Eutanasia

Eutanasia of the dream, Alberto Baumann, 1984, tecnica mista su tela 

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La Chiesa ci ricorda che far finire la vita (come del resto il dar inizio alla vita) è un potere di Dio (non ci siamo dati la vita da soli e quindi non dobbiamo decidere noi), e trattandosi di un dono indisponibile ogni tentativo arbitrario di anticipare la sua conclusione naturale è eutanasia [1]. Dunque nessuno ha diritto sulla propria vita, e se si decide ci si appropria di un diritto di Dio e si oltraggia Dio.

Normalmente, col termine eutanasia s’intende l’uccisione intenzionale di un individuo da parte di un altro individuo (si pensa per lo più a un medico, che somministra un apposito farmaco), in seguito alla richiesta volontaria e consapevole di tale individuo.

Ma in realtà, già concettualmente, c’è grande confusione attorno al termine eutanasia, perché con questo termine può farsi riferimento a molteplici situazioni fra di loro tutte ben distinte [2]:

A)    Eutanasia attiva: azione, atto con cui s’interrompe la vita tramite una condotta attiva:

a)  autodecisa = decisa da sé stesso (suicidio) [3]: il soggetto si spara;

              b) eterodecisa = decisa da un terzo: un terzo, pietatis causa, soffoca o spara all’ammalato totalmente incosciente, oppure gli somministra un’iniezione letale, senza che si sappia cosa pensava il diretto interessato in quel momento. Giuridicamente si tratta di un vero e proprio omicidio, punito dal codice penale (art. 575 cod. pen.);

               c) condivisa (suicidio assistito) [4] = il medico procura all’interessato, che non sa dove trovarlo, il veleno per poi suicidarsi [5]; oppure l’ammalato implora di essere trasportato in Svizzera per ricevere la dolce morte, essendo impedito a farlo da sé, e un terzo lo aiuta [6].

B)     Eutanasia passiva: condotta con cui s’interrompe la vita tramite una condotta omissiva.

a)      autodecisa = decisa da sé stesso: il soggetto rifiuta le cure salvavita, e rifiuta anche di andare da un medico. [7] Pensiamo alla trasfusione rifiutata da un testimone di Geova. In effetti, dalla lettura sistematica dell’art. 32 della Costituzione un trattamento sanitario può essere imposto coattivamente solo quando è necessario, oltre che per curare chi lo subisce, anche per impedire il verificarsi di un danno alla salute di altre persone;

b)      eterodecisa = decisa da un terzo: il medico non presta più alcuna cura all’ammalato totalmente incosciente, che quindi non si sa cosa pensa; oppure sospende definitivamente ogni trattamento (ad es. staccando di sua iniziativa il respiratore che tiene in vita artificialmente il paziente) senza che si sappia cosa pensava il diretto interessato in quel momento;

c)      condivisa = è l’interessato, ricoverato in  ospedale e impossibilitato a tornare a casa in autonomia, a rifiutare le cure salvavita e il terzo si adegua senza imporgliele coattivamente [8]. Si pensi anche al caso di un detenuto che inizia in carcere uno sciopero della fame che alla fine lo porta alla morte, e il medico lo lascia fare [9].

In realtà, i casi previsti ai precedenti punti Aa, Ab, Ba e Bc sono già presi in considerazione dal legislatore (nel senso che il rifiuto consapevole delle cure, anche se porta al suicidio, come pure lo stesso suicidio, non sono punibili; mentre resta omicidio la soppressione operata attivamente dal terzo). Sul punto Ac è intervenuta di recente la Corte costituzionale stante l’omesso intervento del Parlamento (cfr. nota 6). Al punto Bb (eutanasia passiva da parte del medico senza il consenso manifestato dall’interessato) può essere posto rimedio se l’interessato ha lasciato un testamento biologico. E va anche ricordato che l’art. 34 del codice deontologico recita: il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso. Lo stesso va fatto in base alla convenzione di Oviedo 4.4.1997, ratificata con l.  28.3.2001, n. 145.

