Andharkota, fra gli aborigeni


Il mercato delle stelle

Capitolo 2

Andharkota, fra gli aborigeni

Sommario

Ad Andharkota p. Pinos lavora dal giugno 1972 al luglio 1965, a Mariampur dal gennaio 1975 al febbraio 1976

Il mio maestro analfabeta

Ad Andharkota , fra gli aborigeni, ebbi la fortuna di lavorare assieme al vecchio catechista Sam Soren. Eccovelo.

Egli era un tribale Santal ed i Santal costituivano la grande maggioranza dei cattolici della parrocchia. Quando ci incontrammo egli era già molto anziano. Sam non portò mai orologio al polso o scarpe ai piedi, né viaggiò in bicicletta. Viaggiava sempre a piedi e i suoi piedi erano grossi e avevano tutt'intorno delle spaccature. Non aveva più neanche un dente in bocca, però aveva una gran voce e poteva cantare l'intera notte per far sentire ai non-cristiani il piano di salvezza del Signore. Aveva poi un repertorio inesauribile di storielle e di battute e riusciva a tenere attenta ed allegra la gente dei villaggi. Sam era analfabeta, non aveva mai letto un libro o scritto una lettera, tutto quello che conosceva del cristianesimo l'aveva imparato ascoltando le preghiere dei vari preti che egli aveva accompagnato per molti anni nei loro giri e visite ai villaggi. Sam aveva un carattere forte, ma soprattutto era la saggezza in persona.

Quando ci incontrammo mi disse: "Tu sei giovane ed io sono vecchio. Allora fra la gente sono io che parlo: tu dirai sì quando c'è da dire sì e no quando c'è da dire no. E sorriderai sempre". Visitavamo i villaggi non-cristiani solamente dopo esserne sinceramente richiesti. Le famo­se sedute notturne del catechista Sam iniziavano alla sera tardi, dura­vano tutta la notte e la gente cominciava ad andarsene non tanto al canto del gallo, ma quando il bestiame incominciava a muggire per avere il suo foraggio. lo rimanevo seduto a gambe incrociate di fianco a lui fino alle ore piccole, però avevo libertà di accucciarmi sul soffice strato di paglia dove eravamo tutti seduti e mettermi a dormire.

Ben presto notai che Sam parlava e scherzava di tutte le cose e non veniva mai a parlare del cristianesimo, se prima non ci fosse chi lo interrompesse e glielo richiedesse espressamente. Chiestogli il perché mi rispose: 'Non dir mai a nessuno, fin da principio, che il cristianesimo è buono o che Gesù è il Salvatore. Non tentare di convincere chicches­sia. Inutile! E' Dio che deve toccare i cuori per primo. dopodiché noi potremo gettare il seme nel solco". A queste sue parole io mi ricordavo di quanto disse Gesù: "Nessuno viene a me, se il Padre mio non lo attira". Egli mostrava fede nella preghiera. "Mentre narro storielle e faccio ridere la gente, in cuor mio, con grande angoscia, io continuo a sollecitare il Signore a muoverne i cuori".

Per provare che la parte più importante della conversione dell'uomo è Dio che deve giocarla, ripetutamente, mi narrò la sua storia.

All'inizio degli anni '30 un'ennesima carestia aveva colpito la zona e così i cristiani Paharia di Andharkota fecero un'emigrazione stagionale in cerca di lavoro, che poi trovarono. La Provvidenza volle che sul lavoro si trovassero accomunati i Santal non cristiani della stessa loro zona. Nacquero delle amicizie. Non mancarono di parlare della nuova religione dei Paharia. Prima di ritornare ai rispettivi villaggi, Paru Tudu di Dainpara e Sam Soren di Bortola decisero di farsi cristiani, essi furono i primi Santal del circondano della città distrettuale di Rajshai a decidere di convertirsi.

Per Paru la cosa fu facile, perché egli abitava lontano dai Paharia e fu battezzato per primo. Unica sua punizione fu che, dal duo battesimo in poi, i contribali lo chiamarono cori il nome dispregiativo di Paru Paharia (indicando con ciò che egli era ora considerato membro di detta, per loro, bassa tribù).

