Donne e Religioni
Donne e Religioni
p.Sergio Targa, sx
Articolo tratto da Women in Context, CSA, (Asian Study Centre) Osaka, 2007.
La traduzione è stata fatta a cura di Banglanews e non è stata rivista dall'Autore.
Quando le catene della religione vengono sciolte, la condizione sociale dello sviluppo delle donne è pressoché eguale a quella degli uomini. Ma col pretesto della religione, gli uomini ora dominano sulle donne. Begum Rokeya1
Le varie religioni differiscono in molte cose. Quello che per una religione è proibito per un'altra può essere permesso e talvolta anche incoraggiato. Tutte le religioni sono comunque, abbastanza stranamente, d'accordo, quando si tratta di minimizzare, trascurare od opprimere le donne.2 Questo è certamente il caso del Bangladesh con le sue due maggiori tradizioni religiose: Induismo e Islam. Il presente lavoro tenterà una lettura fenomenologica della situazione delle donne in queste due religioni. Attenzione sarà poi data particolarmente all'esperienza quotidiana delle persone.
L'ortodossia come tale o l'elucubrazione teologica di esperti scritturali è qui ignorata qui a favore delle "vere" religioni come vissuti dai rispettivi seguaci nelle situazioni disparate della vita di ogni giorno. Le donne infatti non soffrono per quello che ciascuna religione è o dovrebbe essere in teoria; ma per quello che è in pratica.
Provenendo da una società estremamente patriarcale e centrata sugli uomini, Induismo e Islam, non poterono che inserire nei loro rispettivi dogmi quelle stesse caratteristiche sociali. Di conseguenza entrambe le religioni, generalmente parlando, non prevedono alcun ruolo delle donne nella sfera pubblica, che è completamente occupata e dominata dagli uomini. Le espressioni religiose e i ruoli delle donne sono confinati alla sfera privata, e possibilmente, all'interno delle mura domestiche. Praticanti religiosi nei templi e nelle moschee, sono sempre e solamente maschi. Non è permessa la presenza delle donne nelle moschee. La pratica delle cinque preghiere quotidiane (namaj) sarà quindi da loro compiuta nella segretezza delle loro case. In Bangladesh non è assolutamente concepibile che questa situazione possa cambiare, in un prossimo futuro.
Le donne indù, al contrario, possono visitare i templi ed offrire le loro preghiere (puja) a dei e dee. Questo, comunque, è impedito durante le mestruazioni. Mentre in entrambe le tradizioni gli uomini hanno una specie di iniziazione religiosa, upanayana e circoncisione rispettivamente per indù e musulmani, alle donne non viene richiesta alcuna cerimonia religiosa. La loro appartenenza religiosa è in qualche modo garantita da quella del padre o del marito. Infatti, le donne sempre sono il possesso di qualcuno ed è il loro proprietario che garantisce l'appartenenza religiosa. In casi di matrimoni misti, quasi sempre, è la moglie che deve convertirsi alla religione del marito.
In breve, come è improprio per le donne prendere qualsiasi responsabilità al di fuori delle mura domestiche, allo stesso modo non possono avere ruoli istituzionali nel dominio della religione. Come dato di fatto, gli ostacoli maggiori al percorso per l'emancipazione delle donne sono nelle religioni odierne del Bangladesh. La religione sta divenendo una specie di ultima fortezza del patriarcato; una fortezza che, sfortunatamente, non sembra aver ancora iniziato il processo di sgretolarsi.
