Centoventotto vescovi e un silenzio semplice per un impedimento semplice

Chiostro di San Giovanni in Laterano, Roma - foto tratta da commons.wikimedia.org

Sono trascorsi quattro giorni dalla pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Quaerida Amazonía (QA) ed il silenzio sulle questioni esplicitamente – al n. 2 – “non sviluppate” dal Papa si è fatto assordante. Ed il fatto che tale silenzio sia stato riempito da analisi, commenti, prese di posizione, valutazioni dovrebbe essere assunto in benedizione in quanto interesse appassionato verso la vita della Chiesa, come che sia.

Iniziamo dall’inizio.

Il Papa formula un “non” chiaro: “Non svilupperò qui tutte le questioni abbondantemente esposte nel Documento conclusivo”.

Avendo – detto in assoluta modestia e sperabile umiltà – dedicato al tema dell’ordinazione presbiterale di chi vive in matrimonio secondo la disciplina orientale più ormai di vent’anni di studio, qui verrà in evidenza la famosa proposta contenuta al n. 111 del Documento Finale con il voto favorevole di 128 Padri Sinodali, mentre 41 sono stati ad essa contrari. Questo semplice dato di fatto sembra non essere tuttavia stato pressoché mai considerato nella discussione che ci occupa. Il dato di fatto, cioè, corrispondente proprio all’esistenza di una effettiva maggioranza e di una correlata minoranza del corpo episcopale sinodale.

(Peraltro, ma sarà cura dello scrivente ritornarvi con considerazioni specifiche, si può e si deve annotare subito che il presbitero sposato non ha semplicemente una propria identità da far stagliare nella comunità, ma ha come compagna di vita una donna concreta, con nome e cognome, spesso individuata come la presbytéra.)

Il Papa prosegue, sempre al n. 2 e sempre esplicitamente, con l’affermazione di non voler sostituire né ripetere il Documento.

In effetti nessuna Esortazione post-sinodale è funzionale alla sostituzione o alla ripetizione del Documento Finale che la precede, ma l’Esortazione, solitamente, ad esso risponde.

Una considerazione di natura strettamente giuridica: mentre sono normate l’elaborazione sinodale e la presentazione del Documento Finale al Papa, non sono in alcuna fonte normate la stesura e la pubblicazione dell’Esortazione Apostolica post-Sinodale, che di per sé potrebbe anche non seguire alla celebrazione del Sinodo.

Dispone l’art. 18 del Motu Proprio Episcopalis Communio, rubricato “Consegna del Documento finale al Romano Pontefice”:

Ǥ 1.

Ricevuta l’approvazione dei Membri, il Documento finale dell’Assemblea è offerto al Romano Pontefice, che decide della sua pubblicazione.

Se approvato espressamente dal Romano Pontefice, il Documento finale partecipa del Magistero ordinario del Successore di Pietro.

§ 2.

Qualora poi il Romano Pontefice abbia concesso all’Assemblea del Sinodo potestà deliberativa, a norma del can. 343 del Codice di diritto canonico, il Documento finale partecipa del Magistero ordinario del Successore di Pietro una volta da lui ratificato e promulgato.

In questo caso il Documento finale viene pubblicato con la firma del Romano Pontefice insieme a quella dei Membri.»

L’approvazione espressa – così come accade per l’esercizio della prerogativa di infallibilità connessa ad un pronunciamento dogmatico da parte del Vescovo di Roma – comporta la necessità di una sua formulazione precisa e non ambigua né contestabile. 

Si potrebbe ritenere assimilabile tale “approvazione espressa” all’approvazione in forma specifica prevista e disciplinata per gli atti amministrativi (si veda l’ottimo studio di Mons. Giampaolo Montini, http://www.monsmontini.it/pdf2018/14)%20L'approvazione%20in%20forma%20specifica.pdf), che il Regolamento Generale della Curia Romana – tutt’ora vigente in attesa della riforma della Curia – norma con le seguenti previsioni, all’art. 126: 

«§ 1. Il Dicastero che ritiene opportuno chiedere al Sommo Pontefice l’approvazione in forma specifica di un suo atto amministrativo, deve farne richiesta per iscritto, adducendone i motivi e presentando il progetto di testo definitivo. Se l’atto contiene deroghe al diritto universale vigente, esse devono essere specificate ed illustrate.

