Gruppi etnici e tribali


GRUPPI ETNICI E TRIBALI

AOWE

È una tribù in contrazione numerica che abita nella valle di Brahmaputra. Una volta un buon numero di Aowe viveva in Sylhet, Tripura e Tratti Collinari di Chittagong. Secondo il censimento del 1931, la popolazione Aowe era 32.775. Il loro numero presente e la distribuzione sono incerti.

La tribù ha tre grandi clan - Chonglee, Mongsen e Chongkee e ognuno di questi rami è diviso in alcuni gruppi sociali più piccoli. Gli Aowe sono relativamente alti, hanno colorito giallastro e capelli ricci. Hanno nasi piatti e facce larghe, il corpo è dotato di peli.

Ci sono più donne che uomini nella popolazione Aowe. Portano vestiti ridottissimi. Il vestito comune degli uomini è un piccolo pezzo di stoffa passato tra le cosce, allacciato sui lombi. Le donne portano un abbigliamento simile ma di dimensioni maggiori, lungo circa un metro e largo mezzo metro. Le ragazze non sposate coprono la parte superiore con una striscia di tessuto, annodata dalla parte posteriore. Nelle festività indossano vestiti molto colorati. Uomini e donne, portano ornamenti fatti di pietre, pelle, penne, foglie e fiori.

Gli Aowe, nella loro vita sociale, sono avversi ai conflitti. Ma, approfittando della loro indole pacifica, sono stati cacciati dalle fertili aree in cui vivevano e spinti verso remote aree collinose. Gli Aowe praticano spesso per gioco delle liti innocue, considerate una forma di divertimento sociale.

L'agricoltura è la loro occupazione principale. Nelle colline, praticano coltura Jhum (sfruttano la terra per un certo periodo e poi vanno altrove). La scorta di riso è simbolo di condizione sociale. Coltivano anche cotone che usano per tessere e fare vestiti. Non sono cacciatori a tempo pieno, ma talvolta mettono trappole nella giungla, per catturare belve. Qualche volta loro organizzano caccia di gruppo ad elefanti e tigri. Il loro cibo principale è riso, sebbene loro mangino pressoché tutto, dagli insetti alle carni ormai putrefatte.

Gli Aowe adorano dei e dee e sacrificano loro animali. Hanno idee semplicistiche su anima, nascita e morte, e vita dopo la morte. Per loro la moralità non è un aspetto importante della religione.

Riguardo al matrimonio non si accoppiano fra la stessa parentela. Prima del matrimonio, i futuri sposi vivono insieme per qualche tempo, e quando stabiliscono che è appropriato sposarsi comunicano la scelta ai rispettivi genitori che organizzano il matrimonio con riti e feste adeguati.

La vita di comunità degli Aowe è organizzata sulla base di gruppi del villaggio formati da persone della stessa età. In tali gruppi ad ognuno è assegnata una specifica responsabilità come coltura, caccia, organizzazione delle feste, costruzione delle case e difesa.

BAWM

Sono una piccola tribù dei Tratti collinari di Chittagong. Etnicamente, appartengono al gruppo mongoloide. Assomigliano ai Chakma e ai Marma. La parola Bawm vuole dire legaccio, legame. Il concetto di tale legame si è sviluppato nella loro cultura di fare collettivamente tutte le attività, incluse caccia, canti, mangiare e bere ed anche offerte agli dei. I Bawm vivono in 70 villaggi delle upazilas di Ruma, Thanchi, Rwoangcchari e Bandarban Sadar, tutte nel distretto di Bandarban. Ci sono 1.349 famiglie Bawm in Bangladesh con una popolazione totale di 6.978 secondo il censimento di 1991. I Bawm sono di natura molto gentile, hanno la loro propria struttura sociale per regolare la loro condotta ed eventuali dispute. Non sono soliti andare in tribunale per regolare un problema sorto tra di loro e regolano la loro vita secondo le proprie leggi.

I Bawm hanno pochi contatti con i Bangladeshi. I Marma e gli Arakanesi del distretto di Bandarban chiamano i Bawm Langi o Langay. L'occupazione principale dei Bawm è, come per atri gruppi, la coltura Jhum (seminomade) sui pendii delle colline. Coltivano riso, papaia, banane, vegetali e altro. Amano vivere nelle foreste e raramente vengono nelle pianure. La scarsezza della terra necessaria per il loro tipo di coltura e il graduale diboscamento ha notevolmente modificato il loro stile di vita. Molti bambini Bawm ora frequentano scuole. I Missionari cristiani stanno propagando il Cristianesimo dalla metà del diciannovesimo secolo. Pressoché tutti i Bawm ora sono divenuti Cristiani.

Nel passato, i Bawm costruivano le loro case sulle colline, lontano dai fiumi e fortificavano i loro villaggi con recinti di tronchi d'albero. Le loro case sono chiamate machang e sono fatte di bambù e legno ed erette su una piattaforma. La loro società è patriarcale. Un elemento significativo della loro cultura è il ballo del bambù. Si compie solamente quando c'è una tragedia nella famiglia, specialmente nel caso di una morte non naturale. Con questo ballo i Bawm consolano le loro famiglie.

BIHARI

I Bihari sono emigranti dal Bihar (India) al Bengala Orientale prima e dopo la spartizione dell'India nel 1947. I problemi sorti immediatamente dopo la dichiarazione d'indipendenza costrinsero a una grande migrazione dei musulmani nel Bengala Orientale da Bihar, Orissa e Bengala Occidentale. Come muhazir i Bihari furono riabilitati nel Bengala Occidentale durante il periodo pakistano. Comunque, durante la Guerra Di Liberazione del Bangladesh, molti Bihari si posero dalla parte del Pakistan e uno dei problemi che il Bangladesh dovette fronteggiare dopo la liberazione fu quello dei Bihari che avevano optato per il Pakistan.

C'era più di un milione di persone di lingua urdu non originari del Bengala. Il Bangladesh diede loro la possibilità di decidere la loro identità politica e concesse la cittadinanza ad oltre 600.000 persone che decisero di restare come cittadini del nuovo stato. Ma circa mezzo milione di Bihari che avevano optato per il Pakistan si registrarono presso il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Inizialmente il Pakistan accettò il rimpatrio di 100.000 Bihari, e la maggior parte di essi fu rimpatriata. Molti Bihari che non erano riusciti ad ottenere ufficialmente il rimpatrio abbandonarono i loro campi e decisero di lasciare il Bangladesh per destinazioni ignote. Attualmente circa 220.000 Bihari vivono in 81 campi sparsi in diverse località del Bangladesh.

CHAK

Sono un gruppo etnico che vive nella upazila di Naikhongchhari del distretto di Bandarban dei Tratti collinari di Chittagong. Arrivarono alcuni secoli fa dalle regioni settentrionali del fiume Iravati del Myanmar attraverso Arakan. Oggi sono appena più di 2000. Il loro primo leader conosciuto fu Yeng Do.

I Chak sono divisi in due clan - Ando e Yarek. Praticano la coltura Jhum (seminomade), hanno una lingua propria ma non una forma scritta. I matrimoni sono intertribali. Sono buddisti. Si vestono come i Marma con cui condividono molti tratti del loro carattere. Come i Marma bruciano anche loro i morti.

CHAKMA

È il più grande gruppo etnico del Bangladesh. Tra di essi si chiamano anche col nome di Changmas. Sono concentrati nelle parti centrali e settentrionali dei Tratti Collinari di Chittagong dove vivono tra molti altri gruppi etnici. Manca un censimento esatto per il passato ma le stime più affidabili danno il loro numero in 140.000 nel 1956 e 230.000 nel 1981. Circa 253,000 risultarono dal censimento del 1991. Più del 90% è concentrato nei distretti di Rangamati e Khagrachhari. Circa 100,000 Chakmas vivono in India, particolarmente negli stati di Arunachal, Mizoram e Tripura. Altri piccoli gruppi piccoli si sono stabiliti in altri paesi. Il primo documento scritto riferito ai Chakma delle colline di Chittagong è del 1550 D.C. quando il geografo portoghese Lavanha indicò nella prima mappa esistente del Bengala che i Chakma vivevano nelle vicinanze del fiume Karnafuli. Due teorie principali esistono sull'origine dei Chakma ed entrambe parlano di una migrazione nel territorio attuale. La teoria più convincente collega i Chakma al Myanmar centrale e Arakan, e a gruppi come i Sak (Chak, Thek) chi vivono nelle colline di Chittagong e Arakan. L'altra teoria per la quale però manca una evidenza storica, presume che i Chakma emigrarono nelle colline di Chittagong da Champaknagar, in India settentrionale. Nel diciottesimo secolo Chakma furono trovati non solo nelle Colline di Chittagong, ma anche nelle altre aree collinose dei distretti attuali di Chittagong e Cox Bazar.

Fu soltanto dopo l'annessione delle colline di Chittagong da parte degli inglesi (1860) e la promulgazione di leggi che impedirono agricoltura della collina (Jhum, coltura pseudonomade) nel distretto di Chittagong che questi coltivatori Chakma (e gli altri coltivatori della collina come il Marma) si mosse ad est verso le Colline di Chittagong. Nel periodo precoloniale, le colline di Chittagong non erano state parte di nessuno stato, sebbene fossero da tempo state influenzate dai centri di potere di Tripura (al nord), Arakan (al sud) e Bengala (all'ovest). Nei secoli XVII e XVIII l'impero Mughal chiedeva un tributo (cotone) dall'area attraverso intermediari locali. Uno dei principali di questi intermediari era il capo dei Chakma che risiedeva in una zona elevata del canale del fiume Karnafuli. La sua famiglia aveva considerevoli possedimenti nelle pianure di Chittagong, all'interno del territorio Mughal e risiedeva a Rangunia.

Quando gli inglesi stabilirono il controllo delle pianure nella metà del diciottesimo secolo, mantennero questo accordo, e quando un secolo dopo presero anche le colline di Chittagong, nominarono il capo dei Chakma come responsabile della raccolta delle tasse nella regione centrale del nuovo possedimento. Due altri capi furono costituiti responsabili: per la parte meridionale (il capo dei Bohmong) e per la parte settentrionale (il capo dei Mong). Il capo dei Chakma, diventato un importante personaggio coloniale prese il titolo personale di raja e si trasferì a Rangamati, la capitale del nuovo distretto che gli inglesi chiamarono Tratti Collinari di Chittagong. Il sistema della tassa coloniale diede anche nuovi poteri ai vecchi funzionari a livello locale (talukdar, dewan, khisa) che vennero a formare l'élite dei Chakma. La Regolamentazione dei Tratti collinari di Chittagong del 1900 formalizzò questo sistema e anche accentuò il fatto che l'area, sebbene amministrata da Calcutta, non era una parte regolare del Bengala. Il suo sistema amministrativo, i diritti sulla terra, e la preclusione a coloni esterni lo rendevano differente dal resto del Bengala. Questa situazione fu raffermata nel 1930, quando la regione fu dichiarata un'area esclusiva, con l'Atto del Governo Indiano. Dopo la deconolizzazione (1947), la zona fu incorporata nel Pakistan Orientale Pakistan e più tardi (1971) nell'attuale Bangladesh. La speciale condizione amministrativa è in tutti questi anni continuata, e la Regolamentazione del 1900, malgrado piccole variazioni, non è mai stata abrogata. Per questa ragione, l'ufficio dei Chakma (dei Bohmong e dei Mong) sopravvive ancora oggi.

Nel 1906, fu proposto un progetto idroelettrico, usando il flusso dell'acqua del fiume Karnafuli. Ma esso prese forma solo negli anni cinquanta e un grande progetto idroelettrico fu commissionato a Kaptai, un villaggio vicino a Rangamati. Quando la diga di Kaptai fu completata nel 1960, un grande lago si formò nella valle del Karnafuli, allagando molti villaggi e costringendo ad un grande esodo (o Bara Parang, come i Chakmas lo chiamano). Si calcola che oltre 100.000 persone, in maggior parte Chakma, abbiano avuto i loro villaggi allagati. Molti si stabilirono in altre parti del distretto, includendo aree di foresta riservate, ma nel 1964, decine di migliaia cercarono rifugio in India.

I Chakma ritennero che il loro problema non era stato preso seriamente dalle autorità, prima del Pakistan e poi del Bangladesh. Questo condusse a un conflitto armato tra il PCJSS (Parbatya Chattagram Jana Sanghati Samiti, o Partito del Popolo Unito dei Tratti di Collina di Chittagong) fondato nel 1972, e le forze armate del Bangladesh. Il PCJSS, condotto principalmente dai Chakmas firmò un accordo di pace col governo di Bangladesh nel 1997. Lo stile di vita dei Chakma era molto collegato all'agricoltura seminomade delle colline (jum in Chakma e jhum in Bengali). Vivendo in villaggi fissi, loro coltivavano sulle circostanti colline per degli anni, poi cambiavano posto per far recuperare il terreno. I Chakma coltivavano la terra anche nelle vallate del fiume. Avevano un sistema ben sviluppato sui diritti della terra che differivano notevolmente da quelli in uso nelle pianure.

