Donne e sacerdozio

Dice il cardinal Sarah nel suo recente libro che le fonti antiche sono unanimi nel precludere alle diaconesse qualunque ministero all’altare durante la liturgia ((Benedetto XVI e Sarah Robert,  Dal profondo del nostro cuore, Cantagalli, Siena, 2020 84). Nelle Catacombe di Santa Priscilla, a Roma, c’è un affresco, purtroppo deteriorato, che rappresenta la più antica immagine che abbiamo della celebrazione dell’eucaristia. La persona che spezza il pane potrebbe essere un uomo o una donna, ma la persona alla sua destra che concelebra il rito (vedere la posizione della mano destra) è sicuramente una donna. Forse è donna anche la persona alla sua sinistra.

Non ricordo chi ha detto: «Una donna che chiedesse oggi la parità nella Chiesa cattolica sarebbe come un negro che chiedesse la parità nel Ku Klux Klan». Certo che anche per i firmatari della Dichiarazione d’indipendenza americana, nella quale veniva affermata l’uguaglianza fra tutti gli uomini, i diritti degli uomini avevano poco a che fare con i negri [1], visto che fra i firmatari c’erano diversi proprietari di schiavi: è del tutto vero che negli uomini, non esiste che una sola coerenza: quella delle loro contraddizioni! (Morselli G.).

In piena contraddizione con la parità di diritti [2], la Chiesa cattolica è ancora votata a una proiezione tutta maschile nel divino. I sacerdoti (rectius: preti) devono essere maschi e in quanto tali vengono dotati di poteri divini per il perdono dei nostri peccati, per l’amministrazione dei sacramenti, e in particolare per presiedere al rito eucaristico. Se non benedetti da un prete maschio (con i testicoli), secondo la Chiesa cattolica il pane e il vino non diventano mai corpo e sangue dell’uomo senza Padre umano. Papa Giovanni Paolo I, che aveva parlato di Dio Madre, è morto subito dopo: che si tratti di un castigo divino per il suo orrendo peccato? [3]

Il suo successore, Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 22 maggio 1994, ha proclamato che «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa».

Ai tempi di papa Benedetto XVI, Tony Flannery, quasi settantenne sacerdote cattolico irlandese della Congregazione del Santissimo Redentore, aveva dichiarato durante un’intervista all’Irish Times di essere stato minacciato di scomunica a seguito delle sue dichiarazioni a favore dell’ordinazione femminile all’interno della Chiesa. Una proposta, la sua, che era assai poco piaciuta agli ambienti vaticani.

Nel 1987 il gesuita americano Terence Sweeney aveva intervistato 312 vescovi americani su celibato e ordinazione delle donne. Non appena Ratzinger venne a conoscenza dei risultati (35 vescovi non erano d’accordo con Roma) ordinò a Sweeney di distruggere il materiale o di abbandonare l’ordine. Sweeney rispose che un’obbedienza non basata sulla ragione e verità non si concilia con la dignità umana [4].

Per i cardinali Walter Brandmüller e Raymond Burk (leggi Berk con la “e” stretta), oggi, il problema del divieto dell’ordinazione sacerdotale delle donne è talmente importante da essere equiparabile ai dogmi fondamentali della Chiesa. Per loro è essenziale salvare la tradizione e assai meno li preoccupa il fatto che migliaia di cristiani non possano partecipare all’eucarestia per mancanza di preti (maschi) che possano visitare le loro comunità [5]. Ma non ci hanno insegnato che l’Eucaristia è la «fonte e culmine di tutta la vita cristiana » (n. 1324 Catechismo)? Vale a dire, se si seguono i cardinali Brandmüller e Burk, molti fedeli vengono privati di un diritto che è - o dovrebbe essere- centrale nella propria vita spirituale semplicemente perché, per loro, è più importante seguire la liturgia e le tradizioni, e poco importa se molti cristiani restano senza eucaristia, che cessa così di essere il culmine della vita cristiana [6].

