Conversioni


Il mercato delle stelle

Capitolo 9

Conversioni

Sommario

Il lebbroso Gabriele, prima pietra della diocesi

La vita dei missionari è certamente una vita ruvida; essi però hanno spesso il conforto di vedere il Regno di Dio espandersi sensibilmente sotto i loro occhi.

All' inizio di questo secolo, nel territorio di questa diocesi missionaria di Dinajpur, c'era soltanto una cappellina delle ferrovie, per l'assistenza spirituale dei cattolici inglesi che vi lavoravano. Sperduto però in un villaggio della giungla c'era Gabriele, un lebbroso cristiano immigratovi dall'India centrale. Il pover'uomo, emarginato dagli altri perché lebbroso e perché cristiano, da anni ormai continuava a scrivere lettere ai suoi Padri dell'India centrale, pregandoli di venire a confessarlo e a dirgli messa. Finalmente una delle sue lettere, gira e rigira, arrivò in mano a p. Rocca, il cappellano delle ferrovie. Fu così dunque che, inaspettata­mente, nel gennaio del 1902, il prete arrivò alla capanna di Gabriele. Vi rimase qualche giorno e lo confessò, gli battezzò cinque bambini e gli diede la gioia, dopo tanti anni, di dirgli la messa.

Questo è stato il primo atto di ministero pastorale verso i nativi di quella zona, che poi è diventata la diocesi di Dinajpur. Gabriele fu il seme della "parrocchia" di Baneedwar, che, dopo vari smembramenti, ha ancor oggi 4000 cattolici. Gabriele può essere considerato anche il seme della stessa diocesi di Dinajpur, la quale, dopo essere stata suddivisa in tre, ha attualmente (1988) 50000 cattolici.

Evangelista presbiteriano e neofiti cattolici

In quegli stessi anni alcuni aborigeni Pahari avvicinarono un evangelista presbiteriano della città di Rajshahi, per dirgli che essi volevano la vera religione. L'evangelista di nome Prem Chand, nativo di Calcutta, rispo­se: "Se volete la vera religione, non è qui a Rajshahi che dovete venire, ma a Krishnagar (presso i Padri cattolici)". I poveri Pahari restarono perplessi: per loro Krishnagar era in capo al mondo! "Niente paura, aggiunse Pam Chand, vi ci porterò io stesso". A Krishnagar i Padri guardarono con sospetto quel gruppo di irsuti e timidi Pahari e quel furbacchione di calcuttese che li accompagnava. "Chissà cosa c'è sotto! pensavano e cercavano di scoraggiarli col dir loro che, così lontano, oltre il Gange, nessun catechista avrebbe accettato di andare per istruirli. Ma Pram Chand non era tipo da perdersi in un bicchiere d'acqua: egli disse subito "Ma ci sono io! Datemi i vostri libri e penserò io ad istruirvi questi convertiti! " Alla fine si fece appunto così ed Andarkota ebbe il primo catechista nella persona di del presbiteriano Prem Chand. Egli preparò i convertiti al battesimo, istruì Sam, il primo catechista Pahari, li seguì e li incoraggiò anche dopo che furono battezzati, conservando con loro sempre un certo senso di paternità. Mai però gli passò per la testa di farsi egli stesso cattolico. Quando invecchiò si ritirò nella sua casa di Calcutta e morì presbiteriano come era sempre stato.

Il codino di cinghiale fu ereditato da Santa Rita

Gli anni '20 videro una trasmigrazione di cattolici da Dacca verso i territori meridionali della nostra diocesi di Dinajpur.

Nel 1923 alcune famiglie di Battisti erano venute a stabilirsi nella zona di Chatmohar, lungo la ferrovia Sirajgang-lshurdi, dove gli uomini avevano trovato un impiego fisso. Un pastore Battista non mancava di visitarli con regolarità.

