Intervista a p. Enzo di p. Francesco Rapacioli


Intervista a p. Enzo

Intervista rilasciata da p. Enzo Corba a p. Francesco Rapacioli, l’8 Gennaio 2001, a Singra.

P. Enzo e’ nato a Montefiascone il 5 Marzo del 1931, ed e’ stato ordinato sacerdote a Milano nel 1956. Ha trascorso i primi due anni dopo l’ordinazione come insegnante di matematica nel seminario minore del PIME a Treviso. Ricorda tra i suoi allievi, i padri Vecchiato e Zamuner. Fu destinato nel 1957 al Pakistan Orientale. Dopo aver trascorso 11 mesi negli USA per lo studio dell’Inglese, arriva in aereo nell’Ottobre del 1958 a Calcutta e quindi in treno a Dinajpur. Suo compagno di viaggio e’ p. Nebuloni.

I primi due o tre mesi sono dedicati allo studio del Bengalese con il maestro Aloysious. In occasione delle vacanze di p. Pesce, viene destinato a Ruhea con p. Alvigini e fratel Massimo, che si occupava del dispensario.

Nel 1960, al ritorno di p. Pesce dall’Italia, p. Enzo e’ destinato ad Andharkota con p. Pinos, dove rimarra’ per due anni.

Dal 1962 al 1965 e’ a Beneedwar con p. Cavagna, dopo di che si reca in Italia per la prima vacanza. Frequenta, all’universita’ Gregoriana, un corso di sociologia (come uditore), oltre che alcuni corsi di Scrittura e Liturgia.

Durante la sua permanenza in Italia viene eletto Superiore del PIME della Regione Bangladesh. Torna dunque all’inizio del 1967. Risiede a Suihari: e’ parroco e direttore della Novara Technical School (nella scuola, oltre a p. Cescato, c’era fratel Fardin). Allora – ricorda p. Enzo - il presbiterio diocesano era costituito da sedici o diciassette padri del PIME, e da un solo prete locale: p. Lucas Marandi.

Durante gli anni trascorsi a Suihari, la NTS si sviluppa specializzandosi nei settori attuali, e la direzione della scuola passa in mano ai missionari laici del PIME. Anche la parrocchia si sviluppa notevolmente: viene costruita la chiesa, il boarding e la scuola. P. Enzo li ricorda come anni molto intensi ed estremamente attivi.

Nel 1969 p. Enzo e’ rieletto Superiore regionale del PIME per altri tre anni. P. Carrea e’ destinato nel 1968 a Suihari, e gradualmente lo sostituisce in parrocchia. Durante quegli anni scoppia la Guerra di indipendenza del paese, per cui il suo lavoro cosistera’ soprattuto nel tenere i contatti tra i missionari del PIME. Dopo la guerra’ invece sara’ impegnato nello sforzo imponente per la ricostruzione del paese.

P. Enzo ricorda nel 1969 la visita in Bangladesh di p. Colombo Carlo, Vicario Generale del PIME. La visita di p. Colombo si rivelo’ fondamentale per la riflessione successiva sulla presenza del PIME nell’ambito della chiesa locale, sulle cosidette ‘vie nuove’ cioe’, che si affiancheranno all’attivita’ pastorale svolta nelle parrocchie. Assumera’ inoltre tutta la sua importanza la formazione permanente e lo sforzo per l’inculturazione a partire dal rinnovamento apportato dal Concilio Vaticano II.

Al riguardo, p. Enzo ricorda gli stimoli provenienti dai missionari Canadesi della Santa Croce e soprattutto da parte di alcuni professori Francescani Olandesi che insegnavano teologia nel seminario di Kharachi. Questi professori inviavano regolarmente un bollettino nel quale inquadravano i documenti del Concilio Vaticano dal punto di vista storico e teologico. Dopo la costituzione del seminario nazionale a Banani, questi Francescani scelsero di venire ad insegnare teologia in Bangladesh.

