Chissà se “Amoris laetitia” in “Querida Amazonía”, chissà se Memoria nel Ricordo

Prete in ottone, scultura, 1450,  Thaxted, Inghilterra 

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L’impossibilità di ordinare presbiteri (i “preti” della vulgata quotidiana) uomini sposati nella Chiesa Latina – diversa dalle Chiese Orientali - deriva da una norma precisa del codice di diritto canonico, che non corrisponde affatto al molte volte citato canone 277. Citato a sproposito poiché tale canone recita: “I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.”

Che i chierici siano tenuti al celibato è previsione normativa in nulla inficiata dall’eventuale ordinazione presbiterale di sposati che, in quanto tali, celibi non sono ben prima di diventare chierici. Obbligo del celibato per i chierici, dunque, significa che i chierici non possono sposarsi e non già che persone sposate possano accedere allo stato clericale (che sarebbe in realtà bisognoso d’essere poi accuratamente distinto pure dalla ricezione del sacramento dell’Ordine, realtà distinta e di ben altro spessore rispetto alla condizione giuridica di “chierico”).

La norma canonica è pertanto, un po’ clamorosamente forse, un’altra, rinvenibile nella disciplina dei requisiti per l’ordinazione. Il canone 1042, non il 277, prescrive precisamente la natura di impedimento semplice del matrimonio rispetto alla ricezione dell’Ordine.

Can. 1042, nella sua interezza: “Sono semplicemente impediti di ricevere gli ordini:

1) l’uomo sposato, a meno che non sia legittimamente destinato al diaconato permanente;

2) chi esercita un ufficio o un’amministrazione vietata ai chierici a norma dei cann. 285 e 286 di cui deve render conto, fintantoché, abbandonato l’ufficio e l’amministrazione e fatto il rendiconto, è divenuto libero;

3) il neofita, a meno che, a giudizio dell'Ordinario, non sia stato sufficientemente provato.”

Formuliamo una domanda: dall’impedimento semplice di cui al n. 1) del canone 1042 è possibile essere dunque dispensati?

Dispone a propria volta il can. 1047, ai primi due paragrafi: “§1. La dispensa da tutte le irregolarità è riservata esclusivamente alla Sede Apostolica, se il fatto su cui si fondano sia stato deferito al foro giudiziale.

§2. Ad essa è anche riservata la dispensa dalle seguenti irregolarità e impedimenti a ricevere gli ordini:

1) dalle irregolarità provenienti dai delitti pubblici di cui nel can. 1041, nn. 2 e 3;

2) dall’irregolarità proveniente da delitto sia pubblico sia occulto di cui nel can. 1041, n. 4;

3) dall’impedimento di cui nel can. 1042, n. 1.”

La risposta all’interrogativo è allora positiva: da quell’impedimento è possibile dispensa.

Ma è richiesta un po’ d’attenzione: dall’impedimento di cui al n. 1) del canone 1042 è possibile essere tuttavia dispensati – secondo quanto prevede l’appena riportato canone 1047, al § 2, n. 3) – soltanto per autorità della Santa Sede. È “riservata” alla Santa Sede la dispensa dall’impedimento semplice di cui al canone 1042 n. 1).

Bene. E che cosa potrebbe accadere con la promulgazione della prossima Esortazione Apostolica post-Sinodale Querida Amazonía?

Potrebbe accadere, molto semplicemente e molto pianamente, che tale riserva venga caducata, abolita, per decisione del Papa, sia pure solo per la Regione Amazzonica, recependo la richiesta del Sinodo.

Non trattandosi più di dispensa riservata alla Santa Sede, anche i vescovi – i vescovi amazzonici secondo quanto maturato nell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi che dell’Amazzonia appunto si è occupata – potrebbero dispensare dall’impedimento di matrimonio ed ordinare presbiteri gli uomini sposati così dispensati.

Un’innovazione – innegabile in quanto tale – di questa fattura avrebbe il pregio, dal punto di vista del sistema giuridico complessivo, di non mettere in crisi l’efficacia delle norme generali, ma di riconsegnare al discernimento dei Pastori delle Chiese Locali la valutazione (va da sé “prudente”) di quali decisioni assumere per assicurare la celebrazione dell’eucarestia laddove la presenza presbiterale celibe non la renda più possibile se non con una rarefazione temporale insostenibile.

