Obbedienza

Obbedienza - disegno di Rodafà Sosteno

Uno dei cavalli di battaglia della Chiesa è l’obbligo di obbedienza (nn. 852, 915, 1269, 1900, 2216 Catechismo), e ancora papa Benedetto XVI [1] in sintonia con l’art. 470 del Catechismo di Pio X (secondo cui Gesù stesso avrebbe comandato l’obbedienza), affermava solennemente che siamo senza dubbio obbligati ad obbedire alla Chiesa; bisogna obbedire ai suoi pastori che sono gli unici legittimi rappresentanti di Gesù Cristo in terra.

Anche l’attuale can. 212 del codice di diritto canonico riconferma che «tutti i fedeli sono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentanti di Cristo, dichiarano come maestri della fede e dispongono come capi della Chiesa».

Come si vede, semplicemente s’invoca e si vuol imporre la propria autorità [2], e non si dice dove Gesù avrebbe comandato l’obbedienza. Questa costruzione dottrinale ha inculcato però nella gente l’idea, tipica dei dirigenti dei farisei con cui si confrontava Gesù, che vivere per Dio implica vivere nell’osservanza della sua legge, mentre vivere senza obbedire alla legge interpretata dai rappresentanti di Dio in terra, è lo stesso che vivere nel peccato. Poi, visto che c’eravamo, è stato anche aggiunto che la Chiesa ha il potere, che ovviamente le viene sempre da Dio, di fare leggi ed esigerne l’osservanza (artt. 189-190 Catechismo Pio X): in altri termini, leggi umane della Chiesa vengono fatte entrare nell’area del sacro e sono quindi divinizzate.

Questa pretesa non è recente (anzi oggi, con papa Francesco, si sta allentando), ma risale a molti molti secoli fa. Risale probabilmente al 1075 quando Papa Gregorio VII, col suo Dictatus papae, fra le altre cose, si autoattribuiva il potere di farsi baciare i piedi da tutti i principi e di deporre gli imperatori, e affermava che la Chiesa romana – che lui rappresentava -  non aveva mai sbagliato in passato e mai avrebbe potuto sbagliare in futuro.

Circa due secoli più tardi papa Bonifacio VIII così concludeva la sua Bolla Unam sanctam: “Dichiariamo, affermiamo, stabiliamo che l’essere sottomessi al romano pontefice è, per ogni creatura umana, necessario per la salvezza”[3]. Dunque, ormai è almeno un millennio che la Chiesa vanta un “potere divino”, che riguarda tutti, mentre nessun uomo può contraddire il papa, giacché l’umano non può ovviamente mettere in discussione il divino. I canoni 751 e 1364 del codice di diritto canonico, a scanso di equivoci, puniscono con la scomunica il rifiuto alla sottomissione al Sommo Pontefice, considerando tale disobbedienza come scisma.

Ma qualcosa deve essere per forza cambiato anche nella Chiesa se non sono stati scomunicati coloro che apertamente si oppongono oggi a papa Francesco. E come mai non era stato scomunicato neanche Benedetto XVI [4] quando, ancora giovane teologo progressista, aveva scritto: “Al di sopra del papa… sta ancora la coscienza individuale, alla quale prima di tutto bisogna obbedire, in caso di necessità anche contro l’ingiunzione dell’autorità ecclesiastica”? [5] Dunque, la Chiesa cambia anche se dice di non cambiare. Siamo davanti a un altro esempio di contraddizione, e la storia della Chiesa è ricca di contraddizioni.

Vediamo però ora alcuni dei motivi addotti a conferma del dovere di obbedienza:

(1) Ci viene detto che occorre obbedire perché la libertà è pericolosa. Il n. 1732 del Catechismo spiega appunto che la libertà può diventare sorgente di lode o di biasimo, di merito o di demerito, di santità o peccato. Proprio la libertà, infatti, fa sì che l’uomo possa compiere il male e quindi orientarsi contro Dio [6], cioè peccare. Per il magistero, la libertà è l’origine del male nel mondo, e quindi del peccato, che è entrato nel mondo proprio perché l’uomo era libero di scegliere pro o contro Dio [7]. Perciò, obbedendo alla Chiesa e alle sue leggi, si riduce la possibilità di peccare, mentre la disobbedienza è un abuso di libertà (n. 1733 Catechismo).

