Donne e Cristianesimo


Donne e Cristianesimo

p. Sergio Targa, sx

Articolo tratto da Women in Context, CSA, (Asian Study Centre) Osaka, 2007.

La traduzione è stata fatta a cura di Banglanews e non è stata rivista dall'Autore.

La sfida principale che deve affrontare la Chiesa cattolica in Bangladesh è quella di mettere in pratica quotidianamente gli insegnamenti della Chiesa, non solo nella vita spirituale, ma anche nella società, dove c'è ingiustizia, oppressione, specialmente per le donne e ineguaglianza fra i cattolici di origini diverse. Arcivescovo Michael Rozario1

La Chiesa cattolica in Bangladesh è presente dal sedicesimo secolo. Malgrado ciò le sue dimensioni sono molto piccole. Si tratta di un piccolo gregge, di 300.000 persone in un paese di 140 milioni di abitanti.

Ma la presenza pubblica della Chiesa è sproporzionatamente ed estremamente visibile in quelle che molti considerano le migliori istituzioni relative all'istruzione ed alla salute di tutto il paese.

Questa presenza sociale generalmente riconosciuta non riflette però un ruolo ugualmente importante o incisivo della Chiesa nei processi politico-decisionali del paese. Apparentemente la Chiesa cattolica in Bangladesh patisce il complesso di essere una minoranza, cosa che la confina quasi in un ghetto e scoraggia qualsiasi posizione pubblica e decisionale su questioni di più largo respiro sociale o relative al bene comune.

La questione delle donne può considerarsi una di esse. Nonostante il suo ricco insegnamento teologico e la profonda comprensione la Chiesa sembra incapace di far udire la sua voce nella società odierna del Bangladesh. Per questa ragione anche al suo interno la Chiesa cattolica sembra quasi irretita sia nei suoi equivoci patriarcali che in quelli della cultura nella quale è stata inserita. Questo lavoro vuol tentare una lettura fenomenologica della situazione delle donne nella Chiesa cattolica. Preferenza sarà quindi data non ad asserzioni teologiche ma all'esperienza attuale di donne all'interno della Chiesa.

Prima di entrare nell'argomento, desidero di ammettere apertamente che questo lavoro ha avuto una nascita difficile. Infatti, c'è molto poco di scritto su questo tema, così che la maggior parte delle informazioni e pensieri qui raggruppati derivano da conversazioni personali con varie donne nella Chiesa cattolica. Anche qui, comunque, ho incontrato molte difficoltà. La maggior parte delle suore che avevo contattato aveva cortesemente rifiutato di parlare su questo argomento. E anche quando qualcuna ha parlato con me, non ho avuto il permesso di riportare chiaramente i nomi delle persone o delle istituzioni coinvolte.

Questa riluttanza a parlare e questa censura autoimposta è di per sé stessa il segnale di un problema le cui dimensioni sono difficili da comprendere. Sospetto che quello che scriverò rappresenterà solamente la punta di un iceberg. Apparentemente la Chiesa cattolica in Bangladesh non ammette nemmeno l'esistenza di un " problema - donne " al suo interno. Il suo atteggiamento è spesso una semplice negazione. Tuttavia, le donne soffrono, anche nella Chiesa cattolica. Forse soffrono anche di più delle loro sorelle di altre comunità religiose. Appartenendo ad una minoranza religiosa, e spesso anche ad una minoranza etnica, le donne cattoliche soffrono due volte a causa di una imposta cultura del silenzio, come ci hanno dolorosamente ricordato le suore di cui ho parlato sopra. Potremo concludere che essere una donna in Bangladesh è davvero difficile, indipendentemente dall'appartenenza religiosa.