Per Sam la cosa fu assai più difficile. Non era ancora battezzato, eppure la gente di Bortola lo scomunicò. Nessuno più lo salutava e neppure a sua moglie era concesso di andare a chiacchierare con le altre donne del villaggio o attingere acqua al pozzo. Nessuno più prendeva Sam al lavoro ed il riccone del luogo attendeva l'occasione di potergli dare un memorabile carico di bastonate. La moglie stessa di Sam era in continuo litigio con lui a causa di questa sua pazza idea di lasciare la religione tribale; se ne fuggì anche a casa di suo padre, ma essi avevano cinque bambini e per amor loro la donna tornò presso il marito.

Anche il Buon Dio pareva non accorgersi della situazione del povero Sam: uno dei suoi bambini si ammalò, ma Sam non chiamò lo stregone come avrebbe fatto in passato ed il piccolo morì. Nessuno venne a confortarli e men che meno a dare una mano per la sepoltura. Sam, appesa alla spalla la sua zappa e preso sulle sue braccia il bimbo morto, dovette andare a seppellirlo da solo, mentre i paesani osservavano il suo procedere sghignazzando sulla sua paternità ferita. Tre mesi dopo, mentre accompagnava in visita ad alcuni villaggi il prete di Andharkota, sentì che un altro dei suoi bambini stava male. Corse a casa e lo trovò morto. Di nuovo egli dovette soffrire l'agonia di tre mesi prima. Stavolta, mentre egli procedeva con il suo morticino sulle braccia lungo la stradicciola del villaggio, la gente venne fuori a dirgli che la sua apostasia gli portava un meritato castigo e che stesse pronto per il peggio.

Molti anni dopo Sam osservava: "lo ho molto sofferto per questa religione, ma ero pronto a soffrire ancora di più. Sentivo una forte spinta nel... mio cuore, eppure io non sapevo che cosa fosse il cristianesimo, lo compresi molti anni dopo il mio battesimo."

Talvolta Sam era paziente, umile ed assennato, altre volte era energico e tagliente. lo conoscevo abbastanza bene la lingua bengalese, per cui talvolta per rendere più chiaro quello che stavo dicendo abbandonavo la lingua santal e cercavo di fare il punto in quella bengalese (che quasi tutti i Santal pure conoscevano).

Sam mi interrompeva immediatamente e diceva: "Cosa ti salta in mente? Tu sei il nostro prete e per parlare con noi devi usare la nostra lingua. Non ce la fai? Ebbene io sono qui per aiutarti". Fu grazie a lui che ho imparato la mia seconda lingua nativa.

Un giorno gli abitanti di un villaggio Oraon ci invitarono a predicare. Sam mi accompagnò fin sul luogo, ma arrivati alle prime case, si fermò e disse: "Eccoti, questo è il villaggio! Vacci e predica". "Ma, e tu? chiesi. lo da solo non ce la faccio. Non l'ho mai fatto". "Oggi incominci. Vedi, questi sono Oraon ed io Santal. Se sono io che predico, essi crederanno che il cristianesimo sia la religione dei Santal e lo rigetteranno. Tu, essendo prete sei Santal con i Santal e Oraon con gli Oraon: tu sarai accettato. Si volse e se ne andò. Mi aveva buttato fuori dalla barca, dovevo nuotare.

Entrai nel villaggio timido ed incerto, però quegli Oraon mi accolsero, mi diedero da mangiare e, quando venne la sera, vennero a me in gran numero. Anch'io, come Sam, incominciai a raccontare storielle e a buttar giù qualche battuta; tentai anche qual che canto, ma non avendo le doti del vecchio catechista, la mia parata fu un fiasco solenne. Intanto col cuore scosso dal panico scongiuravo il Signore che si affrettasse ad aprire quei cuori. Alla fine, una volta ancora, il buon Dio rispose: un giovane capo alzò la mano e disse: "Basta con queste cose. Parlaci di Gesù". Mi sentii liberato e mi trovai subito a mio agio. Gli Oraon di quel villaggio e di molti altri, a suo tempo, ricevettero il battesimo.