La realtà è che la Chiesa, oltremodo spaventata da una nuova cultura che ha preso sempre più piede nel mondo occidentale, ha contrapposto autorità a libertà, perché ha letto la libertà come negazione della sua autorità e ha visto ogni novità come una minaccia. La Chiesa non tollera l’esistenza di persone che sfuggono al suo controllo. Sicuramente era convinta in questo modo di essere dalla parte giusta, e che tutti gli altri vivevano nell’errore, ma è altrettanto indubbio che chi viveva dalla sua parte (cioè quella giusta) non era affatto libero. Questa presa di posizione, fra l’altro, induce ancora oggi molti a credere che Dio sia contrario alla libertà, mentre sicuramente il Dio prospettatoci da Gesù è il Dio della libertà.

Nell’800 Antonio Rosmini aveva con acutezza, ma inutilmente, tentato di comporre questa contrapposizione: è vero che siamo liberi perché un’autorità ce lo ha concesso. Ma quando l’autorità ha fatto il suo lavoro deve scomparire, e solo ripensando da persone libere ad essa si vede la sua importanza. Dietro alla nostra libertà, cioè, c’è sempre l’autorità di qualcuno: se i genitori non ci avessero spinto a camminare, oggi non saremmo capaci di camminare, il che ci ha reso più liberi; se i nostri maestri non ci avessero insegnato a ragionare, oggi non saremmo capaci e liberi di pensare. Senza autorità, dunque, la libertà non nasce. Ma senza libertà l’autorità non vive, o meglio: vive solo un autoritarismo autoreferenziale che cerca d’imporsi con la prepotenza, mentre la vera autorità vive solo perché viene riconosciuta come tale da chi vede che essa si è attivata per farlo crescere e progredire (Andrea Grillo, relazione su Chiesa, autorità e vangelo, tenuta all'Università di Trieste il 22.2.2017, https://www.youtube.com/watch?v=GeXemEGbFyA).

Poi, visto che dobbiamo guardare soltanto ai vangeli, se per la Chiesa cattolica la disobbedienza è un abuso di libertà (n. 1733 Catechismo) dobbiamo riconoscere che Gesù ha inanellato una serie impressionante di abusi. E sappiamo anche che trasgredendo la legge aveva ben chiaro in mente che la conseguenza sarebbe stata per lui la morte. Quando Gesù tocca il lebbroso e lo purifica sa bene che il gesto era una palese disobbedienza alla legge divina (Lv 13, 45 s), ma Gesù, in piena consapevolezza, non si sottomette ad essa. Peggio: la legge diceva che l’impurità della persona impura si trasmetteva al puro anche se questi toccava la fonte d’impurità inavvertitamente (Lv 5, 3). Gesù dimostra il contrario: toccando l’impuro lui lo purifica. Quindi Gesù non solo disobbedisce, ma abolisce la Legge, dimostrando che la violazione volontaria della norma produce l’effetto opposto a quello previsto dall’insegnamento religioso.

Quando l’uomo invalido trasgredisce e prende il suo lettuccio, finalmente comincia a camminare (Mc 2, 12) e in quel momento sfata l’insegnamento del magistero secondo cui occorre obbedire alla legge se non si vuol essere puniti da Dio (la malattia, come si sa, era considerata una punizione divina, quindi quell’uomo, punito per il peccato con la malattia, continuava a peccare prendendo il lettuccio e non può avvicinarsi a Dio: c’era un impedimento oggettivo per avvicinarsi a Dio, un po’ come oggi per il divorziato che vorrebbe comunicarsi). Era la religione che terrorizzava con minacce la gente, in caso di disobbedienza alla legge divina (Dt 28, 15ss.). Invece cosa succede quando non si obbedisce? Non una maledizione, ma una benedizione. Gesù insegna a disobbedire al magistero. Il messaggio di Gesù risuona drammatico ancora oggi: continui ad obbedire? Resti infermo. Disobbedisci? Riesci a camminare (Maggi A.) sulle tue gambe. L’evangelista ci sta dicendo esattamente l’opposto di quello che il magistero c’insegna ancora oggi: l’obbedienza all’autorità religiosa mantiene l’uomo nella sua infermità, mentre solo la disobbedienza lo libera.

E Gesù stesso è il primo a disobbedire: se Gesù fosse stato veramente obbediente come oggi ci racconta il magistero, se avesse obbedito sempre già a Maria e Giuseppe, sarebbe ancora lì a fare il falegname a Nazareth.

