5° Giorno, 2 aprile

5 giorno – mercoledì 2 aprile 2014

LEGNAGO (S. Salvaro) - Villabartolomea - Castagnaro - BADIA POLESINE (Km. 25 circa)

Per tornare a Legnago stamane mi servo del treno che ha molte più corse, quasi ogni ora.

Mi sono alzata presto per riuscire ad arrivarvi di prima mattina.

Voglio andare a vedere la Chiesa di S. Salvaro a S. Pietro di Legnago, a circa 2,5 km. dalla stazione. Certo la strada per arrivarci è trafficata ma la meta è entusiasmante.

La Chiesetta è romanica, del 989, ma con preesistenze databili al VI sec.. Tuttavia una lapide ne attribuisce la realizzazione alla "Contessa Matilde di Canossa nel 1117" quando però la contessa era già morta.

Come molte chiese locali, sebbene sia l'unico esemplare romanico in quel di Legnago, venne edificata in mattoni con inserimento di filari di ciottoli di fiume e pietra tufacea.

L'interno, che però non vedo, ha un presbiterio rialzato e molti affreschi, malgrado che, attraverso i secoli, la gran parte d'essi siano andati perduti.

Poi ritorno sui miei passi fino all’Adige. Oggi per raggiungere l'argine l’ascensore funziona perfettamente. Poi proseguo sulla riva destra; sorpresa, l'alzaia è asfaltata e ben tenuta.

In basso, noto l’antico ospedale austriaco (fu anche polveriera nella prima guerra mondiale), divenuto in epoca recente Centro Ambientale (con particolare attenzione al fiume) ed Archeologico per i molti rinvenimenti della zona. C'è anche il ponte della ferrovia che è tutto dipinto di verde per ben mimetizzarsi nel paesaggio intorno. E poi come ultimo baluardo della città, l’imponente architettura del nuovo Ospedale.

La campagna dilaga fino all’orizzonte; a sinistra l’Adige procede tranquillo, sereno, quasi immoto; pare impossibile che talvolta possa mutare così repentinamente e dannosamente il suo "umore".

Una passerella porta ad un capitello che sembra sospeso nel vuoto data l’altezza dell’argine rispetto al fiume.

C’è anche qui in alto, come ad Albaredo, e molti altri ne vedrò più avanti, un grande viadotto che attraversa il fiume. E’ una costruzione ingombrante e non so cosa trasporti, forse gas?

Infine, pur essendo partita presto, mi incammino tardi. Il sole è già alto ed il caldo opprimente. E pensare che siamo solo ai primi d'aprile. In pochi giorni gli alberi si sono rivestiti di lucenti e tenere foglie, i meli hanno indossato piume di cigno e la natura si sta risvegliando. Ma pochi i fiori, solo ranuncoli gialli di fiume che creano bordura all’asfalto della pista ciclabile.

L’Adige per lo più si intravede poiché non scorre sempre vicino. Anzi nelle golene hanno ricavato più parchi naturalistici, con vari nomi. Ci vorrebbe un esperto per accompagnare il nostro passo fra questo verde lussureggiante. Olmi, carpini, salici e molto di più velano a sinistra lo sguardo. A destra però si dominano grandi colture ora, data la stagione, di terra perfettamente arata e grandi estensioni di teli di plastica bianca a protezione di coltivazioni che non conosco, teli che talvolta rovinano le nostre immagini.

La prima deviazione è per Vigo e lungo il percorso noto alcuni maneggi o allevamenti di cavalli. Non avrei mai immaginato che qui questi animali fossero così amati. E' pur vero che un'infinità di escursioni lungo il fiume, o fra i viottoli dei campi, sono proprio a portata di mano.

Giungo al confine di pertinenza fra Legnago e Verona con un cartello che indica la mappa dei luoghi lungo il percorso così com'era iniziato a Roverchiara. Belli ed interessanti questi cartelli illustrativi ed informativi.