Nel 1972 rinuncia a diventare per la terza volta Superiore del PIME. Dopo una breve esperienza di circa sei mesi a Rohanpur con p. Markus, in seguito ad una richiesta da parte di Mons. Joakin, viene inviato nella Diocesi di Chittagong dall’allora Superiore del PIME p. L’Imperio. La scelta della sua persona e’ dettata dal fatto che, oltre al lavoro parrocchiale, egli era disponibile ad un nuovo tipo di presenza missionaria. Si tratta inoltre della prima destinazione di un missionario del PIME fuori dalla diocesi di Dinajpur.

Dopo aver visitato tutte le parrocchie della diocesi, decide di vivere a Rajapur, un villaggio che si trova in una palude e sotto la giurisdizione della parrocchia di Gornodi (Dalla parrocchia occorrevano circa otto ore per raggiungerlo in barca).

P. Enzo decide di stabilirsi in quel villaggio perche’ si trova in una zona remota e difficilmente raggiungibile, e perche’ la gente e’ estremamente povera.

Egli non ha dubbi nel definire questo periodo il piu’ bello della sua lunga vita missionaria.

Il villaggio, una grande isola circondata da fiumi, si estende su una superficie di 50 Km quadrati, anche se di fatto ogni casa era una piccola isola, per la fitta vegetazione acquatica che rendeva estremamente difficoltosa la navigazione. Quando c’era qualcosa da comunicare si urlava il nome della persona e il messaggio che lo riguardava...

Nel villaggio vivevano circa 6.500 persone: per meta’ Mussulmani, e per l’altra meta’ Hindu’ e Cristiani di diverse confessioni. Piu’ o meno a Nord dell’isola c’erano i Mussulmani, a Sud gli Hindu’, e ad Ovest i Cristiani. Questi tre comunita’ religiose vivevano per conto proprio e ordinariamente non avevano occasione di incontrarsi, se non al mercato.

P. Enzo ricorda con esattezza quando ando’ a stabilirsi a Rajapur: il 20 Febbraio 1974. Rimarra’ in questo villaggio per ben 17 anni.

Il Vescovo di Chittagong, Mons. Joakin sognava di formare dei preti che vivessero una vita semplice e animassero la vita spirituale della gente. Disse a p. Corba: ‘appena trovero’ un prete locale che possa sostituirti, lo mandero’ al posto tuo’. Purtroppo fino ad oggi questa sostituzione non e’ avvenuta – dice p. Enzo con un velo di tristezza.

A dire il vero prima di stabilirsi a Rajapur, p. Enzo prese seriamente in considerazione un’altra zona, dove sembrava che la comunita’ Hindu’, che aveva avuto contatti durante il periodo degli aiuti internazionali con la Chiesa Cattolica, voleva accogliere la fede Cristiana. P. Enzo ando’ a visitare il villaggio e rimase per circa una settimana, scrivendo anche un diario su questa esperienza. Al termine della sua permanenza la’, gli fu risposto dai leaders del villaggio: ‘Quando ci sentiremo pronti a diventare Cristiani vi manderemo a chiamare’, cosa che – precisa p. Enzo – non si verifico’ mai.

A Rajapur, p. Enzo abitavava in una capanna, una stanza cioe’ con muri in lamiera e tetto in tegole, costruita da un padre Canadese della Santa Croce, e utilizzata dal parroco di Gornodi quando si recava nel villaggio. Vicino alla capanna c’era la cappella. P. Enzo, durante i diciassette anni di permanenza a Rajapur, anche per esplicito mandato di Mons. Joakin, non costrui’ mai nulla, ne’ ingrandi’ la capanna.

Aveva inoltre ben chiaro in mente che non si trovava li’ esclusivamente per la comunita’ Cristiana. I Cattolici del villaggio continuavano a dipendere in tutto e per tutto dalla parrocchia di Gornodi, mentre lui intendeva essere li’ per tutti, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa. La sua presenza voleva essere una testimonianza di fede attraverso una intensa vita di preghiera che fosse anche visibile (Quando la gente veniva a trovarlo e lo trovava in preghiera, aspettava fino a quando aveva terminato).

Conduceva inoltre una vita semplice, cucinava da se’ e lavorava come gli altri nei campi. La sua presenza intendeva infatti essere il piu’ possible una condivisione, una ‘immersione’ – come la chiama lui - nei problemi e nella vita della gente.