Secondo i primi osservatori, lo standard di vita dei coltivatori nelle colline di Chittagong era relativamente alto. Riso, Cotone e Vegetali erano i principali raccolti. Il Bambù era essenziale come materiale da costruzione. Il bambù aveva così tanti altri usi che lo stile di vita dei Chakma è stato descritto come " la civilizzazione del bambù ". Nel periodo coloniale si creò anche la differenziazione sociale di una élite, quella predisposta alla raccolta delle tasse, che era anche dotata di una certa istruzione. Nel ventesimo secolo crescita di popolazione rese più problematica la coltura delle colline, perché i periodi di riposo del terreno dovettero essere accorciati - e i Chakmas dovettero, per tirare avanti, ricorrere anche a lavori non-agricoli. Il loro problema fu intensificato dalla politica statale di trasmigrazione. A partire dalla fine degli anni settanta, centinaia di migliaia di poveri coltivatori bengalesi delle pianure, furono portati sotto protezione militare, sulle colline. La scarsezza della terra aumentò bruscamente, e i Chakmas (come gli altri gruppi tribali delle colline) videro la loro situazione ulteriormente minacciata. Molti furono costretti ad un lavoro salariato a basso reddito (ad esempio nelle nuove piantagioni di alberi della gomma; oltre 50,000 abbandonarono il loro paese e vissero in campi profughi nel Tripura (India) dal 1986 fino al loro rimpatrio del 1998.

I Chakma si distinguono dai gruppi circostanti per loro lingua. Sebbene ci siano indicazioni che i Chakma parlavano una lingua Tibeto-Birmana, la loro lingua presente è Indoeuropea. Nella struttura è molto vicina al bangla che si parla a Chittagong, dal quale differisce per un vocabolario distinto. Molti Chakma sono bilingue e parlano Chakma e Bengali; molti conoscono anche altre lingue regionali. La lingua di Chakma ha la sua propria scrittura, sebbene oggi questo non è usato comunemente e il Chakma ora è scritto di solito con alfabeto Bengali. La letteratura Chakma parte dalle tradizioni orali dei cantanti gengkhuli attraverso periodici letterari (il primo dei quali è stato Goirika iniziato nel 1936) sino alla poesia moderna. Un'altra forma di arte moderna nella quale i Chakma eccellono è la pittura.

La stragrande maggioranza dei Chakma è buddista, e loro formano la più grande popolazione buddista del Bangladesh. Integrati nella loro pratica buddista sono i più vecchi elementi religiosi, come adorazione delle forze della natura. Una delle loro ricorrenze è la festa di Bizu tenuta in Chaitra, nell'ultimo mese dell'anno bengalese. Culturalmente poi sono i più "asiatici" del sudest e non hanno né le restrizioni dietetiche né la severa segregazione di genere dei loro vicini Bangladeshi.

GARO

Nei tempi antichi era una tribù nomade del gruppo Bodo dei Mongoloidi che ora vive in aree diverse del Bangladesh e negli stati adiacenti dell' India. Le loro facce sono rotonde, capelli e occhi neri, fronti estese nell'area degli occhi, sopracciglia profonde, occhi piccoli, nasi piatti e mascelle alte. Barbe poco pronunciate sulle loro guance e pressoché assenza di peli sul loro corpo. I Garo non sono alti ma di solito hanno corpi forti con toraci larghi e braccia, gambe e muscoli consistenti. La loro pelle è giallastra e liscia. Si dice che abbiano una relazione ancestrale con la Cina. Ci sono delle somiglianze tra i cinesi e i Garo sia nella lingua che nella cultura del popolo.

Secondo alcuni antropologi i Garos discesero 3-5000 anni fa dal nord-est del Lago di Koknar nella parte nordoccidentale della provincia cinese di Chinghai e si stabilirono prima nella provincia di Tura del Tibet e nell' area di Nakalbari del Bhutan. Ma essendo costretto a lasciare queste aree, si diressero in luoghi diversi del Cooch Bihar e Assam e nell'area di Rangamati di Rangpur in Bengala.

Goal para, la dimora dei Garo in Rangpur aveva, durante il dominio britannico, comunicazioni dirette con l'Assam. Un gruppo di Garo dovè lasciare quell'area, a seguito di conflitti interni, e cominciò stabilirsi nelle aree inaccessibili delle colline di Garo, e la tribù ottenne permanentemente il nome Garo. Le colline Garo hanno un'area di 8200 km quadrati.

Nel passato, il territorio era una parte del Bengala ma gli Inglesi l'avevano incluso nell' Assam.

Gli habitat naturali dei Garo sono le colline, collinette, foreste profonde e luoghi vicini a corsi d'acqua. Animali, rettili e uccelli sono i loro vicini e animali con cui vengono in contatto includono rinoceronti, tigri elefanti, bufali selvatici, goyals (mucca selvatica), cani, cervi, porcospini e conigli. Le loro professioni principali sono coltura di Jhum nei pendii delle colline, allevamento del bestiame e caccia. Manufatti e costruzione di cottages si sono recentemente aggiunti alle loro attività. Mirza Nathan, un comandante dell' esercito Mughal diceva che i Garo mangiano tutto, eccetto il ferro. C'è dell'esagerazione in questa asserzione ma loro mangiano tutti gli animali eccetto i gatti che sono il loro totem. Loro vivono in un mondo isolato e fra i propri confini geografici, economici e culturali e seguono proprie norme. Non hanno un re ma un capo tribale.

Nel passato, I Garo usavano le cortecce degli alberi. Il vestito comune per i maschi Garo è jana o nengti (un pezzo di stoffa stretto alla vita), sebbene quelli con una relativamente più alta condizione sociale usino delle tessute da essi stessi. Le donne coprono le loro mammelle annodando un pezzo di stoffa corta sulle loro schiene. I maschi portano anche gamcha o dhuti e molte donne indossano saris, camicie e pantaloni. I Garos bruciano le cortecce degli alberi di banana e usano le loro ceneri per fare sapone e sale. Molti utilizzano le ceneri come un ingrediente speciale per il cibo. La frutta è una componente importante dell'alimentazione dei Garo che raramente hanno avuto problemi di scarsa nutrizione. Questo ha contribuito alla loro crescita veloce. Cucinano il loro cibo in tubi di bambù. Bevono molto vino e invariabilmente offrono agli ospiti della carne. Nei giorni di festa gli ospiti portano in regalo galli o maiali, quando vanno a visitare qualcuno.

Infastiditi dalle difficoltà di vivere nelle colline, molti Garo hanno abbandonato là le loro case e hanno cominciato a vivere in zone pianeggianti della foresta. Questi Garo sono noti come Lamdani. I Garo che continuano a vivere nelle colline chiamano loro stessi Achchik e per loro i Lamdani sono i Mindaya, un nome dedotto dalla parola cinese mandai, che vuole dire uomo. Le relazioni tra i due gruppi non sono buone. I Garo vivono principalmente in aree sotto vecchio distretto di Mymensingh e nelle sue aree confinanti dello Stato indiano di Meghalaya. Gradualmente, loro si sono istallati a Nalitabbari, Kalmakanda, Durgapur, Sreebardi, Barhatta, Dhobaura, Haluaghat, Purbadhala, Phulpur, Fulbaria, Bhaluka, Madhupur e altri luoghi del Mymensingh, Netrokona, Sherpur e distretti di Tangail. Molti Garos hanno abbandonato Bhaluka dopo l'erosione delle colline e l'estinzione di foreste. Alcuni Garo vivono in Sunamganj nel Sylhet, Sreepur e Kawraid di Gazipur e Raumari di Kurigram. Molti Garo, che una volta vivevano in Bangladesh, sono emigrati nello Stato indiano di Meghalaya. Un numero significativo è emigrato durante la Guerra Di Liberazione del 1971.

Tradizionalmente i Garo non posseggono terra. Il possesso della terra non viene comprovato da alcun documento e non viene pagato nessun affitto. All'inizio del 1900, la densità di popolazione Garo nelle aree che delimitano il confine con l' India era di 16 persone per Km quadrato. La pressione sulla terra nelle aree abitate dai Garo è aumentata con l'aumento della popolazione, specialmente perché la coltura del jhum che loro praticano, richiede grandi superfici. Un report del 1979 mostra che in Bangladesh, il 20% dei Garos non possiede terra, il 30% ha solo quella della casa, 30% lavora sotto padrone e il 20% coltiva terra ipotecata.

La comunità originale garo non aveva classi sociali ma gli inglesi introdussero un sistema feudale basato sulla proprietà della terra. Gli inglesi introdussero anche la nozione degli affari nella società di Garo. Gli inglesi sostituirono il sistema del baratto, che loro avevano, con operazioni attraverso i soldi. I missionari cristiani convertirono Garos al cristianesimo e quelli che accettarono la nuova religione ebbero anche la proprietà di alcuni appezzamenti, mentre nel passato, la terra apparteneva alla tribù come una proprietà collettiva ed era coltivata con un sistema cooperativo. (Non ho avuto modo di controllare quanto sopra… NDR)

I Garo sono molto conservativi e i missionari cristiani li trovarono molto riluttanti nell'accettare la nuova religione nuova nei primi cento anni della loro campagna. Il lavoro dei missionari diede i suoi frutti più tardi, e secondo un'indagine del 1970 circa l'80% dei Garo del Bangladesh sono divenuti Cristiani. Recentemente è stato nominato anche il primo Vescovo tribale, di origine Garo. Attualmente, quasi tutti i Garos sono Cristiani e solamente pochi sono musulmani. Una delle ragioni maggiori di questo è il guadagno economico e immediato nella forma di assistenza finanziaria e diretta offerta ai Cristiani di recente battezzati.

(Nota: questo è un punto di vista dell'autore, musulmano. Non ho dati per replicare ma posso dire che invece ben difficilmente un tribale, sia esso Garo o Santal accetta l'Islam, ma preferisce una religione in cui possa essere considerato uomo come gli altri, senza discriminazioni. I vari governi hanno invece sempre ignorato i tribali e quando non lo hanno fatto li hanno discriminati e danneggiati in tutti i problemi relativi al possesso della terra. Forse padre Carlo Buzzi, che lavora con i Garo, potrà aggiungere in futuro qualche nota)

Comunque, i Garo hanno mantenuto la loro cultura tradizionale e i loro costumi, dopo la conversione.

In aggiunta alle credenze tradizionali, i Garo seguono la loro religione Sangshareq che ha radici nell'agricoltura. Talvolta adorano idoli e non si preoccupano di peccato e virtù, di dei e dee e di cielo e inferno. Osservano tredici o più brata (voti) e feste annuali e pregano per la fertilità del suolo, la salvezza dei raccolti e la protezione dagli spiriti cattivi, malattie e epidemie. La religione Sangshareq ha elementi di mantra-tantra e di magia. I Garo sono animisti e credono in esistenza duale delle cose. Loro ascrivono vita alla natura e oggetti inanimati e considerano serpenti e tigri come forme personalizzate di anime morte. Secondo la loro credenza, alcuni uomini rimangono uomini di giorno, ma divengono tigri di notte. Tali uomini sono da loro chiamati Matsadu Matsabed. Credono che alberi, pietre e colline sono le dimore degli spiriti e perciò, è migliore allontanarsi. Fra i Garo, le persone che organizzano le feste, i voti, e trattano i malati con la medicina popolare, sono persone con potere soprannaturale e perciò, goda rispetto e onore nella comunità. Queste persone sono chiamate khamal o kamal. I Garo non danno ai loro bambini un nome attraente perché, loro credono, tali nomi possono attirare i cattivi spiriti e causare danno ai bambini.

Quando qualcuno muore, i Garo sacrificano animali, offrono cibo agli ospiti e osservano voti diversi prima e dopo i rituali funebri, così che l'anima della persona morta non possa fare alcun danno. Nel passato, i Garo catturavano persone dalla pianura e le bruciavano assieme ai morti come sacrificio. Loro credono che l'anima di un uomo morto stia per del tempo a Chick Sung, il picco più alto della montagna di Aro. Poi si muove verso luoghi ignoti del mondo e finalmente, ritorna indietro come un spirito o ottiene rinascita come un essere umano o animale. Persone che commettono suicidio o sono uccise da un animale feroce rinascono sotto forma di animali. Le loro cerimonie funebri sono osservate in rituali prolungati dei quali mimangkham è il più importante. In questo rituale la salma è bagnata, e poi completamente unta con olio da una donna mentre le altre donne cantano tradizionali lamenti. Poi gli uomini l'avvolgono in un lenzuolo. I presenti alla cerimonia pregano per l'anima passata e offrono doni. Il corpo è spostato poi sulla pira funebre e mentre vi è ancora il fuoco, un pezzo di mezzo osso bruciato è raccolto per la sepoltura nella casa, dove il defunto aveva vissuto. ciò è chiamato khatik. Una porzione delle ceneri raccolte dalla pira è sparsa nei campi. Per sette giorni dopo la morte, membri della famiglia si nutrono solamente di vegetali e offrono cibo alla persona morta. Poi loro celebrano Shraddha con riso e pollo. Alla sera del giorno di sraddha, si svolge un corteo di lutto. L'ultima offerta di cibo al morto è fatta con una festa con molto vino e le celebrazioni includono balli, canzoni, al suono ritmico di tamburi.