Se una predisposizione patriarcale è una parte dell'insegnamento del cattolico nel mondo, "nel caso del Bangladesh, la posizione delle donne cristiane, a seguito della tradizione paternalistica, ha molto a che fare con provvedimenti legali antiquati e con atteggiamenti canonici."2 Nel sistema della legge personale che governa la sfera privata della vita dei Cristiani in Bangladesh, donne spesso sono discriminate da legislazione ultracentenaria. Questa comprende, ad esempio, L'Atto del Divorzio (1869), L'Atto del Matrimonio cristiano (1872), Atto delle Custodie e degli affidamenti (1872), L'Atto di Proprietà di Donne Sposato (1874) e L' Atto di Successione (1925) .3 Queste leggi si applicano a tutti i Cristiani, cattolici e protestanti. Oltre a questo la comunità cattolica è regolata internamente dal Codice di Diritto Canonico. Qualche volta sorgono conflitti tra il Codice di diritto canonico e la legislazione civile su menzionata. Comunque, a causa di una netta demarcazione tra le leggi della Chiesa e quelle dello Stato, i cattolici come individui sono lasciati liberi di compiere i loro doveri ed esigere i loro diritti sanciti dalla legge dello Stato. In alcuni casi la Legge di diritto canonico conclude che si tratta di una questione di coscienza personale.

Il divorzio è un esempio. Mentre il matrimonio dei cattolici, essendo un sacramento, non può essere soppresso, la legge civile riconosce invece questa possibilità. La legge civile, comunque, è estremamente discriminatorio contro le donne. Mentre un uomini possono fare domanda di divorzio in qualsiasi tribunale attestando e provando l'infedeltà di sua moglie, lo stesso non è vero per le donne. Le donne invece per fare domanda di divorzio hanno bisogno di provare, oltre all'adulterio dei loro mariti, altre cose, come la conversione ad un altra religione, abbandono per 4 anni, violenza e minaccia di vita, matrimonio con un altra donna etc.4

Per quanto concerne la legislazione della proprietà le donne cristiane si trovano in una situazione migliore delle loro sorelle musulmane o indù. In caso di divorzio, ad esempio, la donna è intitolata a ricevere un compenso per gli alimenti, stabilito dalla corte e che, comunque, non può eccedere un quinto della proprietà totale del marito. Questa è un loro diritto che dura finché non contraggono un secondo matrimonio. Per quanto riguarda l'eredità uomini e donne hanno gli stessi diritti sulle proprietà dei loro genitori. E così per le mogli sulla proprietà dei loro mariti deceduti. In caso di divorzio la tutela dei bambini minori generalmente è data ai padri. Comunque, il benessere dei bambini ha sempre un ruolo importante nelle decisioni relative all'affidamento.5

Mentre la costituzione del paese garantisce e promulga l'uguaglianza di tutti i suoi cittadini,6 le donne in Bangladesh si trovano in una situazione di "uguaglianza de jure ma di discriminazione de facto"7 La differenza tra i due generi nei casi di divorzio è un esempio. Evidentemente, quando si pensa che la legislazione alla quale si fa riferimento ha 128 anni, è evidente che è necessario aggiornarla. Sfortunatamente, la piccola dimensione della comunità cristiana e la mancanza di una rappresentazione politica nella legislatura, sono due delle ragioni che possono spiegare la stagnazione e la vetustà della Legge personale per i Cristiani.8

Inoltre, il ruolo ambiguo della Chiesa cattolica su questo argomento, non facilita certo un rinnovamento. Anche se ufficialmente la Chiesa non si oppone all'aggiornamento di detta legislazione, in pratica non fa nulla. Inoltre, cosa ancora peggiore, indugia continuamente su decisioni, creando allo stesso tempo ostacoli a coloro che stanno tentando di fare qualche cosa circa la situazione. La Chiesa cattolica rappresenta la maggioranza della comunità cristiana, e boicottando riunioni organizzate dalle altre organizzazioni e dalle chiese protestanti non fa altro che perpetuare lo status quo. L' Ain O Salish Kendro (ASK), Centro di Arbitraggio della Legge, una importante organizzazione sui diritti umani nel Bangladesh è alla guida di un movimento che chiede la riforma della legge personale e l'adozione di un Uniforme Codice Personale. Solamente nel 2001 è riuscita ad avere la presenza di un vescovo della Chiesa cattolica in uno dei seminari su questo argomento.9 Nonostante ciò, i tentativi di ASK di discutere questi argomenti con la Chiesa cattolica non le hanno risparmiato la non ufficiale e senz'altro sbagliata etichetta di Christan Bibaho Bhangar Agency (Agenzia per la Rottura di Matrimoni cristiani), etichetta che è nota nei circoli cattolici della capitale.