Lo scontro fra queste due opposte concezioni (autorità e obbedienza - libertà e responsabilità) è ben rappresentato anche nel racconto giovanneo del paralitico (Gv 5, 1-15), che rappresenta il popolo/moltitudine sottomesso alle leggi dell’istituzione religiosa. Il popolo è cieco quando è accecato dall’ideologia del sistema religioso che gli indica un modello di comportamento e gli impedisce di conoscere le proprie capacità; è paralizzato quando è bloccato nell’iniziativa, visto che la legittimità dell’ordine non si discute e ogni attività che possa metterlo in discussione è considerata peccaminosa. L’adesione incondizionata a un ordine precostituito annichilisce l’uomo, lo priva della libertà di pensiero e di azione, impedendo la sua crescita personale. Gesù invita l’uomo/popolo a uscire da questa condizione. Come? Guarda caso non obbedendo, ma al contrario proprio trasgredendo il precetto religioso (Gv 5, 8). La libertà del popolo è invece inconcepibile per i suoi capi, i quali ricordano la sottomissione dovuta in base alla legge, da essi definita divina e immutabile (Gv 5, 10: “È sabato, e non ti è permesso prendere il tuo lettuccio”).[8]

È cambiato qualcosa per i nostri capi di oggi? Il dilemma – come si vede,- è vecchio, e già si presentava ai tempi di Gesù. Arriva sempre un momento in cui ci si gioca tutto l’avvenire: o ci si affida a Dio e si accetta il rischio, oppure ci si chiude allo Spirito aggrappandosi alla tradizione, all’insegnamento ricevuto in passato anche se ormai esso non risulta più valido. È l’opzione di ogni uomo fra la luce e le tenebre [9], e anche allora, molti, per non disobbedire all’insegnamento minaccioso del magistero di allora e per non essere espulsi dall’istituzione, preferivano tacere (Gv 7, 13; Gv 12, 43) o fare finta di accettare. Allo stesso modo si comporta tanta gente oggi.

(2) Altra spiegazione che ci viene data per giustificare l’obbedienza: anche i santi si sono sempre sottomessi [10]. Questo non è vero proprio per tutti: pensiamo a quanti sono stati osteggiati dalla gerarchia perché poco inclini all’obbedienza; pensiamo recentemente a Padre Pio o in passato a Santa Teresa d’Avila definita dal suo vescovo “femmina inquieta e vagabonda” [11], e sfuggita solo fortunosamente alla Sacra Inquisizione.

(3) Ma la più incisiva spiegazione ufficiale che ci viene data per giustificare l’obbedienza è l’affermazione che Gesù stesso ha comandato di obbedire.

Quando un prete vi dice queste cose, chiedetegli sempre: “Dove sta scritto questo nei vangeli?” Si è ormai più volte affermato che ogni spiegazione, ogni insegnamento deve fondarsi solo sulle Scritture (Dei Verbum 21, 24), e che dobbiamo concentrarci su quanto ha detto e fatto Gesù; dopodiché occorre buttar via, eliminare come incompleto o falso tutto quello che pensiamo di Dio e che invece non si riscontra in Gesù. Dunque, la spiritualità cristiana, per essere autentica deve alimentarsi nei vangeli. Ebbene, qual è la posizione di Gesù nei vangeli in punto obbedienza e libertà?

A differenza della Chiesa, Gesù non ordina, ma offre (Se uno vuole: Mt 16, 24), e soprattutto mai chiede obbedienza. Gesù non fa mai alcuna pressione religiosa: neanche quando, dopo aver cercato di chiarire che egli non è il Messia atteso (quello vendicativo, violento e vittorioso), invita a rinnegare sé stessi e a sollevare ognuno la sua croce (Mc 8, 34). Gesù non impone a nessuno di seguirlo.

In ogni caso, a differenza di quanto vien fatto dire a Gesù nel Corano (sura III, 50: “dunque temete Dio e obbeditemi”), mai, nei Vangeli canonici, Gesù chiede obbedienza a Dio! Lo abbiamo sentito dire spesso: “assomigliate a Dio”. E com’è questo Dio? È buono con gli ingrati e con i malvagi (Mt 5, 45). Nei Vangeli mai Gesù chiede obbedienza a sé. Eppure, visto che tante volte gli apostoli non capivano cosa cercava loro di spiegare, ben avrebbe potuto dire loro: «Ora voi non capite quello che faccio; lo capirete in seguito, ma per adesso obbeditemi» (es. Gv 13, 7). Mai ha chiesto obbedienza agli uomini (Maggi A., Il volto di Dio, relazione tenuta a Cuneo nel 2005, 76). Mai, nei Vangeli canonici, Gesù chiede di obbedire ai suoi discepoli, che pur invia in missione. Anche loro devono offrire, non imporre.

Immaginarsi se, non avendo chiesto di obbedire a nessuno, neanche al Predeterno, Gesù può aver chiesto di obbedire a Pietro e ai suoi successori!