La zona però era paludosa e selvaggia e per di più era infestata da numerosi branchi di cinghiali. Questi non solo avevano un grugnito che faceva agghiacciare il sangue nelle vene, ma si sapeva che essi erano cattivi e che, con un colpo di zanna, potevano sventrare una persona. Il pastore ne aveva una paura sacro santa e, dopo l'ultimo terrificante incontro notturno, minacciò: "O voi distruggete i cinghiali o io non vi posso più visitare!

Nessuno dei malaugurati fedeli si sentì pari all'impresa, uno di essi però aveva un amico cacciatore, Polu Sikari (Paolo il cacciatore) : questi era un cattolico abitante a Rangamattia, sopra Dhaka. Polu accettò con entusiasmo l'invito dell'amico Battista, fece il lunghissimo viaggio e fu subito conquistato dalla fertilità della terra, dalla bellezza del paesaggio e dalla ricchezza della selvaggina. Altri suoi amici, appassionati caccia­tori, ben presto lo raggiunsero e tutti decisero di stabilirvisi. Per di più il Nababbo reuccio musulmano) del luogo promise loro una bigha di terreno (un sesto di ettaro) per ogni codino di cinghiale che essi gli presentassero.

Tutti ebbero ben presto terreni più che a sufficienza, però un grosso problema restava insoluto: la zona di Chatmohar non figurava nella geografia di nessuna delle diocesi del Bengala Centrale: quei bravi cattolici si sentivano religiosamente dispersi; scrissero ripetutamente a Calcutta, a Dhaka e a Krishnagar, ma nessuno si mosse. Finalmente, in una di quelle lettere aggiunsero. "se nessun prete viene a trovarci, allora ci faremo Battisti". Il colpetto funzionò e il prete arrivò come d'incanto: al reverendo piacque l'ambiente e quei ruvidi pionieri e, quando chiese dove si sarebbe potuta costruire la chiesetta, Polu fu pronto a cedere il lotto della sua casa, sì, proprio quello che si era conquistato col primo codino di cinghiale.

Se oggi fate un viaggetto da quelle parti, non troverete né acquitrini, né giungla, né cinghiali: troverete invece, nel bel mezzo di una bellissima campagna coltivata, i caseggiati sparpagliati dei discendenti di quei Battisti e di quei cacciatori Cattolici e, sul lotto del primo codino di cinghiale, troverete una bellissima chiesa semicircolare dedicata a Santa Rita e, tutt' intorno ad essa, le robuste costruzioni della missione di Mathurapur.

Quelle frotte di cinghiali, bisogna dirlo, sono state solo l'occasione predisposta dalla Provvidenza, perché, sulle orme di Polu si formò ben presto una vera colonna di emigranti cattolici. Essi facevano questo viaggio di oltre 300 Km. a piedi. Come gli antichi israeliti, alla ricerca della terra promessa, essi spingevano davanti a sé il loro bestiame e portavano a turno i bambini sulle spalle. Nella zona, dove essi si insediarono, regnava allora la malaria e nei primi anni ne morirono tanti. Pure oggi, dopo 50-60 anni, ci sono in quel circondano, compresi i convertiti sul posto, oltre 8000 cattolici con tre centri parrocchiali che, a vederli, si direbbero tre magnifiche abbazie.

Quando la spinta del diavolo è troppo forte...

L'omicidio non era nelle intenzioni degli abitanti del villaggio di Gobindonogor, essi però erano tribali Oraon ed erano ricchi: come tribali andavano pazzi per la birra di riso che essi stessi si facevano in casa ed, essendo ricchi, avevano la possibilità di prepararsene quanta ne volevano. L'aspetto brutto di queste loro abitudini era che, nelle loro celebrazioni di villaggio, tutti si ubriacavano, uomini, donne, ragazzi e ragazze.