La gerarchia vaticana, con papa Benedetto XVI, ha anche accettato che i chierici sposati della Chiesa Anglicana possano entrare a far parte del clero cattolico, purché rinneghino la loro tradizione che permette anche l’ordinazione delle donne, come avviene ormai in tutto il protestantesimo, e dove – è bene ricordarlo - si usano i nostri stessi testi sacri; solo che là vengono interpretati in maniera diversa. Così, sempre a proposito delle contraddizioni, ora abbiamo preti cattolici sposati, ex anglicani, che rifiutano di accettare l’ordinazione delle donne che prima, come anglicani, accettavano tranquillamente.

Papa Francesco, che a piccoli passi cerca di smuovere le acque, trova una fortissima opposizione all’interno della curia. Dovremo aspettare ancora qualche secolo perché cada il bastione? Forse non è il caso di essere così pessimisti, perché nell’ultimo secolo le donne hanno ormai trovato spazio in tutte le realtà secolari e in molte realtà cristiane (con l’eccezione della Chiesa cattolica e di quella greco orientale). Pensiamo che le prime donne sono entrate da noi in magistratura appena nel 1963. La prima donna medico in Italia mi risulta essere stata la famosa Montessori. I protestanti valdesi in Italia hanno accettato le donne pastore sempre negli anni’60. Dunque, pian piano, i tempi matureranno anche nella Chiesa cattolica.

Ovviamente non si sta parlando del fatto che, formando noi tutti un popolo di sacerdoti (Costituzione dogmatica sulla Chiesa - Lumen Gentium § 10 - del 21.11.1964), tutti possono rivolgersi a Dio senza la mediazione della persona consacrata (il prete mediatore), per cui anche le donne già sono, sotto questo aspetto, sacerdoti, come lo è ciascuno di noi. Popolo sacerdotale significa infatti popolo che può comunicare direttamente con Dio, per cui non c’è più sacerdozio perché siamo tutti partecipi del sacerdozio comune (n. 1268 Catechismo). Se ai tempi di Gesù sacerdoti erano solo i pochi e scelti maschi che potevano rivolgersi a Dio, questa possibilità è stata estesa da Gesù a tutti. Quindi se siamo tutti sacerdoti non esiste più una casta particolare di persone, più vicine a Dio (come sosteneva invece ancora Pio XII [7]), che possono fare da intermediari fra la gente e Dio, e decidere in tale veste su tutta la nostra vita spirituale.

Però, quando parliamo del divieto ancora vigente nella Chiesa stiamo parlando del divieto della donna di accedere all’ordine ministeriale, e quindi di celebrare messa e di presiedere all’eucaristia.

A giustificazione del tradizionale privilegio maschile, si sostiene che nell’ultima cena, Gesù - maschio che aveva scelto come apostoli solo altri 12 maschi - ha istituito il sacerdozio (“fate questo in memoria di me”- Lc 22, 19) ed essendo lì presenti solo i 12 apostoli maschi, solo i maschi possono “fare memoria”. Quindi, Dio stesso ha voluto così. Però ci si dimentica di dire che in altri due vangeli (Mc 14, 12-25; Gv 13, 1-5; Gv 18, 1) nell’ultima cena si parla di discepoli. Dunque, in questo, come in altri casi (ad es. «chi ascolta voi ascolta me» di Lc 10, 16; o «a chi perdonerete i peccati saranno perdonati» di Gv 20, 23 – cfr. articolo Legare e sciogliere al n.523 di questo giornale), le parole rivolte a tutti i discepoli (maschi e femmine, perché fra i discepoli c’erano varie donne – Lc 8, 2) sono state forzatamente ridotte dalla gerarchia cattolica come  fossero parole rivolte ai soli 12 apostoli maschi, cui sono succeduti gli attuali chierici maschi.