Di più: Gesù ha imposto seccamente ai suoi apostoli (da cui è derivato il clero) di non fare quello che facevano i capi delle nazioni: dominare, imporre la propria autorità pretendendo obbedienza. E lo stesso Gesù ha poi concluso con la sua ferma decisione: “Tra voi non sarà così” (Mc 10, 43; Mt 20, 25-26; Lc 22, 35-36). Al contrario dovranno essere servitori e schiavi (dovevano lavare i piedi gli altri, ossia “farsi schiavi”); dovevano darsi totalmente, come colui che si fa cibo e bevanda per tutti; dovevano amare gli altri, vivere sempre così, giacché in questo sta l’amare Dio.

E Gesù, personalmente, è stato obbediente, sì o no? Se per obbediente s’intende che Gesù è stato fedele al disegno del Padre, si! Se per obbediente, s’intende che Gesù si è sottomesso umilmente e servilmente a tutto quell’ordinamento religioso, istituzionale, giuridico, sacrale che era presentato come volontà di Dio, la risposta è no! [12]

Se è possibile imparare qualcosa da Gesù, si tratta del coraggio della disobbedienza personale nei confronti dell’autorità ecclesiastica. Gesù – osserva Eugen Drewermann - ha attaccato briga col magistero ufficiale del suo tempo, e in maniera talmente forte, che gli esegeti di oggi possono solo cercar d’indovinare se la sua attività pubblica sia durata un anno e mezzo o a massimo due anni e mezzo. Nessuno osa oggi ipotizzare un periodo superiore ai tre anni. In altre parole Gesù è stato disobbediente fino alla morte, che è arrivata molto presto da parte dell’istituzione, proprio a causa della sua disobbedienza.

“Ah” dirà il fervente religioso: “ma Paolo dice che Gesù si e fatto “obbediente fino alla morte”. Questo però vuol dire solo che Gesù ha risposto alla chiamata del Padre fino al punto di accettare (come effetto collaterale) anche la morte; Gesù ha risposto in piena libertà, e non si è comportato così per obbedienza; aveva capito che per restare coerente alla sua missione non c’era un piano B alternativo. Mentre gli ordini si eseguono e non si discutono, qui gli viene presentato un progetto, lo fa suo e cerca di portare a termine quel progetto che condivide. Una bella differenza!

Inoltre sembra interessante notare che, mentre nella religione l’obbedienza diventa un elemento fondante, nei Vangeli canonici nemmeno si trova la parola “religione,” e la parola “obbedienza” – elemento tanto caro alla gerarchia cattolica – si trova solo cinque volte, ma non viene mai riferita alle persone: sempre a elementi contrari all’uomo (Mt 8, 27; Mc 4, 41, Lc 8, 24  riguardo a vento e mare in tempesta;  Mc 1, 27 riguardo a spiriti immondi; Lc 17, 6 riguardo al gelso che deve piantarsi in mare) (Maggi A., Roba da preti, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 120).

“Ah!” mi dirà di nuovo il fervente religioso che ha studiato greco: “però quando Dio intima di ascoltare Gesù (ad esempio nella Trasfigurazione – Mc 9, 7: akoùete), in realtà sta intimando di obbedire a Gesù, perché in greco “ascoltare” e “obbedire” hanno la stessa radice”. È vero, ma le cose non stanno proprio così. Sicuramente, per noi, il concetto di obbedienza viene ancora irrimediabilmente legato all’idea di sottomissione, di una pedissequa esecuzione di un ordine superiore [13], di un adempimento della legge [14]. L’obbedienza si fonda sull’altrui autorità, perché è la volontà dell’autorità che si esprime in una legge, poi vincolante per chi è inferiore e sottomesso [15]. L’aggettivo tradotto con “obbediente” (hupêkoos) nella lingua greca ha vari significati. Il vocabolario del Nuovo Testamento [16] offre quattro possibili traduzioni: 1) ascoltare qualcuno; 2) quando qualcuno bussa alla porta, si viene ad ascoltare chi è (il dovere di un portiere); 3) ascoltare un comando; 4) obbedire, essere obbediente, sottomettersi. Scegliere sempre e solo il quarto di questi significati permette all’istituzione di rafforzare la propria pretesa di obbedienza al magistero, perché così starebbe scritto nel vangelo, sì che così vuole Dio. Ma è esattamente come tradurre almah con vergine, anziché con giovane donna, quando il termine “vergine” in ebraico è reso con betulah e non con almah: la traduzione però permette all’istituzione di confermare la tesi teologica della nascita verginale di Gesù da Maria (cfr. l’articolo La verginità della Madonna al n. 433 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199997---dicembre-2017/numero-433---31-dicembre-2017/la-verginita-della-madonna).

