore che lo specchio indurito si rompesse ed il torrente ci inghiottisse. Ma non avevamo paure e timori, preoccupazioni e neppure freddo. La vita era carica di felicità ed il futuro ci appariva stupendo, così prorompente di sogni e di aspettative.

Ma poi ritornai a Verona e così non solo finì la mia infanzia ma anche i giochi ed i sogni.

Spesso mi capitò di riversare tutte le mie delusioni ed insoddisfazioni in lunghe camminate che arrivavano fino alla Diga del Chievo. Oh, come ricordo la tristezza di quei passi, talvolta grevi per l'incompiutezza della vita, per il non saperla accettare così come mi veniva proposta. Ma di quel periodo insoddisfatto dell'adolescenza che brama l'invecchiare come una realizzazione del tutto, senza conoscere e neppure immaginare a quanto rimpianto conoscerà poi, diventata adulta, accantonai il ricordo.

In tutti questi lunghi anni ho vissuto relativamente vicino al fiume e con la sua acqua sono trascorsi anche i miei giorni.

Difficile ora parlare di questa città che adoro e non solo perché è la città in cui sono nata e in cui vivo, ma perché, da sempre, grazie al suo fiume, ha attraversato la storia con ruolo importante e privilegiato. Basti osservare le mura che la cingono e che si arrampicano sulle colline donandole un vestito di merletti.

Sono proprio le mura a scandirne la storia. Dai primi castellieri sul colle di San Pietro, con un facile guado sull'Adige, perché per questo già era stata scelta nella preistoria, tutti, in ogni epoca, si sono adoprati nell'assetto protettivo della città.

I romani la predilessero come centro strategico fra le vie che diramavano verso quell'Europa allora conosciuta e che in gran parte riuscirono a conquistare.

E così tracce magnifiche di monumenti sono l'eredità dei popoli che attraverso i secoli vi si sono insediati.

Di questa romanità che ha lasciato testimonianze in tutte le cantine del centro storico (più o meno visibili) possiamo ammirare: il Teatro, Porta Leona, Porta Borsari, l'Arena, l'Arco dei Gavi, le mura di Gallieno e non solo.

E poi Teodorico (la cui residenza doveva essere sul Colle di S. Pietro) e non solo. Poi la Verona comunale (dal 1107).

Le Chiese romaniche che attraversano questi secoli sono numerose e bellissime.

La più importante è certamente l'Abbazia di S. Zeno allocata fuori le mura, come primo approdo per chi giungeva dal nord. In epoca scaligera, in mezzo al fiume, fu costruita la Torretta della catena. Da qui oltre alla riscossione di dazi, collegata a riva, veniva issata, in caso di necessità o di notte, una catena a fior d'acqua per impedire il transito a barche e zattere con possibili nemici.

Fra le altre chiese romaniche, spesso affiancate al fiume, grande "autostrada" di transito dell'epoca, non posso dimenticare quelle di: S. Stefano, S. Fermo (chiesa inferiore), S. Lorenzo, San Giovanni in Valle, SS. Trinità ed il piccolo Sacello di S. Teuteria e Tosca (V sec.), considerato la Chiesa più antica della città, a cui si accede dai SS. Apostoli, altra chiesa romanica molto rimaneggiata.

Difficile inoltre ignorare tutta la meraviglia collegata al Duomo di Verona: mosaici antichissimi nel suo chiostro capitolare e altrettanto da ammirare sono S. Giovanni in fonte e le chiesette che gli fanno corona (dove prima insistevano le antiche terme romane).

Ho elencato queste chiese di getto senza ordine di data o di posizione nella città, ma è un patrimonio essenziale che non si può trascurare e non si può contemplare senza quella suggestione mistica di un ritrovato rapporto con Dio.

Non posso dimenticare neppure la Biblioteca Capitolare, la più antica d'Europa, che risale al V sec. e tuttora vertice culturale di studiosi che provengono da tutto il mondo.

La Verona comunale portò alla Signoria dei Della Scala che, sebbene non proprio correttamente (assassinii fra fratelli e quant'altro - ma appare essere una moda dell'epoca), portò comunque la città ad una magnificenza ed a conquiste territoriali impensabili.

