Walter Kasper: la verità nella carità

Walter Kasper - foto tratta da commons.wikimedia.org

Il card. Walter Kasper, già Presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e uno dei più autorevoli teologi contemporanei, con la sua persona e il suo impegno scientifico e accademico, rappresenta una Chiesa che vuole essere solidale con «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi» (GS, n.1).

Nasce il 5 marzo 1933 a Heidenheim an der Brenz, Germania. Dopo gli studi di teologia (1952-56) e l’ordinazione sacerdotale (1957), nel 1961 consegue presso l’Università di Tubinga il grado accademico di Dottore in Teologia e tre anni dopo la libera docenza. Nello stesso anno viene chiamato, su invito di J. Ratzinger, alla cattedra di teologia dogmatica presso la Facoltà di Teologia cattolica a Münster e diventa così il più giovane professore ordinario tedesco. Nel 1970 si trasferisce a Tubinga, dove vi trova, come colleghi e interlocutori, M. Seckler, H. Küng, A. Auer, J. Moltmann ed E. Jüngel. Si tratta, come egli stesso rievoca, di «un periodo incredibilmente ricco e vivace sul piano culturale», che segna la pubblicazione del volume Gesù il Cristo (1974), il suo libro più apprezzato e di larga diffusione. In esso lo scopo è quello di «rielaborare le nuove questioni esegetiche e storiche, di interpretare la fede della chiesa in confronto critico e costruttivo con il pensiero contemporaneo e di renderlo fecondo in senso spirituale e pastorale». Il testo sarà ampiamente apprezzato anche da Benedetto XVI, che, nel 2008, in occasione dei 75 anni di Kasper, scriverà: «la tua cristologia, appena apparsa in una nuova edizione, è diventata un orientamento per molte persone, teologi e laici, nelle diverse lingue e culture […] tu ci hai richiamato il vero centro della teologia, che è per sua natura discorso di Dio». Nel 1985 è nominato Segretario teologico del Sinodo straordinario dei Vescovi, che si tiene a Roma in occasione dei vent’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II. Ha modo così di rileggere i documenti conciliari e giunge alla conclusione che l’idea di fondo del concilio è la concezione della chiesa come communio, che da allora in poi diventerà il tratto distintivo della sua ecclesiologia. Quattro anni dopo, viene consacrato vescovo di Rottenburg-Stuttgart, una delle più grandi diocesi della Germania, che guiderà per dieci anni, fino a quando papa Giovanni Paolo II lo sceglie come Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Nel 2001 riceve la porpora cardinalizia e viene nominato Presidente dello stesso Consiglio oltre che della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo. Il 1 luglio 2011, per raggiunti limiti di età, Benedetto XVI accoglie le sue dimissioni. Questo per lui non significa affatto il pensionamento, tanto che dà alle stampe la sua summa Chiesa cattolica. Essenza- Realtà- Missione (2011) e, nel 2014, tiene la relazione principale davanti al Concistoro dei cardinali su Il Vangelo della famiglia, pubblicata in un volume definito da Papa Francesco un libro in cui «ho trovato una teologia profonda».

Il cammino teologico di Kasper, sin dagli inizi della sua carriera, viene tracciato soprattutto dal suo docente di dogmatica, J. R. Geiselmann, che gli fa conoscere l’opera di J. A. Möhler. A questo insegnamento Kasper è sempre rimasto fedele, al punto da diventare uno dei più noti e importanti nomi della scuola cattolica di Tubinga. Il tratto caratteristico della Scuola cattolica di Tubinga è connotato dallo stretto legame che intercorre tra una rigorosa scientificità e il riferimento costante alla ecclesialità e alla prassi. J. S. Drey (1777- 1853), il suo vero fondatore, viene considerato un pioniere della teologia contemporanea, perché ne ha definito a nuovo il ruolo, procedendo ad uno sviluppo dei suoi principi e dei suoi metodi. Si tratta, qui, della concezione di una scientia fidei, avviata in età medioevale da Anselmo di Canterbury, che è risultata essere il modello decisivo nel Cristianesimo. Drey si colloca nel suo alveo e da essa parte per svolgere le sue considerazioni. Già l’Aquinate aveva cercato di offrire una soluzione allo stesso problema, ma il caso di Drey si configura diversamente, per via del mutato clima culturale, alla luce e dopo la temperie della filosofia idealistica. Tutto ciò ha anche una dimensione ecclesiale, perché Drey elabora una teologia come scienza ecclesiale, che non solo non si contrappone alle ragioni di far più coerente il discorso teologico con le categorie prese a prestito dalle scienze, ma trova in esse il luogo più idoneo per operare, perché «la teologia è scientifica se è ecclesiale ed è ecclesiale se è scientifica» [1].