Ora, non si può fare a meno di sottolineare come, oggi, di fronte a situazioni assolutamente identiche la Chiesa si comporti in modo diverso da Stato a Stato: ad esempio, da noi, sul testamento biologico la Chiesa ha insistito per imporre a tutti i suoi principi non negoziabili; in Germania, dove il catechismo cattolico [10] afferma invece che “Nella società moderna, in cui convivono differenti convinzioni religiose ed etiche, deve essere permesso a ciascuno di vivere secondo la propria coscienza, perché ciò soltanto si confà alla dignità della persona”, si è trovata già molti anni fa una rapida intesa fra Chiesa cattolica, Chiesa protestante e Stato, e si è approvato questo tipo di testamento biologico:

“Nel caso in cui io non possa più manifestare ed esprimere le mie volontà, ora che sono nel pieno possesso delle mie facoltà così dispongo:

Non debbono essere intraprese nei miei confronti misure di prolungamento della vita se è attestato, secondo la migliore scienza e conoscenza medica, che ogni misura di prolungamento della vita è senza prevedibile miglioramento e dilazionerebbe solo la mia morte.

Trattamenti e accompagnamenti medici, così come un'assistenza premurosa, debbono in questi casi essere indirizzati a ridurre i dolori, l'agitazione, la paura, l'affanno, anche quando non si possa escludere che il necessario trattamento antidolorifico possa abbreviare la vita.

Io vorrei poter morire con dignità e pace, per quanto possibile vicino e in contatto con i miei parenti, le persone care e nell’ambiente che mi è familiare.”

Lì al nord, dunque, unità anziché divisione. Qui da noi si urla con tifo da stadio, ci si insulta, si crea divisione per non dire odio, dimenticando che sono i pensieri che giungono con passi di colomba quelli che guidano il mondo, [11] e non certamente quelli accompagnati da minacce di scomunica e di castigo divino. Non è con lo scontro dell’etica che la Chiesa aiuta all’edificazione del miglior mondo possibile. Non si chiede che la Chiesa cambi necessariamente posizione, ma si chiede che non cerchi di imporre “muscolarmente” la sua visione etica in politica, che non impedisca che una legge eventualmente cerchi di mediare verso quello che forse è il male minore. È giusto che la Chiesa proponga le sue scelte, che ritiene migliori per la società. Ma non può poi anche pretendere che le sue scelte diventino scelte politiche per l’intera società, soprattutto quando accogliere l’etica vaticana obbliga tutti a morire come ha deciso la gerarchia cattolica, mentre rispettare la volontà del singolo non obbliga nessun altro (Garrone D.). Questo è fondamentalismo.

Il bello, poi, è che si nega che espressioni come “valori non negoziabili” servano a difendere strutture di potere, perché quello che ai capi veramente importa non è assicurare l’onore e l’obbedienza a Dio, ma l’onore e l’obbedienza a loro stessi[12]. Le religioni hanno sempre visto che mediante la disobbedienza e l’insubordinazione si mina il potere dei capi religiosi e si rafforza la libertà del popolo, ma per non dar a vedere questo, si sostiene che si sta semplicemente richiamando alla fedeltà al messaggio d’amore di Gesù [13]. Forse che in Germania la Chiesa cattolica non è stata fedele al messaggio d’amore di Gesù, visto che ha acconsentito a un tipo di testamento che il magistero italiano non approva?

Ma soffermiamoci su questo tema, che divide tanto le coscienze e che costituisce ormai una vera e propria sfida culturale in Italia, perché la Chiesa vede l’eutanasia dappertutto.

Lo scontro etico si è radicalizzato in questi ultimi tempi, mentre nessuna campagna era stata combattuta in passato dalla Chiesa quando, da oltre sessant’anni, il codice penale non puniva il tentativo di suicidio e quando la Costituzione riconosceva il diritto di rifiutare coscientemente le cure. Perché, allora questo improvviso inasprirsi delle posizioni? La Chiesa cattolica pensa di avere la verità in tasca, ma parte da un sillogismo che tale non è: premessa maggiore - Dio è signore sulla vita, che resta indisponibile per l’uomo; premessa minore – l’uomo non è signore della vita, e non ne può disporre, ma può solo amministrarla; conseguenza - l’eutanasia non è ammissibile. Ma la premessa maggiore e quella minore sono la stessa cosa, perché la premessa maggiore implica già quella minore, che resta conseguentemente fragile perché dedotta a contrario dalla prima. In pratica, Aristotele avrebbe detto che si è in presenza di una tautologia, cioè di una ripetizione, e non di un sillogismo logico.