Induismo, nelle forme a noi note oggi, si sviluppò dall'inizio dell'era cristiana. Come una reazione Brahmanica all'egemonia buddistica in diminuzione, fondamentalmente centrata nei centri urbani e commerciali, l'Induismo si sviluppò essenzialmente in contesti agrari, alle periferie di imperi e regni buddisti. Sin dall'inizio l'Induismo pretese una continuità ideologica con l'ethos e le antiche pratiche religiose Vediche. In pratica il riferimento ai Veda era solo strumentale per la costruzione di una nuova religione. I Veda infatti erano come una scatola ideologica vuota pronta ad essere riempita secondo le necessità dalla nuova élite sacerdotale. I Brahmini erano gli unici a sapere qualcosa sui Veda. Resta comunque il fatto che, come reazione all'egalitarismo buddista,3 e come continuazione dell'ethos pastorale dei Veda dove donne erano considerate intoccabili durante la mestruazione e il parto 4 e riconoscendo l'ideologia di fertilità e il femminile come codificato nelle relazioni agrarie della società nella quale era nato, l'Induismo produsse e codificò una concezione di femminilità che si trova ancora oggi dappertutto nel subcontinente indiano. Forse la migliore esposizione sintetica ed organica di tale concetto può essere trovata nel Manava Dharma Shastra. Il capitolo 9 di questo antico testo tratta dei doveri di mariti e mogli. Dice: Gli uomini devono rendere le loro donne dipendenti giorno e notte, e mantenere il controllo su quelle che sono attaccate a oggetti sensoriali. Suo padre la protegge nell' infanzia, suo marito la protegge nella gioventù, e i suoi figli la proteggono nella vecchiaia. Una donna non è fatta per essere indipendente.5
La severità di tali ingiunzioni era in larga misura giustificata dai bisogni politici del nascente stato indù. Dall'inizio dell'era cristiana il sistema delle caste era la base della politica indù. Quanto più forte era l'applicazione della legge di casta (varnadharma) tanto più stabile era lo stato. Per questo scopo la dipendenza delle donne e la loro segregazione era un necessario corollario. Dice Manu:
Se uomini persistono nel cercare un intimo contatto con le mogli di altri uomini, il re dovrebbe infliggere punizioni tali da ispirare terrore e bandirli. Per quanto riguarda la confusione di classi [ caste], la mancanza di religione elimina le radici e lavora per la distruzione di ogni cosa.6
Tuttavia la segregazione e dipendenza delle donne aveva comunque bisogno di essere giustificata ad un livello più profondo e naturale.
Un buon aspetto non interessa loro, né si curano dei giovani "Un uomo"! dicono, e godere facendo sesso con lui, sia esso bello o brutto. Correndo dietro agli uomini alla stregua di prostitute, con le loro deboli menti e con la loro naturale mancanza di affezione, queste donne sono infedeli ai loro mariti anche quando sono custodite gelosamente. Sapendo che è questa la loro natura, come dalla creazione dal Dio di Creature, un uomini dovrebbero fare il massimo sforzo per custodirle.7
Chiaramente si deve osservare che gli storici non possono dire se il Manava Dharma Shastra arrivò ad essere una effettiva legge in qualche stato indù del passato. Questo è comunque irrilevante per il nostro discorso. Il fatto è che, nonostante siano sconosciute alla maggior parte degli indù del Bangladesh di oggi, le idee del testo sono divenute eredità culturale non solo per gli indù ma per tutte le persone del Subcontinente. Queste idee infatti sono state riprodotte nel tempo nelle puranas e nei poemi epici così tanto da guadagnare egemonia culturale. Il Mahabharata, un poema epico noto dappertutto in Asia meridionale, per esempio dice:
Non c'è nulla di più peccaminoso delle donne. Senz'altro le donne sono la radice di tutte le colpe. Questo ti è certamente noto, o Narada! Le donne, anche quando possedute da mariti che hanno fama e ricchezza, di bell'aspetto e completamente obbedienti, sono sempre pronte a trascurarli se ne hanno l'opportunità.8
Sembra che nei primi tempi Vedici, le donne avevano un certo accesso ai Veda ed ai sacrifici. Questo cambiò improvvisamente nell'Induismo, dove alle donne di qualsiasi casta venne negato l'accesso ai Veda e ai sacrifici che dovevano essere compiuti solamente dal padrone di casa. Ma quella che realmente cambiò fu la condizione sociale delle donne, in generale. Ora si stavano assimilando alla condizione sociale di sudra, la quarta casta, la casta di servitori. Nel Gita Bhagavad Krishna dice: "Nessuno mio servitore è perso. Anche persone di basse origini, donne, vaisyas, nay sudras, vanno al punto più alto se credono in me."9
Questi cambiamenti religiosi erano allo stesso tempo il risultato di cambiamenti nelle politiche di quel tempo. Come accennato prima, la religione Vedica era basata su una società pastorale e nomade. I governanti furono chiamati gosvami (proprietari di vacche), con esplicito riferimento all'importanza degli armenti. L'Induismo invece si basava sulla struttura di una società agraria e periferica, in quanto i centri urbani e commerciali erano di ideologia buddistica. Qui i governanti cominciarono ad essere noti come bhusvami, proprietari della terra. In questa società entrambi i bisogni del sistema di casta erano visti come una catena di signorie e la similitudine tra la potenza procreativa delle donne e la fertilità della terra non poterono far altro che far considerare le donne come un accessorio essenziale alla supremazia patriarcale maschile.10 La stessa relazione tra re e regno venne a essere interpretata con la metafora coniugale. Interessantemente, svami è una parola che addirittura oggi viene comunemente usata per indicare il marito, cioè il proprietario della moglie.