Avevamo messo i nostri occhi e le nostre speranze su un villaggio non cristiano della stessa tribù di Sam. Esso era situato ad un tiro di sasso da una stazione ferroviaria, era abbastanza grande e la gente stava relativamente bene; noi prevedevamo che, se si fossero convertiti, il sito avrebbe potuto diventare un sotto-centro di missione. Ed ecco che un giorno fummo invitati ad andare a predicare. Nel giorno stabilito vi arrivai e, sceso dalla bicicletta, fui immediatamente attorniato dalla gente tutta ben vestita ed allegra. Sam mi aveva preceduto a piedi e quale non fu la mia sorpresa nel sentire quello che egli stava dicendo agli astanti (mentre nello stesso tempo, afferrato il manubrio della mia bici, cercava di condurmi via): "Purtroppo abbiamo sbagliato giorno. Oggi siamo attesi oltre il fiume e vi dobbiamo lasciare!" Parlava forte per impedirmi di contraddirlo, come appunto io cercavo di fare. Tirò così forte quel benedetto manubrio che alla fine ci trovammo dall'altra parte del villaggio, soli. Ero finalmente libero di esplodere, lui però mi parlò diritto in faccia e disse: "Non pretendo che tu capisca le nostre cose a prima vista. Questa gente ha appena cominciato la festa della semina ed ha già bevuto un bel po'. Fra poco si siederanno a cena e tutti, uomini, donne e gioventù, si ubriacheranno a tal punto da non riuscire più a distinguere il giorno dalla notte e la madre dalla figlia. E tu vorresti che io predicassi ad un branco di ubriachi?"

Aveva ragione lui. Un po' alla volta io venni a dipendere completamente dal suo straordinario buon senso. Dopo tutti i miei studi in seminario, quest'uomo analfabeta finì col diventare il mio maestro.

Dopo tredici anni venni allontanato da Andharkota. Sam era già molto malato. Era dimagrito e quasi non si riconosceva più in lui la sua antica personalità. Lo visitavo spesso "per portargli le novità" e mi deprimeva il pensiero di perderlo. Mi accorsi di quanto lui pure sentisse affetto per me e anche se il suo parlare era stanco, pure le sue parole riuscivano a riaccendere in me la fiducia. Morì pochi mesi dopo che avevo lasciato Andharkota, ma la sua saggezza ha continuato a guidarmi in tutti questi anni.

Ho visto Adamo cacciato dal paradiso terrestre

Anche nella zona di Andharkota, alle minoranze tribali sta succedendo quello che succede ad esse in tutto il mondo: le loro foreste vengono tagliate, i loro fiumi inquinati e la loro stessa terra natale viene loro contestata. Il tribale si è imbattuto nell'uomo progredito e si è fermato, come Eva, a dialogare con lui. Non poteva essere altrimenti, ma anche qui, come altrove, succede che, mentre il progredito con una mano aiuta il tribale ad infilarsi i pantaloni, con l'altra gli ruba i terreni.

Per il tribale la terra "è di Dio": Dio la dà all'uomo perché questi la lavori e viva dei suoi frutti. L'uomo progredito invece stordisce il tribale col dirgli: "Tu sei un tonto, la terra è mia!" e gli mette sotto il naso delle carte, che hanno tutta l'aria di essere delle diavolerie indecifrabili e molto spesso sono documenti falsi.

Quante volte ho visto il tribale mettersi le poche masserizie sul capo e andarsene, mentre all'ombra del mango, che egli stesso aveva piantato, si era già accomodato l'astuto bengalese. Ho visto Adamo scacciato dal Paradiso Terrestre

Streghe e giustizia umana.

E' senza dubbio una brutta cosa essere una strega, ma non è certa­mente più simpatico essere ritenuta tale, senza esserlo. Fra i Santal e gli altri tribali si ritiene quasi impossibile che quaggiù succeda qualcosa, senza che, in questo qualcosa, si intrufoli il mondo invisibile degli spiriti e delle streghe.