L’approccio che mette Dio al centro della vita, proprio dell’ebraismo e del cristianesimo, ha fatto scaturire un’etica che ha sempre rifiutato il suicidio e l’eutanasia. Esiste però un approccio culturale inverso, risalente all’Illuminismo, che mette in primo piano l’uomo. L’uomo è autonomo (cfr. l’articolo Il Dio del teismo è morto, nel n. 461 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-461---15-luglio-2018/il-dio-del-teismo-e-morto), e se si tronca il rapporto di dipendenza col suo creatore, l’autonomia diventa proprio il luogo in cui l’uomo percepisce la sua dignità [14]. La dipendenza, cioè il pensare di essere guidati dall’esterno, eteronomamente, schiaccia l’uomo e la stessa sua dignità. Anche la morte viene a ricadere sotto l’autonomia dell’uomo, che la deve conseguentemente gestire. È compito dell’uomo ragionare del senso della vita, del come stare al mondo, del quando esserci o del quando non esserci. L’autosoppressione, il suicidio costituisce dunque una libera scelta. Con questo approccio si giunge anche logicamente all’ammissibilità dell’eutanasia, come ormai hanno deciso vari Stati.

Sostiene sempre la Chiesa che la vita è sacra anche alla luce del 5° comandamento (non uccidere), sì che l’eutanasia, mettendo in discussione la sacralità e l’intangibilità della vita, si pone in contrasto con questo comandamento. Ma non regge nemmeno questa tesi, perché per la stessa Chiesa questo comandamento non ha mai avuto valore assoluto: si pensi all’omicidio dell’aggressore da parte di chi si difende per legittima difesa (artt. 2263 ss. Catechismo); si pensi al ricorso alla pena di morte quando è la società ad essere in pericolo, riconosciuta dallo stesso catechismo cattolico (art.2266) e solo recentemente abolita da papa Francesco. Si pensi al martirio (art. 2473), accettazione di por fine alla propria vita in piena consapevolezza, anche quando la stessa potrebbe essere salvata con un’abiura. Qui è chiaro che non è sacra la vita, ma è sacro Dio, perché la fede va rivolta alla sovranità di Dio, non certo nella sacralità della vita (Roth Philip). Ma al di fuori di questi alti motivi religiosi dove Dio viene indicato come valore superiore alla vita quando si muore per lui, si pensi al caso di Maria Goretti, vittima di un tentativo di stupro a circa 12 anni, che finì in un tentato omicidio a causa della sua feroce resistenza al “brutto peccato” (così si legge nella Cattedrale di Nettuno); la morte sopravvenne in ospedale per complicazioni. Avendo difeso strenuamente la sua purezza Maria Goretti venne fatta santa: ciò significa che – per la Chiesa – anche la verginità è più sacra della vita; se, infatti, il valore della vita fosse stato considerato un valore superiore e assoluto, si sarebbe dovuto dire che male aveva fatto la Goretti a resistere anche a costo della propria vita. 

Dunque, si deve concludere che il divieto di  uccidere, di farsi uccidere o di uccidersi ha un valore relativo anche per la Chiesa, e che la vita biologica non costituisce mai un valore di per sé assoluto. Del resto che la vita abbia valore relativo trova conferma anche nei vangeli “Non preoccupatevi di chi uccide il corpo” (Mt 10, 28), il che significa che la vita biologica, quella terrena, la possiamo anche perdere perché non ha valore assoluto. E cosa dice Gesù di colui che attenta all’innocenza dei bambini? Che sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi (Mt 18, 6): quindi, se il passo viene preso alla lettera, per quei pedofili (laici o preti), sarebbe stato meglio il suicidio o il loro omicidio, piuttosto che attentare alla dignità dei bambini.

Pensiamo anche al valore non negoziabile del divieto di aborto, perché l’embrione è una persona umana. Eppure qui la Chiesa tace, ed evidentemente con questo suo tacere ritiene conforme a dignità dell’embrione, lasciare che i circa 30.000 embrioni crioconservati in Italia giungano a deperimento naturale col passare del tempo. La durata di vita di un embrione umano crioconservato forse non supera i due anni. [15] Non mi sembra allora così peregrina, né contraria alla dignità umana, la proposta dell’ematologo prof. Lambertenghi [16] il quale si chiedeva perché non si comincia quanto meno a discutere se, dal punto di vista etico, gli embrioni crioconservati e destinati entro poco tempo all’estinzione naturale, non potrebbero essere considerati come “donatori”, al pari di chi, prima di morire, decide di donare un organo (ad es. il rene) per salvare una vita altrui.