La luna, il sole, la pioggia, i fiumi e il raccolto sono come dei per i Garo. Nel mese bengalese di Chaitra, i Garos puliscono la giungla, bruciano legno e foglie sino alla cenere, e raccolgono il riso. Poi loro osservano Asiroka (la festa dell'Anno Nuovo) e pregano per l'incolumità e la sicurezza di tutto l'anno. Credono che gli spiriti maligni possano rubare il raccolto dai campi o dai magazzini. Compiono rituali religiosi in forma di feste sotto nomi diversi per proteggere loro stessi contro spiriti, mentre seminano o fanno il raccolto. La più grande fra queste feste è il Wangala. Questa è celebrata in tutta l'area Garo. Gli adulti bevono birra fatta appositamente, ragazzi e ragazze portano vestiti specialmente disegnati, colorano la loro pelle, cantano e ballano senza tregua. Si intrattengono anche l'un l'altro con bibite e nelle loro celebrazioni, si scelgono mariti o mogli. Gli strumenti musicali usati nella festa includono corna del bufalo indiano e tamburi di taglia diversa. Ragazzi forti e giovani ballano vigorosamente con scudi e spade per spaventare i cattivi spiriti. Questi spettacoli sono parte della religione Sangshareq e mirano a neutralizzare spiriti, fantasmi, e demoni in due modi, offrendo rogala (oblazione) e spaventandoli.

Secondo una leggenda Garo, una donna chiamata Nantanupanta creò la terra da una manciata di suolo presa dal fondo del mare. La versione è accettata nella comunità di Garo. I Garo sono matriarcali. I mariti vivono nelle case di mogli e fanno i lavori domestici. La madre è il proprietario di tutta la proprietà di una famiglia. L'erede, dopo la sua morte, diviene la figlia più giovane o qualsiasi figlia nominata dalla madre ed è chiamato Nakma. La moglie acquisisce proprietà dei beni del marito. I bambini sono trattati anche come beni e sono posseduti dalla madre. Appartengono alla famiglia della madre che è responsabile per la loro crescita. Dopo la morte della moglie, il marito non ha più alcun diritto morale di restare in quella casa. Questo è, in pratica, applicato comunque raramente. Le figlie sono curate di più e amate in una famiglia perché i figli devono lasciare la casa dopo matrimonio e non vengono trattati bene nella famiglia se non si sposano in tempo. Quando si sposano lasciano la loro casa a malincuore e nei giorni iniziali sono molto tristi. L' amore e la cura della sposa li può aiutare. Spesso, un marito sposato di recente corre via, ma è preso ed è portato indietro. Perché i mariti non possiedono proprietà, loro non si sentono molto legati alla famiglia. Ma le loro mogli li sgridano e qualche volta anche li minacciano di cacciarli fuori di casa.

Il tasso di alfabetizzazione nella comunità Garo è più alto fra le donne che fra gli uomini. La ragione è il sistema matriarcale. Questo rende difficile per una ragazza trovare un marito con uguale posizione. Quando lavorano o camminano le madri portano i loro bambini, mantenuti da un pezzo di stoffa, sulla schiena. Nella comunità Garo, non è permesso il matrimonio tra gli appartenenti dello stesso clan, i membri sono considerati come fratelli e sorelle. I Garo sono divisi in dieci clan. In caso di violazione di quanto sopra si procede immediatamente alla scomunica ed alla perdita di tutte le proprietà. In molte occasioni, se un giovane di un clan appropriato piace ad una ragazza, lui è spesso forzatamente obbligato a sposarla. Il clan dello sposo non si può opporre.

La poligamia non è impedita nella comunità di Garo. Dopo la morte del marito la moglie può chiedere a qualunque persona snon sposata, nel clan del marito, di diventare suo nuovo marito. In tale matrimonio, la sposa e lo sposo spesso possono avere età differenti. Dopo la morte del marito una donna può avere suo genero come proprio marito e, in questo caso, la figlia e la madre possono vivere pacificamente come co-mogli. Se, in considerazione di qualsiasi situazione speciale in un clan, qualcuno sposa una ragazza minore, lui può avere relazione sessuale con sua suocera durante il periodo fino a che sua moglie raggiunge la maturità. Nel passato, c'era una pratica di matrimonio di gruppo e sesso libero nella società Garo. Relazione sessuale e extramaritale è vista comunque, ora, come un crimine e è passibile di punizione. In caso di tale evento, il khamal (leader informale del clan) identifica il criminale attraverso delle prove complesse. La punizione per adulterio è il sequestro della proprietà. La lingua di Garo è chiamata Achchik Katha (lingua parlata dalle persone della collina). Non ha alfabeto. È ricca in proverbi, leggende, rime e storie del popolo. Le canzoni di Garo sono simili in melodia a quelle bengalesi. I Garo ballano e cantano in gruppi e hanno i propri strumenti musicali. I balli e le canzoni sono molto simili a quelli della tribù di collina della Malesia: Orang Achlis. Come per le ballate del Mymensingh, la lingua Garo ha opere narrative. Secondo una leggenda Garo, loro avevano le loro sacre scritture scritte su pelle di rinoceronte. Queste scritture furono perse durante un viaggio. Durante la caccia, un Zamindar del Mymensingh trovò alcune pagine lacerate del manoscritto in una caverna delle colline Garo e le pubblicò nel giornale Saurav. Ma la riproduzione era inadeguata e le parole illeggibili. Esteriormente, sembrano come il pittogramma cinese. I Garo parlano in Garo e Bangla. Missionari cristiani tentarono di usare lettere Romane per la loro lingua, ma senza successo. La lingua di Garo ora può essere scritta comunque, facilmente in alfabeto Bangla. Molti Garo sono abilissimi nelle danze e nei canti bengalesi.

I Garo hanno i loro sport e giochi. Costruiscono case su piattaforme elevate e decorano le jadaps (le stanze) con corna di bufali indiani e cervi. Nel passato, loro decoravano anche le case con crani umani. Questi crani erano di uomini attaccati e uccisi nelle pianure e erano simboli di potere, aristocrazia e eroismo. I Garo addirittura commerciavano con questi crani umani. Le case hanno stalle e granai separati. Pressocché ogni grande villaggio Garo ha una grande casa decorata o nakpanthe al suo centro. Questo è usato per residenza e ricreazione dei giovani del villaggio. Alle ragazze non viene permesso di entrarvi.

Secondo le stime della Accademia Culturale Birisiri, il numero di Garo in Bangladesh era più di 100,000 nel 1990. Di loro, circa 40,000 viveva nella regione di Mymensingh. I Garo non praticano la pianificazione familiare e il loro tasso di riproduzione è più alto della media nazionale. Grazie agli sforzi dei missionari cristiani, l'indice di alfabetizzazione fra i Garo è più alto della media nazionale. Ma solamente un numero modesto acquisisce un' istruzione superiore. Donne Garo lavorano come infermiere in ospedali diversi sia in Bangladesh che all'estero. Alcuni giovani hanno trovato posto in ONG cristiane, anche nel campo dell'insegnamento. Il sistema sociale, i gusti, le attitudini e persino i vestiti dei Garos stanno subendo notevoli cambiamenti come risultato della loro interazione continua con il popolo delle pianure. Comunque, le donne di questa tribù matriarcale vedono con piacere questi cambiamenti.

HAJONG

Sono un gruppo etnico che vive nelle parti collinose di distretto di Mymensingh. Alcuni di loro vivono nelle regioni di Sherpur, Sylhet e Netrokona. Si trovano principalmente nelle aree di Sreebardi, Haluaghat, Nalitabari, Susong Durgapur, Kalmakanda e Birishiri. Etnicamente sono descendenti del popolo Kachhari della razza mongola. Alcuni secoli fa arrivarono nella regione adiacente alle colline dei Garo e cominciarono a vivere là. Gli Hajong sono divisi in due classi principali - Paramarthi e Byayabchhadi.

Come molti altri aborigeni, gli Hajong sono fondamentalmente una comunità agricola. Il loro tipo di agricoltura si è trasformato da seminomade a stanziale. Oltre al riso e altri raccolti producono il cotone che poi lavorano a casa. In aggiunta a queste attività, gli Hajong raccolgono legna nelle giungle, e svolgono altre attività.

In termini di credenza religiosa gli Hajong sono vicini agli indù. Adorano Durga e gli altri dei e dee indù. Ma Shiva è la loro divinità principale. Osservano un numero di bratas (voti) incluso il Kartik brata compiuto nel mese di Kartik (Ottobre-novembre). Ragazze e donne ballano e cantano in queste occasioni. Gli Hajong adorano anche il fiume Brahmaputra. Come i Bramini indù, gli Hajong indossano il paita, (collana benedetta) e credono nella reincarnazione. La loro società è patriarcale. Dopo la morte del padre i figli ereditano la sua proprietà. Alle figlie, comunque, viene fornita dote e ornamenti per il matrimonio. Il matrimonio avviene col beneplacito dei genitori. Un uomo Hajong può sposare una donna del proprio clan o di un clan diverso. Dopo il matrimonio, le donne pongono il Sindur, (segno vermiglio) sulla testa. Matrimoni di bambini non sono permessi ed anche il sesso prematrimoniale è severamente proibito in quanto gli Hajong generalmente si attengono alla castità prematrimoniale. Un marito non può avere più di una moglie. Divorzio non è raro e le vedove possono risposarsi. Le regole relative al divorzio seguite dagli Hajong sono simili a quelle in uso tra i Santal e i Murong.

Il cibo base è costituito dal riso. Frutta, vegetali, montone, maiale, anatre e pollo sono anche parte della loro dieta. Uomini Hajong portano il dhuti e donne portano un pezzo di stoffa per la parte superiore del corpo e un pezzo separato quella inferiore. Solitamente fanno in casa i propri vestiti.

Gli Hajongs conducono una vita semplice, come i Garo. La maggior parte vive in case ricoperte di paglia. Chi ha maggior disponibilità può permettersi case in mattoni, con tetto in lamiera. L'interno delle case è molto pulito, il che riflette anche il loro stile di vita. Come altri gruppi etnici anche gli Hajong costruiscono e mantengono locali per la comunità destinati a varie esigenze sociali.

Hanno la loro propria lingua, ma non un alfabeto. La loro lingua parlata è una mistura di dialetti locali. Parlare in Bangla colloquiale è pratica comune. La lingua Hajong apparteneva originalmente al gruppo di lingue Tibeto-birmane, ma più tardi fu mescolata a quelle dell' Assam e del Bengala. L'istruzione moderna non si è ancora diffusa nella società Hajong. Gli Hajong mantengono nel loro stile di vita il loro ethos tradizionale di semplicità, onestà, ospitalità. La falsità è molto rara in questa società. Come i Munda, Santal e Garo, gli Hajong hanno protestato veementemente nel passato contro ingiustizia, oppressione, sfruttamento e persecuzione e si sono ribellati contro le forze feudali e imperialiste. Hanno partecipato a movimenti storici come il movimento Hatikheda, il Movimento Tonk, agitazioni contro gli Zamindar e il Movimento di Tebhaga. Gli Hajongs cremano i loro morti e, di solito, il Shraddha (esequie) ha luogo dopo 10 o 30 giorni dalla morte.

KHASIA o KHASI

Gruppo etnico mongolo. I Khasia sono arrivati alle colline di Khasia e Jaintia dalle regioni di Cherapunji e Shilong. Emigrarono in Bangladesh dall' Assam dove loro giunsero cinquecento anni fa, presumibilmente dal Tibet, e ora formano una delle tribù matriarcali maggiori del Bangladesh (l'altra è quella dei Garo). I Khasia sono di non alta statura, con naso e bocca piatta, mascelle pronunciate e piccoli occhi neri, a mandorla. Una volta erano nomadi e questo istinto è rimasto. Il Bengala del nord-est è stato il loro luogo tradizionale. L'habitat de Khasia si estende ad occidente sino alle colline dei Garo. sono molto affezionati alle colline e alle foreste. Costruiscono la loro abitazione, con tanto di balcone, su una piattaforma fatta di legno e bambù. I balcone è usato come salotto. Recentemente, hanno però cominciato a costruire case come i bengalesi. La cucina è attaccata alle camere da letto e pressoché ogni casa Khasia ha un piccolo porcile.