Ma se da quell’episodio si vuol trarre la conclusione sopravvista, vietando quello che non c’è nelle parole del racconto, coerentemente si dovrebbe anche sostenere che Gesù era ebreo [8] (anche se a qualche consigliere comunale triestino questo dispiace, anzi lo offende: cfr. “Il Piccolo” 1.12.2019), e i 12 apostoli erano parimenti tutti ebrei: non mi sembra che la Chiesa abbia mai preteso di fissare questo punto come principio voluto da Dio per il sacerdozio cristiano. Allora, perché ‘solo maschi’ visto che lì c’erano solo i 12 maschi, ma ‘non solo preti ebrei’ visto che lì c’erano solo 12 ebrei (oltre a Gesù pure lui ebreo)? Di più, se quello che non è riportato nel racconto è vietato e ci si deve fermare a ciò che dice la mera lettera dei testi, non solo i preti dovrebbero essere tutti ebrei, ma dovrebbe essere loro impedito di guidare, perché Gesù non guidava l’automobile. Ma è evidente a tutti che, in realtà, si deve cercar di capire il significato che il vangelo vuol trasmetterci (come hanno fatto da tempo i protestanti): in caso contrario si finisce come quegli adulti che si comportavano come bambini (giocando a palla, saltando, correndo) visto che l’ammonimento di Gesù era chiaro: “se non diventate come i bambini…” (Mt 18, 3). Questo succede quando ci si aggrappa alla sola lettera.

Ai tempi di papa Wojtyla, durante un dibattito televisivo, la teologa Adriana Zarri aveva risposto sagacemente a un cardinale che insisteva sempre su questa vecchia tesi della presenza unicamente maschile all’ultima cena: “che non ci fossero donne all’ultima cena è tutto da vedere, ma che non ci fossero polacchi è sicuro” (in https://www.studibiblici.it/conferenze/donne_tra_fede_e_sacrilegio.pdf). Effettivamente affermare che Dio vuole solo preti maschi, perché così risulta dal racconto, espone all’obiezione della Zarri, visto che il racconto non parla di nessun polacco.

In ogni caso, ha osservato l'orientalista Garbini, se le donne accompagnavano Gesù e lo hanno seguito fino al Calvario, è chiaro che anche loro erano presenti all'ultima cena, soprattutto se si trattava di una cena pasquale alla quale partecipava tutta la famiglia (Garbini G., Vita e Mito di Gesù, ed. Paideia, Brescia, 2015, 131). Nello stesso senso Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 257ss., il quale si chiede: perché le donne avrebbero dovuto essere assenti all’ultima cena, loro che, di solito, mangiavano con Gesù? Sarebbe strano che, contrariamente alla sua abitudine di condividere la sua tavola con ogni tipo di persone, peccatori compresi, Gesù improvvisamente avesse adottato quell’unica sera un atteggiamento selettivo e restrittivo (cena solo per il club ristretto dei 12 apostoli maschi).

E poi sotto la croce i 12 sono tutti scappati. Nessuno dei dodici era presente sotto la croce. Nessuno ha testimoniato. Nessuno ha fatto memoria. Nessuno è morto per Gesù. Sono tutti fuggiti impauriti. Tutta la loro fede si è sbriciolata al primo tintinnare di manette. Una fede finta, quella dei 12 apostoli, più ipocrita di quella degli ipocriti farisei. E questi sarebbero i prescelti da Gesù proprio all’ultima cena, quando invece sotto la croce c’era una compagnia di donne con Maria madre di Gesù (At 1, 14; 2, 1-4)? Si sa che la donna è più fedele nel momento della difficoltà, nel momento del dolore (basta pensare a quante mamme resistono di fronte alla nascita di un figlio handicappato, e a quanti padri scappano). Però la Chiesa ha scelto come modello i 12 ipocriti senza fede (il che, per carità, va bene per noi tutti che abbiamo assai poca fede), ma forse non era questa la corretta interpretazione da dare al racconto evangelico.

Matteo, a dire il vero, è un po’ ambiguo (Mt 26, 17-20) perché sono i discepoli a preparare la cena, ma poi si dice che alla sera Gesù si mise a tavola con i dodici. Di nuovo, è possibile che solo quella sera Gesù abbia adottato un criterio selettivo, e che questa strana eccezione non sia stata messa in rilievo da tutti i vangeli, essendo contraria allo stile normale di Gesù? E poi basta quest’episodio per sostenere oggi la tesi della Chiesa cattolica? La scelta non è piuttosto dovuta a un fatto culturale, quando in una società maschilista le donne contavano assai poco? Gesù è inserito nella storia, e quindi occorre tener presenti i limiti della cultura del suo tempo e del condizionamento culturale della religiosità ebraica in cui lui è emerso, ricordando però che anche ciascuno di noi è chiamato ad emergere dalla propria cultura, per avanzare, per procedere oltre. E Gesù era indubbiamente tanto in avanti rispetto ai suoi tempi da non aver mai proibito alle donne alcuna attività; ma proprio perché era troppo oltre, troppo moderno, non è stato capito su questo. E allora, non è il caso ormai di pensare a una Chiesa dove la donna occupi finalmente il posto realmente voluto da Gesù?