Il vecchio capo di Bortola, nella missione di Andharkota, stava per morire. Egli era l'ultimo non battezzato del villaggio ed aveva sempre detto che desiderava morire com'era. Quale non fu la grata sorpresa dei famigliari quando, verso la fine, chiese che gli si chiamasse il catechista Sam. Quando questi arrivò, tutti erano intorno al suo giaciglio per sentire dalla sua bocca la sperata richiesta del battesimo; invece il moribondo disse: "Maestro, sento in me che le mie nuore, qui attorno, mi stanno mangiando l'anima. Dillo tu a loro che mi lascino morire in pace!" Immaginarsi la reazione : colei che è considerata una strega, una donna cioè che la tendenza e il potere di sgraffignare la vita degli altri, non solo si accorge di essere odiata e temuta da tutti, compresi i famigliari, ma è anche in continuo pericolo di essere punita e anche uccisa. L'estrema richiesta del vecchio capo non portò brutte conse­guenze alle nuore, perché il villaggio era ormai cristianizzato, ma rivela le ubbie che agitano la mente di un pagano.

I Santal credono che le streghe svolazzino di notte, di qua e di là, per "mangiarsi" la gente. Tra l'altro si pensa che esse tentino di rapire nel sonno la bambine che verranno poi portate alle loro congreghe notturne, dove si toglie loro il cuore: operazione che le fa diventare l'incarnazione della finzione e della cattiveria. L'unica cosa che trattenga le streghe, nelle loro tendenze sataniche, è la paura.

Anni fa, in un villaggio della missione di Pathorghata, per sospetti del genere, si fece processo ad una catecumena, una giovane mamma di tre bambini: appunto per farle paura; fu talmente battuta che la poveretta morì là davanti a tutti.

Il vecchio Kalu, per le stesse ragioni, aveva orribilmente sfregiato la sua seconda moglie. Nel tentativo di tagliarle naso e orecchie, egli la lasciò col viso deturpato da brutte ferite; attendevo la buona occasione per redarguirlo. Un giorno, passando, lo vidi seduto davanti a casa sua e, là vicino, c'era la donna: la poverina era guarita, però le era rimasto un orecchio penzolante e tutt'e due le labbra avevano un largo squarcio leporino. Mi fermai e dissi: "Kalu, non ti vergogni di aver ridotto la tua donna in questo stato?" Il vecchiaccio fece un sorriso di compatimento e disse: "Vergogna? Mai più! Lo vedi tu stesso, dal giorno del castigo in poi, la megera non ha più fatto male a nessuno!" La sua fede nella parola dell'indovino era indiscussa e l'indovino gli aveva detto che, quando qualcuno si ammalava in villaggio, ciò era dovuto proprio ai malefici di colei che cucinava per lui, Kalu! La donna, dal canto suo, mentre noi parlavamo, restava impassibile e non diceva nulla: al momento della sua sanguinosa punizione ella aveva giurato, pur di aver salva la vita, che non l'avrebbe fatto più. La sua paura continuava e, quando in villaggio si ammalava qualcuno, ella viveva nel terrore delle reazioni del marito.

Nel 1965, poco prima che lasciassi la missione di Andharkota, venni a sapere che in un villaggio non cristiano si stava per celebrare un grosso processo. Quella stessa mattina una bambina, appena alzata, raccontò alla mamma il sogno fatto durante la notte e cioè che la tale e tal'altra donna del villaggio l'avevano condotta lontano lontano... La mamma fu presa da un soprassalto e, preoccupatissima, corse a dirlo al marito e questi fece subito causa al capo. All'udienza mandai alcuni cristiani intelligenti perché, eventualmente, intervenissero. Non poterono far nulla: le due povere donne, appena introdotte davanti al pubblico adiratissimo, erano già sfinite per le lunghe ore della giornata passate nell'ansia e nel terrore. A loro bastava di poter salvare, se non il buon nome di donne normali, almeno la vita, per cui si buttarono ginocchioni davanti a tutti, chiesero scusa e promisero che non l'avrebbero fatto più mai più! E adesso che fare? Il capo si volse ai rispettivi mariti e fece un gesto come per dire: "Lascio a voi!" I due, più adirati che vergognosi per la scoperta fatta, si fecero avanti e si misero a colpire le disgraziate con schiaffi e calci, fino a che esse caddero in deliquio una sull'altra. Si concluse il cerimoniale col tirarle malamente in piedi, per far loro sentire un predicozzo. Tornarono barcollando a casa, dopo essersi prostrate a toccare i piedi dei caporioni, piene di gratitudine per la mitezza del processo! Tornarono a casa vive, ma vi tornavano col diploma infaman­te di streghe.