In altri campi, comunque, la Chiesa cattolica, sebbene sia una minoranza molto piccola nel contesto sociale del Bangladesh, è intervenuta efficacemente. Questo ad esempio è accaduto anni fa quando si oppose efficacemente al tentativo dello stato di darle una condizione sociale simile a quella di una Organizzazione Non Governativa. E questo accade ogniqualvolta sono gli stessi interessi della Chiesa ad essere in pericolo.10 Sfortunatamente lo stesso coraggio non viene impiegato in questioni più sostanziali. Mentre la Chiesa, nella sua retorica ufficiale ammette da una parte, un "problema delle donne" come ha coraggiosamente fatto il defunto Arcivescovo di Dhaka nelle parole riportate all'inizio di quest'articolo, d'altra parte la Chiesa non sembra pronta ad ammettere che questo problema esista anche al suo interno e, sopratutto, non sembra pronta a fare qualcosa in proposito. Questo è proprio lo spazio in cui la discriminazione de facto su menzionata si manifesta pienamente.

Le donne in Bangladesh possono, certamente, mantenere il loro diritto all' uguaglianza, ma la triste realtà è che, a causa di povertà, analfabetismo e in generale mancanza di potere, I tribunali sono semplicemente al di fuori della portata della maggior parte delle donne. Quello che conoscono è semplicemente la "costituzione" di una tradizione e di costumi e ruoli socialmente accettati, e questo è valido anche per le donne cattoliche. Anche in casi in cui donne cristiane potrebbero ricorrere in tribunale, molto spesso questa possibilità non viene utilizzata. Infatti tale ricorso può essere carico di conseguenze negative per le donne stesse. Separatamente dalle minacce relative alla loro vita e sicurezza da parte del marito o dei parenti, è molto probabile che debbano poi affrontare un genere di ostracismo e boicottaggio (beninteso: non ufficiale) nella stessa comunità cristiana. Donne cristiane che ottengono il divorzio da qualsiasi tribunale devono essere preparate ad una ardua prova psicologica che qualche volta può assumere i contorni di una vera tortura mentale.

Tale donna sarà, prima di tutto, indicata come una prostituta. Una donna che rigetta suo marito non può, nell'immaginazione comune, che avere una relazione con un altro uomo. Anche se buona e degna di ogni rispetto, quella donna rimarrà stigmatizzata per il resto dei suoi giorni. Anche le donne più forti non possono, in tale situazione, resistere alla pressione continua e implacabile della propria comunità. Nella Chiesa cattolica questa stigmatizzazione può addirittura essere rinforzata dalla sua posizione teologica relativa all'indossulibilità del matrimonio. Quindi, insieme alla pressione della società, una donna divorziata deve subire un senso di colpa religiosa indotta. A questo rispetto, i preti in carica delle comunità cristiane escludono qualsiasi possibilità di cura pastorale o sostegno per tali donne o hanno paura per confrontarsi con la struttura patriarcale della loro comunità e troppo spesso scelgono di rimanere zitti. Aiutare una donna divorziata può voler dire partecipare al suo fato ed alle "dicerie" sul suo conto. E, in questa società patriarcale, quando è l'uomo a divorziare niente di tutto questo accade.