Se il Papa eliminasse la “riserva” pontificia per la dispensa dall’impedimento di matrimonio, tornerebbe al centro della pastorale la concretezza delle condizioni specifiche, locali ma anche personali, comunitarie, contestuali insomma, sulle quali poter intervenire con tutti i mezzi di grazia, nessuno escluso, che la Chiesa assicura.

La soluzione sarebbe assai prossima alla prospettiva delineata, sempre da Francesco, in Amoris Laetitia con riferimento all’amissione alla comunione eucaristica dei divorziati risposati.

Querida Amazonía non metterebbe, così, in questione il celibato sacerdotale, così come Amoris Laetitia non ha messo in questione minimamente l’indissolubilità matrimoniale. Questioni peraltro non commensurabili, dal momento che, per la prima – con buona pace del Card. Sarah –, si tratta di dato puramente normativo e disciplinare, mentre, per la seconda, di un’acquisizione dogmatica. Le discussioni, non solo opportune bensì necessarie, al riguardo troverebbero però altre sedi per essere sviluppate senza vanificare le richieste che i Vescovi hanno posto con chiarezza.

Un salto carpiato ora dal diritto canonico alla storia. Cercando di non finire sfracellati.

Domani è il Giorno del Ricordo ed a Trieste le emozioni, le passioni, le sofferenze sono più acute e vive che mai. Trieste è la città dove il Novecento è tempo permanente che non passerà mai. Da una parte la Risiera di San Sabba, dall’altra le Foibe.

La riflessione che si vorrebbe abbozzare qui, tuttavia, adesso, con ogni rispetto, affonda in epoche storiche molto distanti ed in territori comunque lontani da qui sebbene tutti ad Est anch’essi. Fa da sfondo una specie di assonanza storico-ecclesiale, se si può dir così.

Nel 1707, il 5 novembre, il prete sposato cattolico, parroco armeno, Tēr Komitas Khēōmurgean, padre di sette figli, veniva ucciso per sentenza di un tribunale turco avendo rifiutato la conversione all’Islam come unica alternativa alla condanna. Essa tuttavia veniva pronunciata per fatti che non riguardavano i rapporti del condannato con lo Stato e con i musulmani, bensì con gli Armeni Apostolici, cioè Ortodossi e non Cattolici, dai quali il parroco si era separato entrando in comunione con la Sede di Roma.

Padre Gomidas si era dovuto allontanare più volta dalla sua terra per contrasti sempre più pericolosi con le comunità armene ortodosse, sino a quando, di rientro a Costantinopoli, era stato arrestato, il 3 novembre 1707, e subito processato. E la corte, composta da giudici musulmani, sarebbe stata favorevole a mandarlo assolto ma le pressioni furono troppo forti e non si trattò di pressioni islamiche. Il 23 giugno 1929 Papa Pio XI beatificò il parroco sposato come martire della fede cattolica.

Che cosa si vuol dire con questi cenni storici? Semplicemente che la complessità dei ricordi abbisogna della capacità di far memoria, che non è alla prima scontatamente sovrapponibile. Che la ragione sta dalla parte della morte innocente, sempre. E che la morte inflitta con godimento sadico delinea comuni appartenenze criminali nonostante proclamate adesioni ideologiche. E che il genocidio richiede categorie di indagine proprie, non estensibili. E che vanno ascoltate le storie di chi ha sofferto e visto sopprimere per volontà umana i propri più cari affetti.

Storie di preti sposati del Settecento interrogano le coscienze odierne davanti alle testimonianze martiriali novecentesche che non passano.

Non è la monumentalizzazione a salvare il futuro dal ripiombare nell’orrore, ma solo, piuttosto, la gioia dell’amore ed il poter esclamare, davanti a chi non appartiene alla propria gente, alla propria cultura, alle proprie tradizione e lingue, “Amata mia”, “Amato mio”.

Querida amoris laetita. De Amazonía et toto orbe terrarum.

Aspettiamo la conferenza stampa di mercoledì 12 febbraio, ore 13.

 

Stefano Sodaro