Khasia chiamano punjis i loro villaggi. I villaggi sono grappoli di case nei confini della loro propria comunità. In ricerca di sostentamento, loro spesso abbandonano il loro punjis, e si muovono verso nuove località, dove formano nuovi villaggi. Si sono così dispersi in luoghi diversi. Prima, i Khasia del Bangladesh vivevano vicino al confine nord-orientale del distretto di Sunamganj, mentre in India si erano stabiliti alla base delle colline Jaintia nel Meghalaya, 9-10 metri sopra il livello del mare. Una volta un Khasia Sardar (leader della tribù) occupò qualche Pargana (divisioni amministrative) e vi si stabilì, ma più tardi, fu cacciato. Attualmente, I Khasias sono sparsi a Bishwamvarpur, Tahirpur e Chhatak nel Sunamganj. Le altre tribù che vivono nella regione di Khasia includono i Syntong, i Garo e i Lalong che sono gruppi di minoranza. Sebbene discendenti dai Khasia, sono da loro considerati inferiori. I Khasia hanno un numero di altri discendenti come i Khongta, Palong e Surong. Ci sono cinque punjis sul confine tra Habiganj e Maulvi Bazar, sessantuno in Maulvi Bazar e sette nel Sylhet. La maggior parte dei Khasias vivono nella regione di confine. Alcuni vivono in Guyanghat, Jaintapur, e Joyai. Molti bambini Khasia lavorano nelle piantagioni di tè in Kulaura.

Secondo il censimento del 1991, il numero totale di Khasia in Bangladesh era 12,300, ma la Società Khasia di Bangladesh afferma il numero è di almeno 30.000. La percentuale delle nascite è molto alta fra i Khasia. Il capo del punji è chiamato Siem. Alcuni capi villaggio in Meghalaya e Bangladesh hanno il potere di arbitraggio. Sono chiamati ministri, e la loro proprietà terriera è enorme. Molti mezzadri lavorano nelle loro terre e frutteti. Il lavoro dei mezzadri è supervisionato da lavoratori pagati. Feste religiose e cerimonie sociali sono tenute sotto la soprintendenza dei ministri.

I Khasia sono fortemente legati alla loro origine e alla cultura tribale. Sebbene attualmente siano considerati gentili e molto disciplinati, nel passato erano conosciuti come molto aggressivi. I Khasia delle colline erano soliti attaccare i villaggi delle pianure, saccheggiavano, incendiavano ed uccidevano persone innocenti. Nel 1744 bruciarono il ponte nella capitale di un re feudale. Il Mughals formarono un esercito nelle aree di confine per respingere il loro attacco. Gli inglesi fecero la stessa cosa. Le montagne nella regione di confine abbondano in calcare e conflitti relativi al suo commercio avvennero nel 1795. Le montagne erano sotto il controllo dei Khasia. Nel 1787 attaccarono cinque parganas e uccisero circa trecento persone. Frecce velenose e archi furono usati in queste incursioni. Gli inglesi dovettero fronteggiare notevoli difficoltà nel controllo di questa regione. Khasia attaccarono poi anche molti Zamindar locali. Molti Khasia coltivavano banane, ananas, arance, foglie di cassia, pepe e pan (foglie di betel, usate tuttora come droga leggera) su terre non loro. In aggiunta al lavoro nelle piantagioni di tè, loro commerciavano anche in foglie di betel, , arance, pesce e riso da tutte e due le parti del confine. Riso e pesce sono il loro cibo principale.

La religione di Khasia è molto vecchia ma si è evoluta nel tempo. Usi tradizionali e credenze superstiziose formano il centro della loro religione. L'influenza di Induismo, Cristianesimo e Islam è molto evidente. I cambi che sono avvenuti nella comunità Khasia sono molto evidenti nelle loro pratiche religiose. Missionari cristiani cominciarono a predicare il Cristianesimo fra Khasia circa un secolo e mezzo fa. Attualmente, più dell' 80% dei Khasia sono cristiani. Pressoché ogni punji ha la sua chiesa, dove recitano la loro preghiera domenicale e discutono sui problemi del punjis. Preti cristiani spesso arbitrano dispute che sorgono nel punjis. I Khasia sono originalmente monoteisti e credono che Dio creò prima l'universo e poi un uomo e una donna. In seguito Dio creò dei e dee allo scopo di controllare i vari aspetti dell'universo.

Credono anche nell'esistenza della divinità del villaggio. Inoltre, loro credono nell'esistenza di spiriti cattivi e adorano natura e animali. Compiono numerosi rituali numerosi ma non hanno alcun testo sacro. Recentemente, dei Khasia sono stati convertiti all' Islam. La conversione al Cristianesimo ha provocato cambi tremendi nella struttura socio-economica delle loro vite. I Khasia cristiani sono soprattutto protestanti e i cattolici sono una piccola minoranza. Loro, comunque, continuano a mantenere i loro costumi e le loro tradizioni. Ci sono naturalmente delle eccezioni. Loro bruciano il corpo del morto e seppelliscono le ceneri. Il prete recita a al funerale: "Ciao, ciao, masticherai le foglie di betel nel regno di Dio."

La lingua di Khasia non ha alfabeti. La tradizione dice che una volta loro avevano una scrittura che fu però distrutta da una calamità. Loro sono bilingue e possono parlare nella lingua Khasia così come in Bangla, sebbene con una fonetica non identica. Una volta la lingua Khasia era scritta in lettere bengalesi. La prima versione in Khasia di alcune parti della Bibbia apparve in Bangla. Le persone istruite ancora usano scrivere con alfabeto Bangla le loro lettere nella lingua di Khasia. Attualmente, la lingua Khasia dall'altra parte del confine è scritta in lettere Romane. In Bangladesh, la lingua di Khasia non ha carattere universale. I Khasia che vivono a Cherapunji in India, comunque, hanno standardizzato la loro versione della lingua.

I sentimenti religiosi, cultura, vestiti e abitudini dei Khasia oggi sono stati moderati notevolmente sotto l'influenza del progresso nell'istruzione, scienza, tecnologia e cultura. Mentre stanno adottando uno stile di vita moderno, si trovano in loro ancora alcuni tratti primitivi. Compiono i vari generi di rituali in tutto l'anno e pregano per la fertilità della loro terra. Celebrano il khyakhang brata al tempo della semina. Gli altri rituali sono pisthol, pirdong e khyaklam. Il matrimonio è obbligatorio per uomini Khasia e è trattato come un comando di Dio. Il celibato è considerato peccaminoso e maledetto. Loro ballano e cantano in coro nelle cerimonie del matrimonio e nelle altre feste. Celebrano nascita e morte. Sono anche molto bravi nella danza e nel canto.

Secondo un proverbio Khasia, la civilizzazione fu originata dalla donna. Ragazze Khasia fanno la loro propria scelta in una tribù differente dalla propria a causa dell'esistenza di un sistema sociale basato sul matriarcato, in base al quale tengono i loro mariti nella propria casa dopo il matrimonio. Matrimoni all'interno della stessa tribù sono vietati e, se avvengono, ne deriva la perdita di tutte le proprietà, la scomunica dal villaggio, e nessun funerale dopo la morte. Molti matrimoni avvengono sulla base di una relazione precedente. Di solito le ragazze invitano il "candidato" nella loro casa e talvolta vivono assieme. A questo punto viene fissata la data del matrimonio riparatore. I maschi vestono lo sposo con un abito bianco e un turbante e lo conducono alla casa della sposa. Lo sposo è benedetto da sua madre e dalle vecchie della famiglia. La famiglia della sposa li accoglie cordialmente e il prete recita versi religiosi e benedice lo sposo. Agli dei sono offerti vino e pesce seccato. Dopo piatti appetitosi e bevande, verso mezzanotte, i parenti dello sposo lo lasciano. Lo sposo tratta i fratelli e sorelle della sposa come i propri fratelli e sorelle. Qualche volta matrimonio succede anche sulla base del beneplacito dei guardiani senza una precedente relazione. Dopo che il matrimonio è terminato, gli sposi vanno ad abitare in una nuova casa, costruita a fianco di quella della madre della sposa.

In alcuni punjis questo è obbligatorio. Nessuna casa è costruita invece per la figlia più giovane in quanto è lei l'erede della casa materna e della proprietà. È la moglie che tiene la contabilità della famiglia.

Nella società Khasia il lavoro nei campi e quello nella famiglia è fatto sulla base di una mutua cooperazione tra moglie e marito. Disaccordi tra i due sono rari. Gli uomini rispettano le donne. I figli hanno una responsabilità religiosa di accudire al loro vecchio padre se è vedovo. Il marito può sposarsi nell'evento di morte della moglie, e può muoversi altrove. Il costume sociale dei Khasias non è così rigido come quello matriarcale dei Garo. Discendenti sono conosciuti con loro nomi materni. Tutte le figlie, inclusa la più giovane ottengono una parte della proprietà ma loro non possono venderla. La sorella più giovane sopporta la responsabilità di compiere tutti i rituali e le cerimonie nella famiglia. I Khasia sono monogami, comunque una donna può avere più di un marito se il primo è sessualmente impotente. Regole sul matrimonio e costumi sociali matriarcali non variano molto nei punjis Khasia. Il reddito della coppia è esclusivamente proprio se vive indipendentemente dalla famiglia della sposa, dopo il matrimonio. Il divorzio è possibile in caso di incompatibilità, odio, disonestà, e impotenza da parte di marito. Uno o entrambi devono comunicare il desiderio di avere il divorzio al ministro dei punji e alle persone che si erano curate del matrimonio prima che il divorzio sia effettivo. Un periodo di tempo viene generalmente accordato per una eventuale riconciliazione. Se la situazione non cambia, il matrimonio è dichiarato ufficialmente essere nullo e tutto il punjis viene informato dal rullare dei tamburi. Nella maggior parte dei casi il divorzio è iniziato dalla moglie, e lei deve pagare il cinquanta percento della compensazione. Ma se il divorzio è iniziato dal marito lui deve pagare due pezzi di stoffa. Il divorzio, comunque, è inefficace se la moglie è incinta. Il marito e moglie, possono sposarsi di nuovo dopo il divorzio ma i bambini, se ci sono, restano con la madre. Una moglie può sposarsi di nuovo dopo la morte di suo marito.

KHUMI

Sono una piccola tribù dei Tratti collinari di Chittagong. I Khumi sono chiamati anche Khami che vuole dire la razza migliore. Kha nel dialetto Khumi vuole dire uomo e mi vuole dire il migliore. Gli Arakanesi chiamano i Khumi col nome di Khemi che implica una razza di gerarchia sociale molto bassa. Khe nella lingua arakanese vuole dire cane e mi indica razza. I Khumi hanno caratteristiche Mongoloidi. Emigrarono da Arakan verso la fine del diciassettesimo secolo. In Bangladesh vivono in nelle upazila di Ruma, Rowangchhari e Thanchi del distretto di Bandarban. Nel 1999 il loro numero risultava essere di 1.241.

I Khumi credono che i loro antenati vissero nell'area dove hanno origine i fiumi. Questo è uno dei motivi per cui a loro piacciono i fiumi e le montagne. Questa tribù etnica è indipendente, predatrice e feroce, e ama la guerra. I loro villaggi sono ben fortificati con una sola entrata e sono protetti giorno e notte da un guardiano. Oltre ad armi da fuoco, usano armi da taglio e giavellotti.

I Khumi sono patriarcali ed hanno due clan. Uno è noto come Awa Khumi e l'altro come Aphya Khumi. Entrambi vivevano sulle rive del Fiume Koladain. I maschi indossano il lengti (vestiti stretti e lunghi). Portano i capelli lunghi e usano turbanti bianchi. Le donne Khumi portano il wanglai, pezzo di stoffa largo 25-30 cm. Esse non coprono la parte superiore del loro corpo, ma appendono ornamenti di argento o altro al collo.

I Khumi posseggono schiavi o ragazzi servitori. Se una famiglia Khumi non ha un figlio può donare tutta la sua proprietà a tale ragazzo. La maggior parte dei Khumi sono coltivatori e praticano coltura seminomade. Tessono i loro propri vestiti, i lengti e wanglai. Preferiscono costruire le case sugli alberi nella foresta. Hanno un dialetto orale della famiglia di lingue di Kuki-Chin, ma nessuna scrittura. Non gradiscono che estranei imparino il loro dialetto, né desiderano di imparare la lingua di altri.

Il matrimonio all'interno dello stesso clan non è permesso e sesso prematrimoniale tra i giovani non è biasimato. La comunità, comunque, chiede alla coppia di sposarsi in caso di gravidanza. Il loro cibo base è il riso e la bevanda principale il vino, che è una parte indispensabile della loro cultura. Lo usano nelle cerimonie religiose, in quelle della famiglia e per qualsiasi altra occasione. Mangiano la carne di qualsiasi animale domestico o selvatico come tigri, cervo, vacche, verri, cani, sciacalli, galli, orsi, bufali e serpenti.

Generalmente sono buddisti. Comunque, le loro credenze e pratiche religiose rivelano animismo e politeismo. Loro adorano Pathian, il Creatore. Gli altri due dei che loro onorano sono Nadag, la divinità della famiglia, e Bogley, il dio dell' acqua. I Khumi al pari dei Murong osservano la puja di macellazione delle mucche. Suonano il flauto come i Murong ma non ballano in gruppo come loro, l'uomo balla accanto ad una donna. La Puja di Nadag è osservata prima della coltura jhum e prima del raccolto. Un cane, un verro e un numero dispari di galli e galline sono offerti come sacrificio sulle sponde di un fiume, durante questa festa. Le persone ballano cerimonialmente e cantano. Carne sacrificale è cucinata e un boccone di carne cotta è posta sulla sponda del fiume prima di consumare la carne sacrificale.