§ 2. Analoga richiesta deve essere fatta qualora un Dicastero ritenga opportuno chiedere al Sommo Pontefice speciale mandato per seguire una procedura diversa da quella stabilita dal diritto. Anche in tal caso però le conclusioni non possono essere considerate approvate in forma specifica, a meno che siano poi sottoposte al Sommo Pontefice e da Lui approvate in tale forma.

§ 3. In ognuno dei detti casi il fascicolo relativo deve essere lasciato al Sommo Pontefice, in modo che Egli lo possa esaminare personalmente e comunicare in seguito la Sua decisione nel modo ritenuto opportuno.

§ 4. Affinché consti dell’approvazione in forma specifica si dovrà dire esplicitamente che il Sommo Pontefice «in forma specifica approbavit».»

Tuttavia, non consistendo il Documento Finale dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi in un atto di Dicastero – il Sinodo dei Vescovi non è un Dicastero della Curia Romana -, l’assimilazione della “approvazione espressa”, come denominata dal Motu Proprio Episcopalis Communio, all’approvazione specifica, formalmente precisa e definita, propria degli atti di Curia può essere solo analogica.

Ciò che risulta con chiarezza è che non possono residuare margini di incertezza sull’approvazione sostanziale ma, per appunto, espressa - vale a dire indubitabile, evidente, non contestabile - del Documento Finale da parte del Papa.

Come sa chi ha sin qui seguito il dibattito in corso, c’è chi ritiene che il Documento non sostituito dall’Esortazione (né da essa “ripetuto”, ma sia consentito osservare ancora che appare alquanto singolare l’ipotetica esistenza di atti pontifici “ripetitivi” di altri) abbia una sorta di approvazione “espressa implicita”, alquanto ossimorica dunque, e chi invece ritiene che non sia possibile giungere a simili conclusioni.

Alla Conferenza Stampa di presentazione di Querida Amazonía, il Card. Czerny è intervenuto con le seguenti precise parole (https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2020/02/12/0094/00193.html): 

«Qual è lo status di questi due documenti? Dove possono essere collocati in questo magistero, nel corpo dell’insegnamento ufficiale della Chiesa? Cercherò di applicare norme accettate nell’interpretazione di documenti del magistero.

Querida Amazonia è una Esortazione Post-Sinodale. È un documento del magistero. Appartiene all’autentico Magistero del Successore di Pietro. Partecipa al suo Magistero ordinario.

Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale è il documento conclusivo dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per le Regione Panamazzonica. Come ogni documento sinodale, è costituito da proposte che i Padri Sinodali hanno votato per l’approvazione ed hanno affidato al Santo Padre. A sua volta il Papa autorizza la sua pubblicazione con i voti espressi. All’inizio di Querida Amazonia il Papa scrive: “(…) voglio presentare ufficialmente quel Documento che ci offre le conclusioni del Sinodo” (QA § 3) e incoraggia a leggerlo per intero.

Così, a parte l’autorità magisteriale formale, la presentazione ufficiale e l’incoraggiamento conferiscono al documento conclusivo una certa autorità morale. Ignorarla sarebbe una mancanza di obbedienza alla legittima autorità del Santo Padre, mentre trovare difficili alcuni punti non sarebbe considerata una mancanza di fede.