Molte bambine, piccole e carine, senza essere orfane, sono finite negli orfanotrofi di missione: i famigliari se ne sono liberati per il sospetto di avere in casa delle streghe.

Una cosa interessante: queste fisime tribali assomigliano moltissimo alle credenze superstiziose dei vecchi popoli d'Europa, di non molti secoli fa.

Anche il morto venne a pranzo

Fra i Santal la sepoltura dei morti viene fatta in un modo decente, ma assai sbrigativo; infatti dopo due o tre ore dalla morte il defunto è già sottoterra. Il funerale vero e proprio si farà una quarantina di giorni dopo o, in caso di carestia, anche dopo vari anni, in modo da dare alla famiglia il tempo e la possibilità di sobbarcarsi la spesa di una mangiata generale per tutto il parentado.

Nessuno dei parenti però viene al funerale a mani vuote: tutti porteranno non solo il riso, ma anche una pignatta di birra e forse anche un animale da macello, perché, si sa, senza carne non ci può essere pranzo.

La celebrazione inizia con un solenne invito al morto a tornare tra i vivi. Fra gli invitati c'è sempre uno stregone o uno scroccone che conosce la tecnica e ha l'estro di farsi invasare. Infatti, come in risposta a questi richiami, ecco che c'è qualcuno che straluna gli occhi, si agita ed emette grida. Viene subito premurosamente circondato dai parenti più prossimi del morto. C'è chi lo accarezza e gli chiede il nome: sissignori, il nome che egli dà è proprio quello del morto: eccolo qui dunque il caro defunto, ritornato finalmente tra i suoi! Gli si chiedono tante cose, a cui l'invasato risponde opportunamente; tutte le sue risposte vengono accettate senza il minimo sospetto di truffa. A questo punto possono succedere cose incredibili: per esempio, è rito che la donna rimasta vedova chieda al morto: "Perché mi hai lasciato?" In quel momento tutte le donne del villaggio tremeranno, perché l'invasato può accusare chi vuole di avergli mangiato l'anima.

Alla fine, l'invasato verrà fatto sedere al posto d'onore per la cerimonia dei doni: quanto sono più grandi questi, tanto più soddisfatto sarà anche lui, che se ne partirà definitivamente per l'altro mondo senza rimpianti e senza mai pensare di ritornare indietro a disturbare i vivi. Ogni parente verrà a depositare davanti a lui la sua pignatta di birra e rovescerà su una stuoia preparata apposta il riso che ha portato in dono. Quando infine viene il momento di offrire il proprio animale da macello, questo sarà offerto e gli si daranno mazzate da orbi fino ad ammazzarlo.

Dopo che tutto è stato donato e presentato, si chiederà al morto se per caso ha qualche altro desiderio. Ad un certo funerale, a questa richiesta, il morto finse di titubare... "Desidererei .. .ma voi certo non mi potete accontentare! "Ma perché no?" "Eh, temo di no!" "Sì, invece!" "Dato che voi insistete, vorrei che oggi si mangiasse in allegria anche la nostra vacca da latte" E così la vaccherella che donava il suo latte ai bambini della famiglia fu essa pure immolata, per soddisfare l'ultimo desiderio di un morto (o meglio, di uno scroccone vivo).

Finita la cerimonia dei doni, in attesa che il cibo venga cucinato, tutti procederanno a mangiare il riso abbrustolito. Intanto c'è chi suona e chi canta, chi danza e chi chiacchiera; il clamore sarà indescrivibile.

Alla fine si serve il pranzo. Il morto mangerà lui pure e si ubriacherà come tutti gli altri, dopo di che egli si coricherà sulla stuoia che gli hanno preparato e dormirà sodo fino al mattino. Quando si sveglierà, fingerà di guardarsi attorno sorpreso di trovarsi dove si trova. Ma tant'è, ormai più nessuno bada a lui: in casa ormai tutti sanno che nel sonno il loro morto li ha lasciati passando definitivamente all'altro mondo. Lo scroccone ora è libero di andarsene a casa.