È vero che il verbo usato (hypakoûsai), fra i vari significati ha anche quello di obbedire, infatti è lo stesso verbo greco che viene usato nei vangeli nel caso dei sopravvisti elementi ostili all’uomo: anche questi rispondono al richiamo, all’ordine di Gesù. Ma, si ripete, mai questo verbo viene utilizzato nei confronti degli uomini di fronte all’insegnamento di Gesù.

È stato fatto giustamente osservare che l’obbedienza è collegata all’atto di ascoltare, ma i termini greci [17] hupakouô (obbedire) e akouô (ascoltare) [18] vanno tradotti tenendo conto delle varie sfumature.

Negli Atti degli Apostoli (12,13), quando Pietro esce dalla prigione di Erode, va a bussare in quella che è la chiesa minore (di Maria); lì, la serva Rosa (o Rode), va ad aprire la porta, sentendo bussare. Anche la traduzione ufficiale dice che Rode s’accostò per sentire, non che andò in obbedienza alla porta: anche qui Rode ha risposto ad una chiamata. Trattandosi di una serva-portinaia potremmo anche dire che ha obbedito, non essendo autorizzata a decidere in proprio se a quell’ora di notte (At 12, 6) poteva far finta di niente e scegliere di non andare a vedere chi bussava. Però la sfumatura è diversa anche nella traduzione CEI: si usa qui il secondo dei significati sopra citati.

Allora cosa significa ascoltare/obbedire a Dio? Significa che noi dobbiamo essere come schiavi, sempre sottomessi e obbedienti (accettare sempre e solo il quarto significato)? No, perché proprio chi obbedisce a Dio è libero, non è schiavo! E come si fa? Se obbedisco, non faccio la mia volontà e allora come faccio ad essere libero? Sembra una contraddizione, ma non è una contraddizione. Infatti obbedire presuppone l’ascoltare, il sentire l’altro (il primo dei quattro significati). Obbedire a Dio è, allora, semplicemente «avere il cuore aperto per andare sulla strada che Dio ci indica. L’obbedienza a Dio è ascoltare Dio. E questo ci fa liberi»[19]. Dopo averlo ascoltato si sceglie liberamente.

Vediamo di chiarire meglio. Ci vuole tempo perché la Parola di Dio diventi pensiero nostro. Gesù era morto da tempo quando finalmente Pietro comincia a rendersi conto che Dio non fa preferenze di persone (At 19, 34). Quindi Pietro fino a quel momento avrebbe potuto obbedire senza capire, ma non scegliere. Quando a Pietro, dopo essere stato citato davanti al tribunale ebraico, viene ordinato di non predicare più, deve decidere. Aveva ben ascoltato cosa dicevano i sacerdoti, ma aveva anche sentito quello che Gesù diceva nel suo cuore, per cui a quel punto sceglie in piena coscienza di fare quello che gli dice Gesù, non quello che gli dicono i giudici (At 4, 17-20). Sente in cuor suo che è giusto seguire Gesù, e sceglie. Potremmo anche dire che obbedisce a Gesù, ma ridurre tutto all’obbedienza sottomessa è funzionale soltanto alla dottrina della Chiesa sull’obbedienza[20]. Dopo aver ascoltato si è ancora liberi di impegnarsi ad attuare una Parola che chiama a compierla, o meno, anche quando la situazione è negativa. Cioè si può anche andare per un’altra strada.

Parlavamo prima di san Paolo e della sua frase secondo cui Gesù sarebbe stato obbediente fino alla morte: è stato detto che la croce è l’esempio tipico di obbedienza in una situazione negativa, quindi contraria al volere di Dio [21] il quale vorrebbe la felicità di tutti gli uomini, ma necessaria per mantenersi fedeli al progetto che si condivide. Sarebbe stato meglio anche qui parlare di risposta, non di obbedienza, perché obbedire, nella nostra mentalità, porta in sé l’idea di dover corrispondere alla volontà altrui dando esecuzione all’altrui comando, magari anche senza aver ben capito le ragioni di fondo di quel comando, che si può condividere, non condividere, o perfino non aver capito: “Mi hai detto di fare così ed io faccio così anche se non ho capito perché, ma ogni tuo desiderio è un ordine, gran visir!” dice la schiava al potente ministro. Chi è sottomesso, chi è servo, non ha libertà, gli è solo consentito obbedire, senza poter rifiutare. Prima di obbedire occorre comunque ascoltare, perché si può eseguire un ordine solo dopo aver ascoltato qual è l’ordine stesso. Anche rispondere presuppone un ascoltare, perché chi risponde ha necessariamente prima ascoltato, ma poi ha potuto decidere autonomamente il da farsi, perché la chiamata non contiene un ordine da eseguire, ma una serie di eventi che interpellano l’uomo e lo sollecitano a decisioni di vita [22].