Oggigiorno, Drey viene considerato come un autore di «importanza permanente» [2], perché, secondo J. Ratzinger, «non ha perduto nulla della sua freschezza fino ad oggi» [3]. Kasper si forma sui testi di Möhler, dal quale apprende, come gli stesso scrive: «una visuale storica viva, nonché una visuale cristologica e pneumatologica della chiesa […] Da allora mi sono sempre sentito impegnato a seguire questa concezione ecclesiologica della scuola di Tubinga». [4] Nei suoi tratti essenziali, questo discorso per Kasper non è affatto superato; anzi, solo oggi le sue esigenze di fondo hanno raggiunto la loro piena maturità. In questo grande alveo si collocano tutti i suoi testi successivi. Nel 1962, quando iniziano i lavori del Vaticano II, egli si appresta a scrivere il suo lavoro di abilitazione sulla filosofia del secondo Schelling, che è «un tema legato a Tubinga» [5]. Occuparsi di Schelling significa fare i conti con uno degli ultimi grandi tentativi di affrontare il discorso cristologico e «introdurre agli attuali problemi di fondo della cristologia, problemi che, cum grano salis, possono essere sintetizzati nel motto: Hegel e i successori» [6]. In questo progetto Kasper viene a convergere con la prospettiva - nel suo complesso assai affine, nonostante alcuni punti di dissenso non essenziali -, di X. Tilliette che si riannoda a Schelling perché le posizioni della sua tarda filosofia rappresentano un trattato De verbo Incarnato [7].

Per cogliere correttamente gli esiti a cui giunge Kasper, occorre cercare di chiarire la nozione di storia che egli fa propria e che si colloca, sia pure in maniera più radicale e accentuata, nella stessa direzione di fondo impressale dal secondo Schelling e da Staudenmaier. In sede teologica, questa concezione si traduce in un appello alla centralità dell’escatologia, che si deve configurare non più come un singolo trattato, «ma deve improntare la totalità del pensiero teologico […] richiede un pensiero teologico che si realizza non più nell’orizzonte della natura e delle idee, ma in quello della storia e della libertà». [8] Le posizioni fin qui esposte, tuttavia, sono state prese a termine di confronto critico soprattutto da K. Barth (1886-1968), che per un verso ha apprezzato le affermazioni principali in cui si è articolata la scuola cattolica di Tubinga, come degne della più grande attenzione e ha visto in Möhler «la figura classica di questa teologia […] il padre del nuovo cattolicesimo tedesco», ma per altro verso gli ha rivolto l’accusa di giungere, nei suoi esiti ultimi, a identificare la Chiesa e la rivelazione che la fonda.

Kasper, in alcuni dei suoi testi dati alle stampe negli anni 60’, rileva che il dissenso di Barth si puntella sulla «mediazione ecclesiologica di unicità e continuità dell’evento Cristo» [9], cioè sull’obiezione che in Möhler «non verrebbe mantenuta la superiorità di Cristo sulla chiesa». [10] Poi, traccia le linee di una difesa della Scuola di Tubinga. Mette così in risalto il fatto che gli stessi teologi tubinghesi «hanno riconosciuto con molta chiarezza i limiti del modello di pensiero» organicistico di cui si servivano [11] e si sono appropriati dell’idea di organismo, ma prendendola a prestito dall’idealismo tedesco e non da Darwin, che è venuto dopo.

Questa difesa si risolve in Kasper in una sistematica re-impostazione del metodo teologico. Il compito di precisare il rapporto tra dogma (formulazioni dottrinali della Chiesa) ed evangelo, egli lo affida inizialmente ad un denso volumetto dal titolo Dogma sotto la parola di Dio (1965). In esso, suo scopo è quello di mostrare che il dogma è il risultato di un processo storico della chiesa, che così traduce di volta in volta il messaggio evangelico. La presa di coscienza di questo risultato deve condurre ad un rinnovamento di tutti gli aspetti della teologia, alla luce di un rinnovato discorso sulla teologia della parola di Dio. La Scrittura, tuttavia, non costituisce una unità: in essa ci sono tensioni e differenze nella presentazione dell’annuncio. Si pone così l’interrogativo: «dove si trova il punto di convergenza, l’unità e il centro della Scrittura?». Secondo Kasper, bisogna prendere, nell’annuncio e nella teologia, tutta la Scrittura nel suo insieme, non l’una parte o l’altra. Non ci si può, poi, limitare ad una pura e semplice parafrasi dei testi biblici, perché quest’ultimi non offrono in maniera immediata la risposta ai problemi con cui si trovano a doversi confrontare oggigiorno il predicatore e gli stessi fedeli. Tra la situazione odierna e la Scrittura vi è una distanza temporale e culturale di due millenni che bisogna colmare. L’esempio paradigmatico di come procedere in proposito ci viene offerto da Paolo (I Cor 15, 3-5), che si colloca all’interno di una tradizione, che fa propria e che trasmette ulteriormente nel suo annuncio. Questa tradizione è stata continuata dopo di lui e sta ad indicare che la Chiesa deve mediare il messaggio di Cristo, datoci una volta per sempre e vincolante, e far sì che esso risponda ai problemi che continuamente emergono nel corso della storia. Tutto ciò rinvia ad un duplice scopo: da un lato occorre mettere in risalto la normatività della Scrittura e, nello stesso tempo, quella delle successive professioni di fede.