Tanto più che - e questa mi sembra l’obiezione più pregnante, fatta sempre da Pagola, - anche se si dicesse che in fin dei conti, all’ultima cena, le donne erano lì solo per servire a tavola i 12 maschi, perché questo era il compito tradizionalmente riservato in quella cultura alle femmine (cfr. Gn 18, 9; Rt 2, 14),  ricordiamo che Gesù ha detto: "Io sono in mezzo a voi come colui che serve"  (Lc 22, 2.7): quindi, secondo l’insegnamento del Vangelo, chi è più grande, colui che sta a tavola e si fa servire o colui che serve? La risposta è scontata, e allora siamo così sicuri che proprio Dio abbia voluto nella Chiesa un clero declinato solo al maschile, come ci ha insegnato il magistero?

Fra l’altro la parola ‘clero’ non esiste nel Nuovo Testamento, e deriva dal greco dove significava “sorte, eredità,” ma presto si è inteso questo termine come “parte scelta dei fedeli” perché si trattava di un gruppo di persone privilegiate, esenti da molti obblighi, il che avvenne subito dopo l’editto di Costantino (313 d.C.). Però è bene ricordare come Gesù – stando sempre ai vangeli, - si era opposto ad ogni privilegio (Mc 10, 35-46; Mt 20, 20-28), concludendo la sua vita nella comunità con la lavanda dei piedi (Gv 13, 12-15). 

Coloro che, secondo la volontà di Gesù (così come risulta nel Vangelo), dovevano essere i servitori della comunità, hanno invece finito per essere i membri privilegiati di un ordine (ordo), ossia i notabili che, da allora, hanno dominato e si sono imposti sulla stessa comunità. Se veramente i chierici fossero rimasti meri servitori, le donne avrebbero avuto con facilità spazio nell’ordine, perché nessuno in realtà ambisce a servire. Le donne sono state estromesse perché l’ordo sacro è presto diventato un ordine di potere e privilegi, non un ordine di servizio (salvo rare e lodevoli eccezioni) [9] (Castillo J.M.). Si è però ormai più volte visto che la Chiesa dovrebbe vivere oggi in circolarità e orizzontalità più che in verticalità piramidale, e in quel cerchio tutti diventano corresponsabili del buon andamento della Chiesa, ognuno a partire dal suo carisma e dall’impegno che ci mette nel servire, anche i laici e anche le donne[10].

Forse è il caso di affermare con forza che Gesù non ha affatto voluto una comunità divisa fra privilegiati e inferiori. Chi dirige la comunità servendo non ha alcun bisogno di essere privilegiato e neanche consacrato. Quindi, anche una donna dovrebbe poter dirigere una comunità.

Se poi si sostenesse che la Chiesa è stata istituita da Gesù non nell’ultima cena, ma sulla croce, incaricando Maria e il discepolo amato (Gv 19, 26-27: “Donna, ecco tuo figlio…Ecco tua madre”) saremmo in presenza di una perfetta parità fra maschi e femmine.

E poi, non notate una contraddizione fra la conclamata idealizzazione della Madonna, con le sue eccelse capacità di mediazione con Dio, e il fatto che alle donne sia negato il potere di trasformare il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Gesù? Neanche Maria, che ha portato nel proprio grembo il Salvatore, a differenza di qualsiasi sacerdote maschio, ha questo potere di eseguire il rito sacramentale destinato a nutrire i fedeli. Neanche lei, che è la più vicina a Dio, che viene menzionata nelle preghiere sempre prima degli apostoli. In fin dei conti la Chiesa amministra il sacramento tramite un suo ministro, che però ha una funzione unicamente di servizio, non ne è in alcun modo l’artefice, non può aggiungergli né togliergli nulla, e soprattutto non esercita in rapporto a esso alcun potere (potestas [11]).