La domanda fondamentale per il cristiano non è allora: come posso obbedire al meglio, in piena sottomissione, all’ordine che mi viene da Dio? Obbedire, infatti, è “sottomettersi a” un altro. Invece seguire è “vivere con” un altro, dare adesione fondendo la propria vita con quella dell’altro. Gesù stesso ha descritto ciò che significa essere suo seguace. I suoi seguaci si distinguono perché danno la loro adesione, non in sottomissione ma in collaborazione, con la propria condotta di vita, impegnandosi con lui e come lui a dedicarsi senza riserva al bene dell’uomo (Lc 6, 47). Quindi la domanda che di fronte a una nuova situazione i cristiani si pongono sarà: che faccio? Faccio così o faccio colà? Faccio i cavoli miei perché mi sono stufato o come posso contribuire al mio meglio per realizzare il progetto di Dio? [23] Ci troviamo di fronte alla possibilità di molteplici risposte, tutte libere, davanti all’offerta d’amore di Dio, per cui è fuorviante parlare di obbedienza a Dio. Non c’è allora questa perfetta sovrapposizione fra ascoltare e obbedire, tant’è che la parabola dei quattro terreni (Mt 13, 9) finisce proprio con la parola akoùeto, che viene tradotta “chi ha orecchi, presti ascolto”, e non “chi ha orecchi, obbedisca”. Chi ha orecchi ascolti, mediti e poi scelga.

La storia poi ci ha insegnato che non c’è nulla di più pericoloso di una persona obbediente, perché la persona obbediente non ragiona con la propria testa, e si trasforma in un mero automa esecutore di ordini. Le più grandi efferatezze della storia non si devono ai disobbedienti, ma a coloro che hanno obbedito agli ordini ricevuti: si pensi allo sterminio totale dei Valdesi in Calabria nel 1561, ad maiorem Dei gloriam (per la maggior gloria di Dio), su ordine di Papa Pio V. Oppure a come venne eradicata in Francia l’eresia càtara da Papa Innocenzo III con una sanguinosa crociata che segnò anche la fine della civiltà occitana (dove si parlava la lingua d’oc): si racconta che nell’estate del 1209 venne investita la città di Béziers, abitata vuoi da eretici, vuoi da cattolici (circa 20.000 persone, di cui circa il 5% càtari). Avendo ottenuto un netto rifiuto da parte degli assediati di consegnare gli eretici, il giorno seguente la città venne espugnata e l’intera popolazione massacrata. Secondo il cronachista cistercense Cesario di Heisterbach, quando prima dell’assalto venne chiesto al legato pontificio (Arnaud Amaury abate di Citeaux) come distinguere gli eretici dai non eretici, questi ordinò di uccidere tutti indiscriminatamente, con la famosa frase: «Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius» (Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi) (in http://www.cathar.info/, in https://www.historia.fr/,in http://www.occitania.it/ ed anche altri siti).

Ma il pericolo dell’obbedienza cieca, pronta e assoluta esiste anche al di fuori della religione. Venendo a tempi più recenti, si pensi a come si è difeso Eichmann nel 1960 processato in Israele, o Priebke per l’eccidio delle Fosse Ardeatine: il ritornello è sempre lo stesso: “ho solo eseguito gli ordini”.

Oggi, nella nostra mentalità, tutto questo fa inorridire: com’è possibile che in passato si sia arrivati a tanto anche nella Chiesa? La risposta è abbastanza semplice: ogni teocrazia difende innanzitutto i diritti di Dio, e anche la sua etica si conforma a questo principio non negoziabile; questo basta a far diventare violenta la religione, in quanto reputa questi diritti più importanti dei diritti degli uomini. In nome di Dio – che si chiami Yhwh, o Allah, o Signore, non fa alcuna differenza - non si esita ad ammazzare anche gli uomini. Lo si è visto in passato nell’ebraismo, nel cristianesimo e lo si vede ancora oggi in varie parti dell’islam.

Con lungimiranza Gesù mirava a impedire tutto questo: non ci devono essere capi che comandano e a Dio non interessa che qualcuno difenda i suoi diritti. E allora, se questo è ciò che deve distinguere i seguaci di Gesù, chi ha disposto nella Chiesa la divisione fra chierici che comandano e i laici che non devono far altro che sottomettersi e obbedire? [24] Sottomettere la propria volontà e perfino il proprio pensiero e il proprio comportamento? Chi ha suffragato simile Chiesa? In quale passo dei vangeli sta scritto questo e chi ha avuto l’autorità per imporlo? (Castillo J.M.).