Il fattaccio successe oltre 50 anni fa: era la festa della dea Kalì e tutti nel villaggio erano dediti al bere. E' nella natura delle cose che nell'u­briachezza le vecchie ire nascoste vengano a galla e scoppino delle baruffe generali, senza che ci sia nessuno che possa controllare la situazione. A Gobindonogor quell'anno, come altre volte era successo, la festa portò un baruffone, ma questa volta il baruffone provocò un morto. Pareva un brutto sogno, il morto però continuava a restare là scompostamente disteso nel piccolo spiazzo al centro del villaggio. Poi, in men che non si dica, dalla stazione di polizia a mezzo Km di distanza, arrivò una pattuglia di poliziotti: fu un fuggi fuggi generale. Fuggirono tutti senza fermarsi, dimentichi della casa, del bestiame, dei bambini. Un gruppo di fuggitivi arrivò fino alla missione centrale di Dinajpur a 60 Km. di distanza. Là un grosso prete dalla voce cavernosa e dalla barba immensa venne fuori a parlare. Forse era venuto a sapere del fattaccio, comunque parlò in modo tutt'altro che complimentoso." Io aiuto gli esseri umani, non ho tempo per gli animali! "Tentarono di dire che essi erano innocenti. I tribali sono gente semplice e non sono esperti nel fabbricare bugie. Il padre esplose" La parola omicidio è tutta scritta sulle vostre persone e voi mi volete ancora dire che siete innocenti! così dicendo li spinse giù dalla veranda. Fu a questo punto che quei miserabili si buttarono ai suoi piedi e pregarono che si desse loro modo di diventare esseri umani.

Alla fine furono assistiti in corte e a suo tempo furono prosciolti: i testimoni d'accusa avevano senza dubbio visto l'accaduto, ma l'ave­vano visto con occhi annebbiati dall'alcool, così che della loro testimo­nianza fecero un pasticcio. I colpevoli non potevano credere di essere messi in libertà e decisero di mantenere la promessa fatta di redimere se stessi. Più tardi furono battezzati.

Son passati 50 anni da quei giorni e gli attori di quel dramma sono tutti morti. I loro figli però sono andati a scuola ed hanno ottenuto impieghi nelle officine e negli uffici statali della vicina città, anzi ad un passo dal villaggio è stata costruita una bella missione. Chi avrebbe mai pensato che da un omicidio sarebbe nata una missione?

E' proprio vero che quando il diavolo spinge un pò troppo, molto spesso le sue vittime finiscono col cadere nelle braccia di Dio.

Il prete che pedalava in un nugolo di polvere

Curiosi sono gli inizi del Cristianesimo a Mohipara, villaggio della parrocchia di Andharkota.

Era il torrido maggio del 1932: alcuni Santal del villaggio avevano arato tutta la mattinata ed ora si riposavano, coi loro buoi, all'ombra di un bel mango. Ad un certo punto, sulla strada in fondo, notarono la veste bianca di un prete che, in un nugolo di polvere, pedalava contro vento: era p. Francesco Ghezzi arrivato da poco ad Andharkota. lì giorno dopo avevano arato altro terreno e di nuovo si riposavano sotto la stessa pianta ed ecco laggiù lo stesso prete che arrancava nel viaggio di ritorno. Ci fu qualcuno che disse: " guarda laggiù il prete di ieri! Guardarono in silenzio, poi Arjun, il più istruito, disse: " non so cosa mi direte, ma da ieri a questa parte ho deciso di andare da quello straniero laggiù e abbracciare la sua religione" un altro rispose: guarda un po', anch'io pensavo di fare lo stesso! Gli altri conclusero: " Se è così la cosa, bisognerà che ci convertiamo tutti! Avevano sentito che a Benedwar c'erano dei preti (essi non sapevano da dove veniva il prete avvolto nel nugolo di polvere ) e così decisero di mandare Arjun ad incontrarsi con essi. In totale è un viaggetto di 35 km. a piedi ed 80 in treno. Arjun si mise in viaggio, ma non trovò nessun prete in sede e se ne tornò a casa. Pochi giorni dopo parti per Andharkota: una passeggiatina di 50 Km. di andata e altrettanti di ritorno, tutti a piedi: anche qui nessun prete in casa. Lo mandarono infine alla missione Presbiteriana di Rajshahi: uguale risultato. Pareva che il farsi cristiano stesse diventando un privilegio inraggiungibile, quando, per caso, un cristiano di Dhanjuri capitò a Mohipari, per mezzo suo, da quel momento, tutto diventò facile; ecco il prete, quello che arrancava nel nugolo di polvere, arrivò sorridente nel villaggio. Imme­diatamente egli divento il 'loro' Padre e Arjun il loro catechista. Quel piccolo seme silente, portato dal torrido vento di Maggio, ha fruttificato: oggi, dopo 46 anni, a Mohipara ci sono oltre 400 cattolici, P. Ghezzi è ormai morto da alcuni anni; anche Arjun è morto e di ciò me ne dispiace in modo speciale perché, il prossimo dicembre, la vicenda avrà il suo coronamento: Giovanni Marandi, il figlio più piccolo di Arjun sarà ordinato prete.