A ben vedere, sempre in base ai vangeli, la donna dovrebbe essere perfino più del prete maschio, perché è l’annunciatrice della comunità, come risulta dalla samaritana al pozzo, e da Maria maddalena (Maria di Magdala) che viene inviata da Gesù ad annunciare la resurrezione, per cui viene chiamata apostola degli apostoli. Apostola apostolorum è un titolo superiore a quello di semplice apostolo, come re dei re è un titolo superiore a quello di semplice re (Ap 19, 16).

Inoltre abbiamo visto altre volte che il Vangelo non si accontenta neanche dell’uguaglianza uomo-donna, ma equipara il ruolo della donna agli esseri più vicini a Dio: il ruolo degli angeli che servono Dio viene svolto dalle donne, non dagli apostoli maschi. Si è, ad esempio, detto nel’articolo sulla Resurrezione (n.502 di questo giornale) che quando Maria di Magdala e le altre donne vanno ad annunziare la risurrezione (Gv 20, 18; Mt 28, 10), il verbo “annunziare” (ἀπαγγέλλω) ha la stessa radice dell’angelo. Perciò gli evangelisti stanno dicendo che la donna, l’essere umano ritenuto – nella cultura maschilista di allora, e per questo estromessa dalle funzioni più prestigiose- fra i più lontani da Dio per la sua condizione di continua impurità, in realtà è il più vicino e ha la stessa dignità degli angeli, perché sta svolgendo il servizio che costituiva un privilegio per gli angeli (cfr. anche l’episodio della suocera di Pietro al n.478 di questo giornale). Quindi, se è di più, perché non le si riconosce il di meno?

Un’altra spiegazione del divieto di sacerdozio imposto alle donne è tornato di recente in auge col cardinal Müller (vedi su Rai 3 il programma Presa diretta, su Papa Francesco, del 13.1.2019) e col cardinal Sarah nel su libro appena uscito (Benedetto XVI e Sarah Robert, Dal profondo del nostro cuore, Cantagalli, Siena, 2020, 65 e 80).

Sostanzialmente si afferma che il governo della Chiesa è un servizio d’amore dello sposo (Cristo) alla sposa (Chiesa). Non può, dunque, essere assunto se non dagli uomini che, in virtù del carattere sacerdotale, si identificano nel Cristo-Sposo. Il sacerdote, in virtù della sua rappresentanza del Cristo-Sposo, nella quale è pienamente innestata la sua mascolinità, si trova così in una relazione di complementarità con la donna, che rappresenta icasticamente la Chiesa-Sposa. Promuovere l’ordinazione delle donne equivale a negarne l’identità e il ruolo di ciascuno, perché solo il sacerdote maschio e celibe può innestarsi coerentemente nella propria identità di sposo della Chiesa.

Siamo davanti a una teoria degna di rispetto, però opinabile e piuttosto arzigogolata, perché di essa non c’è traccia nei vangeli. Dunque siamo davanti a dotte elucubrazioni umane, quindi pur sempre discutibili.

Il fatto che la Chiesa sia sposa di Cristo (Ef 5, 25-27) implica che tutti i credenti, e quindi anche tutti i sacerdoti maschi e celibi, facciano parte di essa, mentre la teoria sopra esposta separa arbitrariamente uno spazio sacro superiore (dove gli uomini consacrati stanno con Cristo, ma non le suore), da uno spazio profano inferiore dove stanno tutti gli altri (con tutte le donne). Non c’è traccia nei vangeli che Gesù abbia voluto tener separato uno spazio per gli uomini e uno spazio per le donne visto che – come detto sopra, - non ha mai proibito alle donne alcuna attività. In un precedente articolo (cfr. l’articolo Ma Gesù ha fondato questa Chiesa? al n.504 di questo giornale) si era già mosso qualche dubbio sul fatto che Gesù avesse istituito questo tipo di Chiesa, plasmandola perfino come sua sposa.  Resta anche più di qualche dubbio sul fatto che Gesù abbia istituito il sacerdozio tout court, visto che, stando sempre ai vangeli, Gesù era un laico, e non è andato una sola volta a pregare al Tempio, dove operavano i sacri sacerdoti. Quando Gesù pregava, lo faceva sempre in luoghi profani. Ancora oggi, invece, ci sono persone religiose convinte che Gesù abbia invitato la gente ad andare al tempio (chiesa) per assistere alle funzioni religiose sotto la direzione di persone sacre, che abbia organizzato la chiesa con il suo clero maschile (fotocopia del clero d’Israele [12]), e altre cose del genere. Invece Gesù non ha mai fatto nulla del genere; non era sacerdote; anzi, con Gesù è finito il sacerdozio perché siamo tutti sacerdoti, e non si è nemmeno mai sognato di ordinare sacerdoti i 12 apostoli (il termine ‘sacerdote’ non viene mai applicato nei vangeli ai discepoli di Gesù); non ha organizzato una sola funzione religiosa, e mai si è messo al servizio del tempio o della religione: in poche parole, Gesù ha tolto la religione dalle mani dei sacerdoti. Tant’è vero i cristiani dei primi secoli erano malvisti, erano considerati atei, perché non avevano né templi, né altari, né sacerdoti, né riti sacri [13], tutte cose fondamentali in ogni vera religione.