I Khumi cremano i morti e raccolgono ossa e ceneri, li avvolgono con un pezzo di stoffa e solo dopo un certo periodo seppelliscono nella giungla questi resti, con rituali festivi. Conservano le armi del morto in una casa costruita nel luogo in cui il cadavere è bruciato.

KHYANG

È una piccola tribù dei Tratti collinari di Chittagong . Secondo il censimento 1991, il loro numero in Bangladesh era 2,343. Vivono nell'upazila di Rajasthali di distretto di Rangamati, Chambi e altri del distretto di Bandarban. Un numero piuttosto grande di Khyang vive nella regione Arakan del Myanmar dove sono noti come Menti. Sono buddisti. Fra i piccoli gruppi etnici del Bangladesh solamente i Khyang seguono riti totemici. Alcuni dei loro clan sono noti come gatti, scimmie e topi. Hanno una lingua parlata del dialetto del Kuki-Chin ma nessuna scrittura.

KOCH

Koch è una delle più antiche comunità etniche che vivono in Bangladesh. I Koch lasciarono la loro patria Kuch Bihar e si stabilirono nel distretto di Mymensingh. Ora vivono nelle upazilas di Jhinaigati, Nalitabari e Shribordi nel distretto di Sherpur. Al momento, il loro numero è di quasi cinquemila.

La comunità Koch è divisa in otto gruppi, come Wanang, Horigaiya, Satpari, Dashgaiya, Chapra, Tinthekiya, Shankar e Margan. Identificano questi gruppi come bhag (divisione). Ogni bhag ha un numero di clan che chiamano nikini.

La società Koch è patriarcale e i figli ereditano l'intera proprietà della famiglia, mentre i bambini sono identificati dal titolo di clan delle loro madri. Il matrimonio tra nikini è proibito. Sebbene sia il sistema familiare congiunto che quello unifamiliare siano in voga, il sistema monofamiliare è ora predominante tra di loro. I Koch generalmente risolvono le loro controversie attraverso l'arbitrato sociale. Le ragazze si trasferiscono nelle case dei rispettivi mariti dopo il matrimonio. Le donne applicano il vermiglio sui capelli e indossano braccialetti a conchiglia insieme a braccialetti ai polsi. Sebbene la monogamia sia tra loro la norma, prendere più di una moglie è abbastanza frequente.

Il riso è il loro alimento base e la maggior parte di loro non è vegetariana. Mangiano verdure, lenticchie, pesce, uova e carne. Non mangiano carne di manzo ma amano molto il maiale, conigli, istrici e tartarughe. In cucina usano olio, alcali, soda e pesce essiccato. Il maiale lo cuociono con polvere di riso e alcali o soda. Fanno torte di riso in diverse feste. I Koch bevono alcolici, ma le persone che ricevono l'iniziazione da un guru evitano volontariamente vino e carne. Hanno la solita predilezione per il latte e i latticini.

Nelle occasioni festive e nelle cerimonie matrimoniali, intrattengono le persone con latte condensato, porridge zuccherato (payesh), cagliata, dolciumi ecc. insieme a riso e pesce. Gli uomini nella società Koch indossano dhoti, lungi, camicia e canottiera. Le donne hanno abiti tradizionali chiamati lefen che indossano in ambiente domestico insieme ad altri tipi di vestiti o indumenti intimi.

Il Koch crede nella religione indù. Mentre osservano diversi festival religiosi indù come Durga Puja, Kali Puja, Saraswati Puja e Laxmi Puja, adorano anche i loro dei e dee incontaminati. Le divinità principali sono Hrishi e sua moglie Jogamaya, che considerano il creatore e il sostenitore del mondo. La dea Kamaksha è una delle principali divinità del popolo Koch. Adorano i loro dei e le dee incontaminate sotto la guida dei loro sacerdoti che chiamano Deusi e Ajeng.

L'Ajeng funge da sacerdote durante il loro culto tribale collettivo. Inoltre avvia le persone al sacerdozio in modo che possano agire come guru nella loro tribù.

Il tasso di alfabetizzazione nella comunità Koch è quasi del 25%. Il Bangla è il mezzo di istruzione dei bambini Koch. Il Koch ha una propria lingua che non ha alfabeti. L'agricoltura è il loro principale mezzo di vita. Poiché non possiedono proprietà fondiarie, la maggior parte di loro si è ora trasformata in agricoltori marginali. Poiché dipendono principalmente dal lavoro agricolo per il loro sostentamento, le persone di Koch sono davvero in difficoltà.

LUSHEI

È una piccola comunità etnica che vive nei Tratti collinari di Chittagong. Loro appartengono al gruppo Tibeto-Birmano della comunità Cino-tibetana e parlano il dialetto Kuki-Chin. Vivono nelle regioni collinose dei distretti di Rangamati e Bandarban. Secondo il censimento del 1981, il numero di Lushei era 1.098, ma il censimento del 1991 rilevò solo 662 persone e 124 famiglie. Il numero è potuto decrescere a seguito del loro esodo nel vicino stato di Mizoram dove i loro antenati ancora vivono. Nel 1961, la popolazione Lushei in Mizoram era 211.807. Molti Lushei si recarono in Myanmar, non tanto per stabilirsi ma per caccia. Alcuni considerano Lushei e Lushai come sinonimi ma Lushei è il nome di una comunità etnica, mentre Lushai vuole dire un gruppo di comunità etniche che vivono in Mizoram. Molto tempo fa i Lushei cacciavano per procurarsi crani umani e per questo erano molto temuti.

Attualmente sono Cristiani e non più cacciatori di crani. Nel diciannovesimo secolo orde di Lushei depredavano i villaggi in Kachar, Sylhet, Noakhali, Chittagong e Tratti collinari di Chittagong, e rapivano gli abitanti costringendoli a lavorare nelle loro terre. Nel 1871, due generali britannici condussero una spedizione contro di loro. Hanno una società patriarcale. Nel passato non avevano un re ma ogni villaggio aveva un capo noto col nome di Lal.

MAGH

Sono uno dei maggiori gruppi tribali del Bangladesh, che comprende i Marma delle colline e i Rakhain delle pianure. Etnicamente, i Magh sono Mongoloidi e culturalmente sono vicino alla popolazione del Myanmar. La comunità dei Marma è capeggiata da due capi (Raja): il Bohmoung e il Mong. Il primo risiede a Bandarban, mentre il secondo a Ramgarh (Khagrachhari). I Magh sono uno dei gruppi buddisti maggiori tra gli Arakanesi.

Durante il periodo Arakanese (1459-1666), avrebbero avuto degli insediamenti a sud e sud-est del Bengala (l'attuale Bangladesh), ma questi non sono storicamente rintracciabili. Le sistemazioni principali dei Magh in Bangladesh si ebbero con il passaggio del regno indipendente di ARAKAN alla Birmania nel 1784. Dopo l'annessione, Re Bodawpaya (1782- 1819) della Birmania creò un regno di terrore. Questo produsse la migrazione di due-terzi della popolazione nella parte sudorientale del Bengala. Il governo britannico prese misure per la loro riabilitazione. Il Capitano H Cox, un ufficiale della marina militare britannica in Birmania, fu nominato soprintendente per i Magh. L'attuale Cox Bazar, famoso luogo turistico del Bangladesh, prese il nome da lui.

La concessione di asilo e le depredazioni dei Maghs furono la causa della Prima Guerra Anglobirmana del 1824-25 nella quale la Birmania fu sconfitta e Arakan e Tenassarim furono annessi al dominio britannico dal Trattato di Yandaboo nel 1826. Come risultato, i rifugiati da Arakan ottennero un territorio permanente nelle aree meridionali del distretto di Chittagong. La seconda ondata di migrazione dei Magh cominciò da Arakan attraverso la Valle di Matamuhuri e successivamente si insediarono in Bandarban. I Magh chiamano quest'area Bohmoung Thoung, cioè la residenza del capo Bohmoung. Il terzo gruppo entrò in Khagrachhari dalla regione di Sitakunda e costruì la dimora permanente a Ramgarh. Loro chiamano sé stessi Plaung Tha e la loro residenza Plaung Thoung che vuole dire la dimora del clan di Plaung Thoung. Il quarto gruppo, attraverso il golfo del bengala, arrivò nella parte meridionale di Patuakhali (ora divisa in due distretti, Patuakhali e Barguna) e si stabilì laggiù. Rangabali, Bara Baizdiya e Aila erano le principali residenze dei Magh. Con la crescita della popolazione si sparsero su tutta la regione. I Magh chiamano questo tratto Awazonway, cioè isola. Nel 1991, il numero totale di Maghs in Bangladesh era di circa 110.000. La distribuzione geografica dei Magh è mostrata qui sotto.

Foglio di lavoro senza nome

La popolazione dei Magh è declinata nel corso degli anni, particolarmente nei distretti di Bandarban e Patuakhali. Durante il periodo di agitazione tribale (1974-1997) nei Tratti Collinari di Chittagong (CHT) molte persone tribali, inclusi i Magh lasciarono il Bangladesh e si rifugiarono in India. Un gruppo di Magh emigrò in Arakan dalla regione meridionale di CHT (principalmente, distretto di Bandarban). Dopo il Trattato CHT del 1997, la situazione migliorò e la migrazione di Magh è meno evidente. In Patuakhali molti villaggi di Magh furono abbandonati in seguito a cicloni e maree. Molti Magh emigrarono anche a Birmania.

I Magh hanno un dialetto che ha somiglianza col birmano. Numeri, nome dei giorni e mesi dei Magh sono simile a quelli birmani. I Magh non hanno una propria letteratura. Indovinelli, proverbi e storie popolari sono però comuni. Le scuole dei Phongyee (prete) e Roa (villaggio) giocano un ruolo importante per il mantenimento del sistema dell'istruzione tradizionale nella società Magh. In paragone agli altri gruppi religiosi, il tasso di alfabetismo fra Magh è più alto proprio grazie all'esistenza di Phongyee e Roa nelle località Magh. Ogni membro della società di Magh può leggere e può parlare il birmano correntemente. Il sistema è però inadeguato in quanto molti ragazzi e ragazze sono costretti a recarsi a studiare in località differenti dalla loro residenza.

L'occupazione principale dei Magh è l'agricoltura. Nelle colline loro praticano coltura Jhum (seminomadismo) e nelle pianure l'aratura. Tessitura e pesca contribuiscono al loro sostentamento. Uomini d'affari, bottegai e garzoni sono occupazioni rare. Il lavoro minorile è ignoto, mentre le donne lavorano sia nei campi che nelle costruzioni.

La struttura sociale di Magh è patriarcale; il maschio più vecchio è il capo supremo della famiglia. Ma anche la donna ha, nella società Magh, una posizione onorevole. Malgrado una predominanza patrilocale, pratiche matrilocali non sono rare. La donna Magh gode di libertà per il matrimonio, il divorzio e il diritto alla proprietà. Due tipi di matrimoni, sia esogamo che endogamo, sono comuni nella società Magh; il matrimonio delle vedove è permesso. La società di Magh è divisa in molte classi, come Maratha, Ragratha, Ramratha. Capi, monaci, capivillaggio occupano posizioni prestigiose nella vita sociale Magh. Essi bruciano i corpi morti dei monaci e degli uomini ricchi con cerimonie adeguate, ma i corpi delle persone comuni sono seppelliti.

Come i buddisti del sud e del sud-est dell'Asia, i Maghs sono Buddisti Theravad, (Hinayana). Scritto in Pali, il Tripitaka è il libro sacro dei Magh. Dal punto di vista religioso loro sono stati divisi in due gruppi: la Comunità Monastica e il Laicato. I monaci mantengono celibato, indossano una tunica gialla e vivono in convento, mentre il laico conduce una vita nella famiglia, con moglie, bambini e genitori.

La maggior parte delle feste Magh sono collegate alla luna piena di ciascun mese che loro chiamano labray, una parola birmana che indica appunto la luna piena. Per loro la luna piena è sacra e credono che molti eventi religiosi accadano il giorno successivo alla luna piena. In questa occasione, icone del Dio Buddha sono venerate con cibo, frutta e fiori e accendendo candele e bastoncini di incenso. Le lune piene più importanti sono kason (a Baisakh o Aprile), waso (a Ashad o Giugno), thadingyut (a Ashwin o Settembre) e tabodwe (a Magh o Gennaio). I Magh danno elemosine ai poveri, osservi il sila (codice di condotta) e bhavana (meditazione). In aggiunta a queste pratiche buddiste, loro adorano alberi e fiumi. Feste dell' acqua costituiscono una delle loro manifestazioni popolari. Recita di drammi e ballo chiamati zatpwe e yeinpwe sono un divertimento popolare. Le prime sono relazionate alla tradizione e alle storie della vita degli antichi re buddisti, mentre il secondo è equivalente al ballo occidentale. A causa della diminuzione della popolazione, questi spettacoli sono divenuti abbastanza rari. Fra gli strumenti musicali Magh, saing-waing (grande tamburo circolare di legno), kye-waing (piccolo tamburo di legno), pilliyee (flauto) e zhne sono importanti e tutti questi hanno somiglianze con gli strumenti musicali trovati in Birmania.