Da notare poi che la marginalizzazione di donne e di persone di bassa casta nei domini istituzionali della religione coincise con l'inizio di nuove frange religiose. Il movimento bhakti(devozione) che predicò la creazione di una relazione di amore personale tra il devoto e la sua divinità eletta (ista devata), divenne lo spazio dove devoti in generale e donne in particolare avevano la possibilità di esercitare, la loro libertà religiosa.
Certamente, se all'inizio il movimento bhakti aveva incarnato una reazione alla religione istituzionale centrata sui maschi, successivamente divenne funzionale ad essa, eventualmente divenne funzionale a lui. Nel dominio della vita personale le donne potevano manifestare il loro dolore e la loro gioia a un Dio che dissimilmente dal loro svami (marito-padrone) poteva ascoltarle e consolarle.
Questa religione devozionale aiutò in qualche modo le donne a superare o sopportare una situazione che era letteralmente senza vie d'uscita. Manu dice ancora:
Una moglie virtuosa dovrebbe continuamente servire suo marito come un dio, anche se lui si comporta male, appagare la sua concupiscenza, anche se è privo di ogni buona qualità. Una moglie virtuosa non dovrebbe fare qualsiasi cosa che dispiaccia, al marito che prese la sua mano nel matrimonio, quando egli è vivo o morto, se lei appartiene al mondo di suo marito (dopo la morte). Quando suo marito è morto… lei dovrebbe soffrire a lungo, fino alla morte, essere riservata, e casta, sforzandosi (sino all'esaudimento) per il dovere insuperato delle donne che hanno un marito. Una moglie virtuosa che rimane casta quando suo marito è morto va in paradiso … anche se lei non ha figli.11
Evidentemente, non solo è in potere assoluto di un marito finché esso è in vita, lo resta anche dopo la sua morte. Va poi detto che la situazione di un vedovo è invece completamente differente. Dopo aver adempiuto ai riti funebri per la moglie deceduta, è incoraggiato sposarsi di nuovo senza alcun indugio.12 Sebbene Manu scrivesse queste ingiunzioni oltre duemila anni fa, sono convinto che esse siano oltremodo valide anche nel Bangladesh di oggi. Esse sopravvivono in qualche modo anche a quelle idee che sono alla radice della situazione di discriminazione e sfruttamento delle donne fino ad oggi. Sfortunatamente né l'Islam o il Cristianesimo più tardi, si pronunciarono contro questo discorso egemonico indù e addirittura furono influenzati dalla stessa malattia. C'è un detto molto comune in Bengali: "Il paradiso delle donne è sotto i piedi dei loro mariti". Questo è detto da ognuno, indipendentemente dal proprio credo religioso. L'unica differenza è che i musulmani si riferiscono al paradiso con la parola persiana behesta, mentre indù e cristiani usano la parola sanscrita svarga! Davvero, "sob shialer eki ran!"13
È difficile dire quanta parte della concezione indù delle donne si è trasferita ed ha influenzato l'Islam nel Subcontinente. Il risultato comunque è stato che l'Islam era troppo pronto a acculturarsi e accettare un'ideologia in linea con le proprie concezioni di patriarcato e misoginia. Sia gli indù che i musulmani si stringono la mano con i relativi insegnamenti, quando si tratta di mantenere l'inferiorità delle donne e la loro sottomissione.