Infine arrivo a Villabartolomea che mi colpisce proprio.

La zona fu abitata già dal XIII-XII sec. a.C non solo da Paleoveneti, ma anche dagli Etruschi. Ovviamente seguirono i romani ma il suo nome appare nei documenti dal IX sec. Anche qui Scaligeri, Serenissima ed Austroungarici appartengono alla sua storia. Dopo il 1866 (terza guerra di Indipendenza) passò al Regno d'Italia e solo dopo la piena del 1882 si ebbero attente e vaste bonifiche che portarono non solo al consolidamento degli altissimi argini ma ad un completo risanamento della zona paludosa.

Subito sotto l’argine si nota, già da lontano, la Villa del Conte San Bonifacio-Milone, ridimensionata, per il danneggiamento del fiume e la necessità di costruire nuovi argini, dopo la famosa piena del 1882.

Venne costruita di fronte ad un'altra villa, La Palazzina, per la necessità di aggiungere magazzini e scuderie. Poiché, quando vi giungo, il cancello si apre per far entrare un automezzo, chiedo se posso entrare anch'io per fotografare. Cortesemente me lo permettono.

Di fronte si erge maestosa "La Palazzina". Questa era la Villa padronale dei Conti San Bonifacio e deve il suo aspetto liberty ad un restauro del 1935. Fu però costruita nel XV sec. in stile tardo-gotico. Mi colpisce per la sua imponenza anche se un po' "trasandata".

Ma c’è anche una bella scuola ed una biblioteca comunale che pare quasi un teatro. In effetti era la sede della Banda Comunale fatta edificare dal Conte Milone di San Bonifacio alla fine dell'800. Il Teatro Sociale invece venne eretto nel 1913 e decorato in stile Liberty dal prigioniero di guerra Joseph Pikora.

La Chiesa imponente e con il solito stile palladiano, ha sul fianco i resti di un’antica Chiesetta romanica con il suo bel campanile. Il nuovo campanile invece, non venne mai costruito data la scarsa solidità del terreno. La Chiesa è dedicata a San Bartolomeo e venne edificata nel 1855.

Il paese è ordinato e ben restaurato, presenta qualche casa degna di nota ed ottimo lo spuntino al bar.

Ritorno all’argine e procedo verso Spinimbecco.

Un cippo ed un cartello indicano il punto della Rotta (dell'Adige) di Spinimbecco avvenuta il 24.6.1677, ma vi fu anche, nel 589, una "Rotta della Cucca". Dall'alzaia noto la Chiesa ed il suo campanile che risale al XIII sec. ma non scendo per ammirarli.

Poco avanti ecco Carpi di Villabartolomea con una manciata di case intorno ad una Chiesa dall’alto campanile acuminato, uno dei più alti della provincia e casolari ben tenuti sparsi qua e là.

La Chiesa è chiusa ed anche questa mi pare simile a molte altre, forse anche per quel colore giallino che le contraddistingue. La moda del tempo, come sempre, si arroga il diritto di trasformare ogni cosa, non importa se di grande valore storico o estetico. Anche questo ahimè non cambia!

Procedendo fra le anse continue e imbizzarrite del fiume (quanti chilometri in più), sotto un sole cocente; sono ormai la sola lungo il percorso che spazia a perdita d'occhio. Chilometri di silenzio dove qualche uccello ripete il suo eterno cucù o dove un estenuante picchio non si arrende alla corteccia dell’albero.

Data la stagione non vi è ancora il frinire delle cicale, ma un paio di ramarri attraversano velocemente la strada tuffandosi verso la golena, quasi apparizioni fantastiche e non ben distinguibili.

E dopo tanto arrancare vi è un bivio interessante; la pista biforca e da una parte procede verso Castagnaro con confine Villabartolomea, che io tralascio per procedere invece sull’argine che già da lì preannuncia anche il confine di Castagnaro con il territorio di Badia Polesine.

