11° Giorno, 04 ottobre

11° giorno - venerdì 4 ottobre 2013

DOLCE’Ceraino - Volargne – DomegliaraPescantina – Parona – VERONA (km. 20 circa)

Scendo a Dolcè; anche oggi la nebbia invade la valle che si sta restringendo. Tutto intorno è grigio senza confini, senza nulla che identifichi montagne o pianura. Molto è cambiato dall’inizio di questa mia avventura, l’autunno si preannuncia imperioso.

Non sapendo dove sia la pista ciclabile, ma un breve tratto dovrebbe esserci, mi dirigo subito alla Chiesa che stranamente questa volta è nella parte più bassa del paese, proprio sotto la stazione. Intorno vi sono alcune fabbriche, ma il lastricato davanti alla Chiesa e l’edificio stesso sono stati rimessi a nuovo ed alcune vasche di fiori colorati abbelliscono il muro che confina con la Canonica. L’aspetto è curato con amore e attenzione.

Entro per curiosare, il Parroco celebra la Messa. Non voglio disturbare ma poiché son qui, ed è presto per inoltrarsi in mezzo ai campi senza luce, decido di ascoltarla anch’io. E poi ci sono solo 4 donne che vi partecipano e penso che forse al prete farà piacere averne una in più. Ho rovinato però quel sottile raccoglimento quotidiano poiché tutte si girano a guardarmi, sono una intrusa e poi diversa, evidentemente sono “una foresta”.

Finita la Messa fotografo l’interno della Chiesa che non mi aspettavo così interessante in un paesino alquanto piccolo. Poi risalgo verso il paese sottopassando il tunnel della ferrovia e della statale. La strada è trafficata, data l’ora mattutina, forse anche più di ieri.

Ad una signora, che sta salendo in macchina dopo aver accompagnato il figlio a scuola, chiedo informazioni sulle amenità del paese e sulla pista ciclabile. Mi da molte delucidazioni poiché ella stessa la percorre spesso.

Il paese non è granché per la verità, qualche casa ed una villa importante con parco annesso. Però il luogo, attraverso i secoli, è stato comunque molto apprezzato, se insediamenti preistorici, degli Arusnati (antichi abitanti retici delle zone limitrofe) e dei romani hanno lasciato testimonianze della loro presenza.

Ritorno alla ciclabile che parte proprio di fronte alla Chiesa. Chiedo conferma anche all’unico ciclista che incontrerò oggi, “ Segua la ferrovia” mi dice. La nebbia incappuccia le montagne ed è difficile capire, in mezzo al mare di viti che mi circonda, la direzione da seguire.

Quando penso di essermi persa, finalmente incontro la discarica della zona, mio riferimento odierno. Una signora, ritengo albanese, è l’addetta al centro di smistamento. Oltre a essere bella, e con intensi occhi neri, è anche molto gentile. Mi accompagna perfino per un tratto nel timore che mi perda perché dovrei svoltare a destra e poi a sinistra, ignorando gli altri viottoli, per raggiungere poco più avanti la ciclabile praticamente pronta.

Cammino in mezzo ai campi e qualche tratto non è asfaltato, la mota si attacca alla scarpa rendendo pesante e sdrucciolevole il passo. Ma in questo silenzio fra le viti, le foglie accartocciate e madide d’acqua per la pioggia di ieri, tutto è rarefatto, lento e sfumato. Sembra di entrare nella bambagia come se io fossi un vaso prezioso che si deve proteggere. Cammino per un po’ fino a raggiungere il fiume che poi costeggerò; lì hanno in parte asfaltato la pista, probabilmente in attesa di completarla. Mi pare però in posizione troppo bassa rispetto al solito e temo che al primo rialzamento del fiume l’acqua eroda la riva.

La nebbia pian piano dirada leggermente, abbandono il fiume e, fra bissaboe nei campi, la visuale infine si dilata fino a scorgere il monte che chiude la valle.

In alto, in una posizione strategica su questa importante via di transito, vi è il Forte di Rivoli o Wohlgemuth, edificato nel 1849-52 a difesa dell’allora confine austriaco. Data la giornata odierna sembra svanire; sfumare nel nulla.

Lo aggiro per un bel po’ finchè risalendo, la ciclabile finisce, e sbuco a Ceraino.

