Bose, l’Abissinia, Casa Alta: visita apostolica alle nostre vite

Collegio dei Gesuiti di Kutná Hora, Repubblica Ceca - foto tratta da commons.wikimedia.org

Fin dalla nascita del nostro giornale, attraverso ormai più di dieci anni che ne hanno scandito la storia con eventi ecclesiali, personali, sociali, culturali, civili non sintetizzabili in analisi affrettate, la Comunità monastica di Bose ha costituito imprescindibile punto di riferimento.

Su “Avvenire” di ieri, sabato 11 gennaio 2020, a p. 14, è comparso un trafiletto, a firma di Filippo Rizzi, dal titolo “La Comunità di Bose grata per la Visita apostolica”.

E la notizia di una Visita apostolica tutt’ora in corso a Bose è riportata sia nello stesso sito della Comunità (https://www.monasterodibose.it/comunita/notizie/vita-comunitaria/13512-un-tempo-di-grazia-e-di-ascolto), sia nel sito dell’Agenzia di Informazione SIR (https://www.agensir.it/quotidiano/2020/1/9/monastero-di-bose-visita-apostolica-per-esercizio-autorita-gestione-governo-e-clima-fraterno/), oltre che altrove (ad esempio http://www.ancoraonline.it/2020/01/10/monastero-bose-visita-apostolica-esercizio-autorita-gestione-governo-clima-fraterno/). Non si tratta della medesima tipologia di visita già ricevuta dalla Comunità nel 2014, anche se è visitatrice – assieme al primate della Congregazione Benedettina Sublacense-Cassinese, Guillermo León Arboleda Tamayo, ed al canossiano psicologo p. Amedeo Cencini (https://www.huffingtonpost.it/2013/09/19/cencini-psicologo-chiesa-freud_n_3952841.html) – la badessa trappista di Blauvac (https://abbaye-blauvac.com/), sr. Anne-Emmanuele Devêche, che già fu presente nel 2014, assieme al benedettino p. Michel Van Parys, al tempo abate di Chevotogne.

L’attuale visita è profondamente diversa da quella del 2014 – che fu denominata, dalla stessa Comunità, come “canonica” - perché, appunto, è “apostolica”, cioè voluta dalla Santa Sede, anzi, stando al comunicato presente nel sito cui si è fatto rinvio sopra, allo stesso Papa Francesco.

Da un punto di vista meramente canonistico, la rilevanza di simile annotazione è notevole, se si pensa che la Comunità monastica di Bose costituisce, proprio a norma di diritto canonico, un’associazione privata di fedeli. Dunque il Santo Padre invia visitatori, e visitatrice, di sua nomina, presso un’associazione privata di fedeli.

Perché?

Da un lato, sembra necessario ricordare il messaggio che Francesco pure inviò al fondatore Enzo Bianchi  non molti mesi fa, l’11 novembre 2018 (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20181111_lettera-enzobianchi-bose.html), in cui il Papa affermava che «Il semplice inizio è divenuto una significativa missione che ha favorito il rinnovamento della vita religiosa, interpretata come Vangelo vissuto nella grande tradizione monastica. All’interno di questa corrente di grazia, la vostra Comunità si è distinta nell’impegno per preparare la via dell’unità delle Chiese cristiane, diventando luogo di preghiera, di incontro e di dialogo tra cristiani, in vista della comunione di fede e di amore per la quale Gesù ha pregato.» E proseguiva: «Desidero esprimere il mio apprezzamento specialmente per il ministero dell’ospitalità che vi contraddistingue: l’accoglienza verso tutti senza distinzione, credenti e non credenti; l’ascolto attento di quanti sono alla ricerca di confronto e consolazione; il servizio del discernimento per i giovani in cerca del loro ruolo nella società. I frutti prodotti dalla vostra opera di fede e di amore sono tanti, e i più conosciuti solo al Signore.

Di fronte alle sfide contemporanee, vi incoraggio ad essere sempre più testimoni di amore evangelico anzitutto fra di voi, vivendo l’autentica comunione fraterna che rappresenta il segno, dinanzi alla Chiesa e alla società, della vita alla quale siete chiamati. Gli anziani della comunità incoraggino i giovani e i giovani si facciano carico degli anziani, tesoro prezioso di sapienza e di perseveranza. Potrete così vivere con grandezza di cuore anche con gli altri, specialmente con i più poveri di speranza. Continuate ad essere attenti ai piccoli, agli ultimi, ai pellegrini e stranieri: essi sono le membra più fragili del corpo di Gesù.»

Dall’altro lato, il comunicato della Comunità non ha difficoltà a rivelare che la visita apostolica avviene «nel momento di un passaggio che non può non essere delicato e per certi aspetti problematico per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità, la gestione del governo e il clima fraterno.»

Il qui scrivente direttore de “Il giornale di Rodafà” pensa che debba essere enormemente ammirata ed ecclesialmente ringraziata la parresía – così cara del resto a Francesco - con cui una delle realtà protagoniste della stagione postconciliare in Italia rende tutti consapevoli della delicatezza e problematicità di un passaggio della propria storia.