Il cibo principale dei Magh è il riso bollito e vegetali con aggiunta di chilli e sale. Consumano normalmente due pasti un giorno. Nagpy (pesce decomposto con un procedimento speciale) e zuppe sono anche molto apprezzati dai Magh. La torta di riso (Mundi) è uno dei loro piatti preferiti. La tisana di foglie di tè verde (Lapsy) è, dopo il pasto, una bevanda molto popolare. Come i birmano, Maghs fumano sigari o tabacco con una pipa. Alcuni Magh consumano un liquore fatto in casa e chiamato arey.

Uomini Magh di solito indossano il lungi (o sarong, gonna lunga), camicie e pantofole. Nelle feste, i membri senior della società indossano una lunga giacca chiamata prakha angyi sulla camicia abbottonata alla gola; sulla testa loro usano un fazzoletto da testa bianco noto come goungpoung. Dei Maghs preferiscono tatuarsi (matoray). Pantaloni di camicie e scarpe diventano però, tra le persone istruite, sempre più comuni. Thami e angyi (camicetta) costituiscono il vestito comune delle donne Magh. Per rendersi più attraenti le donne Magh si pettinano e formano una specie di toupè chiamato chaungtung. Qualche volta decorano i capelli con fiori e gioielli. Salwar e kamiz sono anche vestiti popolari delle ragazze Magh.

I Magh costruiscono le loro case su piattaforme chiamate machang. Le case sono di forma rettangolare con tetto ovale. La piattaforma di bambù è elevata di circa due metri sul terreno ed è sostenuta da legno o bambù. Le pareti sono di bambù e il tetto è coperto con erba e paglia. Ogni casa è naturalmente provvista di una scala, per entrare ed uscire. La casa è divisa in più stanze, generalmente ben ventilate. Ciascuna casa è recintata da tutti i lati e, all'interno del recinto, c'è un orticello. In Bandarban, le case di bambù, canne e legno sono più grezze, mentre l'architettura residenziale di Cox Bazar è molto più evoluta.

I Magh possiedono un buon fisico e preferiscono la sua pulizia. Di solito fanno il bagno due volte al giorno e bevono acqua precedentemente bollita. Nel passato dipendevano da medicine indigene ricavate da erbe e piante medicinali. Questo sistema generalmente è noto come Magha Shastriya Aushad. Ma oggi la medicina moderna sta guadagnando popolarità e i giovani preferiscono trattamenti moderni e ospedali.

La vita socio-culturale dei Magh è imbevuta da nuovo spirito e speranze e il fenomeno è articolato in molte organizzazione fondate dai Magh in aree diverse del Bangladesh. Queste organizzazioni sono: (1) Bangladesh Rakhain Welfare Association, (2) Bangladesh Marma Association, (3) Bangladesh Rakhain-Marma Sangha, and (4) Patuakhali Rakhain Bauddha Yuba Sangstha. Queste organizzazioni portano i loro problemi al governo e fanno conoscere in patria ed all'estero la loro cultura. Per questo scopo vengono anche pubblicati giornali e periodici tra cui: (a) Rakhain, (b) Voice of Rakhain, (c) Uccharan, e (d) Light of Awazonway A causa dell'agitazione tribale e della posizione isolata dei villaggi Magh, le condizioni di lavoro per le Organizzazioni non governative non sono state favorevoli nell'area abitata dai Magh, dove comunque, alcune ONG avevano attività limitate. A seguito degli, ONG come Brac e Proshika hanno intrapreso iniziative in queste aree. La Rakhain Development Foundation (RDF), è una ONG che sta tentando di materializzare gli obiettivi seguenti: 1) istruzione, 2) sviluppo industria (tessitura e costruzione case), 3) microcredito alle donne povere, e 4) mantenimento della cultura Rakhain.

MANIPURI

Costituiscono una delle molte comunità etniche in Bangladesh. La loro terra natia originale è Manipur, una volta un stato supremo e ora uno stato zonale nordorientale dell' India. Manipur ha anche avuto nomi diversi come Kyangleipak, Kyangkleipang, Kyanglei, Meitrabak, e Mekhali e i Manipuri erano conosciuti come Meitei. Durante il regno di Maharaj Garibniwaz (1709- 1748), alcuni missionari arrivarono qui dal Sylhet. C'era l' opinione che questi missionari chiamassero questa terra 'Manipur' e i suoi abitanti principali, Manipuri. Il Mahabharata menziona Manipur e i missionari ma come fu scoperto più tardi, il Manipur del Mahabharata e il Manipur del Sylhet non sono lo stesso luogo.

I Manipuri emigrarono nell'attuale Bangladesh e vi si stabilirono in tempi diversi in seguito a guerre, conflitti e altre ragioni socio-politiche. La loro migrazione cominciò durante il regno di Rajarshi Bhagyachandra (1764-1789) e il processo fu accelerato dalla Guerra ManipurBirmania (1819-1825) che è un capitolo nero nella storia di Manipur. Manipur fu dominato dagli invasori birmani per circa sette anni dopo la guerra con la Birmania. Durante questo periodo, Re Chourajit Singh con due fratelli più giovani, Marjit Singh e Gambhir Singh si rifugiarono nel Sylhet. Un gruppo di Manipuri li seguì e fu costruito un palazzo a Mirzajangal in Sylhet.

Kasba di Brahmanbaria, Durgapur di Mymensingh e Tejgaon di Dhaka divennero sistemazioni dei Manipuri durante questo periodo. Questi luoghi non sono però attualmente abitati dai Manipuri. Essi ora vivono nella città di Sylhet e nei suoi sobborghi, e nelle thana di Kamalganj, Sreemangal, Kulaura e Barlekha del distretto di Maulvi Bazar; a Chunarughat del distretto di Habiganj, e a Chhatak del distretto di Sunamganj. Ci sono circa 25.000 Manipuris in Bangladesh secondo il Censimento del 1991. Di loro circa 13.000 sono in Maulvi Bazar, 7.000 in Sylhet e 4.000 in Habiganj.

Storicamente, i Manipuri sono raggruppati in sette yek o salais. Questi sono Ningthauja, Luwang, Khuman, Moirang, Angom, Chenglei e Khaba-Nganba. Ciascun yek o salai è diviso di nuovo in molti Shageis. Di conseguenza, questi yek o salais furono convertiti in sette Vaisnavite. In questo modo gli yek Ningthauja diventarono Shandilya Gotra, KhumansMoudgalya, Moirangs-Atreya e Angirasya, Angom-Goutama, Luwang-Kashyapa, ChengleiBashistha e Angirasya e Khaba-Nganba-Bharadwaj e Naimisya.

Etnologicamente i Manipuri appartengono al gruppo Kuki-Chin della famiglia di Tibeto-Birmana della razza mongola. Ma si ebbe anche una mescolanza con Ariani ed altri gruppi. A causa della sua ubicazione geografica speciale e come risultato di molte interazioni religiose e politiche Manipur divenne il punto centrale di gruppi etnici e culture diverse da tempo immemorabile. Questa assimilazione produsse la formazione dei Meitei moderni che ora sono conosciuti come Manipuri.

La lingua Meitei Lon o Manipuri, lingua madre dei Manipuri appartiene al gruppo Kuki-Chin della sotto-famiglia Tibeto-Birmana della famiglia di lingue mongole. La letteratura di Manipuri è molto antica. Ha una storia ricca e variegata e molte tradizioni. La lingua Manipuri ora è la lingua ufficiale di Manipur ed è riconosciuta come una delle lingue nazionali dell' India.

La prima gemma di letteratura Manipuri è Ougri, un lirica in versi che si crede sia stata cantata nel 33 D.C. in onore del dio del sole per la cerimonia di incoronazione del re Manipuri Pakhangba. Ma la prima letteratura Manipuri scritta è stata trovata in un piatto del rame dell' VIII secolo, scritta durante il regno di Maharaja Khongteckcha. Attualmente, la letteratura di Manipuri sta crescendo molto velocemente e molti scrittori Manipuri moderni sono stati onorati in India coi premi dell'Accademia Sahitya. Anche nel campo delle traduzioni si ha una ricca scelta: sono stati tradotti Ramayana, Mahabharata, Sreemadbhagavatgita, la Bibbia e molti classici di Rabindranath Tagore, Tolstoi, Shakespeare, Omero, Bernard Shaw, Sofocle, Bankimchandra Chattopadhyay e Sharat Chandra Chattopadhyay.

Una caratteristica della antica scrittura Manipuri è che ogni lettera dell'alfabeto ha il nome di una parte del corpo umano. Le loro forme sono anche in consonanza con esse. La scrittura fu sostituita con la scrittura Bengali nel diciottesimo secolo durante il regno di Raja Garibniwaj per avere una relazione più vicina con la Scuola Chaitanya di Sanatana Dharma originata in Bengala.

La storia della letteratura Manipuri prese una svolta nel 1975 con la formazione di 'Bangladesh Manipuri Sahitya Sangsad' e la pubblicazione del periodico letterario Manipuri Dipanvita. 'Bangladesh Manipuri Sahitya Sangsad' pubblica irregolarmente un giornale chiamato Meira (fiamma). Molte altre organizzazioni Manipuri pubblicano anche giornali letterari come Epom, Shajibu, Mitkapthokpa e Khollao. Nel 1982, 'Bangladesh Manipuri Sahitya Sangsad' pubblicò un libro di poemi Manipuri Basanta Kunnipalaji Leibang che è il primo del suo genere in Bangladesh. Nel 1990, pubblicò un altro libro Bangladesher Manipuri Kabita che contiene 20 poemi di 10 poeti Manipuri del Bangladesh. Successivamente vennero pubblicati altri due libri di poemi Myang Mapei Marakta e Wakhalji Nachom. Alcuni libri sui Manipuri sono stati pubblicati anche in lingua Bengali.

La cultura Manipuri ha una ricca e colorita tradizione. Ballo e musica hanno un ruolo importante nella loro vita. Il ramo più fiorente della cultura Manipuri è il ballo. Il sinonimo Manipuri di ballo è jagoi e i movimenti del corpo creano in questo ballo un cerchio o un' ellisse. La danza Rasa è il prodotto più eccellente della cultura Manipuri. Fu rinnovato da Maharaj Bhagyachandra ed eseguito in Manipur nel 1779 nella notte di plenilunio di Kartik. Variazioni della danza Manipuri possono essere raggruppate in due classi: ballo popolare e shastriya o ballo classico. Il ballo popolare Manipuri include Laiharaoba, Khamba-Thoibi, Meibi Jagoi e Leisham Jagoi; mentre Rasa, Leela Gostha, Udukhol e Mridanga appartengono al gruppo classico. La danza Manipuri fu fatta conoscere al mondo esterno da Rabindranath Tagore. In una visita a Sylhet nel 1919 egli ebbe modo di osservare questa danza e poco dopo introdusse l'insegnamento del ballo a Santiniketan.

La danza Manipuri è caratterizzata dal suo lashya (gentilezza), tenerezza, e devozione. Laiharaoba è pieno di eleganza dolce, grazia e un gesto di dedicazione. Thyang-Ta, Mridonga Nritya e alcune forme di Shri Krishna Nartan rappresentano l'immensità delle emozioni della vita. La danza Khamba-Thoibi mostra una combinazione equilibrata di Tanva (forma forte) e lashya (gentilezza).

Pressoché tutti i Manipuri ora sono i seguaci del culto Chaitanya di Sanatana Dharma. Ma prima di accettare il Sanatana Dharma nel diciottesimo secolo, i Manipuri praticavano l' Apokpa Dharma. Non rinunciarono, comunque, alle prime credenze religiose. I loro riti e rituali riflettono una sintesi delle vecchie e nuove credenze. I Manipuri osservano con grandiosità le cerimonie religiose di Sanatana Dharma come Rathayatra, Rasa Purnima, Jhulanjatra e anche quelle della loro cultura tradizionale come Laiharaoba e Sajibu Chairaoba e venerano divinità della famiglia come Sanamahi, Pakangba e Leimaren. Molti Manipuri ora seguono anche gli insegnamenti dell' Islam. Loro sono noto come Meitei Pangon o musulmani Manipuri. Riti, rituali e credenze sono parte della loro vita giornaliera. Osservano cerimonie religiose e speciali e rituali nei principali momenti della vita come nascita, matrimonio e morte.

MARMA

Sono il secondo gruppo delle minoranze etniche del Bangladesh. Per lo più vivono nei tre distretti collinari di Rangamati, Bandarban e Khagrachhari. Alcuni, comunque, vivono nei distretti litoranei di Cox Bazar e Patuakhali. Questi Marma chiamano sé stessi Rakhain ma molti li considerano come una comunità etnica separata. Secondo il censimento del 1991, il numero dei Marma in Bangladesh è 157.301.

I Marma appartengono alla razza Mongola. Loro sono relativamente bassi e hanno zigomi prominenti. Hanno carnagione gialla, capelli neri, occhi piccoli e nasi piatti. Parlano in dialetto Arakanese e la loro lingua è scritta in caratteri birmani. La lingua Marma appartiene al gruppo Birmano-Arakanese delle lingue Tibeto-Birmane. Recentemente i Marma delle aree urbane e sistemazioni vicine parlano sempre più il dialetto locale di Chittagong.