In Bangladesh la fonte della cultura religiosa elementare per musulmani pii è costituita da una serie di letteratura popolare che si trova dapertutto.14 Fra questa serie di libri islamici i seguenti possono essere menzionati: Behester Kunji (La Chiave al Paradiso), Beheshti Zewar (I Tesori del Paradiso), Maqsudul Momeneen (Il Destino dei credenti) e Kassa-suul-Ambia (Le Storie dei Profeti). Questi sono libri datati che comunque sono fonte di rispetto e autorità. Maqsudul Momeneen per esempio fu scritto dal defunto Maulana Gholam Rahman nel 1935. Nel 1994 era arrivato alla 45° edizione. Questa letteratura propaga una visione molto dogmatica dell'Islam benché fondata principalmente su superstizioni e equivoci di tipo patriarcale. Inutile da dire, le donne appaiono sempre nella forma peggiore. Come esempio, nel libro in Bengali di Gholam Rahman : Maqsudul Momeneen, "giustifica il marito che sta colpendo e castigando le proprie mogli sotto le seguenti circostanze: se la moglie rifiuta di avere sesso col marito e non ha scuse valide. Se la moglie non si veste e va da suo marito se così le viene chiesto. Se la moglie non si pulisce. Se la moglie visita una casa altrui senza il permesso di suo marito. Se la moglie non pratica rituali islamici e non osserva l'isolamento. Se la moglie dà via qualcosa ad altri senza il permesso di suo marito o va via dopo aver preso la propria dote."15 Ma il vero gioiello di questo libro è rappresentato dai 35 comandamenti messi insieme esclusivamente per le donne.16 Qui il nostro autore non solo raggiunge i pensieri di Manu sulle donne, ma li supera. Per dare al lettore un esempio riporto qui i due ultimi comandamenti, il 34 e il 35:
34. Dovresti essere grata a Dio anche se tuo marito è pazzo, stupido e analfabeta. Dovresti guardare tuo marito come una cosa tanto preziosa quanto la luna e spendere la tua vita ai suoi piedi, così da ottenere la beatitudine eterna.
35. Sia se tuo marito è ricco o povero, colto o analfabeta, cieco o storpio, bello o brutto, servilo come il tuo padrone, amalo e curalo. Una donna immorale è secondo il Profeta, peggiore di mille uomini immorali messi assieme e una donna virtuosa è migliore di settanta santi messi assieme.17
Questo genere di insegnamento islamico ha trovato nuove prese nelle masse musulmane del Bangladesh. Cassette audio, video, CD, DVD pubblicano gli stessi insegnamenti in modo che essi possano arrivare anche alla cospicua parte analfabeta della popolazione del Bangladesh. Maulana Delwar Hussain Saidi è in questo periodo l'oratore più noto che propone tali insegnamenti. I suoi discorsi possono essere ascoltati sugli autobus ma anche in adunate religiose. Da 1996 è anche un membro del Parlamento nel partito Jamat-e-Islami.18 Come lui migliaia di Mullah continuano in tutto il Bangladesh ad alimentare questa visione molto popolare, misogina e patriarcale dell'Islam.
La questione delle donne, apparentemente, viene presa da questi semianalfabeti e sedicenti paladini dell'Islam come il nucleo centrale della difesa dell'Islam contro il modernismo e contro gli attacchi occidentali. È come se permettere l'uguaglianza di donne e la loro liberazione facesse crollare dalle fondamenta l'intero edificio islamico. In realtà non è l'Islam che è in pericolo nel Bangladesh di oggi ma le relazioni di potere patriarcale della sua società e del suo stato.