Dunque, seguendo il comportamento di Gesù, all’inizio non ci sono stati sacerdoti come oggi li intendiamo neanche nelle comunità primitive. Nelle prime comunità c’erano i presbiteri (da cui oggi la parola prete), cioè gli anziani, i saggi, che venivano scelti perché ritenuti idonei a instradare la comunità. Ma era la comunità stessa che si sceglieva i presbiteri, i quali erano al servizio della comunità che li aveva scelti. Quindi erano individui che la comunità sceglieva perché li servisse. Il presbitero è un individuo che mette la propria esistenza a servizio della comunità. Non è un individuo che sta un gradino più in alto, ma eventualmente un gradino più in basso. Invece la Chiesa l’ha messo dopo poco tempo su un gradino più alto.

La posizione subordinata della donna nella Chiesa entra nel cristianesimo con Paolo (1Cor 11, 3.7; 14, 34), non viene sicuramente da Gesù. È stato Paolo che, per far espandere il cristianesimo nell’Impero, è dovuto venire a patti con alcuni principi culturali dell’impero: ha dovuto, fra l’altro, accettare la schiavitù, l’obbedienza all’autorità e la subordinazione della donna, anche se in Galati 3, 27ss. aveva scritto che nessuna distinzione verrà più mantenuta tra ebrei e gentili, fra liberi e schiavi, né fra maschi e femmine [14].

È chiaro che questo iniziale cattolicesimo (universale) egualitario, vissuto da Gesù, era già in netto contrasto con il costume comunemente accettato della discriminazione sociale nell’ebraismo e nell’impero romano. Il fatto che gentili, schiavi e donne potessero essere partner attivi e in pari uguaglianza, in quella nuova comunità cristiana, lasciava sbalorditi i cittadini dell’impero. Il problema è che, dopo duemila anni, sembra che lasci ancora sbalorditi papi come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il messaggio di Gesù era troppo avanzato per la società di allora, che non era pronta, ma com’è possibile che non sia pronta ancora dopo duemila anni?

Eppure, all’inizio della storia della chiesa, oltre agli apostoli, profeti e profetesse avevano la conoscenza per svelare il mistero di Cristo per rivelazione dello Spirito Santo (Ef 3,5), e parlavano alle comunità per edificarle, esortarle e consolarle (1Cor 14,3), anche se occorreva che le comunità vigilassero con discernimento per vedere se venivano veramente da Dio (1Gv 4,1). In poco tempo, però, la leadership delle donne è stata rapidamente cancellata da una esclusivamente maschile, ma ciò è avvenuto contrariamente all’insegnamento di Gesù e a quanto avveniva nella Chiesa delle origini (Fox M.).