Si ripropose inoltre di non fare alcuna iniziativa a vantaggio esclusivo dei Cristiani o di un altro gruppo.

P. Enzo confessa che quando sali’ in barca per andare a vivere a Rajapur, si ritrovo’ assalito da paure e da domande come queste: ‘Ce la faro’ a vivere in questo modo? La gente come mi accogliera’? I preti che cosa penseranno? Ecc. Tutte preoccupazioni – precisa - rivelatasi assolutamente false: la salute infatti fu sempre ottima, fu accolto molto bene dalla gente e la sua presenza nel villaggio fu apprezzata da tutti.

Per la verita’ i Cattolici del villaggio gli chiesero se aveva l’intenzione di costruire la chiesa e la scuola; gli suggerirono di prendersi un cuoco e di ingrandire la capanna, ma quando capirono che lui non ne aveva nessuna intenzione, gli chiesero: ‘Allora che cosa sei venuto a fare?’ P. Enzo ricorda di avere loro detto che avrebbero potuto trovare la risposta solo nel mistero dell’incarnazione, nella scelta cioe’ di Gesu’ Cristo di farsi uomo come noi.

Fu chiaro da quel giorno che p. Enzo non era li’ esclusivamente per i Cattolici, ma per tutti, e che, al di la’ della celebrazione dei sacramenti, essi non potevano vantare nessun diritto nei suoi confronti.

Nel 1974 la gente soffriva letteralmente la fame. Alcuni Cattolici accostarono p. Enzo perche’ non avevano sementi. Siccome era una necessita’ generale, egli suggeri’ di convocare un incontro dei rappresentanti delle comunita’ religiose Mussulmana, Hindu’ e Cristiana. A seguito di questo incontro fu costituito un comitato misto, il cui presidente era un Cristiano Battista di nome Ronjit. Fu deciso di inoltrare la richiesta alla Caritas per 174 mon di semente. P. Enzo era pronto a sostenere l’inziativa alle condizioni che non ci fossero imbrogli (se avessaro scritto il falso, lui si sarebbe immediatamente ritirato dal comitato), e che, a raccolto avvenuto, i 174 mon di riso fossero restituiti per iniziare un fondo per poter far fronte a future calamita’.

Ottenuta dalla Caritas la semente richiesta, e a raccolto avvenuto, p. Enzo stesso, insieme ai membri del comitato, ando’ casa per casa a ritirare la semente. Furono restituiti complessivamente soltanto 21 mon e 15 kg di riso.

Con le cinquanta famiglie che avevano restituito il riso come pattuito, si costitui’ un secondo comitato che continua tuttora a funzionare: nel 1990, alla partenza di p. Enzo per la Filippine, la cooperativa aveva un deposito di circa due lacs di Taka, possedeva un silos che poteva contenere fino a 800 mon di riso, e aveva riscattato parecchio terreno messo a pegno dai membri.

I terreni messi a pegno fu un altro dei problemi che affronto’ la cooperativa. Preso a prestito un capitale iniziale di 50.000 Taka, ogni anno riusciva a riscattare parte del terreno vincolato. Chi voleva riscattare il proprio terreno, doveva restituire, oltre al capitale, il 25% di interesse, dei quale meta’ veniva depositato sul suo conto personale, mentre il 12,5% veniva depositato in un fondo della cooperativa. In questo modo, dopo tre raccolti di riso si riusciva a riscattare il terreno messo a pegno. Durante quegli anni furono riscattate circa 300 bighe di terreno.

Visto il successo dell’operazione, anche coloro che non avevano restituito la semente, volevano prendervi parte; fu loro suggerito di iniziare altri gruppi.

Successivamente e grazie ad un progetto dei Governi Bengalese ed Olandese, furono costruite delle dighe che prosciugarono la palude. L’operazione pero’ creo’ gravi problemi, tra cui quello delle comunicazioni e quello della disponibilita’ di acqua potabile.

La cooperativa, di nuovo insieme alla Caritas, si mise a fare strade, a scavare pozzi per l’acqua potabile e a scavare fosse biologiche. La Caritas si fece carico del lavoro, mentre il terreno fu donato dalla gente. Tutte le strade convergevano verso la scuola, per dare a tutti la possibilita’ di accedervi.