Lo stato dai primi anni 90 ha preso parte ad inique alleanze con la destra religiosa, particolarmente con il partito Jamat-e-Islami. Facendo questo ha compromesso la possibilità di realizzare un'agenda politica tesa al miglioramento dei diritti delle donne, prescritta dalla sua Costituzione e sottoscritta nei trattati internazionali. Lo stato è stato particolarmente sordo alle sempre più pressanti richieste delle organizzazioni sia delle donne che della società civile tendenti a riformare il regime di leggi sotto il quale viene regolata, in Bangladesh, la vita privata. Questa Legge Personale è fondata sulla religione e, inutile dirlo, è estremamente discriminatoria verso le donne e i loro diritti. La Legge Personale per gli indù in Bangladesh è ancora quella che esisteva durante la dominazione inglese. Qui le donne hanno un accesso molto limitato alla proprietà. Possono ereditare solamente una limitata porzione della proprietà del loro marito o del loro padre. Al massimo loro possono ereditare un interesse durante la vita. Matrimoni fra indù sono solennizzati attraverso cerimonie religiose. Non sono registrati e non esiste in Bangladesh un archivio di matrimoni indù. Questa è una grave lacuna quando le donne hanno bisogno di terminare il loro matrimonio.
Le donne indù possono interpellare il tribunale soltanto per riguadagnare il loro diritto a una vita coniugale. Secondo Legge Personale indù, donne indù non possono chiedere il divorzio ai loro mariti. E questo è una delle parti della legislazione religiosa che costringe le donne a vivere tutta la loro vita in un inferno, se hanno avuto la sfortuna di sposare il marito sbagliato. Per quanto riguarda le adozioni solamente una donna maritata può adottare bambini. Anche in questo caso, comunque, lei è soltanto un agente e non può adottare nessuno senza il consenso di suo marito.19 Al centro di Legge Personale indù esiste il concetto che il matrimonio indù non è un contratto ma un genere di iniziazione religiosa, nella quale la donna ottiene un'autopurificazione (atmashuddhi). Nell'Induismo non esiste cerimonia religiosa separata per le mogli. Il dharma-karma di suo marito è per lei l'unico viatico nella vita. Per questo lei è chiamata sohadharmini e ordhanghini, (cioè quella che partecipa al dharma di suo marito e lei è "metà" e può arrivare solamente alla completezza se collegata a suo marito). Le mogli secondo la Legge Personale indù non hanno esistenza da sole ma solamente in quanto congiunte ai loro mariti. Dobbiamo inoltre ricordare che i matrimoni devono essere solennizzati solamente tra appartenenti alla stessa casta. La Legge Personale musulmana in Bangladesh ha subito cambiamenti e modifiche durante il corso degli anni; il più importante è stata l'introduzione, dopo la partizione dell'India , dell'Ordinanza di Legge per la Famiglia musulmana del 1961.20 A differenza di quello indù, il matrimonio musulmano è un contratto sociale che per essere valido richiede il consenso di entrambe le parti che lo contraggono e la presenza di due testimoni, maschi o femmine.21 Poiché si tratta di un contratto, si suppone che la moglie riceverà una dote (den mohor). Questa è una specie di sicurezza data alle mogli musulmane. Mantengono questo diritto alla dote anche in caso di divorzio o morte del marito. Il suo ammontare è stipulato nel contratto del matrimonio. Alcuni affermano che la dote data alle donne è un segnale del rispetto e dell'onore che l'Islam da loro. La realtà può essere leggermente differente. "Un seguace di Jamat-e-Islami è stato molto franco nel dire che il sistema del Mehr [dote (den mohor)] fu presentato perché le donne sono deboli e dipendenti dagli uomini. Aggiunse immediatamente, ' se uno teme Dio, non ci dovrebbero essere qualsiasi opposizione o critica a questo! ' "22 La stessa Ordinanza del 1961 tentò di controllare e restringere la poligamia in Bangladesh. Prescrive così che prima di contrarre un secondo matrimonio un marito deve ottenere il permesso dal Presidente del Parishad (Presidente del Governo Locale) chi, raggruppando un Consiglio di Arbitraggio, chiede di verificare il beneplacito della prima moglie e i motivi per tale richiesta. Sfortunatamente, "il Consiglio di Arbitraggio è composto di soli maschi che danno il permesso di contrarre un nuovo matrimonio basandosi sul più piccolo pretesto." 23
Per quanto riguarda il divorzio (talaq), solamente il marito ha il diritto di chiederlo. La moglie può avere questo diritto solo se nel contratto di matrimonio questa facoltà era stata indicata.