La parola ' Marma' ha origine dalla parola birmana 'myanma' che vuole dire ' cittadino birmano' e è pronunciato come il marma dagli abitanti dei Tratti collinari di Chittagong. Gli antenati dei Marma vivevano nella città di Pegu di Birmania molto prima della sua invasione nel 1599 da Mahappinnagi, il comandante dell'Esercito del re di Arakan. Le persone di Pegu erano note come Talaing o Tai Luang che vuol dire grande Tai, un ramo della razza Tai che, secondo alcuni storici, visse dal 2200 A.C. in Cina meridionale e centrale. Alcuni ricercatori sono dell'opinione che i buddisti Arakanesi noti come Marmas e Magh appartengano allo stesso gruppo. Ai Marma dei Tratti collinari di Chittagong non piace identificare sé stessi con i Magh. Considerano i Magh originariamente pirati e i Marma sono ben lontani da quest'attività. I Marma sono divisi in molti clan. Ciascun clan è chiamato con il nome del luogo in cui è emigrato. La cultura materiale della società Marma include molti attrezzi di base e armi delle società primitive.

Le case dei Marma sono fatte di bambù, erba selvatica e paglia. Sono costruite su piattaforme elevate di legno (machang) o bambù. Ogni stanza della casa è una stanza da letto con ripostiglio. Lo spazio sotto il machang è usato per vari scopi ( bestiame, provvista legna, spazio per lavorare). Alcune case, comunque, sono fatte di fango e costruite senza machang. Riso e vegetali bolliti sono il loro cibo principale. ' Nappi' una pasta di pesce essiccato, è una loro prelibatezza. Bevono birra fatta col riso e fumano sigari fatti localmente. Uomini e donne portano tipicamente il thami (sarong) e angi (camicia). L'angi usato dagli uomini è comunque, più un panciotto che una camicia. Per fare i loro vestiti usano la tessitura tradizionale, sebbene questa pratica vada diminuendo con la disponibilità nei vari mercati di tessuti già pronti. Di solito non portano scarpe, ma anche quest'usanza tende man mano a scomparire. Gli utensili di cucina in una famiglia Marma sono soprattutto di terra, bambù o legno. Molte famiglie, comunque, ormai usano utensili di alluminio. Agli uomini piace bere vino e giocare a carte, quando si rilassano.

La famiglia è il nucleo predominante nella comunità di Marma. Sebbene il marito sia il capo della famiglia, anche la moglie ha un ruolo significativo. I legami di parentela, sia consanguinea che acquisita, sono piuttosto osservati. L'eredità della proprietà, in generale, segue la vecchia linea birmana di eredità chiamata Thamohada. Figli e figlie, ereditano la proprietà dei genitori. L'auroth (più favorito) ottiene la proprietà della casa e deve prendersi cura dei genitori. Comunque, nei tempi recenti, la divisione della terra segue una regola secondo la quale la proprietà è distribuita nel rapporto di 2:1 tra figli e figlie. L' agricoltura seminomade (Jhum) è l'occupazione principale. Completano anche il loro bisogno di cibo con la raccolta di vegetali, radici, e tuberi nelle foreste collinari. Piccoli orti domestici sono anche frequenti. Altre attività economiche sono la costruzione di cesti, fabbrica di birra e lavori salariati. Tessere è un'attività molto comune tra le donne di Marma. Originariamente pensavano essenzialmente al fabbisogno della famiglia e solo recentemente producono qualcosa per vendere soprattutto attraverso mediatori, anche se qualcuno tenta personalmente un piccolo commercio.

Credono che la loro nascita, morte e tutte le attività della vita siano sotto l'influenza di un potere soprannaturale che loro tentano di soddisfare attraverso i loro riti e rituali. Sono di fede buddista ma l'animismo è abbastanza praticato. Celebrano le maggiori feste religiose buddiste ma adorano anche diversi dei. I sogni hanno un'influenza molto forte nelle decisioni che prendono nella vita di ogni giorno.

Il matrimonio è una parte molto importante della vita sociale di Marmas. Matrimoni tra cugini e monogamia sono caratteristiche predominanti di questa società ma è permessa anche la poligamia mentre il matrimonio tra bambini è impedito. Sesso prematrimoniale è comune. Uomini e donne, hanno diritti uguali per il divorzio e la sentenza avviene nella corte del karbari (leader del villaggio) o del capo (Mouza o leader dell'area). Il sistema amministrativo politico e tradizionale nella comunità di Marma è a tre livelli.

L'amministrazione a livello di villaggio è capeggiata da un karbari. A livello del mouza è capeggiato da un capo e più in alto dal Raja. Le responsabilità principali del karbari del villaggio, i capi mouza, e il raja sono la raccolta delle tasse. Ognuno ha varie responsabilità socio-culturali inclusa mitigazione di dispute, giudizi, e mantenimento della legge ed ordine pubblico

MRU (detti anche MRO)

Sono una piccola minoranza etnica che vive nel distretto collinare di Bandarban. Loro vivono soprattutto a Toin, Mangu, Toinfa, Luloing, Uttarhangar, Dhakkinhangar, Tankabati, Harinjuri, Takerpanchari, Renikhyong, Pantola, Thankhyong, Swalok, Tindow, Singpa, Alikhoung e Bhariyatali. La popolazione di Mru nei Tratti collinari di Chittagong nel 1956 era 17.000 e nel 1981 20.000.

I Mru sono anche noti come Mro e Murong. Chakmas e Marmas li chiamano Lengta, Kuki, o Langye o persone primitive mentre alcune popolazioni delle pianure li chiamano Morung che, secondo molti, sono diversi dai Mro in alcuni aspetti. I Murong che vivono nel distretto di Khagrachhari sono infatti un clan dei Tipra (Tripura). C'è un'affinità linguistica tra i due gruppi. Nello Stato indiano di Tripura, i Murongs sono noti come Riangs. In molte occasioni, i Mro sono chiamati sprezzantemente Mro-Dang o Myawktong, cioè la classe più bassa degli esseri umani. Ma i Mro chiamano sé stessi come Mro-cha. Mro vuole dire uomo e cha rappresenta essere.

Rajwang, la cronaca dei Re Arakanese, riporta che durante il dodicesimo secolo due uomini Mro aiutarono Re Da Tha, il Raja di Arakan (1153-1165) nel localizzare la Statua di Mahamuni. I Mro furono cacciati fuori da Arakan da parte dei Khumi, una potente tribù del quattordicesimo secolo. Loro si mossero verso i Tratti Collinari di Bandarban e si stabilirono a sud della valle occidentale dei fiumi Sangu e Matamuhuri. Questo è sostenuto da una lettera del Re di Birmania al Capo distretto di Chittagong. Il Re affermava nella lettera che alcuni Murong con persone di altre tribù Arakan si erano rifugiati nella regione di Chittagong, dalla quale partivano per incursioni su tutte e due i lati del confine.

I Mro hanno caratteri mongoloidi ma sono alti e forti e inoltre hanno la carnagione scura. Sono pacati e timidi. Baffi e barba sono appena visibili sul loro volto. Assomigliano da vicino fisicamente ai Semang della Malesia.

Costruiscono le loro case sulla cima delle colline. Le case sono grandi e sembrano essere costruite per una comunità più che per una famiglia. Dipendono principalmente dalla caccia ma molti di loro si sono dati alla coltura seminomade (Jhum), jautha khamar (agricoltura collettiva) e giardinaggio. Non hanno dimore permanenti. Istinti migratori hanno evitato il progresso nella vita quotidiana. Le donne Mro sono molto attive economicamente, tessono i loro vestiti e curano tutti gli affari della casa.

Mangiano due volte al giorno riso bollito e consumano tutti i tipi di carne ma poche spezie nel cucinare il curry. Pesce seccato è per loro una prelibatezza. Bere è popolare tra di loro e non esiste tabù o preclusione per nessun cibo.

Gli uomini indossano una striscia di stoffa chiamata lengti che è passata tra le gambe. Le donne usano un piccolo pezzo di stoffa blu scura (wanglai) per coprire il corpo; il lato sinistro è tenuto aperto. È ricamato nel centro. Il wanglai è 6 pollici (20 cm) in ampiezza da cima a fondo. Le donne coprono appena le loro mammelle. Loro legano i loro capelli sul lato sinistro della parte posteriore della testa. Quando vanno al mercato il maschio porta il tradizionale lungi bengalese, e una camicia mentre le femmine coprono con un pezzo di stoffa anche la parte superiore del corpo. I maschi mantengono i capelli lunghi e talvolta li acconciano per portare un turbante (pagri).

Decorano il loro corpo con colori diversi; sia ragazze che ragazzi si colorano le labbra. Quando vanno fuori a ballare preferiscono dipingere le loro guance, le labbra e la fronte di rosso. Le donne collocano fiori sulla testa e sulle orecchie e anche una sequenza di piccole perline al collo. Solamente persone non sposate possono partecipare ai balli cerimoniali. Ornamenti ed anelli sono usati anche dagli uomini. I Mro usano anche annerire i denti. I loro strumenti musicali consistono in tubi del bambù chiamati plung. Quando ballano, gli uomini indossano vestiti rossi e in testa penne e perline mentre donne preferiscono fiori, perline e monete.

I Mro non hanno lingua scritta. La lingua che parlano ha somiglianza col birmano e sembra appartenere alla famiglia Tibeto-Birmana. Con tutta probabilità, la lingua Mro fu separata dal gruppo Tibeto-Birmano molto tempo addietro. Il vocabolario di Mro, la sintassi e la grammatica assomigliano in un certo modo alle lingue del Kuki-Chin dell' India nordorientale e del Myanmar nordoccidentale. Oggi i Mro ricevono un'istruzione moderna alla scuola governativa di Shialoe (vicino a Bandarban). I Mro parlano coi loro vicini nella lingua locale e conoscono il Bengoli. In questo senso sono bilingue.

La società Mro è patriarcale. Sebbene il padre sia il capo della famiglia, sono le donne a giocare un ruolo dominante nella vita sociale. La proprietà va da padre a figlio ma la parte principale è data al figlio più giovane. Nella maturità, padre e madre vivono con lui. Sistemi di famiglie singole o unite sono comuni nella società Mro. Sono divisi in molti clan come Dengua, Premsang, Konglai, Maizer (jackfruit), e Ganaroo Gnor (mango). Da questa divisione è chiara l'adorazione totemica degli alberi. Nel clan l'endogamia è proibita ed è favorita l'esogamia. A livello di tribù sono invece endogamici, ma casi di matrimoni intertribali talvolta avvengono. Due tipi di matrimonio sono usuali nella società Mro: matrimonio dopo la fuga e matrimonio dopo negoziazione. In caso di divorzio, il marito è rimborsato di tutto ciò che aveva dato a sua moglie eccetto gli ornamenti che la moglie può portare alla casa paterna. Per una donna, un secondo matrimonio è insolito, ma gli uomini si possono sposare dopo la morte della prima moglie. Poligamia e poliandria sono praticamente assenti e il matrimonio tra bambini raro. I Mro seppelliscono oppure bruciano i morti. Pagano un tributo al capo Bohmong.

I Mro sono animisti e hanno tre dei: Turai, il creatore dell'universo; Sangtung, lo spirito delle colline e Oreng, la divinità del fiume. Per qualunque iniziativa giurano nel nome di Turai; il Sangtung (spirito della collina) è considerato sacro, e loro offrono preghiera a questo spirito della collina per un buon raccolto. Oreng è adorato collettivamente per il benessere degli abitanti di un villaggio e per tenere lontane malattie e cattiva fortuna. Non credono che, dopo morte, esista un altro mondo dirigono tutte loro attività al mondo presente.

Influenze buddiste sono evidenti nella vita quotidiana. Una loro parte aderisce al Cristianesimo. Recentemente, molti Mro hanno abbracciato Cramma, una nuova religione fondata da un Mro chiamato Manley. Comunque, tutti i giuramenti sono presi in onore delle armi da fuoco, dao (accetta) e tigri. Venerano il sole e la luna ma non offrono sacrifici ad essi. Non hanno sacre scritture, templi, e preti.

Il sacrificio delle mucche costituisce una delle cerimonie principali dei Mro; è chiamato Kumulong. Per la loro mitologia, il libro religioso che il loro dio spedì ai loro antenati era nella forma di sacra scrittura scritta su foglie di banano. A un messaggero vennero date le sacre scritture e dei vestiti da far indossare alle donne Mro. Nel corso del suo viaggio, il messaggero si fermò sulla riva di un fiume, lasciò le sacre scritture e i vestiti sulla riva e andò a fare il bagno. Al suo ritorno, vide che una vacca aveva mangiato le foglie con la sacra scrittura e niente era rimasto. Non contenta la vacca aveva ingoiato anche la maggior parte dei vestiti.