Tutta la storia di questa Signoria (1260-1387) è condensata in Piazza dei Signori o Piazza Dante, perché anche Dante vi trovò accoglienza e rifugio. Non a caso fra i cittadini veronesi esistono tuttora i suoi discendenti.

Rilevanti sono le Arche sepolcrali degli Scaligeri costruite a ridosso della Chiesa romanica di S. Maria antica, realizzate con elaborati pizzi di marmo e ferro battuto di raffinata fattura. Ma alla Signoria dobbiamo anche Castelvecchio (ora Museo) ed il Ponte Scaligero, sebbene proiettato come via di fuga dei Signori scaligeri verso il nord, non come appendice di bellezza quale ora appare a noi veronesi.

La Chiesa di San Fermo superiore e di Sant'Anastasia sono i massimi ed eccelsi monumenti ecclesiastici di quel gotico cortese che includerà anche la primissima Dominazione Veneziana.

Dopo gli Scaligeri la stessa cosa fecero i Visconti con la Cittadella, che costruirono a ridosso delle mura. Era una stazione fortificata contro una possibile ribellione della città. Questi subentrarono alla dominazione scaligera anche a seguito di lotte ereditarie e la loro durata lasciò poca storia se non per questo consolidamento fortificatorio.

Maggior traccia ed un periodo più sereno si deve alla Repubblica Veneta che dal 1405 (tranne una breve parentesi con Massimiliano d'Austria 1509 -1516) governò la città fino al 1797. Una serenità esigua, aggiogata a parentele soprattutto di origine veneziana che poco spazio lasciavano non solo alla plebe ma anche alle nobili famiglie veronesi.

Ciò nonostante, sulla scia di riconversione della ricchezza in appezzamenti fondiari e conseguente agricoltura, tutto venne improntato sulla costruzione di grandiose ville da "esposizione". Molte sono quelle sparse nella nostra provincia.

Allo stesso modo i nobili ebbero la necessità di distinguersi anche in città con palazzi significativi per opulenza e bellezza, con facciate affrescate per cui Verona era chiamata Urbs Picta, ma anche marmi e decori a profusione.

Primeggiava l'architetto Michele Sanmicheli (1484-1559) che educato a Roma con il Sangallo, fu un importante e competente architetto militare per la Serenissima. A Verona, oltre al rafforzamento della mura, costruì: Porta del Palio e Porta Nuova. Intervenne anche su edifici religiosi ed a lui si devono alcuni dei più bei Palazzi della città: Canossa, Bevilacqua, Pompei Guastaverza.

Ovviamente il lungo periodo veneziano richiederebbe altrettanta storia, ma nell'intento di essere breve non posso comunque dimenticare:

- Andrea Mantegna che per l'Abbazia di San Zeno dipinse il suo celeberrimo trittico (1457-59) e

- Fra Giovanni da Verona con le tarsie in legno ideate per il Coro (1494-99) e per la Sacrestia (1519-23) nella Chiesa di Santa Maria in Organo, ammiratissime e molto invidiate.

Anche questa Chiesa ha origini antichissime (VI-VIII sec.) pur rimaneggiata nei secoli e, nonostante abbia uno degli organi più antichi della città, deve il suo nome ad un'opera idraulica romana che segnava il tempo. Il risucchio dell'acqua creava melodie. Nelle vicinanze vi è anche la Porta Organa.

Fu un periodo ricco di artisti, umanisti, letterati e scienziati illuminati che portarono il loro sapere e la loro arte in giro per l'Italia e per l'Europa, non ultimo quel Paolo Caliari detto il Veronese (1528-1588).

Architetti illustri, sulla scia del Sanmicheli, edificarono palazzi che tuttora emergono nella bellezza della città. Anche il Duomo fu rimaneggiato in questo periodo rinascimentale ma con gusto ancora gotico.

Da non trascurare la peste del 1630 che, oltre a dimezzare la popolazione cittadina, portò ad una generale decadenza.

Ciò nonostante, fra gli altri, a Domenico Curtoni, nipote del Sanmicheli, si deve il Palazzo della Gran Guardia in Piazza Brà mentre ad Alessandro Pompei, a metà '700, si deve il peristilio del cortile del Museo lapidario Maffeiano.