In casi di dispute coniugali la strategia normale dei preti cattolici che gestiscono comunità cristiane è quella di consigliare la coppia e trovare una soluzione di compromesso. Evidentemente, lo scopo ultimo qui è tentare e salvare l'obbligazione sacramentale ad ogni costo. Spesso questo diviene possibile esercitando una indebita pressione religiosa sulle donne. La disputa è di conseguenza fronteggiata dai preti da una prospettiva paternalistica e pietistica. Le donne dovrebbero pensare al bene dei bambini, dovrebbero perdonare e sopportare anche l'insopportabile in nome dell'amore cristiano. Se, nel fare così, le donne consegnano loro stesse ad un inferno terreno, è di importanza secondaria; i pastori sembrano solamente contenti di aver salvato il sacramento e, tacitamente, le relazioni di potere patriarcali nella loro comunità.

È ben visibile che la retorica assunta da questi preti non è diversa dall'ideale culturale di una buona, sottomessa e casta moglie della tradizione Bengalese. Nessuna sorpresa poi che il suicidio di donne sposate, sfortunatamente, non sia una prerogativa esclusiva delle comunità indù e musulmane! Davvero l'insistere troppo sui valori morali, cattolici e tradizionali della famiglia non aiuta la Chiesa del Bangladesh a trovare un percorso per risolvere questo problema. Anche con la sua prospettiva ecclesiale più aggiornata di acculturazione e rispetto per la cultura ed i costumi locali, la Chiesa rischia di identificare la tradizione della famiglia e valori morali della cultura, in cui essa Chiesa si è radicata, con la tradizione della famiglia e i valori morali della fede cristiana. Questo, credo, annulla la novità della comunicazione cristiana. Come conseguenza, la Chiesa che dovrebbe essere profetica e così disfunzionale ad un ordine sociale precostituito finisce per essere completamente funzionale allo status quo ed alla discriminazione contro le donne insito in esso. La riluttanza della Chiesa nel prendere passi concreti per riformare la legge personale cristiana può essere il risultato di questo. Lo stesso può essere detto anche per la riluttanza della Chiesa nell'applicare alle dispute maritali la sua legislazione già esistente.

È noto che, mentre la Chiesa non riconosce la validità del divorzio, stabilisce una serie di norme secondo le quali un matrimonio può essere dichiarato nullo e vuoto. Il Canone 1084, per esempio, stabilisce che l'impotenza sessuale perpetua ed antecedente al matrimonio, da parte di uno dei due sposi, invalida il matrimonio stesso.11 Sfortunatamente questa norma chiaramente definita sembra non applicarsi ai cattolici del Bangladesh. Nel 1994 mentre ero assistente - parroco a Bhabarpara, nel distretto di Meherpur, ebbi a trattare un caso di questo genere. Dopo un'estesa indagine e dopo avere riempito formulari su formulari per facilitare il caso di una ragazza cattolica il cui matrimonio era apparentemente viziato dall'impotenza sessuale del marito, il Tribunale di Diocesano di Khulna il cui attivazione richiede l'approvazione del vescovo locale, ha rifiutato persino di prendere in considerazione la questione. Coinvolsi l'allora Nuncio Apostolico in Bangladesh, Mgr. Bernardini, il cui intervento obbligò l'allora vescovo locale di Khulna, Mgr. Michael D'Rozario, di contattarmi… solo per spiegarmi che per il caso non vi erano abbastanza prove da domandare un giudizio del tribunale ecclesiastico. Questo accadde nel 1994, ma sfortunatamente l'atteggiamento, da allora, non è cambiato.