E ancora: è la stessa visione cristiana a presentarci un uomo che non è solo soggetto passivo di fronte alla vita, o al massimo gestore passivo della vita. Dio non si è limitato ad affidare all’uomo la custodia dell’universo creato, ma ha previsto che l’uomo partecipi attivamente come co-creatore. L’uomo deve mettere a frutto la creazione di Dio come soggetto attivo, e non solo come soggetto passivo. In altri termini, il mondo è affidato alle mani operose dell’uomo, e anche la sua vita rientra in quest’ottica attiva. L’uomo non viene perciò decentrato a un livello secondario, ma gli è richiesto di assumersi responsabilità primarie che non necessariamente contrastano con la signoria di Dio. L’uomo può allora decidere responsabilmente non solo sulla vita degli animali e delle piante, ma anche su quella sua e degli altri uomini. Dio non può richiedere all’uomo il sacrificio della sua libertà di scelta responsabile durante la sua esistenza. La facoltà di morire in dignità non è allora un qualcosa di aggiuntivo, posto al di fuori dello spettro di azione responsabile dell’uomo, ma un qualcosa che fa parte del diritto di vivere in dignità [17], liberamente e responsabilmente.

Quando la dignità manca dall’inizio, o quando la dignità viene a mancare successivamente per motivi legati ad es. ad una grave sofferenza tumorale, si invoca da parte di alcuni una fine anche attiva di questa situazione di dolore. Ma la scelta non è dettata dal fatto che si vuol mettere l’uomo prima di Dio, quanto piuttosto dalla incapacità di misurarsi con un dolore ritenuto insopportabile e inutile [18].

Come prima cosa mi sembra allora di poter dire che è il dolore attuale e insopportabile che spinge a cercare la morte, non la negazione dell’esistenza di Dio. Ben ci possono essere dunque situazioni tali che dire “basta! Aiutatemi!” è una resa al limite. Il mio dire “basta!” ben può stare all’interno del mio cammino di fede. Il dono della vita è così sfigurato che la scelta di chiudere non rompe il mio rapporto con Dio. Se viene lesa la dignità dell’uomo il dono di Dio è sfigurato. Non tutti riescono a cogliere la sfida che il dolore ci lancia. Non tutti riescono a trovare il senso della vita nel dolore.

“Gesù c’è l’ha fatta” dirà qualcuno “e noi dobbiamo imitarlo”. Non è detto che Gesù si aspettasse la croce (che come sappiamo era riservata a quelli che i romani consideravano terroristi che cercavano di scalzare lo Stato) [19], e dopo il suo arresto quello che gli è successo non dipendeva più da lui. Ma non dimentichiamo che a un certo punto ha gridato: “Dio mio! Perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46).

In conclusione, mi riesce difficile trovare una risposta certa a tanti casi concreti, ma mi è altrettanto difficile accettare di discettare solo sui sommi principi, lanciare appelli a favore della vita, e spiegare agli altri come la vita è un bellissimo dono che va vissuto senza porsi domande nel caso concreto, anche nel dolore più atroce. Penso piuttosto che ciascuno debba fare da solo la sua strada e le sue scelte, in silenzio, e che anche la Chiesa debba aver più fiducia nelle coscienze individuali. Perché di questi temi si deve parlare sottovoce, con delicatezza, e se in ogni uomo agisce la presenza dello Spirito santo, lasciamo che alla fine sia la singola persona a decidere.  

 

Dario Culot

[1] Per eutanasia s’intende un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore (Congregazione per la dottrina della fede 1980 – Dichiarazione sull’eutanasia pubblicata su “L’Osservatore Romano” 26.6.1980).

[2] Faccio notare che questa distinzione, fra eutanasia attiva e passiva, non è unanimemente condivisa.

[3] Il tentativo di suicidio non è previsto dalla legge come reato, per cui non viene punito. La Chiesa ha sempre condannato moralmente il suicidio, ma non ha mai fatto una campagna per far promuovere una legge che condanni il tentativo di suicidio.

[4] Anche se il consenso è espresso, la condotta del terzo costituisce reato (artt. 579 o 580 cod. pen.). Nel primo dei due reati, chi provoca la morte si sostituisce praticamente all’aspirante suicida nell’azione, seppure col consenso di quest’ultimo. Nel secondo caso, l’aspirante suicida conserva il dominio della propria azione. Se il consenso poi non esiste, ma l’agente l’ha ritenuto esistente per proprio errore, si applicherà comunque l’art. 579 cod. pen., stante il richiamo dell’art. 47, 2° co., cod. pen.

[5] Si definisce suicidio assistito l’atto per mezzo del quale un individuo si procura una morte rapida e indolore normalmente mediante l’assistenza di un medico che prescrive i farmaci necessari al suicidio e lo consiglia riguardo alle modalità di assunzione. Siamo dunque in presenza di un atto medico volontario.