Il problema è sorto, come sempre, con Paolo. Paolo – in contraddizione con quanto aveva affermato in punto libertà cui si è fatto accenno sopra, -  intendeva la sua autorità derivata direttamente da Dio che lo aveva fatto apostolo (1Ts 2, 6; Gal 1, 1; 1Cor 1, 1; 9, 1-2; Rm 1,1; 11, 13): quindi la sua autorità era d'origine divina. Nell’auto-denominarsi apostolo, Paolo si collocava ovviamente allo stesso livello delle più alte autorità della Chiesa (1Cor 12, 28; 15, 9.11; 2Cor 11, 5), soprattutto perché questa categoria (di apostoli) era vista come investita di un mandato ricevuto dal Signore Resuscitato (1Cor 15, 8-9). Più in alto di così non si poteva salire, e Paolo si vedeva così in alto che, quando parlava, insegnava e decideva, era come se Dio stesso parlasse (1Ts 2, 2-4. 13; 4, 15; 1Cor 14, 37; 2Cor 5, 18-20). Perciò, secondo Paolo, chi negava il suo vangelo rifiutava Dio (1Ts 4, 8; Gal 1, 8). Da qui le relazioni di sottomissione e dipendenza che Paolo instaurò nelle sue chiese: i fedeli dovevano mantenere il rispetto assoluto verso i propri leader. Sicuramente, dove si vede più chiaramente questa relazione di sottomissione (nell’obbedienza ai dirigenti) è in 1Cor 16, 15-18, dove Paolo dà espressamente l’ordine: “Sottomettetevi” (1Cor 16, 15) a Stefanas, cioè al padrone e dirigente della casa dove si riuniva l’assemblea. Questo è il riconoscimento per tabulas della dipendenza che, in ultimo, era la sottomissione allo stesso Paolo. È però evidente, per chi legge e rilegge i vangeli, che tutto questo non era né lo stile, né il modo di procedere di Gesù (Castillo J.M.). Mai Gesù chiede sottomissione, e Paolo non è Dio.

Mi sembra vada allora evidenziato che chi si mette alla testa della comunità pretendendo di tracciare lui il cammino e di farsi obbedire, si sta mettendo davanti a Gesù, ed è, secondo i vangeli, un satana, termine che significa avversario (cfr. gli articoli ai nn. 472 e 476 di questo giornale, https://sites.google.com/site/agostosettembre2018rodafa/numero-472---30-settembre-2018/satana, https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-476---28-ottobre-2018/demoni-e-diavoli). È la stessa frase che Gesù ha detto a Pietro, non per cacciarlo dalla comunità (a orecchio molti ricordano una frase sbagliata: “va via da me, satana!”), ma per rimetterlo al suo posto, “vattene, il tuo posto è dietro di me” (Mt 16, 23: ỏπίσω μου); cioè: “sei tu Pietro che devi seguire me, e non il contrario”. In Gv 10, 1-10, Gesù dichiara apertamente che tutti quelli che hanno preteso essere le guide del popolo, sono briganti perché hanno usato la violenza, e sono dei ladri perché si sono impossessati del gregge che era di Dio, non certo loro. Gesù sta parlando ai farisei e si riferisce alla gerarchia di allora. Ma la tentazione di ogni apparato dirigente è sempre quella di usurpare il posto di Gesù, e ognuno di noi corre sempre il rischio di diventare il satana della comunità, di volerla dirigerla secondo quello che pensa lui, convinto che Gesù la pensi come lui. Ricordate Il Grande Inquisitore di Dostoevskij? Fa arrestare Gesù che ha avuto l’ardire di tornare sulla terra e gli dice: «Taci…Non hai neppure il diritto di aggiungere qualcosa a quello che è già stato detto da Te in precedenza. Perché dunque sei venuto a darci impaccio? Tutto è stato da te trasmesso al papa, e tutto quindi si trova ora nelle mani del papa»[25]. È lui ora a condurre il cammino: tutti gli altri dietro. È il papa che prende decisioni personali umane[26] scambiandole per divine.

Il problema è che nel cristianesimo l’“obbedienza” ha soppiantato la “sequela”. Noi cristiani obbediamo ai preti, ma non seguiamo Gesù (Castillo J.M.). Può esserci una manipolazione più grande del progetto originario di Gesù? Obbedire è “sottomettersi a” un altro. Seguire è “vivere con” un altro, come hanno fatto i discepoli di Gesù, che sono vissuti con lui e come lui. Quanti vescovi, quanti preti avrebbero oggi il coraggio di dire: “Vivete come me e così tutti noi seguiremo Gesù”?