Al suo ritorno dale Filippine nel 1997, p. Enzo ando’ a visitare il villaggio, e lo trovo’ irriconoscibile. La cooperativa continuava ad esistere: c’era stato solo un caso di mancato ripagamento (successivamente pero’ l’interessato fu costretto a farlo), e c’era stato solamente un caso di corruzione: la persona fu prontamente identificata e allontanata dal comitato. Il segreto del successo della coperativa era – secondo p. Enzo - la presenza all’interno del comitato di una autorita’ morale senza interessi in gioco. Nel vicino villaggio, ad esempio, mancando tale garante, la Caritas si rifiuto’ di iniziare qualsiasi progetto di sviluppo.

P. Enzo, sulla scorta di questa esperienza, scrisse che servivano 65.000 Autorita’ di questo tipo - uno per ogni villaggio del Bangladesh - per garantire il funzionamento di simili comitati in tutto il paese.

Anche i risultati in termini di scolarizzazione furono notevoli. Nel 1974, tra tutti i Cattolici del villaggio di p. Enzo, ce ne era solo uno che aveva frequentato la classe IX, mentre nel 1997, in ogni famiglia ce ne erano almeno due o tre ad aver passato l’esame di X.

I rapporti tra le comunita’ Mussulmana, Hindu’ e Cristiana erano migliorati moltissimo. La gente aveva occasione di incontrarsi spesso e se questo non avveniva, ne sentiva la mancanza. A questo proposito, a fatto avvenuto, Mons. Joakin disse a p. Enzo che la polizia segreta era stata mandata ad indagare sulla sua presenza in quella remota palude, ma che questa non era mai giunta da lui perche’ l’autorita’ politica locale (Chairman) l’aveva rassicurata e aveva parlato positivamente del suo stare in quel villaggio.

Questa esperienza decisiva nella vita di p. Enzo era stata preparata dagli anni precedenti (gia’ durante quella breve esperienza a Rohanpur voleva andare a vivere in un villaggio). Pur riconoscendo che la struttura (la parrocchia) e’ necessaria, p. Enzo era giunto alla conclusione che questa rende il missionario prigioniero; le esigenze della struttura lo ‘ingabbiano’! ‘Un missionario invece - secondo il suo modo di vedere - non dovrebbe mai stare fermo (sull’esempio dell’apostolo Paolo, per intenderci…). Noi missionari – continua - siamo rimasti nelle comunita’ che abbiamo fondato, con il risultato che dopo anni queste non sono ancora autosufficienti. E’ importante invece che il missionario sia libero di andare, senza sostituire la chiesa locale. ‘Se qualcuno del villaggio avesse voluto diventare Cristiano –aggiunge p. Enzo - lo avrei mandato in parrocchia a Gornodi.’

Dopo cinque o sei anni p. Enzo ricorda di aver detto alla gente: ‘Noi che facciamo tutto senza escludere nessuno, perche’ non possiamo anche pregare insieme?’ Decisero dunque, a partire da quella intuizione, di organizzare un incontro di preghiera, invitando persone rappresentative di ciascuna comunita’, che avrebbero parlato, a partire dalla propria fede, su temi di interesse comune come la pace, la giustizia, il povero, ecc.

Qualche giorno prima dell’incontro pero’, un ragazzo Cristiano di un villaggio vicino fuggi’ con una ragazza Mussulmana. I due furono presi e giudicati, e in quell’occasione qualcuno aveva anche parlato male della presenza di p. Enzo a Rajapur. Decisero dunque di sospendere l’incontro e di tenerli successivamente non nel villaggio, ma a Barishal o a Gornodi, coinvolgendo persone che avevano fatto gia’ un certo cammino insieme nelle cooperative e potevano capire la natura e lo scopo di tali meetings.