Essendo un Sinodo “speciale” che si è concentrato su di una regione del mondo, il processo sinodale, il documento conclusivo e l’Esortazione Post-Sinodale Querida Amazonia richiederanno comprensione creativa e comprensiva per le lezioni ivi contenute da applicare oltre l’Amazzonia. Esse toccano tutta la Chiesa e tutto il mondo, anche se non in modo non uniforme. Il Papa auspica che l’Esortazione Querida Amazonia “possa aiutare e orientare verso un’armoniosa, creativa e fruttuosa ricezione dell’intero cammino sinodale”

Così abbiamo due documenti di diverso tenore. Il Documento Conclusivo è il risultato del cammino sinodale, mentre l’Esortazione Querida Amazonia contiene le riflessioni del Santo Padre sul cammino sinodale e il documento conclusivo. Il primo contiene le proposte presentate e votate dai Padri Sinodali ha il peso di un documento sinodale conclusivo. Il secondo che riflette l’intero cammino e il suo documento conclusivo, ha l’autorità del magistero ordinario del Successore di Pietro.»

Che cos’è dunque questa autorità morale?

Per rispondere è necessario articolare ulteriormente il ragionamento, secondo un piano già seguito nella nostra edizione straordinaria di mercoledì scorso.

Ammettiamo pure che il Documento Finale sia stato, sostanzialmente, “approvato” – benché non espressamente/formalmente - da QA.

Saremmo davanti, tuttavia, all’approvazione di domande, di proposte, non di risposte e di soluzioni. Focalizzando su questo aspetto la nostra riflessione qui, QA avrebbe fatto propria la proposta del n. 111 del Documento Finale, fino a “presentarla ufficialmente”, come afferma il n. 3 di QA, ma così soltanto presentando, per appunto, ufficialmente, una domanda ed una proposta, dentro il complesso di quelle domande e proposte che i Padri Sinodali, con variabili maggioranze, hanno chiesto al Papa di accogliere o respingere ricevendone un silenzio. Ci sarebbe, dunque, un “potenziamento pontificio” di proposte avanzate dai Vescovi , con una peculiare acquisita autorità morale dunque, ma non una delineazione di risposte che sono – va detto senza timori – completamente assenti.

In effetti non pare che l’et et tipicamente cattolico trovi dunque nell’accostamento di questi due documenti una sintesi, non potendo far parlare, in questo caso, un silenzio come un assenso. La proposta del n. 111 del Documento Finale resta come proposta, “presentata ufficialmente” alla Chiesa Universale, ma non “sviluppata”.

Il problema è che quel “non sviluppo” richiederebbe un momento positivo, le questioni “non sviluppate” – proposte dall’Assemblea di un Sinodo dei Vescovi, è opportuno ribadirlo, non da una raccolta di firme apposte in strada o in qualche consesso informale, per dire – dovrebbero essere “sviluppate”.

A questo punto l’ordinamento canonico, in realtà, presenta un risvolto del paradigma dell’et et, che può sconcertare ma che è reale.

L’impedimento semplice del matrimonio, perché tale si configura a norma del can. 1042 del Codice di Diritto Canonico, è sempre dispensabile, benché ancora, dopo QA – e diversamente da quanto ipotizzato nel numero del nostro giornale della scorsa domenica – per esclusiva competenza papale e non già ora episcopale.

Ma è comunque dispensabile: avviene, in via che si potrebbe persino definire “ordinaria”, con gli Ordinariati – oh, le alliterazioni canonistiche – per i fedeli provenienti dalle Chiese Anglicane (https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/04/09/0300/00607.html) e per i pastori di altre Chiese della Riforma che vengano ordinati preti cattolici.

E, in forma sempre ordinaria e non per via di eccezione, nell’ordinamento non latino i preti cattolici di rito orientale possono essere sposati, addirittura senza più le proibizioni di limite territoriale all’esercizio del loro ministero che esistevano in forza di complessi apparati normativi di fine Ottocento e primi Novecento (https://www.olir.it/documenti/varie-14-giugno-2014/).