Rimane da annotare una cosa: il villaggio verso il quale p. Ghezzi arrancava con tanta speranza nel lontano 1932, resta, a tutt'oggi, pagano. Il che dimostra ancora una volta che è Dio che converte, non noi uomini.

La diocesi di Dinajpur è certamente una Chiesa 'circondata di varietà' come la sposa dei Salmi. I suoi fedeli sono di varie razze: la tribù dei Munda, a cui apparteneva il lebbroso Gabriele, ha aperto le porte al Regno di Dio specialmente per gli altri: in diocesi i Munda cattolici oggi sono meno di mille. Anche i Pahari non arrivano a duemila. In compenso abbiamo 19000 Santal, 4000 Oraon, 3000 Mahali. Oltre a questi 29000 tribali, abbiamo 14000 cattolici di lingua e cultura bengalese, dei quali 8000 emigrati da Dacca e 6000 convertiti sul posto.

E non ci mancano le novità nel nord della diocesi: in questi ultimi anni c'è un gruppo di induisti di casta Khotryo, che sta convertendosi a Gesù Cristo. I battezzati sono già 600 e molti altri sono sotto istruzione. Come già sapete, sono questi nuovi convertiti che formano il mio attuale campo di lavoro.

Resta musulmano e non se ne parli più

E' noto che le conversioni di musulmani al cristianesimo sono rarissime. La cosa è molto difficile: ogni conversione è impedita con tutti i mezzi da parenti e amici del convertito; anzi gli stessi preti e i cristiani spesso non si fidano di lui.

Il fatto è che tanti musulmani, pur essendo svisceratamente attaccati all'islam, vengono spinti a noi da gravi circostanze o da false speranze di aiuto. A questo genere di convertiti di solito si dice: "vedrò di aiutarti, ma non posso farti cristiano. Se lo facessi, ti farei una grande ingiustizia e ne sarebbe strapazzato sia l'islam che il Cristianesimo! In 33 anni di missione, il Signore non mi ha dato di battezzare un solo musulmano. Anni fa nella nostra missione di Nijpara ne fu battezzato uno. Ecco la sua storia.

Il convertito era un giovane di nome Tara Mia (fratello stella). Egli si era innamorato di Agata, una ragazza cristiana, e lei di lui, ma né i suoi erano contenti di una tale sposa (essi volevano una musulmana auten­tica e non una raffazzonata alla meglio) e men che meno erano contenti i famigliari di Agata e tutti i cristiani e i Padri. Per tagliare la testa al toro, i due si recarono all'apposito ufficio statale, dove registrarono la con­versione della ragazza all'Islam e celebrarono il loro matrimonio civile. Il fatto compiuto veniva accettato, più o meno graziosamente, da tutti. Fu invece Agata, che ben presto cominciò a sentirsi in un disagio fortissimo; non solo le donne musulmane non le offrivano la loro amicizia, ma i dubbi circa il passo fatto aumentavano ogni giorno di più. Fratello Stella, ragazzo onesto, davanti a questa situazione, reagì veramente da fratello; non solo non si stizzì per le lacrime della moglie, ma cominciò ad interessarsi di quella religione, la cui perdita poteva suscitare tanto rimpianto in Agata. Lesse libri e frequentò i Padri e in fine un giorno disse: "Questa è la mia via!".