La Chiesa parrocchiale è particolarmente interessante per l’architrave riccamente scolpito, ma anche il paese che si srotola lungo la via principale esibisce dei vecchi palazzi più che decorosi.

Faccio tappa nell’unico bar aperto per un caffè e per le informazioni che ahimè mi confermano che la pista finisce qui.

Non mi resta che procedere sulla statale e qui la situazione diventa inquietante.

La statale è proprio stretta, non ha nessun tipo di argine a lato nel quale cercare di appiattirsi e poi sembra in continuo scodinzolare alla ricerca di spazio.

Siamo alla Chiusa di Ceraino dove l’Adige è costretto, dopo aver sbattuto sul Monte Pastello che chiude la valle, a virare di 90° alla ricerca di un suo spazio comunque stretto, oppresso ai lati da roccioni incombenti.

Il luogo ha un che di misterioso per queste rocce così dirupate ed in parte scavate a suo tempo per consentire che una carrozzabile vi potesse passare. In questa strettoia impossibile vi passava anche la ferrovia, ora deviata in un lungo tunnel invisibile.

Subito dopo la strettoia uno slargo ospita l’antica locanda per i viaggiatori ed i ruderi del Forte di Ceraino. Un altro forte, in alto ma che da sotto non si scorge, è quello di Monte.

I dintorni sono chiamati "la terra dei Forti" perché altre fortezze sono state costruite a guardia di questa zona: passaggio strategico ed obbligato verso il nord.

La costruzione di queste fortificazioni si deve agli austriaci che in materia hanno lasciato nelle nostre terre dei veri capolavori d’arte, sebbene finalizzati alla difesa, alla guerra. Meritano una visita per la ricchezza solida ed austera delle loro architetture.

L’Adige sotto si gonfia d’acqua perché un nuovo impianto idroelettrico è stato sistemato nel roccione di fronte.

La ferrovia nel frattempo riprende il suo vecchio tracciato, comunque sovrastante la statale. In tutto questo curvare procedo con ansia appiattendomi il più possibile contro l’alto muro di contenimento delle rotaie. Il traffico è intenso e temo soprattutto l’incrocio dei camion sulla carreggiata che, con la loro ingombrante presenza, la invadono completamente.

Pian piano le montagne si abbassano. Dall’altra parte dell’Adige vi è una chiesetta in restauro ed il paesino di Gaium. In alto sbucano alcune pale eoliche mai viste fin qui e poco avanti il canale Biffis ha ripreso il suo corso in alto protetto da argini di contenimento possenti, ma è in alto, molto in alto.

A mano a mano che la pianura comincia a prendere il sopravvento si iniziano a vedere alcune industrie marmifere con le loro possenti attrezzature. Adesso siamo nella terra del marmo. Sebbene il marmo rosso o Rosso Ammonitico qui inizi a scarseggiare (ma se ne trova ancora in zone limitrofe sebbene di minor pregio) questo tipo di calcare nodulare nei secoli, grazie all’Adige, ha attraversato tutta la pianura padana. In quasi tutte le chiese questo colore così pregiato fa bella mostra di sé in ricchi altari barocchi.

A destra, poco avanti, incontro Volargne, un paesotto arricchitosi con il marmo e con il suo porto, ma quanti porti ho incontrato lungo l’argine di questo Adige che dalle montagne portava mercanzie al mare? Merci che da Venezia potevano risalire il Po e raggiungere la Pianura Padana o “andare in giro” per il Mediterraneo.

Le barche o le zattere, quando i canali non esistevano, scendevano a valle seguendo la corrente mentre sulle alzaie i buoi ed i cavalli le riportavano “a casa” con altre merci; altra storia.

Volargne è un bella località ricca di storia, le sue case digradano verso il fiume che passa molto più in basso. Questa era la terra ove la famiglia Del Bene costruì nel 1560 una ricca villa di campagna con logge ed affreschi.

Era approdo importante per i nobili che, in transito verso il nord, qui trovavano accoglienza.

Nel 1944 un treno austriaco di esplosivi venne bombardato distruggendo, con lo scoppio che ne derivò, gran parte del paese e danneggiando anche la villa che venne in parte salvata con i contributi degli Americani.

Difficile per me oggi ammirarne lo splendore per le alte mura che la circondano. E’ proprietà dello stato italiano ed al momento è chiusa per restauro.