Alcuni giorni fa venni a sapere di un'altra coppia cattolica nella quale una giovane chiedeva l'annullamento del suo matrimonio dopo essere divenuta consapevole dell'impotenza sessuale di suo marito. In questo caso, il marito stesso aveva ammesso il suo problema. Ciononostante, anche quello che sembrava essere un caso molto semplice e chiaro, ancora oggi non ha trovato una soluzione.12 L'autorità della loro Chiesa locale nega talvolta l'applicazione di un diritto canonicamente sanzionata. Non so le ragioni ufficiali relative a questo rifiuto. Quello che so, comunque, è che nel caso di cui mi interessai nel 1994, l'allora vescovo mi disse che "la Chiesa non poteva permettersi di aprire una porta pericolosa". Sospetto che questo potrebbe essere lo stesso motivo per questo secondo caso, dopo oltre dieci anni.

Forse, alla base di quello che ho chiamato l'atteggiamento schizofrenico della Chiesa verso le donne, c'è la paura di perdere la sua consistenza istituzionale. Comunque, i valori, siano essi l'indissolubilità del matrimonio o altri, non possono essere imposti con la forza. La Chiesa può mostrare la loro bellezza e può istruire le persone a riconoscerla. Non può sostituire certamente la coscienza di un Cristiano con la propria. Questo porterebbe a considerare e trattare i propri Cristiani, e le donne in particolare, come bambini in continuo bisogno di supervisione.

Sembra che la Chiesa, avendo perso il primato che una volta aveva nella vita pubblica con i suoi interventi nei cambiamenti socio-economici della società in generale, ed all'interno della sua comunità in particolare, 13 veda la famiglia e la vita privata come il campo nel quale può lottare la sua ultima battaglia per detta supremazia. In questo la Chiesa non è molto diversa dall'atteggiamento del militante Islam e dello stesso stato del Bangladesh. Tutti e tre conducono la loro lotta politica sui corpi di donne, controllandole.14 Questo è ancora più triste quando pensiamo che la maggior parte delle attività liturgiche, pastorali, sociali, istruttive ecc. della Chiesa è eseguita dalle stesse donne.

Un sorella insolitamente sincera, Sr. Asha, mi disse che le suore, qualsiasi cosa facciano nella Chiesa, non ricevono mai lo stesso riconoscimento dei preti. È come se il lavoro delle suore fosse sempre, per definizione, di seconda classe. 15 Nel 2004 la Chiesa cattolica in Bangladesh poteva contare solo su 1.059 suore e 257 preti. 16 Sfortunatamente questo esercito di suore è escluso da qualsiasi processo decisionale. Loro non prendono decisioni, non ne possono prendere. Sono le semplici esecutrici di decisioni prese da altri. Sr. Asha mi spiegò che questo derivava dalla natura gerarchica della Chiesa che comunque, aggiunse subito, fu acriticamente derivata ed assorbita dalla cultura locale. 17 La stessa idea fu ripetuta in un'altra intervista: "I preti vengono prima; le monache sono cittadini di seconda classe nella Chiesa." 18 Come tali ci si aspetta che compiano deferentemente quanto loro assegnato; e fra i doveri delle suore molti preti elencherebbero certamente la pulizia, il lavaggio dei vestiti e la cucina.. (per loro stessi!). Questi, certamente, sono i lavori femminili che le monache più anziane fanno volentieri, un po' meno quelle giovani.

Contrariamente a quanto mi aspettavo fui informato, da una fonte affidabile, che per molte sorelle la difficoltà più grande nella loro vita religiosa è rappresentata dal voto di obbedienza, uno dei tre voti religiosi. Questo si collega evidentemente a quanto è stato detto sulla gerarchia nella Chiesa.