Quando i suoi compresero che la situazione stava per capovolgersi, lo chiamarono a processo nel villaggio. Tara fu più forte: accettò l'ostraci­smo generale e accettò anche di essere diseredato. Vista l'inutilità del processo i suoi decisero di aggiustargli le idee coi nodi di un bastone. Saputolo, Tara ebbe appena il tempo di fuggire e darsi alla latitanza; questa vita raminga durò vari mesi. Quando, sempre di nascosto, veniva a trovare i Padri, anche questi gli dicevano: " Resta musulmano e non se ne parli più! ". Ma il ragazzo non cedette; alla fine si recò da un avvocato, dove scopri che la legge era dalla sua parte; il legale gli suggerì di ottenere dal magistrato del distretto il permesso scritto di farsi cristiano. Detto fatto, si presentò in corte accompagnato dall'avvocato e seguito da un codazzo di curiosi. Quando l'ufficiale gli chiese perché mai volesse farsi cristiano, Tara Mia rispose: "Fra i cristiani ho imparato l'umiltà. Ho capito che cosa è il peccato e lo riconosco in me. Ho scoperto come la giustizia imponga restituzione e l'amore il perdono. Fra i cristiani ho imparato ad amare i poveri ed a vedere in essi l'immagine di Cristo"

In quella stanza della corte i presenti erano tutti musulmani: la loro aspettativa era quella di sentire chissà quale insulsa denuncia dell'I­slam, invece, con loro grande sollievo, non ci fu nulla del genere: l'islam non era per niente in causa. Quella dichiarazione lasciò tutti senza parole, poi successe una cosa incredibile: lo applaudirono ed il magi­strato firmò il permesso.

Restava un ultimo atto di coraggio da compiere: al paese di Tara c'era mercato ed ecco comparirvi il convertito che ormai nessuno vedeva da mesi. Salì su uno sgabello, mostrò la carta del magistrato e disse: " Ora eccomi cristiano: l'ho fatto di mia spontanea volontà e nessuno mi ha abbindolato per convincermi a fare questo passo. Vi chiedo di lasciarmi libero di seguire la parola di Gesù, se no.... eccomi qua! "

Il suo coraggio fece colpo e fu lasciato in pace. Pochi giorni dopo venne battezzato.

I timidi guerrieri del Nord Bengala

Mi trovavo a Ruhea da pochi giorni quando p. Mapelli mi disse: C'è un vecchio maestro induista, che sta per morire e vuole essere battez­zato: vuoi andarvi?'

Il moribondo apparteneva ad una famiglia importante e viveva in un villaggio completamente hindù. Andare lì e battezzarvi un individuo, così alla cieca, mi parve avventato. Il brav'uomo, pensavo, era una persona colta e senza dubbio aveva letto qualcosa su Gesù. Egli parlava di battesimo, ma forse non ne conosceva la portata. Arrivato a casa sua, mi sedetti vicino al suo letto, lessi brani del Vangelo, feci una preghiera e gli diedi una benedizione, dopo di che me ne tornai a casa.

Ma, sulle mie calcagna, arrivò il figlio del malato: il papà non voleva solo una benedizione, stava per morire e voleva essere battezzato. Il mattino seguente tornai da lui e lo battezzai. Curioso, appena battez­zato, il nuovo cristiano si rimise così bene che decidemmo di mandarlo al nostro ospedale per una cura radicale.

Così dunque si concluse il mio primo incontro con i Khotryo. Il secondo avvenne pochi giorni dopo: stavo dirigendo un'adunanza mensile dei catechisti di villaggio e notai ben presto, in un angolo della stanza, tre catechisti che stavano quasi appartati, sempre insieme e sempre in silenzio: erano Khotryo e venivano dai primi tre villaggetti di quella casta, battezzati pochi anni prima.