Mi fermo al bar da Ricky che è un ragazzotto simpaticissimo e di tanta disponibilità. Eppoi è un ciclista che sa tutto di piste e dei dintorni per cui mi spiega bene quel che devo fare.

Dovrei proseguire avanti fino al ponte che mi porterà dall’altra parte dell’Adige e poi affiancando il canale potrò arrivare fino…….

Ma tutti i chilometri che mi attendono mi spaventano un po’.

Perciò dopo aver percorso una strada a ridosso del fiume, fra infinite segherie del marmo, preferisco proseguire fino a Domegliara.

La montagna a sinistra è tagliata da numerosi gradoni perchè nel corso dei secoli è stata erosa carpendone il tesoro. Non è granché come luogo, ma qualche palazzo importante lo evidenzia con la sua storia. Ha una bella stazione per valorizzare la sua unica importante ricchezza. Poi avanti lungo la statale.

Potrei rientrare verso S. Lucia di Pol per ammirare la sua antica Chiesa romanica ricca di affreschi. E’ quasi a strapiombo sull’Adige che scorre poco in basso. Una lunga barchessa di una importante villa veneta e 4 case sono tutto ciò che rimane dello splendore passato.

E poi Arcè e Pescantina, che sono anch’essi antichi porti sull’Adige. Sono deliziosi paesi che incantano, ricchi di storia.

Non vi sono tracce per una testimonianza preistorica della zona, ma i romani con la loro Via Claudia Augusta la considerarono una importante posizione strategica per guadi e traghetti.

Dopo guerre e devastazioni il circondario, passato sotto la Repubblica di Venezia, ebbe, proprio grazie ai suoi porti, un paio di secoli di tranquillità e splendore con i commerci verso l’Alto Adige. Non a caso qui, ma anche a Volargne ed altrove esistevano delle importanti fornaci. Ne sono tuttora testimonianza le alte ciminiere in cotto. Ma vi erano anche mulini e agricoltura ed il rinomato vino della Valpolicella.

E poi Ville Venete che i ricchi nobili veronesi costruirono per il loro soggiorno estivo, ma soprattutto per il controllo delle loro ricche proprietà agricole, non escluso anche i porti d’approdo.

Tutta questa ricchezza si affievolì fino a scomparire. Con l’inaugurazione della strada ferrata nel 1859 e successivamente con la creazione dei numerosi canali, l’Adige perse la sua essenziale capacità di navigazione e con lui persero il loro sostentamento anche i numerosi abitanti che alacremente avevano lavorato lungo le sue acque. Importante quindi per il benessere di queste località, furono le coltivazioni delle pesche. Sebbene Pescantina emerga in questa coltura, deve però il proprio nome alla pesca ed all’attracco sul fiume.

Non conoscendo le distanze e le strade interne da percorrere, proseguo sulla statale.

Questa, a parte l’intenso traffico, non ha nulla di rilevante se non un albergo, magazzini, fabbriche ed officine. Una vecchia locomotiva fa da reclame ad un venditore di sedie di bambù, ma le colline lontane, con i loro antichi paesi affascinanti, ridimensionano lo squallore. Qui da ammirare vi è solo Villa Quaranta, una delle Ville venete del circondario, ora diventata importante Hotel di lusso.

Non è un bell’andare, continuo ancora avanti fino alla curva del Moro Freoni vicino a Parona, è un’antica locanda del passato. C’è una pensilina degli autobus, mi fermo e torno a casa. Per oggi è “bastante”.

Ma riguardando le foto qualche giorno dopo capisco che non posso liquidare questo mio arrivare a Verona in modo così indegno.

Torno in macchina ad Arcè, Pescantina, Settimo e Parona per alcune fotografie che in qualche modo diano più rispetto, più ammirazione a questi luoghi così magnifici.

Includo anche Parona, ormai sobborgo della città. Il vecchio paesino non è granchè, ma sulla Statale vi sono alcune case con gli archi a volto in cotto, erano gli antichi ricoveri delle barche quando gli argini non erano stati costruiti.

Vi è anche un’ulteriore diga, al Chievo, e poi con un passo siamo arrivati a Verona, ma quella è un’altra storia.

Riprenderò comunque a percorrere a piedi questi ultimi tratti mancanti durante il lungo inverno.

Rivedere questi luoghi è sempre un’emozione.

Per quest’anno la mia avventura è terminata.