Infatti agli inizi, a sovrintendere le riunioni delle prime comunità erano spesso delle donne ricche convertite (cfr. Atti 17,4.12). In Atti 12,12 si parla di un incontro di preghiera a casa di Maria, la madre di Giovanni Marco. Paolo chiama «nostra sorella» Appia, che insieme a Filemone e Archippo era una figura guida nella casa di Colossi (Filemone 2). Una donna d’affari convertita, che si chiamava Lidia di Tiatira, fondò una chiesa a Filippi (Atti 16,14). Nella Lettera ai Colossesi l’autore fa riferimento a Ninfa di Laodicèa e alla «chiesa nelle sua casa» (Colossesi 4,15). Paolo fa riferimento almeno due volte alla coppia di missionari Prisca e Aquila e alla «chiesa nella loro casa» (1Corinzi 16,19; Romani 16,3-5). Una donna, Cloe, sovrintendeva a una casa di Corinto che fu all’origine della prima lettera di Paolo ai Corinzi (1,11). Paolo scrive dopo essere stato informato delle discordie sorte in quella comunità. Da chi? Dai familiari di Cloe, e siccome l’unico nome riportato è quello di Cloe, è evidente che lei è la persona più importante della comunità. Sempre Paolo parla in molte occasioni delle donne che collaboravano alla sua missione. In Romani 16 elogia Maria, Trifèna, Trifòsa e Pèrfide per aver «lavorato» duramente per il Signore. In Filippesi 4,2 e ss. riconosce che Evòdia e Sintiche «hanno combattuto» fianco a fianco con lui. Come spesso, dunque, anche Paolo (o chi rappresenta la sua scuola) non è coerente perché una volta afferma la completa uguaglianza, un’altra impone che le donne tacciano in chiesa (1Cor 14, 34).

La teologa Elisabeth Schüssler Fiorenza, di fronte a questi elementi secondo i quali non c’è motivo per ritenere che le donne fossero sempre state in posizione gregaria, conclude: «Non abbiamo ragione per ritenere che le donne fossero escluse dalla leadership delle chiese all’interno delle case o dal presiedere al culto», e così sintetizza il ruolo che avevano le donne nella comunità cristiana degli inizi: «Le lettere di Paolo indicano che le donne erano tra i missionari di maggior spicco e prestigio nel primo movimento. Erano collaboratrici di Paolo [...] Non erano escluse da alcuna funzione missionaria. Erano predicatrici, insegnanti e leader delle comunità. [...] Il loro ministero non era rivolto solo alle donne né era limitato a specifici ruoli o funzioni legate al genere femminile. Il fatto che le donne fossero in posizione di primo piano nel movimento cristiano dei primi tempi è confermato dall’esame della lista dei nomi in Romani 16. Delle 36 persone menzionate, 16 sono donne e 18 uomini. Le lettere di Paolo ci danno dunque modo di ravvisare l’aspetto egalitario del primo movimento missionario cristiano».

In conclusione, il problema sembra stare nel peccato di orgoglio, di onnipotenza della Chiesa, che ancora nel XXI secolo pretende di governare il mondo non solo senza, ma contro l’altra metà del cielo, continuando ad alimentare irrisolvibili divisioni.

Dario Culot

[1] Harari Yuval Noah, Sapiens, Da animali a dèi, Bompiani, Milano 2018, 174.

[2] Ricordo che lo Stato della Città del Vaticano non ha sottoscritto la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo del 4.11.1950. Formalmente perché non fa parte dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa (è solo Stato osservatore), e solo gli Stati membri possono aderire e firmare la convenzione; ma anche se fosse Stato membro, non la potrebbe comunque firmare perché essendo l’istituzione vaticana maschilista, non accetta il principio di piena uguaglianza uomo-donna, che invece è uno dei cardini della convenzione (art. 14 che vieta ogni discriminazione fondata sul sesso).

[3] Del resto, nella Bibbia, al servizio sacerdotale erano destinati solo i maschi della tribù di Levi (Nm 3, 10-13; Es 28, 43), senza difetti fisici: in particolare il nominando sacerdote non poteva essere difettoso nei genitali (Lv 21, 20). Forse che anche Dio è maschio con i testicoli?

[4] Drewermann E., Funzionari di Dio, ed. Raetia, Bolzano, 1995, 321.

[5] Parliamo in particolare del sud America, dove in certi posti sperduti gli abitanti vedono il prete sì e no una volta all’anno. Lo ha ricordato suor Alba Teresa Cediel Castillo al Sinodo dell’Amazzonia dell’ottobre 2019; vedi anche sua intervista sul “Corriere della sera» 20 ottobre 2019”.

[6] Anche per il vescovo Sarah “Una comunità che si radichi nell’idea di un «diritto all’Eucaristia» non è più discepola di Cristo (Benedetto XVI e Sarah Robert,  Dal profondo del nostro cuore, Cantagalli, Siena, 2020, 68). Ma allora è sbagliato il Catechismo.