In questo modo, la Scrittura e la tradizione diventano due grandezze che non possono essere isolate l’una dall’altra, perché gli stessi testi biblici non solo conoscono l’idea di tradizione, ma sono stati incorporati nel canone attraverso un lungo processo storico. Tuttavia, da «un punto di vista teologico la tradizione non ha prodotto la Scrittura, ma ha piuttosto conosciuto e riconosciuto come parola divina mediata dalla parola umana quella Scrittura nello Spirito Santo dallo Spirito. Perfino nell’atto di formazione del canone la Chiesa nello stesso tempo si è posta sotto la Scrittura come canone (canone come metro). Perciò c’è una preminenza della Scrittura rispetto alla tradizione e una funzione critica della Scrittura rispetto alla tradizione» (W. Kasper, Chiesa cattolica, p. 471). Questo aspetto implica l’urgenza di una nuova determinazione e di un rinnovamento del rapporto tra Scrittura e tradizione, che può essere svolto nell’ambito di una prospettiva pneumatologica, non all’interno di un sistema rigidamente chiuso in se stesso, ma in un sistema aperto, che presenta due dimensioni: una diacronica e l’altra sincronica. Nella prima, la Scrittura e la tradizione vengono intesi «come tipi e modelli vincolanti per i tentativi attuali di tradurre il vangelo nel linguaggio e nei problemi del nostro tempo»; invece, nella seconda ci sono i vari carismi, servizi e ministeri, che hanno come compito l’ulteriore sviluppo e la costruzione della stessa Chiesa. Lo svolgersi tensionale di questo processo ha come suo punto di riferimento la Scrittura e la tradizione e deve portare ad un arricchimento reciproco dei suoi momenti, senza che nessuna delle posizioni coinvolte si faccia esclusiva e si assolutizzi. Quando l’una o l’altra delle posizioni parziali viene isolata come unico criterio si cade nel fenomeno dell’eresia. L’ortodossia, comunque, non è da intendere come un sistema uniforme, razionale e astratto dalla realtà concreta, ma piuttosto come il raggiungimento del «noi della comunità ecclesiale, attraverso tensioni e conflitti in un comune percorso nel comune cammino della tradizione» (ivi, p. 473). La difficoltà principale che si incontra, nel far propria questa criteriologia, consiste nel cercare di integrare le posizioni particolari senza assolutizzarle. «Per il credente in Gesù Cristo è apparso il senso escatologico dell’intero. Egli è perciò il Typos, la chiave per la comprensione del tutto della realtà (Bonaventura) […] ciò significa che l’esegesi cristologica è di conseguenza come interpretazione della Scrittura nello stesso tempo interpretazione del mondo» (ivi, p. 474). Per queste ragioni, il mondo può essere considerato come un locus theologicus. Esso non è, quindi, solamente il luogo a cui si rivolge il vangelo, ma è nello stesso tempo già il luogo in cui si trova e la chiesa «è sotto il vangelo, già in mezzo al mondo», come chiesa per gli altri. Nel solco di queste posizioni Kasper ha elaborato una propria ecclesiologia - sulla scia della cristologia pneumatica espressa nel volume su Gesù il Cristo e nell’insegnamento del Concilio [12] -, in cui ha accolto come «determinante» [13] l’idea di Chiesa come communio. Il passo successivo è stato quello di sviluppare concretamente l’idea di Chiesa intesa come «un’unica vivente realtà di comunione, popolo di Dio nella sua intera diversità di carismi, ministeri e servizi, una Chiesa che siamo tutti noi» [14]. Affrontare e chiarire questo discorso significa chiarire il problema dei cristiani e della chiesa nel mondo di oggi, che è uno degli aspetti più cruciali, e più vitali, con cui la teologia del XX secolo deve confrontarsi [15].

 

Antonio Russo

Professore Ordinario di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Trieste

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Note

[1] B. Forte, Postfazione, in J. S. Drey, a c. di M. Seckler, Breve introduzione allo studio della teologia, Morcelliana, Brescia 2002, p. 279.

[2] J. Ratzinger, Premessa, in J. S. Drey, Breve introduzione allo studio della teologia, p.7.

[3] Ibidem, p.10.

[4] W. Kasper, Chiesa cattolica. Essenza - Realtà - Missione, Queriniana, Brescia, 2012, p. 17.

[5] W. Kasper, Al cuore della fede. Le tappe di una vita, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009, p. 42.

[6] W. Kasper, Crisi e nuovo inizio della cristologia nel pensiero di Schelling, in J. Moltmann, W. Kasper, H.-G. Geyer, H. Küng, Sulla teologia della croce, Queriniana, Brescia, 1974, pp. 55-56.

[7] X. Tilliette, Une introduction à Schelling, Honoré Champion, Paris, 2007, p.126

[8] W.Kasper, Fede e storia, Queriniana, Brescia, 1975, p. 29.

[9] Ivi, p.31.

[10] Ibidem.

[11] Ivi, pp.31-32.

[12] Ivi, p.39.

[13] Ivi, p.41.

[14] W. Kasper, Chiesa dove vai?, Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 1990, p.47.

[15] W. Kasper, Natur – Gnade – Kultur. Zur Bedeutung der modernen Säkularisierung, in W. Kasper, Theologie und Kirche, Bd. II, Mainz 1999, p. 195.