Seppi inoltre che da molti altri villaggi Khotryo venivano richieste di essere visitati. La cosa mi interessò assai, però, invece di andare noi da loro, proposi che gli stessi simpatizzanti venissero invitati alla missione in un giorno determinato, in modo che essi si incontrassero non solo con noi, ma anche fra di loro.

Si fece appunto così, e alla prima adunanza avemmo oltre 40 persone. Stavamo per iniziare la seduta, quando dalla stazione ferroviaria vedemmo arrivare un ultimo partecipante: era il vecchio maestro battez­zato in punto di morte; per buona coincidenza proprio quel giorno l'avevano dimesso dall'ospedale perché guarito. Il buon uomo arrivava giusto in tempo, era felice come una Pasqua e aveva mille cose da dire alla sua gente.

Questi incontri mensili dei Khotryo ebbero grande successo e continuano ormai da sei anni. In questo tempo il movimento si è e steso anche alle missioni vicine. Attualmente abbiamo 1500 battezzati e centinaia di convertiti allo stadio catecumenale

Chi sono i Khotryo? Nell'induismo i Khotryo (scritto anche Kshatryia) sono la casta guerriera, cioè la casta più alta, dopo quella dei bramini. Secondo la mitologia induista, nei tempi dei tempi la casta dei guerrieri era riuscita a sottomettere tutta la terra, dato che i guerrieri non vivono di lavoro, ma di razzia, la stavano dissanguando senza pietà fino a quando Vishnu, il dio Preservatore, ne ebbe pietà e mandò Rama, sotto le apparenze del re Po rashu-Rama, a debellarli. La loro disfatta fu totale e fu distrutta tutta la loro genia, ad eccezione di pochi fuggitivi. Ebbene i Khotryo del Nord Bengala si considerano i discendenti di quei superstiti. Al giorno d'oggi coltivano la terra, hanno perso completamente ogni tendenza bellicosa, anzi, se si vuole sottolineare la loro caratteristica, quella sarebbe appunto la timidezza. Non mangiano carne, non bevono alcolici, nè fumano oppio. Hanno forte senso religioso e sono di buona moralità.

Cos'è allora che li spinge a farsi cristiani?

Essi non vengono a noi perché l'induismo sia considerato falso: per essi tutte le religioni sono buone: sono in cerca di un Guru (Maestro e modello di vita) e, per varie ragioni, hanno trovato questo Guru in Gesù.

Latte e banane

Una volta vennero da noi i rappresentanti di decine di villaggi chieden­do di essere ricevuti come cristiani. Com'è la nostra risposta? Abbiamo iniziato degli incontri mensili per i rappresentanti di questi villaggi. Durante gli incontri, chiediamo loro perché vogliono convertirsi, spie­ghiamo i principi della religione insegnata da Gesù; correggiamo certe loro idee, spieghiamo le difficoltà della pratica cristiana e diciamo loro di pensarci sù.

In nessuna maniera cerchiamo di tirarli dalla nostra parte.... Agiamo sempre in modo che il passo che intendono fare sia del tutto libero e di loro iniziativa.

Problema: per farsi cristiani non è sufficiente la simpatia e neppure l'adesione sincera al cristianesimo: il convertito deve essere istruito. Istruire tutti questi nuovi convertiti crea un grosso problema, ingrandito dal fatto che non possiamo assegnare loro istruttori e catechisti originari di caste basse o fuori casta. La psicologia dei neofiti non è ancora matura; essi si sentirebbero mentalmente bloccati nel trovarsi discepoli di un fuori casta. Dobbiamo creare catechisti khotryo e ciò è appunto quello che siamo impegnati a fare ora.