[7] Con l’Enciclica Mediator Dei del 20.11.47 di Papa Pio XII (in http://www.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_20111947_mediator-dei.html) venne stabilito che: “Ricordiamo solamente che il sacerdote fa le veci del popolo perché rappresenta la persona di Nostro Signore Gesù Cristo in quanto Egli è Capo di tutte le membra ed offrì se stesso per esse: perciò va all'altare come ministro di Cristo, a Lui inferiore, ma superiore al popolo. Il popolo invece, non rappresentando per nessun motivo la persona del Divin Redentore, né essendo mediatore tra sé e Dio, non può in nessun modo godere di poteri sacerdotali”. Da ciò si dedusse che l’individuo deve inserirsi nella comunità-Chiesa solo sotto la gerarchia, non potendo altrimenti partecipare alla vita divina (Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia, ed. Paoline, Roma, 1965, 268s.). Pio XII è stato però smentito dal concilio Vaticano II il quale ha dichiarato che siamo tutti sacerdoti.

[8] Giuseppe e Maria erano sicuramente ebrei, e lo era anche Gesù, visto che Paolo scrive in Gal 4, 4 che Gesù è nato sotto la Legge, il che significa che i suoi erano osservanti della Torah, e visto che “compiuti gli otto giorni per la circoncisione e i giorni della purificazione di Maria dopo il parto, Gesù venne portato al Tempio per essere offerto a Dio” (Lc 2, 21-24). 

[9] Per tutti quei pii conservatori che si ritraggono inorriditi di fronte a quest’affermazione, e si aggrappano all’ortodossia di cardinali come Ruini o Burke, suggerisco di andare a leggere Nuzzi G., Via Crucis, ed. Chiarelettere, Milano, 2015, 62s (e in particolare l’elenco a p. 143s. degli appartamenti, con le rispettive metrature, occupati a Roma dai vari cardinali); l’autore conclude che i 50 mq occupati da Papa Francesco sembrano quasi una capanna. Stesso discorso andrebbe ripetuto per il vescovo di Molfetta Tonino Bello, che viveva in due stanze avendo lasciato il resto del palazzo diocesano per i poveri, e per questo contestatissimo dagli alti papaveri vaticani. Ma, di nuovo, chi vi sembra, fra tutti questi, stia seguendo di più il vangelo, dove si dice che Gesù non aveva neanche un posto dove posare il capo (Lc 9, 58), e dove chi segue veramente Gesù deve solo servire?

[10] P. Casaldàliga e José M. Vigil, La spiritualità della liberazione, ed. Cittadella, Assisi, 1995, 327.

[11] Pascasio Radberto, uno dei padri della transustanziazione, Il corpo e il sangue di Cristo, XII, 4-5.

[12] Essendo fonte d’impurità, alla donna era inibito sia il sacerdozio sia l’accesso alle zone più sacre del tempio (Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 238). È anche vero che le numerose donne che i vangeli dicono accompagnassero Gesù ed i discepoli erano, secondo i criteri culturali e religiosi di quel tempo, meritevoli di totale disprezzo, giacché si trattava di donne ammalate, peccatrici e indemoniate (Lc 8, 1-3). La grande peccatrice che aveva osato entrare nella casa di un fariseo nell’ora del banchetto e lì, davanti a tutti, si era messa a profumare, baciare e toccare Gesù, era stata accolta ed elogiata per questo, mentre al contempo era stato sempre Gesù a rimproverare apertamente l’anfitrione fariseo che l’aveva invitato a pranzo a casa sua (Lc 7, 36-50). La samaritana, per niente esemplare, con la quale Gesù dialogava in aperta campagna mentre erano soli, cosa strettamente proibita dalla religione (Gv 4, 27), ha dovuto sentirsi così profondamente accolta e rispettata da Gesù, da parlare di lui con entusiasmo nel proprio villaggio, e in seguito a ciò molti hanno creduto (Gv 4, 41). Tutto questo dimostra che Gesù aveva una mentalità troppo aperta per la cultura di quei tempi.

[13] Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 208 e 204.

[14] Si è visto all’inizio di questo articolo come gli uomini spesso si contraddicano.