[6] Recentemente la Corte costituzionale (sent. 242/2019) ha dichiarato che nel caso di chi soffre di malattia incurabile e dolori per lui insopportabili, se decide di morire, chi lo aiuta – a determinate condizioni (e ne ha fissate ben dieci),-  non è punibile.

[7] La legge vieta ad ogni soggetto di automutilarsi (art. 5 cod. civ.), ma garantisce il diritto di ciascuno a rifiutare intrusioni sulla sua persona anche se finalizzate a preservare la sua vita.

Ricorderete probabilmente il caso di quella signora che rifiutò di farsi amputare la gamba e preferì che la malattia seguisse il suo corso naturale, morendo di lì a qualche settimana in Sicilia con tutto il suo corpo ancora integro; analoga decisione prese una signora sarda, ustionata all’80% del suo corpo, che rifiutò l’amputazione di una mano e di un piede (v. “La Repubblica” 29.12.2008, p.16).  Certo, anche in questi casi c’è stato qualche solerte medico che ha ragionato nel modo seguente: se rifiuti le terapie sei pazzo e quindi incapace di intendere e di volere, per cui posso chiedere al giudice di nominarti un tutore che decida per le terapie, che poi ti verranno praticate coattivamente. Ma l’equazione rifiuto terapia=pazzia non è vera e nei casi specifici di cui sopra non ha funzionato.

[8] La medicina, dunque, non può sopraffare la libertà di decisione del singolo. Di fronte al diritto del paziente di rifiutare cure mediche (confermato ad es. da Cass. Civ., Sez. I, 16.10.2007, n.21748) cessa ovviamente l’obbligo giuridico del medico di curare ed emerge pure l’inconfigurabilità di un obbligo giuridico in capo al medico di impedire la morte voluta o accettata dal diretto interessato: l’obbligo di soccorrere incontra un limite quando esso si scontra con la decisione libera e consapevole di un soggetto in grado di autodeterminarsi, sì che il medico dovrebbe porre in essere attività coattive per vincere la resistenza del soggetto da proteggere.

[9] Una trentina di anni fa era stato assolto il direttore di un istituto penitenziario che non aveva disposto l’alimentazione forzata di un detenuto in sciopero della fame, non impedendone la morte (Corte d’Appello di Milano 21.5.1992). Non si può imporre l’obbligo di cura nel solo interesse del singolo individuo.

[10] Catechismo per il cattolico adulto (Katholischer Erwachesenene Kathechismus), ed. 1995 della Conferenza episcopale tedesca, vol. II, 143.

[11] Orlandi M., Vannucci Giovanni custode della luce, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 13.

[12] Ricordo che il cardinal Ruini diceva che c’è la fede solo se si obbedisce all’autorità del magistero (cfr. l’articolo Cosa è la fede, al n. 498 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-498---31-marzo-2019/cosa-e-la-fede).

[13] Iannaccone M., Gesù e l’adultera, “Avvenire” 28.9.2011, 27.

[14] Sulla dignità umana si fonda il diritto di ciascun individuo, a prescindere dalle sue condizioni contingenti, a essere protetto da qualsiasi forma di strumentalizzazione. Dal principio della dignità umana derivano la liceità della sospensione o della non attivazione di un trattamento terapeutico per pazienti che ritengano che tali misure non contribuiscano più in alcun modo a migliorare il loro benessere e la loro qualità di vita. I pazienti, aventi una prognosi infausta a breve termine, hanno diritto di richiedere (o su richiesta di un familiare) una “sedazione profonda e continua” fino al decesso (L. 38/2010 e 219/2017), permettendo ai sanitari di interrompere nutrizione, idratazione e trattamenti volti al solo prolungamento della vita.

[15] Lejeune J., L’embrione segno di contraddizione, ed. Orizzonte medico, Roma, 1992, 126.

[16] In il Venerdì di Repubblica n.1082/08, 33.

[17] E pensiamo solo a come, in punto dignità, la Chiesa non sia in condizione di dare lezione a chicchessia: basti pensare a come non si fosse affatto opposta con tutta la sua forza (salvo singole eccezioni) alle leggi razziali mussoliniane, né a quelle naziste.

[18] Il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) nel parere del 29 gennaio 2016 “Sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte” definisce tale procedura come “la somministrazione intenzionale di farmaci alla dose necessaria richiesta per ridurre fino ad annullare la coscienza del paziente, allo scopo di alleviare il dolore e il l’angoscia (es. timore fondato di morire soffocato non potendo più respirare).

[19] Cfr. l’articolo La crocifissione, al n. 499 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-499---7-aprile-2019-1/numero-499---7-aprile-2019.