L'Ordinanza del 1961 ha tentato in qualche modo di mitigare e controllare il potere degli uomini di divorziare a loro piacimento. È stato così introdotto un sistema di arbitraggio. Pronunciando il divorzio il l marito deve spedire un avviso al Presidente della locale Parishad e, per conoscenza, a sua moglie. Il Presidente del Consiglio dell'Arbitraggio tenta di far riconciliare la coppia. Se il tentativo ha successo, il divorzio è annullato, altrimenti entro 90 giorni dalla ricezione dell'avviso, il divorzio diviene operativo e definitivo.24 "Comunque, il Consiglio di Arbitraggio non può impedire il talaq da parte del marito anche se è estremamente arbitrario e ingiusto e può rimandare solamente il divorzio con la speranza di una eventuale riconciliazione tra le parti."25 Le mogli musulmane possono chiedere il divorzio solo ricorrendo a corti giudiziali. I motivi per questo genere di divorzio devono essere: l'assenza lunga del marito (4 anni); rifiuto mantenere la moglie per 2 anni; marito incarcerato per più di 7 anni; mancanza per 3 anni da parte del marito di compiere i suoi doveri coniugali; conversione ad un'altra religione; oppressione e tortura da parte del marito e tortura. Questo genere di divorzio non è una diritto delle donne musulmane e dipende completamente dal verdetto del giudice. Il marito, secondo Legge della Famiglia musulmana dovrebbe provvedere al mantenimento della moglie fino a che il divorzio non diviene operativo. Non ha alcun obbligo di mantenimento, dopo il divorzio. Per quanto riguarda poi la custodia dei bambini, un maschio può rimanere con la madre fino all'età di sette anni, un femmina può rimanere con la madre fino alla pubertà. Comunque, la custodia viene concessa in considerazione dei diritti dei bambini.
Le ineguaglianze di genere stabilite dalle diverse Leggi Personali religiose nel Bangladesh sono poi in qualche modo controllate da nuove legislazioni e da verdetti di tribunali in tutto il paese. È però molto raro che una donna possa accedere a un giudizio di un tribunale, così che la maggior parte di quello che avviene nelle aree rurali è semplicemente che niente ha a che vedere con leggi e prescrizioni.
La discriminazione di genere in Bangladesh più che un problema giuridico è un problema socio-culturale. Sfortunatamente, le religioni, come menzionato prima con le parole di Begum Rokeya, non stanno facendo abbastanza per eliminarla. Al contrario, le religioni del Bangladesh di oggi rappresentano il maggiore ostacolo all'emancipazione delle donne. Lo stato, d'altro canto, a causa della sua debolezza interna e della sua struttura patriarcale è incapace di respingere le pressioni religiose così che l'attività degli attivisti dei diritti delle donne e di cittadini illuminati e di varie organizzazioni non si è ancora materializzata nell'adozione di un Codice Uniforme per la Famiglia stabilito in una Legge Civile del paese valida per tutti i cittadini del Bangladesh.
Note
1. citato in G. Murshid, Nari Dharma Ittadi (Dhaka: Anyaprakash, 2007), 31.
In Bengali, traduzione dell'autore.
2. vedi ibid., 83.
3. Il Buddismo indiano permise a donne di divenire monache.
4. vedi A.S. Altekar, The Position of Women in Hindu Civilization (Delhi: Motilal Banarsidass Publishers, 1999),
194–95.
5. The Laws of Manu, trans. by W. Doniger with B.K. Smith (London: Penguin Books, 1991), ch. 9,2–3, 197. Il
Manava Dharma Shastra è variamente datato tra il II Secolo AC ed il II secolo DC.
6. Ibid., ch. 8,352–53, 189.
7. Ibid., ch. 9,14–6, 198.
8. Mahabharata. Book 13, Anusasana Parva, Section xxxviii, trans. by Sri Kisari Mohan Ganguli. <http://www.
sacred-texts.com/hin/m13/m13b003.htm>. il Mahabharata è il poema epico indiano epiù grande e più lungo. È iziato nell'ottavo secolo DC.