Senza entrare in intricati problemi teologici sulla natura gerarchica della Chiesa, in questo contesto desidero solamente indicare un numero di considerazioni fenomenologiche pertinenti alla situazione del Bangladesh. È ovvio che in una cultura estremamente intrisa di valori gerarchici come quella del Bangladesh e del subcontinente indiano in generale, l'orientamento patriarcale inserito in un'istituzione che è esclusivamente maschilista, non può che manifestarsi in conseguenze nefaste. In aggiunta, la mancanza di analisi e critiche socio-culturali non può che far accettare alla Chiesa, non solo come cosa naturale, ma in qualche modo anche divina, la sottomissione e la passività delle donne all'ordine precostituito. Ai preti, poi, nei loro anni di formazione vien fatto una specie di lavaggio del cervello fino a fargli credere che il loro sacerdozio li mette, come oggetti sacri, su un piano diverso dalle comuni persone, quasi come membri di una casta nuova e moderna. D'altro canto, alle suore viene fatto un altro lavaggio del cervello per accettare la loro condizione sociale subordinata. In questo caso l'obbedienza maschera e perpetua la sottomissione. Le suore, generalmente parlando, non sono formate alla libertà, e la loro istruzione è più spesso centrata sulla paura. Inoltre l'atteggiamento patriarcale della società e della Chiesa, tende a neutralizzare la loro femminilità, in qualche modo considerata come un rischio e un pericolo.

Comunità di monache che dovrebbero vivere più libere delle donne sposate, eventualmente finiscono per vivere una vita di isolamento e talvolta di reclusione simile al purdahosservato dalle donne nel mondo secolare. Uno esempio fra i tanti. Mentre indagavo per quest'articolo contattai una suora per avere il suo punto di vista. All'inizio lei aveva paura di quello che le sue avrebbero potuto speculare, circa una mia telefonata. Dopo averla calmata, lei pensò per un po' e mi disse che, prima di parlare con me, doveva chiedere il permesso della sua superiora. Dopo un paio di giorni lei mi contattò per telefono. Aveva fretta. Infatti approfittando di un'assenza momentanea della superiora, era corsa ad negozio vicino al convento per chiamarmi, senza permesso. Ero fortunato abbastanza che la sua superiora le permetteva di parlare sull'argomento che volevo! Comunque, sono preoccupato di quello che accadde alla ragazza sincera, intelligente e auto-assertiva che conoscevo una volta. Sono ancora più preoccupato di quello che accadrà quando questa donna eserciterà un'attività pastorale.

La maggior parte delle suore ha occasione di parlare solamente a persone religiose e preti, che le considerano come una specie di aiutanti subordinati e destinatari del loro barcollante affetto. Questo diviene possibile perché suore e preti hanno maggiori opportunità di incontrarsi, a causa della fiducia di base e dipendenza, insita nella cultura e ribadita nella formazione, che le suore sentono verso i preti.

Lascio agli psicanalisti di stabilire quanta della relazione decisa culturalmente tra marito e moglie esista in questo rapporto.

La stessa Sr. Asha mi confermò l'atteggiamento spudorato di alcuni preti. Questo comportamento, che sarebbe un crimine in società, è il risultato, secondo lei, di un'esaltazione eccessiva del sacerdozio che inganna preti sino ad illuderli in una onnipotenza personale. Aggiungerei anche che questo può essere rinforzato e incoraggiato dall'idea culturale di donna come ordhanghini, "qualche cosa" che trova solamente completezza in una relazione con uomini. In questi casi, che spero sono limitati, alcuni preti si convincono forse che loro stanno soddisfacendo le necessità intrinseche delle suore più che le proprie. D'altro canto, la formazione difettosa provvista nelle case di molte suore le convince circa la loro natura femminile, intrinsecamente negativa, e sono così facilmente preda della affezione di cui sono affamati i preti. I risultati di tutto questo possono essere immaginati facilmente. Alcune suore vengono a incarnare il patriarcato castrando la loro femminilità e rendendo loro stesse incapaci di sane relazioni umane. Altre si confinano in una vita di contraddizioni e sotterfugi. Frequenti trasferimenti diventano poi un modo facile per controllare comportamenti dissenzienti o devianti.