Altro problema è la visita pastorale a questi cristiani. Il visitarli è particolarmente impegnativo e faticoso. Non è sufficiente visitare un villaggio e dire una messa per tutti. Nel passato, quando il Guru veniva in visita, si fermava in ogni casa anche per giorni; oggi, fattisi cristiani, i fedeli si aspettano lo stesso dal prete. Io rispondo alle richieste passando di casa in casa, durante la mattinata, dopo la messa; purtrop­po non è possibile sbrogliarsi col farvi una preghiera e col dare la benedizione: nella loro stima la benedizione del Guru sarà veramente cordiale ed efficace solo se egli è stato debitamente rifocillato. E così bisogna sedersi ed accettare di fare, se non altro, uno spuntino. In un paese sottonutrito come questo, è scandaloso il numero di spuntini che il prete deve accettare (ci penso sopra tanto, ma non trovo una soluzio­ne). Se alla mia vita tra i Khotryo si dovesse dare un titolo, a ricordo di tutti questi benedetti spuntini, potrebbe per l'appunto essere "latte e banane".

Il guru finale, Gesù

Una volta mi trovai a Chandpukur, una nuova parrocchia della diocesi di Dinajpur. Accoccolati con me sulla stessa stuoia c'erano p. Paolo Ciceri, incaricato della nuova impresa apostolica, ed una ventina di simpatizzanti khotryo, venuti per sentire e decidere. Dopo un bel po', mentre si parlava, venne a sedersi tra i presenti uno sconosciuto: non aveva gli occhietti centro-asiatici dei Khotryo, né era glabro come loro; era magro e irsuto e le sue mani avevano dita bellissime, lunghe e scarne. Quando finalmente prese la parola, la sua parlantina rivelò chi fosse: egli era un bramino 'impegnato' ed era venuto a vedere perché mai questi induisti Khotryo, credenti e praticanti, volessero farsi cristiani. Ecco il suo discorso: L'lndia, attraverso i secoli, ha prodotto migliaia di santi e di Guru; quanto a Gesù, noi veneriamo anche Lui come un santo e un grande maestro di vita. Perché mai voi missionari cercate di distogliere questa gente dal loro passato e dai loro santi? " Risposi: Ecco, proprio prima che tu arrivassi, avevamo letto dalle nostre scritture che 'in molti modi e in molte circostanze Dio aveva parlato ai nostri padri nei tempi passati, ma in questi ultimi Egli ha parlato a noi per bocca del suo Figlio, che Egli ha fatto erede di tutti.' Da queste parole del nostro Testo Sacro, spiegavamo a costoro che le vostre Scritture contengono molte 'sementi' della parola di Dio, che la santità e la saggezza dei vostri Guru deve essere rispettata, che i vostri padri non sono andati perduti e che le loro osservanze non sono disprezzate da Dio. Egli però ha fatto un ultimo grande invito agli uomini per mezzo del suo Figlio e noi missionari ci troviamo in tutti i paesi del mondo per far conoscere a chi vuole queste ultime parole, così come noi le abbiamo conosciute".

Il discorso si protrasse e alla fine ci separammo con il solito vicendevole salvamento di faccia. lì problema però resta: ogni conversione ferisce il gruppo che perde il convertito.

Ciò è cosa da aspettarsi in ogni ambiente, ma lo è soprattutto nel sub-continente indiano, dove, dopo secoli di lotta per il predominio del paese, i vari gruppi razziali e religiosi hanno adottato un atteggiamento difensivo gli uni verso gli altri ed una tendenza a vedere le conversioni come una minaccia all'esistenza stessa del proprio gruppo.

Comunque, per quanto riguarda l'induismo, c'è il famoso precedente del p. Nobili; la sua presenza non aveva significati politici, egli era un asceta e per il rispetto che l'India ha per l'ascetismo, fu accettato e rispettato e potè fare molti discepoli (e battezzarli pure).