9. The Bhagavadgita in the Mahabharata, trans. by J.A.B. Van Buitenen (Chicago and London: The University of
Chicago, 1981), ch.9,32, 107. The Bhagavad Gita, or simply Gita, is the sixth book of the Mahabharata.
10. See The Laws of Manu, op. cit., ch. 9,42ff . Il Bhagavad Gita, o semplicemente Gita, è il sesto libro del Mahabharata.
10. Vedi The Laws of Manu, op. cit., ch. 9,42ff. Qui la metafora del seme e della terra è esplicitamente usata per parlare della relazione tra marito e moglie.
11. Ibid., ch. 5,154; 156; 158; 160, 115–16.
12. Ibid., ch. 5,168–69, 116.
13. G. Murshid, Nari Dharma Ittadi, op. cit., 82. In italiano questo proverbio bengalese suonerebbe così: "Tutti gli sciacalli hanno la stessa voce". Traduzione dell'autore.
14. Per esempio, comprai il libro seguente, mentre viaggiavo da Dhaka a Khulna su un autobus: Maolana
Abdullah Abu Said Gajipuri, Mohilader Oaj o Adorsho Nari Shikkha.. (La Preghiera delle donne e l'educazione ideale delle Donne), Dhaka: Sagar Book Depo, 2004. In Bengali. È un elenco formale di regole e regolamentazioni di quello che le donne musulmane virtuose devono o non devono fare.
15. T. Hashmi, Popular Islam and Misogyny: A Case Study of Bangladesh, part 2, 2006, 2. <http://
www.mukto-mona.com/articles/taj_hashmi/index.htm>.
16. See ibid., 3–5.
17. Ibid., 8.
18. Maulana Saidi è un carattere molto ambiguo, un criminale di guerra criminale Gli è proibito attualmente da visitare gli USA per i suoi collegamenti dichiarati con Al-Qaida. Vedi le sue note biografiche su <http://www.muktadhara.net/saidi.html>.
19. Queste note su Legge Personale e indù sono prese da Taposh Kanti Baul & Khandaker Farzana Rahman Akhi,
“Personal Rights of Women in Hindu Laws,” Law & Our Rights (weekly magazine of The Daily Star), issue 227, Feb. 25
20. per altri cambi vedi P. D’Costa, Dainondin Jibone Ain Sahaieka (Law Use in Daily Life), (Dhaka: Heaven
and Holy Prokashon, 1998), 39. (In Bengali).
21. Prima dell'Ordinanza della Legge della Famiglia musulmana del 1961, il testimoni potevano essere o due uomini o uno uomo, e due donne. Apparentemente, l'ordinanza del 1961 non proibisce a una donna di agire come un singolo testimone con un uomo. Vedi H. Kamrul, “In Search of Equality: Marriage Related Laws for Muslim Women in Bangladesh,” Journal of International Women’s Studies, vol. 5, 1–11, 2003, 99.
L'articolo può essere trovato su <http://www.bridgew.edu/soas/jiws/Nov03/index.htm>.
22. K. Sultana, “Mehr: An Advantage or Dependency Reinforced?” wlumul Dossier 19 Feb. 1998, 3. <http://
www.wluml.org/english/pubs/rtf/dossiers/dossier19/D19-07-mehr.rtf>. questo breve articolo è molto interessante in quanto raccoglie quello che le persone comuni percepiscono circa il Mehr o den mohor.
23. H. Kamrul, “In Search of Equality: Marriage Related Laws for Muslim Women in Bangladesh,” op. cit., 100.
24. See P. D’ Costa, Dainondin Jibone Ain Sahaieka, op. cit., 45.
25. H. Kamrul, “In Search of Equality: Marriage Related Laws for Muslim Women in Bangladesh,” op. cit., p.101.
Bibliografia
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1999 The Position of Women in Hindu Civilization. Delhi: Motilal Banarsidass Publishers.
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1991 The Laws of Manu. London: Penguin Books.
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2006 Popular Islam and Misogyny: A Case Study of Bangladesh. Part 1 and 2. <http://www.
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