L'atteggiamento delle autorità della Chiesa spesso non è all'altezza della situazione. Apparentemente, l'atteggiamento in casi di "incidenti" è minimizzare e nascondere il più rapidamente possibile. E, generalmente parlando, "le disavventure" dei preti sono più prontamente perdonabili rispetto a quelle delle suore. Ricordo qualche anno fa un caso di questa natura nella Chiesa. Una suora fu resa gravida da un prete. La prima reazione delle autorità fu quella di dire al prete di restare dov'era e di spedire la suora e il bambino in India, dove avrebbero potuto vivere una vita di loro scelta. 19 Le due persone coinvolte furono abbastanza da rigettare la proposta e ora stanno conducendo felicemente la loro vita coniugale in Bangladesh. Ancora una volta il bene dell'istituzione viene prima di quello degli individui. E ancora una volta l'indissolubilità di un sacramento fu ritenuto più importante della vita di due creature.

Evidentemente, in un contesto nel quale preti e suore riproducono i ruoli di genere socialmente accettati e culturalmente stabiliti, c'è poca speranza di cambiare la condizione sociale delle donne nella Chiesa cattolica. Nulla nuovo ne può derivare. In un'intervista la condizione sociale delle suore nella Chiesa cattolica è stata assimilata a "una situazione di una banda". Come un battaglione bene addestrato le suore sono messe in parata qui e là. Loro fanno molto suono, ma non si muovono di un pollice dal luogo nel quale sono state messe. L'immagine infatti non è lontana dalla realtà. In importanti celebrazioni liturgiche, particolarmente in quelle in cui sono presenti i vescovi, si vedono schiere di suore. Si presentano molto bene, con vari colori per le varie congregazioni. Sfortunatamente, nella vita attuale della Chiesa, spesso rappresentano solamente questa bella ornamentazione da parata.

C'è certamente un'altra considerazione da farsi. La situazione di sottomissione passiva nella quale molte suore si trovano può essere determinata anche dalla situazione socio-economico dalla quale queste donne cristiane provengono. Spesso vengono da famiglie cristiane povere, e le suore trovano nella vita religiosa un modo per evadere da una vita futura fatta di privazioni economiche. 20 A questo riguardo, i poveri genitori sono piuttosto felici di avere una figlia che segue una vocazione religiosa. In tale situazione, infatti, i genitori eviteranno le spese del matrimonio, ivi inclusa la dote e possono addirittura sperare che in futuro la loro figlia potrà aiutare finanziariamente la famiglia.

Questo genere di intrappolamento, ancora una volta imposto alle donne, risulta nella creazione di suore la cui volontà e intelligenza personale vengono annichilite e sono messe al servizio di una silente sottomissione, prima alla famiglia e poi alla congregazione. Se poi consideriamo che fino a qualche tempo fa, la maggior parte delle suore aveva poca istruzione, il quadro complessivo diviene ancora più chiaro. In un sistema fortemente patriarcale suore senza istruzione non hanno alcuna opportunità di operare con successo nel mondo di oggi e confrontarsi con supremazia maschile. Fortunatamente in questi anni si vedono sempre più suore che frequentano studi superiori. Questo migliorerà certamente la loro posizione all'interno della Chiesa.

La strada che conduce all'emancipazione delle donne nella Chiesa e nella società non è ancora ben delineata. Gli ostacoli sono enormi e a prima vista insormontabili. Comunque, le donne, e le suore tra di esse, devono trovare il coraggio di asserire loro stesse non solo nel propri interesse ma in quello della Chiesa cattolica del Bangladesh. Le donne soffrono nella Chiesa cattolica; ma, sebbene inconsapevolmente, soffrono anche gli uomini. Le donne cristiane non possono più restare sedute, inattivamente, aspettando un'emancipazione che non viene. Devono prendere il loro destino nelle loro mani e chiedere con forza il rispetto e la dignità che sono loro dovuti, in quanto esseri umani.

Nessuno farà questo al loro posto. Nel fare ciò le donne non solo libereranno se stesse, ma libereranno anche i maschi dai vincoli autoimposti del patriarcato.