 

Dario Culot

 

[1] Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 145.

[2] “Gesù insegnava come uno che ha autorità” (Mc 1,21b-28). Il 14 gennaio 2020, nell’omelia quotidiana, papa Francesco ha preso spunto da questo passo per spiegare la differenza che esiste tra “avere autorità” interiore come Gesù appunto, e “esercitare l’autorità senza averla, come gli scribi”. Indubbio che troppi prelati nella Chiesa vogliono solo esercitare l’autorità senza averla.

[3] Denzinger – Enchyridion Symbolorum, n.875.

[4] Non oggi, per aver violato il principio del silenzio che lui stesso si era imposto al momento delle dimissioni: non manifestare mai, per nessuna ragione, il minimo motivo di contrapposizione al pontefice regnante, per non dare neanche la vaga impressione che vi siano due magisteri opposti nella Chiesa, e per non creare confusione fra i fedeli. Invece, intervenendo pubblicamente sul fenomeno della pedofilia e sul celibato dei preti ha creato confusione, perché ha fatto pensare che nella Chiesa esistano ormai due partiti in curia, uno a favore e l’altro contro papa Bergoglio.

[5] Scritto di Ratzinger J., in raccolta solo tedesca degli anni 1962-65, citato da Küng H., La mia battaglia per la libertà, ed. Diabasis, Reggio Emilia, 2008, 511 s.

[6] Lorizio P., Il peccato originale, “Famiglia Cristiana”, n. 51/2010, 11.

 [7] Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 274.

 [8] Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo,ed. Cittadella, Assisi,1989, 151 s.

[9] Mateos J. e Barreto J., Il Vangelo di Giovanni, ed. Cittadella, Assisi, 1982,  539.

[10] Zenone G., Perché la gerarchia ecclesiastica? In “Il Timoniere”, sett.-ott. 2008, 53.

[11] “L’Osservatore romano” 25.8.2012.

[12] Maggi A., Disobbediente fino alla morte, Convegno di Assisi, settembre 2002.

[13] Nuovo Dizionario di spiritualità, ed. Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 2003, 497, voce Obbedienza.

[14] Dizionario universale della Sacra Bibbia vulgata, ed. Antonelli, Venezia, 1855, vol.III, 579,voce Obbedienza. Battaglia S., Grande dizionario della Lingua italiana, ed. Utet, Torino, 1091, vol. XI, 708, voce Obbedienza.

[15] New Catholic Encyclopedia, ed. Thomson-Gale, Detroit e al. (USA), 2002, vol. X, 303, voce Obedience.

[16] Vocabolario greco-italiano del Nuovo Testamento, reperibile anche in internet (https://robertonardin.com/roberto/Vocabolario.greco%20NT.Pdf). Invece Kittel G., Theological Dictionary of the New Testament, ed. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, (Michigan, USA), 1993, 224 riporta solo il significato di “obbedienza”.

[17] Enciclopedia della Bibbia, ed. Elle Di Ci-Leumann, Torino, 1971, vol. V,  col. 189, voce Obbedienza di Cristo.

[18] Balz H. e Schneider G., Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, ed. Paideia, Brescia, 2004, 1719-1722.

[19] Papa Francesco, L’obbedienza è ascolto che rende liberi, “L’Osservatore Romano” 12.4.2013.

[20] Ad es. nella Bibbia Interconfessionale dei salesiani, ed. Elledici-Leumann, Torino, 2001, 1519 si legge: “dobbiamo ascoltare voi oppure dobbiamo ubbidire a Dio?” (At 4, 19). Ma nel testo originale greco, il verbo viene usato una sola volta ed è akouein (tradotto letteralmente: “Se giusto è davanti al Dio voi ascoltare più che Dio, giudicate”). Chiaro, dunque, che usare in italiano due verbi diversi è funzionale al principio di obbedienza propugnato dal magistero.

[21] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 241s.

[22] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 190.

[23] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 242.

[24] Il § 32 della Lumen Gentium precisa che la distinzione tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio è stata posta dal Signore, ma non dice né dove, né quando. Analogamente il can. 207 § 1 del codice di diritto canonico mantiene la consolidata struttura piramidale che suddivide la chiesa in due stati: chierici e laici, i quali ultimi restano dei semplici aiutanti della gerarchia, perché è sempre e solo la gerarchia che stabilisce quali sono le funzioni dei laici. Sembra che tutta l’opposizione manifestata da Gesù al sacerdozio del Tempio non sia stata presa seriamente in considerazione dalla Chiesa.

[25] Dostoevskij F., I fratelli Karamazov, ed. Einaudi, Torino, 1993, 334 s.

[26] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 218.