L'induismo è un mondo estremamente comprensivo: si può essere Sivaiti o Vishnuiti, Krishnaiti o riformati di ogni tendenza, con calendari e osservanze liturgiche per tutti i gusti. Si può rigettare il valore di tutte le Scritture o di parte di esse, si può essere anche atei dichiarati e, nello stesso tempo, essere accettati come parte del mondo induista. Oltre a ciò, l'induismo moderno con i suoi grandi pensatori, come Vivekananda e Gandhi, accettarono Gesù Cristo come un grande santo e guru: ora ci si chiede: " se nell'induismo c'è posto per Gesù, perché non ci deve essere anche per i suoi discepoli? "In altre parole: perché non ci può essere il mezzo per fare apparire (come di fatto è) il cristianesimo come la continuazione ed una perfezione della 'religione eterna', come gli induisti chiamano la loro religione?

Personalmente, considero ciò possibile, anche se il precursore di questa idea, Swami Upadhyaya Bramahbandhab, fu rifiutato dall'am­biente induista e non accolto da quello cristiano: egli si considerava un discepolo e salvato da Gesù e, nello stesso tempo, parte del mondo hindù. Sofferse isolamento e rigetto, però, dai suoi giorni ad oggi, i tempi sono cambiati. All'atto pratico, faccio di tutto perché la conversione non sia presentata come un rigetto del proprio passato e dell'avita 'religione eterna': la conversione consiste nell'accettare il discepolato del guru finale Gesù.

La catechesi catecumenale ha questa priorità cronologica: Vangelo scritto, feste liturgiche a catechismo e non viceversa. Per cui si dà il caso di convertiti che sanno già molto di Gesù e che (dopo aver letto per conto loro) vengono a chiedere: Ho sentito queste parole: 'merco­ledì delle ceneri', 'confessione dei peccati', ecc. cosa vogliono dire?" Un giorno, dopo il battesimo, un anziano mi chiedeva: "adesso, con questa iniziazione, cos'è che siamo diventati?" Voleva sapere se c'era stato un cambiamento nella sua schiatta. Gli risposi: "tu sei ancora Khotryo-Rajbanshi, sei ancora osservante della 'religione eterna', sei ancora parte del mondo hindù: hai cambiato il tuo guru, da oggi in poi Gesù è il tuo modello e maestro di vita. L'acqua del battesimo ti ha lavato dei tuoi peccati. Dio (che da oggi chiamerai Padre) ti ha preso nel suo seno".

Un buon induista è assai devoto al suo guru: sulla linea di questo aspetto della sua religiosità, si inculca la devota attenzione al Guru Gesù e alla sua parola. L'osservanza domenicale ha primariamente questo aspetto, andare ad ascoltare che cos'ha da dirmi il mio Divin Maestro.

Quale è stata la reazione degli induisti delle varie osservanze nei confronti di questi convertiti? Ci fu accettazione o rigetto? E' un fatto che tanti convertiti continuino a definirsi: "noi hindù". Tanti invece non lo fanno più ed usano le parole: "noi cristiani". Ebbene, l'accettazione è, più o meno, nelle stesse proporzioni di questo sentimento di appar­tenenza e di identità degli stessi convertiti. Ho potuto notare che, in molti posti, i convertiti vengono non solo invitati a mangiare insieme agli induisti, ma (e ciò è molto importante) vengono anche richiesti di cucinare i cibi, che vengono serviti nelle circostanze ufficiali di matrimoni o funerali.

E quale è l'accettazione da parte nostra? L'esperienza lascia perplessi vari confratelli. C'è chi dice che essa finirà col canonizzare la fisima sociale delle caste. Rispondere che le caste esistono anche in molte società di antichi cattolici, dove lo Spirito di Cristo ( "chi di voi è il più grande, sia il servo di tutti" ) non è stato del tutto assorbito; questo spirito estrometterà la casta. Altri hanno l'impressione che questo essere cristiani e induisti allo stesso tempo, oltre che a confondere, sembri declassare in qualche modo la novità della vita in Cristo". Di nuovo direi che non è il distanziare le due maniere di credere che rende genuina la conversione, ma l'avvicinare intimamente il neofita alla persona di Gesù e alla Sua parola.