Oltre al patriarcato esiste tutta una serie di possibilità inesplorate sia per gli uomini che per le donne. Come asserisce fortemente Sr. Asha: i vescovi qui non sono importanti, le donne lo sono. Quindi devono essere bene informate circa i loro problemi e diritti ed essere pronte a lottare per essi. L'unica cultura che la Chiesa dovrebbe alimentare è la "Cultura di cristo". Sfortunatamente, ancora oggi molte suore e molte donne cristiane appaiono essere più patriarcali degli stessi patriarchi. Tristemente, molte delle sofferenze inflitte donne coraggiose e "devianti" sono state inflitte da donne. Per la Chiesa intera le parole dell'Arcivescovo Rozario citate all'inizio di questo lavoro rimangono come una sfida e come un percorso per il futuro, se vuole essere vera per sé stessa e per il suo Signore.

Note

1. Citato nel Website cattolico, Asian Church News. Second Archbishop Passes Away, <http://www.theindiancatholic.com/newsread.asp?nid=6752>.

2. F. Pereira, The Fractured Scales: Th e Search for a Uniform Personal Code (Calcutta: Mandira Sen for stree 2002), 70.

3. Vedi Ain O Salish Kendro, “Kristan Paribarik Ain,” Ainer Kotha (Dhaka: Dvitio Sonskoron, 2004), 2.

4. Vedi P. D’Costa, Dainondin Jibone Ain Sahaieka (Law Use in Daily Life). (Dhaka:Heaven and Holy Prokashon, 1998), 51–2. (In Bengali).

5. Vedi Ain O Salish Kendro, “Kristan Paribarik Ain,” op. cit., 6–10. Queste pagine indicano "chi prende cosa" secondo la Christian personal law in Bangladesh.

6. Vedi The Constitution of the People’s Republic of Bangladesh, art. 28 (Dhaka, 2000), 8.

7. F. Pereira, T e Fractured Scales: The Search for a Uniform Personal Code, op. cit., 69.

8. Ibid., 70.

9. Ibid., 71.

10. Per esempio, la Chiesa sembra che si faccia sentire ogni qualvolta i propri diritti sulla proprietà vengono minacciati.

11. The Code of Canon Law (Bangalore:Collins Publisher, 1983), 193.

12. Il riserbo dovuto alla coppia coinvolta e i procedimenti in corso non permettono che io sia più dettagliato e preciso.

13. Oggi, sebbene il discorso non può essere generalizzato, un buon numero di Cristiano può davvero dire di essere arrivato ad un grado di emancipazione economico, sociale e istruttivo superiore a quello di un prete cattolico emedio.

14. È interessante per osservare quello durante la Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo (icpd) di Cairo nel 1994 e la Conferenza delle Donne di Pechino, nel 1995 (cedaw) la Chiesa cattolica si alleò con delle delegazioni musulmane per promuovere la propria agenda conservativa nei riguardi delle donne. Questo metterebbe in dubbio la teoria recente di ' scontro di civiltà' che vede l'Ovest cristiano opposto al mondo musulmano per definizione. Vedi J.H.Bayes and N. Tohidi, eds., Globalization, Gender, and Religion: the Politics of Women’s Rights in Catholic and Muslim Contexts (New York: Palgrave Macmillan, 2001). Il libro è stato eccellentemente rivisto da M. Mahmood in Middle East Policy, <http://www.accessmylibrary.com/coms2/summary_0286–23584663_itm>.

15. Sr. Asha, comunicazione personale, Dhaka 23-4-2007.

16. Vedi statistiche a <http://www.catholic-hierarchy.org/country/sc1.html>.

17. Sr. Asha, comunicazione personale, Dhaka 23-4-2007.

18. Faustina Pereira, comunicazione personale.

19. Per rispetto della privacy, non sono in grado di fornire dettagli.

20. Il lettore deve essere consapevole che non sto giudicando qui l'autenticità della vocazione religiosa delle suore

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