Essi consistevano in un vero e proprio ritiro spirituale della durata di tre giorni e a scadenza piu’ o meno mensile. Alla relazione degli invitati, seguivano canti, preghiere spontanee e condivisioni a partire dai testi sacri ascoltati. Oltre che Mons. Joakin e p. Patrick (allora parroco di Barishal), un certo Rajak Cisti, professori universitari Mussulmani, e alcuni hindu’, soprattutto del movimento Ram-Khrishna, animavano gli incontri. Tutti coloro che presero parte a questo tipo di incontri, oltre ad apprezzare la religione dell’altro, sentivano piu’ intensamente la necessita’ di approfondire la propria fede.

A livello ecumenico l’esperienza risulto’ addirittura ancora piu’ significativa. Gia’ nel 1974, p. Enzo propose ai membri della diverse chiese di celebrare la Pentecoste insieme. La proposta fu accettata unanimamente. Conclusa la celebrazione comune, e tenendo conto del fatto che era Domenica, p. Enzo ricorda di aver chiesto ai Cattolici se volevano che celebrasse per loro l’Eucaristia. La loro risposta fu: ‘Ma in questo rendiamo vana la celebrazione a cui abbiamo partecipato con i Cristiani delle altre chiese’. I fedeli – continua p. Enzo – avevano intuito profondamente il significato dell’Eucaristia, mentre il presbiterio diocesano, venuto a conoscenza del fatto, reagi’ negativamente dicendo che essi dovevano essere aiutati a comprendere il valore della Messa! Questi incontri ecumenici tra Cristiani continuarono per tutto il periodo nel quale egli rimase nel villaggio.

Nonostante non fosse in una parrocchia, p. Enzo partecipava all’attivita’ sia della diocesi che della parrocchia. Mentre Mons. Joakin gli fece propaganda per tutto il Bangladesh, il PIME e la chiesa locale non adottarono ne’ valutarono seriamente la sua esperienza. Grazie anche a questo suo tentativo pero’, altri missionari e suore, che periodicamente cominciarono anche ad incontrarsi al fine di uno scambio ed un confronto, cominciarono tipi di presenza simili alla sua.

Dal 1991 al 1996, p. Enzo fu inviato nelle Filippine a fondare l’Euntes, un istituto nato primariamente a servizio dell’animazione missionaria delle Chiesa d’Asia, oltre che per l’accoglienza di persone che volevano verificare la propria vocazione missionaria nel PIME.

Insieme a p. D’Ambra, ando’ a visitare tutte le missioni in Asia. Dopo questo giro di perlustrazione, e dopo aver visitato diversi luoghi nelle Filippine, insieme decisero che Mindanao, per la sua missionarieta’, poteva essere un luogo adatto al nascente istituto. Una volta scelto il luogo venne comperato il terreno: una collina spoglia di quattro ettari di estensione. Dopo lunghe discussioni con p. D’Ambra sullo stile delle costruzioni, venne affidata a lui l’esecuzione del progetto.

Decise di costruire cassette molto semplici, a forma di ‘L’, di ‘coco’, un legno molto comune, e con tetti in lamiera, oltre che il refettorio e la cappella.

Oltre che sulla costruzione, con p. Sebastiano c’era divergenza anche circa contenuti e stile del centro. Alla fine si decisero per la linea proposta da p. Enzo, il quale non voleva offrire semplicemente un altro corso di missiologia, ma creare un ambiente che potesse aiutare gli operatori pastorali provenienti dai vari paesi d’Asia, alla luce del vangelo e dei documenti del magistero della chiesa universale e delle conferenze episcopali Asiatiche, a valutare la propria esperienza e a pianificare il proprio futuro.

Di questa esperienza p. Enzo ricorda con piacere le persone che hanno preso parte ai corsi. Tutti hanno espresso un’opinione positiva. Anche persone che attraversavano un periodo difficile o di crisi hanno avuto l’opportunita’ di ripensare alla propria vita. In altre parole si trattava mettere i partecipanti nelle condizioni di fare una esperienza di Dio in modo che essi potessero comunicarla con gioia ai fratelli.