Finisce l’asfalto, ma dapprincipio non ci si accorge del cambiamento per la strana costruzione (sbarramento e controllo delle acque – dovuto alla Serenissima) che si para davanti.

Poi la strada bianca non asfaltata dell'alzaia, con ampia ansa, aggira Castagnaro, che osservo dall’alto. E' l'ultimo paese della provincia veronese.

Quando noto in basso una stradina che mi pare vada direttamente alla Chiesa, mi butto letteralmente, ed alquanto pericolosamente, giù dalle tre alte scarpate che costituiscono l'altissimo argine a gradoni. La via però non dà poi accesso all'abitato, costeggiando case e recinzioni periferiche in cui non ci si può inoltrare. Delusa, quando arrivo in fondo al paese, non torno indietro per andarlo a visitare. E’ stata una deviazione pesante ed inutile. Credevo tra l’altro di risparmiare strada, vista l’enorme ansa che mi si era parata dinanzi. In realtà ho zigzagato fra stradine impazzite senza una informazione qualsiasi e senza nessuno, data l’ora, a cui chiedere.

Ormai eccomi alla periferia di Villa all’Adige con bei casolari e coltivazioni di barbabietole, paese che però, data la delusione precedente, non raggiungo per ritornare al fiume. La frazione che preannuncia Badia Polesine ha una bella Chiesa e si srotola fin quasi a raggiungere ed a confondersi con il Capoluogo comunale.

E poi avanti per questo percorso snervante e bianco con un sole accecante che sembra uno specchio perenne davanti agli occhi. Tutto è appiattito in questa luce esasperante.

Anche qui vi è un parco naturalistico con un capanno di osservazione verso il fiume. Una piccola Cappella si intravede dall’altra parte dell'Adige dove una pista parallela, talvolta anche strada comunale, scorre attraversando altri luoghi ed altri paesi in provincia di Padova.

Lì, si notano molti automezzi, un continuo via vai rumoroso e snervante. Meglio vagare con lo sguardo lontano verso i Colli Euganei che danno un senso di semplice e naturale appagamento.

Dopo l’ansa, la pista si raddrizza. Finalmente intravedo in distanza, molto in distanza, Badia.

Incrocio due ragazzi innamorati che mi fanno tenerezza. A loro chiedo quanto manchi per arrivare alla cittadina ed alla stazione che mi dicono molto più lontana. La ragazza, forse vedendomi affaticata, si offre di portarmi in macchina che ha lasciato poco lontano. Desisto; se sono arrivata fin qui, arriverò anche alla stazione.

E poi avanti ancora per una mezz’ora, e qualcuno in questo primo pomeriggio assolato inizia la sua passeggiata.

Due campanili emergono nella globalità dei tetti cittadini: uno per la bellezza inconsueta del suo romanico e l’altro per il candore probabilmente settecentesco. Arrivo fino allo sbarramento della Bova da cui dirama l'Adigetto; poi scendo verso la cittadina ma ormai son stanca; mi dirigo alla stazione che è abbandonata, chiuso ogni accesso e, l'unica panchina in pietra, è al sole.

In cerca di un momentaneo refrigerio e riposo, mi siedo su un marciapiede all'ombra nel retro dell'edificio. Un indiano vedendomi lì sola, scende dalla sua automobile scalcinata, con cui è arrivato fin lì, e.....molto semplificando....mi chiede il mio numero di telefono o vuole darmi il suo, per venirmi a trovare, se ho bisogno. Il luogo, è isolato; ma nascosto alla visuale, al sole, in fianco al caseggiato della stazione, vi è un altro giovanissimo e bellissimo indiano che come me attende il treno. Se la cosa degenerasse urlerei. Per cui sono tranquilla. Finalmente il tizio demorde, risale in macchina e se ne va. Questa poi, alla mia tenera età ed in piena forma come oggi, non mi era proprio mai capitata.