A questo fervore rinascimentale poco seguito invece ebbe il barocco in città. I rari esempi si devono a Palazzo Carlotti (Corso Cavour) e Palazzo Maffei in Piazza Erbe. Unica chiesa, quella di San Domenico nelle vicinanze della Tomba di Giulietta e Museo degli Affreschi.

E dopo aver ignorato: i nomi di molti illustri artisti concittadini di quel periodo, chiese e luoghi significativi, eccomi nella travolgente storia dell'Invasione Napoleonica (1796).

Vessata dai francesi la città inutilmente si ribellò (Pasque Veronesi); ma a quel periodo si deve la confisca dei beni ecclesiastici, la costruzione del nuovo Cimitero fuori le mura, la regolamentazione dei rifiuti, e non ultimo il ridimensionamento delle sporgenze dei tetti per consentire una maggiore aereazione e penetrazione di acqua piovana nei vicoli contorti della città.

Nel 1801, con la pace di Luneville, la città viene divisa in due e l'Adige diventa confine fra francesi ed austriaci (riva sinistra - Veronetta). Dal 1805 al ''14 fece parte invece del Regno d'Italia e successivamente, dal 1815 al 1866, dell'impero Austriaco.

Quest'ultimo, rinnovate le mura, fece costruire una doppia cinta di forti e la fece diventare caposaldo di quel Quadrilatero di punta che includeva anche Mantova, Legnago e Peschiera. Fu necessario un notevole apporto di manodopera che dilatò la città con nuovi quartieri.

Fu in questo periodo che si crearono le più belle case liberty in Borgo Trento, proseguito poi ad inizio '900. Molte sono in parte scomparse con una sconsiderata evoluzione di edifici condominiali anonimi e senza storia costruiti in epoche recenti.

Alla stregua italiana Verona affrontò il Risorgimento. Ideali e patriottismo; carceri e patibolo contraddistinguono la sua storia.

Del 1882 è l'ennesima ed ultima alluvione della città. In molte case di Verona, possiamo ancora leggere i segni di questo avvenimento così devastante. Ne seguì la costruzione di: alti argini di protezione, di canali (con funzione anche industriale) e della Galleria di Mori che nel 1966 (anno dell'alluvione di Firenze) riversò gran parte delle acque dell'Adige nel Lago di Garda, salvando la città. Ma di questo ho già parlato.

L'evoluzione espansionista non smette tuttora di apportare veloci cambiamenti e spesso con danni artistici e storici irreversibili perché non sempre il benessere corrisponde a questa evoluzione.

Non posso abbandonare la città senza un lieve ed appassionato pensiero alla nostra Piazza Erbe, autentico gioiello d'arte cittadino. Era l'antico foro romano divenuto scenario affrescato ricco di incanto, estasiante palcoscenico del mercato delle "erbe" e frutta.

Non è più così, i suoi banchi con i caratteristici ombrelloni di tela bianca non vengono più rimossi. Erano così cari al nostro Angelo Dall'Oca Bianca, pittore emblematico, che a cavallo del 1800-900 fissò nei suoi quadri la bellezza cittadina di allora. A lui si deve anche un lascito per la costruzione, ad ovest della città, di un villaggio (che porta il suo nome) per i meno abbienti.

In questa Piazza Erbe stravolta, non vi è più ruvida juta di contenimento per i banchi, ma lamine di ferro marron a protezione dei "nuovi vandali" senza sentimento o patria. Non vi è più poesia di colori e profumi, di gente dal colorito dialetto locale.

No, non è più così, tre o quattro banchi rimangono ad esporre frutta come boutiques dai prezzi incontenibili, tutto il resto, ormai in mano ai cinesi, è solo paccottiglia.

Ho volutamente tralasciato di elencare altri personaggi, altre chiese, altri musei, altri edifici, altre storie collegate alla città e non sempre meno importanti e sottotono ma solo perché, come nel cammino, sfuggono talvolta al nostro sguardo o al nostro pensiero, che vola lontano per ignorare quanto ha vicino.

Lo stesso accade anche negli apprezzamenti della vita.