Anzi, ammettiamolo, se non ci fosse stato un comunicato da parte della stessa Comunità monastica probabilmente nessuno saprebbe alcunché di una visita apostolica a Bose, o quantomeno è stata la stessa Comunità a volerne dare per prima notizia.

È possibile aggiungere qualcosa di più? Forse sì. E cioè che l’aspetto istituzionale – se non vogliamo dire “giuridico” non diciamolo, ma il senso è chiaro -, l’aspetto “canonico” dunque è ineliminabile ed è, in certa misura, anche decisivo. Sono oggetto di visita – sembra di poter capire dal comunicato – l’esercizio dell’autorità, la gestione del governo ed il clima fraterno all’interno di una – canonicamente considerata – associazione. Sino agli inizi del mese di febbraio, il monastero di Bose è chiuso all’ospitalità, come da consueto calendario d’ogni anno, e la Comunità, si legge sempre nella medesima fonte, «vive questa “visitazione” come tempo di grazia e verità.»

La verità impone di non eludere i problemi. La grazia si accompagna non alla loro risoluzione – non subito almeno -, bensì alla loro franca discussione.

Ancora due possibili considerazioni: l’esperienza delle associazioni in ambito ecclesiale, molto diverse dai “movimenti”, non è conclusa ed il loro futuro, tuttavia, scruta comunque orizzonti di radicale novità rispetto a modelli ricorrenti e forme consolidate. Mi permetto di osservarlo anche in qualità di Presidente di un’associazione culturale che, pur del tutto laica per esplicita previsione statutaria, contempla tra i suoi fini, all’art. 3 dello Statuto (https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/atto-costitutivo-e-statuto-dell-associazione-casa-alta), la diffusione e la promozione anche della cultura teologica e l’ampliamento della sua conoscenza “attraverso contatti fra persone, enti privati e pubblici ed associazioni”. L’acquisizione da parte dell’associazione “Casa Alta”, proprio in queste ore, dell’intera serie di “Civiltà Cattolica”, fin dalle sue origini, proveniente dalla biblioteca personale del Prof. Giovanni Miccoli, per donazione insigne della consorte del compianto grande storico della Chiesa, Anna Maria Lumbelli, impone un’assunzione di responsabilità che non credo possa rimanere esterna, seppur – merita ripeterlo – in modalità puramente laiche, al campo di frequentazione ecclesiale, con le sue diverse implicazioni.

La seconda osservazione inerisce invece all’istituto della “visita apostolica”.

Ieri il Papa, come preannunciato nello scorso numero del nostro giornale, ha ricevuto in udienza la Comunità del Pontificio Collegio Etiopico (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2020/january/documents/papa-francesco_20200111_collegio-etiopico.html). Potrebbe accadere che anche i cattolici eritrei residenti al di fuori del loro Paese ricevano la nomina di un “Visitatore Apostolico”, come già avvenuto pochi giorni fa per i fedeli etiopi residente in Europa nella persona di Abba Petros Berga (https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2020/01/07/0012/00020.html)? A modestissimo e umilissimo avviso del sottoscritto, sarebbe davvero opportuno e necessario. E proseguendo nelle domande: che significato potrebbe avere? In realtà un eventuale Visitatore avrebbe da affrontare aspetti non molto dissimili da quelli coinvolti nella visita a Bose.

Certamente la “Visita apostolica” per fedeli di rito orientale è molto diversa, in termini canonici, dalla “Visita apostolica” ad una comunità privata di fedeli a norma di codice latino (il Codex iuris canonici del 1983), ma la realtà ecclesiale ha le medesime urgenze: esercizio dell’autorità, gestione di governo e clima fraterno.

Il passo degli Atti degli Apostoli – dal capitolo 10 - che la liturgia romana prevede per l’odierna domenica In Baptismate Domini riporta quella ultra sintetica individuazione personale, “Gesù di Nazaret”, su cui abbiamo provato sommessamente a svolgere già qualche riflessione (https://sites.google.com/site/edizione500rodafa/numero-536---22-dicembre-2019/rodafa). In ambito ecclesiale si decide tutto dal rapporto con tale “nome e cognome”: è la sua verità ad essere normativa, o la sua simulazione a frantumare ogni assetto istituzionale.

Il senso dell’essere Chiesa – vissuta personalmente, in forma associativa, in quanto appartenente ad una comunità monastica o ad una che vive lontano dal proprio Paese – è soltanto attesa rivolta all’ebreo Yeshua in un dialogo che ha tutte le caratteristiche di una confidenza amorosa: ti attendo, ti chiamo “perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre”, come profetizza Isaia nella prima lettura prevista proprio oggi nelle nostre chiese quotidiane, che, verosimilmente, non sono né monastiche né abissine.

Apertura degli occhi, liberazione dal carcere che impedisce di vedere la luce.

Orizzonti di laicità, orizzonti del tutto nuovi, forse scrutati sino ad ora solo con timore immobilizzante, attendono nuove rivelazioni di Chiesa. Tutte, tutti assieme, s’il vous plaît, di qualunque appartenenza confessionale od anche di nessuna.

E potremo fare assieme qualcosa di completamente nuovo, eppure coerente. Speriamo, soprattutto, di liberante.

Buona domenica,

 

Stefano Sodaro