Una volta rientrato in Bangladesh, p. Enzo venne contattato da Mons. Patrick, Vescovo di Chittagong. Aveva in mente di impegnarsi nell’attivita’ ecumenica in quella Diocesi, e aveva gia’ identificato un possibile villaggio a nord di Rajapur, dove inziare questo tipo di presenza. Venne pero’ contattato anche da Mons. Moses, Vescovo di Dinajpur, il quale voleva invece fare qualcosa per i prayer leaders di villaggio. Le comunita’ Cristiane dipendono infatti soprattutto da loro e dalla qualita’ della loro vita spirituale. Da questa istanza e’ nato, da circa due anni, il centro di Singra, dove si trova p. Enzo. Sia la scelta del luogo che l’impostanzione del centro furono lasciate a lui. L’unica cosa che avrebbe costruito diversamente – precisa - sono le cassette: non in muratura, ma in bambu’ (come quelle costruite dalla Caritas locale). Scrisse circa questa sua intenzione sia a Mons.

Moses che a p. Mariano Ponzinibbi, Superiore Regionale di allora, prima di recarsi in Italia per l’operazione ad un ginocchio. Alla fine le casette furono costruite in muratura, ma anche a lui, in fondo, non e’ dispiaciuto.

Circa il programma, p. Enzo si dice soddisfatto. Il fine del centro e’ quello di aiutare coloro che prendono parte ai corsi a costruire, attraverso un ambiente consono, il silenzio, lo studio e la meditazione della Parola di Dio, un rapporto profondo con Dio. I corsi sono della durata di una settimana, e includono nella routine quotidiana anche il lavoro manuale. Il lavoro – specifica p. Enzo - oltre a costituire per chi partecipa al corso un modo concreto per contribuire al proprio sostentamento, diventa una forma visibile di condivisione con la gente, oltre che essere assolutamente terapeutico.

Chi ha partecipato ai corsi – continua p. Enzo - ha trovato un beneficio per la propria vita. Risulta totalmente nuovo il tipo di approccio alla Parola di Dio (una lettura che avviene tramite l’approfondimento delle note ai piedi e a margine del testo e che permette di leggere e comprendere le Scritture tramite le Scritture stesse). P. Enzo e’ convinto che ci dovrebbe essere piu’ continuita’: chi ha gia’ partecipato cioe’ al corso dovrebbe, per approfondire e rinnovare il metodo di lettura della Parola, ritornare ogni anno almeno per quindici giorni a Singra.

P. Enzo pensa che il centro di Singra, per essere davvero missionario, dovrebbe essere aperto anche agli appartenenti alle altre comunita’ religiose. Pensa inoltre che sia essenziale aiutare le persone a coltivare un rapporto con Dio, ad approfondire cioe’ una spiritualita’ a partire dalla propria fede. Si ritiene inoltre fortunato per avere l’opportunita’ di vivere questo tipo di esperienza alla sua eta’.

Se gli si chiede di valutare la propria vita missionaria, dice di dubitare che grazie a lui le persone si siano davvero avvicinate a Cristo. La missione pero’ e’ servita a lui, lo ha ‘evangelizzato’. L’amore per Cristo sente che e’ cresciuto, non si e’ raffreddato, e cosi’ l’amore per l’uomo, nonostante i suoi limiti e le sua debolezze.

E’ molto attaccato a questo paese, a questa gente. Quando qualcuno parla male del Bangladesh, istintivamente si arrabbia e a volte violentemente.

Dice di essere lui ad avere bisogno del Bangladesh e non il contrario, perche’ quello che e’, lo deve proprio a questo paese, che lo ha fatto crescere e lo ha maturato. Dell’Italia invece, non gli rimangono che gli amici: ‘una volta visti loro – aggiunge - non mi rimane nulla da fare’.

Gli e’ stata fatta un’intervista prima che si recasse nelle Filippine, poi pubblicata su MM.

Ha scritto molto durante il periodo del post-Concilio su ‘Binimoe’ ed Infor-PIME. Credeva che la missione potesse essere gestita, ma i suoi scritti hanno suscitato reazioni nei suoi confratelli. Anche per questa ragione da anni non scrive piu’: preferisce il dialogo con gli amici e con quelli con cui si sente libero di condividere le proprie opinioni. Trova che raramente viene scritto qualcosa di nuovo: il problema pero’ – aggiunge - e’ che quello che viene scritto purtroppo non viene messo in pratica.

Il testo riportato e’ stato rivisto e corretto dall’intervistato.