Afferma, Mons. Cyril Vasil’, già Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali: «Oggi esistono circoscrizioni ecclesiastiche orientali praticamente in tutti i continenti, e perciò la situazione dei cattolici orientali è del tutto differente da quella che esisteva negli Stati Uniti d’America verso la fine dell’Ottocento, quando nacque la legislazione restrittiva per il clero orientale uxorato, o negli anni settanta del secolo scorso, quando la Chiesa latina doveva affrontare la crisi dell’identità sacerdotale e le contestazioni al celibato. Negli ultimi decenni è cambiata anche l’opinione generale dell’episcopato latino a proposito della possibilità e/o opportunità della presenza del clero orientale uxorato nei Paesi occidentali. Questo è dimostrato anche dalle diverse conferenze episcopali nei Paesi con una significativa presenza degli orientali cattolici, che hanno espresso il loro nulla osta al ripristino della tradizionale prassi orientale, anche se si deve segnalare che in alcune conferenze episcopali ancora oggi prevale il desiderio di vedere i nuovi migranti orientali spiritualmente serviti dal clero esclusivamente celibe. Ma si deve rilevare che anche in queste nazioni, diversi membri delle stesse conferenze si rivolgono ripetutamente alla Congregazione per le Chiese orientali per chiedere la regolarizzazione della presenza dei singoli presbiteri uxorati che con successo, sacrificio e stima del popolo di Dio, lavorano nelle loro diocesi in favore dei fedeli delle loro Chiese e del proprio rito.» (https://orientecristiano.it/all-news/in-evidenza/8995-nuove-norme-per-il-clero-orientale-cattolico-uxorato.html)

Forse non è così difficile immaginare che, dopo la completa assenza di rappresentanti di tali Chiese all’Assemblea del Sinodo Amazzonico conclusosi lo scorso ottobre, tale millenaria prassi ecclesiale possa essere ora valorizzata, non richiedendosi lo scatenarsi di nessuna terribile diatriba davanti ad una realtà pacificamente vissuta.

L’ultimo aspetto è infatti - a parere di chi qui scrive - costituto dall’invocazione da parte del Papa, contenuta al n. 4 di QA, affinché tutti si vogliano “impegnare nell’applicazione” di “questo lavoro”. 

Quale lavoro?

Il riferimento è al Documento Finale? La contiguità testuale con le ultime parole del n. 3 sembrerebbe deporre in tal senso.

Se così fosse, il Codice di Diritto Canonico presenta la previsione del can. 26 che potrebbe far sobbalzare molti sulla sedia ma che è effettiva: “A meno che non sia stata approvata in modo speciale dal legislatore competente, una consuetudine contraria al diritto canonico vigente o che è al di fuori della legge canonica, ottiene forza di legge soltanto se sarà stata osservata legittimamente per trenta anni continui e completi; ma contro una legge canonica che contenga la clausola che proibisce le consuetudini future, può prevalere la sola consuetudine centenaria o immemorabile.”

Esiste dunque la possibilità canonica di una consuetudine contraria al diritto canonico vigente. Non è affermazione di qualche fanatico progressista, ma è norma canonica, appena riportata tale com’è.

Si può concludere che nella Regione Amazzonica, dove oggi, domenica 16 febbraio 2020, milioni di persone non hanno potuto celebrare l’Eucarestia per assenza di presbiteri celibi, l’avvio di una consuetudine contraria al diritto canonico vigente verrebbe illegittimamente inaugurata dopo QA?

Ai posteri l’ardua sentenza. I canonisti hanno appreso, tuttavia, il rigoroso ammonimento che salus animarum suprema lex esto.

E il n. 89 di QA sancisce solennemente: «è urgente fare in modo che i popoli amazzonici non siano privati del Cibo di nuova vita e del Sacramento del perdono.»

E il n. 111 del Documento Finale - coup de théâtre – parla non del Romano Pontefice, del Papa, ma solo dell’autorità competente che stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità.

Qual è l’autorità competente?

Forse una prassi alternativa al diritto canonico vigente, prima che scandalizzare, potrebbe sorprendere, ma salvare dalla privazione del Cibo di nuova vita.

Ritorna la domanda, cui la riflessione teologica e la guida magisteriale devono rispondere senza allungare silenzi di incertezza: sarebbe illegittima una simile prassi e perciò sanzionabile?

Buona domenica.

Stefano Sodaro