Questo è il motivo per cui i Mro sono rimasti senza una religione formale e le loro donne indossano pochi vestiti. Per questo atto, i Mro castigano una vacca ogni anno con un apposito rituale. Una vacca ben alimentata è legata a un palo, in uno spazio aperto dove il villaggio intero si riunisce. Si beve e si balla attorno alla vacca fino al pomeriggio, quando si comincia a colpire la vacca con bastoni di bambù fino a che sgorga dal suo corpo il sangue e la povera bestia muore. Il sangue della vacca è considerato sacro e è conservato in recipienti di bambù.

Il corpo dell' animale è tagliato con un dao molto affilato. Poi gli abitanti di un villaggio siedono in cerchio. Gli anziani distribuiscono il sangue a ogni membro così che tutti possano succhiarlo. Successivamente la carne viene arrostita e tutti ne mangiano. Nella cerimonia, tutte le persone sono invitate a vivere in pace coi loro parenti e coi loro vicini.

Un altro rituale Mro è champua. In un giorno fissato ragazzi e ragazze vanno nella foresta a tagliare foglie di banano e celebra la festa ballando e cantando fino all'alba. Tale rituale dà l'opportunità a ragazzi e ragazze di scegliere il partner della loro vita.

I Mro fanno in modo di mantenere buone relazioni con le altre tribù; uomini e donne vanno ai mercati vicini per vendere prodotti agricoli e per comprare articoli necessari all'uso quotidiano.

MOCHI - MUCHI - (Jingar, Jirayat, Chitracar, Chitevari, Musabir)

Mochi: casta professionale di sellai e calzolai. Nel 1911 circa 4000 Mochi e 2000 Jíngar ritornarono dalle Province Centrali e dal Berâr, i primi risiedevano principalmente nell' Hindustân e l secondi nei Distretti di lingua Marâthi. Il nome è derivato dal Sanskrito mochika e dall' Hindustân mojna , (piegare) e il nome comune mojah (calze) è dalla stessa radice (Platts). In origine i Mochi sono senza dubbio una derivazione della casta Chamâr, ma loro ora generalmente disconoscono il collegamento. Nesfield osserva che "L'industria di concia è preparatoria e più bassa di quella dei sellai e adesso la casta Chamâr è chiaramente sotto quella dei Mochi. L'indù non considera il toccare un Mochi così impuro come toccare un Chamâr, e c'è un proverbio indù 'Essiccato o preparato è come stoffa,' mentre toccare l'oggetto prima della concia dei Chamâr è considerato impuro. Il Mochi non mangia carogne come i Chamâr, né mangia la carne di porco; né sua moglie pratica l'arte aborrita dell' ostetricia. Nelle province Centrali, come in India settentrionale, la casta può considerarsi avere due rami, l'una più basso che consiste dei Mochi che fa scarpe del ciottolo ed è derivante dai Chamârs; mentre gli uomini della classe più alta fanno selle e imbrigliature, e sono noti come Jíngar; o rilegano libri, quando sono chiamati Jíldgar; o verniciano e fanno idoli di creta, quando sono designati Chitrakâr, Chitevari, o Murtikâr. Nel Berâr i Jíngars sono diventati eccellenti artigiani del ferro, come armi da fuoco e sono noti come Jirâyat. Tutti questi fanno del tutto per dissociarsi dalla casta Chamâr. Loro chiamano loro stessi Thâkur o Râjpît e hanno sezioni esogamiche per i nomi identici alle sette Râjpît. Le stesse persone hanno assunto il nome di Rishi in Bengala, e, secondo quanto riferito da Risley, dicono di essere bramini decaduti; mentre nelle altre province Crooke li considera essere connessi ai Srivâstab Kâyasths, con cui si imparentano e hanno usanze e costumi simili. Il fatto che nelle tre Province questi lavoratori del cuoio dicono di discendere da tre caste alte separate sono un esempio interessante dei problemi che hanno le basse caste hindu per aumentare il loro grado sociale ma dobbiamo ritenere che tutti i Mochi derivino dai Chamârs. A Bombay Enthoven scrive che la casta preferisce disegnarsi Arya Somavansi Kshatriya o Aryan Kshatriyas della divisione Moon; mentre tutti hanno i regolari gotras braminici come Bhâradwâja, Vasishtha Gautam e così via.


Leggende sull'origine.

Leggende interessanti all'origine della casta addotte da loro in appoggio della loro tesi di discendere dai Bramini sono riferite da Risley: "Uno dei Prajâ pati, o figli nati dalla mente di Brahma, aveva l'abitudine di provvedere la carne di vacche e burro chiarificato come un offerta agli dei. Era poi usanza di mangiare una porzione del sacrificio, riportare la vittima alla vita, e condurla nella foresta. In un'occasione il Prajâ-pati fallì di risuscitare l'animale sacrificale, avendo dato a sua moglie che era incinta una porzione dell'animale. Allarmato chiamò tutti gli altri Prajâ-pati, e loro cercarono con una divinazione di scoprire la causa del fallimento. Finalmente accertarono quello che era accaduto, e come punizione la moglie fu maledetta e espulsa dalla loro società. Il bambino a cui lei diede vita fu il primo Mochi o conciatore, e da allora l'umanità fu privata del potere di rianimare il bestiame bovino macellato per cibo e le persone pie abbandonarono la pratica di uccisione delle mucche. Un altro storia è che Muchirâm, l'antenato della casta nacque dal sudore di Brahma che stava danzando. Gli capitò di offendere il saggio e irritabile Durvâsa che mandò la bella vedova di un bramino per allettarlo e fargli perdere la castità. Muchirâm si avvicinò la vedova come a una madre, e rifiutò di avere qualsiasi contatto carnale con lei; ma Durvâsa usò il potere miracoloso che aveva acquisito con le sue penitenze e per rendere la vedova incinta così che Muchirâm, innocente, fu fatto cacciato dalla casta in base al sospetto. Dai suoi due figli sono discesi i due rami principali della casta in Bengala.


Arte fra gli indù.

Nelle Province Centrali il termine Mochi spesso è usato per la casta intera nei Distretti settentrionali, e Jíngar nella regione di Marâtha; mentre i Chitrakârs o pittori formano un gruppo separato. I mestieri di calzolaio e rilegatore di libri ora sono completamente, il collegamento tra loro è dovuto all'utilizzo del cuoio per entrambi. Non è prima a vista chiaro perché il pittore dovrebbe essere della stessa casta, ma la ragione è forse che i suoi pennelli sono fatti di peli di animali, e questo è anche considerato come impuro, essendo una parte del pellame. Una regola di casta cerimoniale ha quindi impedito che l'arte del dipinto sia coltivata dagli indù; e il relativamente povero sviluppo della loro musica può essere ascritto forse alla stessa causa, l'uso dei tendini di animali, usati per strumenti a corda, è un ostacolo all'uso di essi da parte delle caste alte. Così nei templi non è permesso l'utilizzo di nessun strumento a corda, ma solamente il gong, cembalo, corno e trombe con gusci d molluschi. E questa regola scoraggerebbe grandemente la coltura della musica che come arte, è stata sempre utilizzata nei servizi religiosi. Si crede che strumenti furono originalmente usati in tempi e sacrari per spaventare con il loro rumore gli spiriti cattivi mentre si stava adorando e fornendo alimenti al dio e non allo scopo di chiamare i fedeli a raccolta; poiché il rumore è uno dei mezzi riconosciuti per cacciare gli spiriti, probabilmente in conseguenza del suo effetto nello spaventare gli animali selvatici. È per lo stesso motivo che la musica è essenziale nei matrimoni, specialmente durante la notte quando gli spiriti sono più potenti; e questo è l'oggetto primario del chiasso discorde e continuo che gli indù considerano un accompagnamento necessario a un matrimonio. A parte questa limitazione l'Induismo avrebbe dovuto essere favorevole allo sviluppo della pittura e della scultura, essendo una religione politeistica. Nei primi stadi della società religione e arte erano connessi intimamente, come è mostrato dal fatto che i primi dipinti con sabbia sono quasi sempre dedicati a divinità o persone sacre o animali, ed è solamente dopo un periodo considerevole di sviluppo che sono trattati altri oggetti. Similmente è stato trovato che inizialmente l'architettura sia stata applicata solamente a edifici sacri come tempi e chiese, e soltanto successivamente ad abitazioni o altro. Le figure scolpite da Mochi di solito sono immagini per tempi, e quelli che praticano questa arte sono chiamati Murtikar, da murti, un'immagine o idolo; e i ritratti dei Chitrakârs erano fino poco fa tutti di divinità o animali divini, sebbene dipinti secolari si possano di tanto in tanto incontrare. Ed i poco istruiti credenti politeistici sono incapaci di concepire separatamente l'uno dall'altro. Così i Bharewas o artigiani dell'ottone dicono che loro non fanno immagini dei metallo degli dei, perché loro hanno paura che la cattiveria del loro lavoro manuale risveglierebbe la collera degli dei e causerebbe la loro vendetta. La congettura potrebbe essere giustificabile col fatto che figure di uomini e animali furono prima disegnate o dipinte; modellate in creta o metallo loro potrebbero essere adorati come immagini delle divinità, la mente selvaggia non distingue tra l'immagine del dio e il dio stesso. Per questo le religioni monoteistiche dovrebbero essere contrarie alle arti, cosa infatti avvenuta. Così il commentario di Muhammadan, il Hadith ha un verso: "Doloro a chi ha dipinto una creatura vivente! Al giorno dell'ultimo giudizio le persone rappresentate da lui usciranno della tomba per richiedere la loro anima. Quell'uomo, incapace di dare vita alle sue opere, brucerà nelle fiamme eterne". E nel Giudaismo la proibizione familiare del Secondo Comandamento appare essere diretta allo stesso scopo. La scultura indù è stata davvero abbastanza prolifica, ma generalmente non si considera che abbia raggiunto un qualsiasi grado di merito artistico. Da quando scultura si preoccupa principalmente della forma umana sembra in modo chiaro che un apprezzamento della bellezza di forza muscolare e lo sviluppo simmetrico delle membra è un essenziale preliminare al successo in questa arte; e tale sensibilità può sorgere solamente fra un persone che hanno dato importanza all'agilità ed alla forza fisica. Questo non è mai stato nel carattere degli indù la cui religione incoraggia ascetismo e mortificazione del corpo, e punta all' autoassorbimento mentale e distacco dal cure ed esercizi mondani come il tipo più alto di virtù.


Antagonismo dei Mochi e degli Chamârs.

No è rimasto naturalmente alcun amore tra Mochi e Chamârs come risultato naturale delle pretese di nobiltà dei Mochi,; gli Chamars dichiarano che i Mochi hanno rubato il loro râmpi, il coltello col quale loro tagliano il cuoio. Gli Chamârs né prenderanno acqua da bere dai Mochi né accomoderanno le loro scarpe, e non permetteranno di provarsi un paio di scarpe nuove finché loro non avranno pagato il prezzo pattuito; dicono che i Mochis sono mezzi Chamârs e perciò non possono provare le scarpe di un vero Chamar; ma quando sono stati pagati il fabbricante ha chiuso il collegamento con loro, e l'uso che loro ne fanno non li riguarda.


Gruppi esogamici.

Nelle Province Centrali i Mochi hanno i nomi di tutti i clans Râjpît, mentre due si confanno con quelli dei Chamârs. E loro hanno anche un numero uguale di kheras o gruppi. I limiti dei due gruppi sembrano essere identici; così membri della setta chiamati Kachhwâha Râjpîts dicono che il loro khera o nome del villaggio è Mungâvali in Gwâlior; quelli della setta Ghangere chiamano Chanderi il loro khera, la setta Sitâwat Dhâmoni in Saugor, i Didoria Chhatarpur, i Narele Narwar e così via. I nomi dei gruppi del villaggio ora sono stati generalmente dimenticati e non hanno influenza sul matrimonio che è regolato dai nomi della setta Râjpît; ma sembra probabile che i kheras erano le divisioni originali e i gotras Râjpît sono stati adottati più recentemente.


Costumi sociali.

I Mochi hanno adottato i costumi delle caste indù e più alte. Gli uomini non possono prendere moglie dal proprio gotra, il gotra di sua madre o da una famiglia nella quale una ragazza della sua propria famiglia si è sposata. Loro di solito sposano le loro figlie in infanzia e impiegano Bramini nelle loro cerimonie, che non subiscono nessuna degradazione per questo servizio. In cerimonie domestiche minori per le quali il Bramino non è impegnato il suo luogo è preso da un parente che è chiamato sawâsa, ed è il marito della sorella, il marito della figlia, o il marito della sorella del padre. Loro permettono alle vedove un nuovo matrimonio e accordano il divorzio a, e nei distretti meridionali il divorzio viene sancito posando un pestello tra la moglie e marito. Loro bruciano i loro morti e non utilizzano tessuti colorati fino a che, al termine del periodo di lutto, un loro congiunto non pone un copricapo colorato sulla loro testa. Loro riveriscono le originarie divinità indù, e come gli Chamârs hanno un dio della famiglia, noto come Mair la cui rappresentazione ha la forma di un grumo di creta che è messo in un reliquiario nella casa e adorato in occasione di matrimoni e morti. In Saugor lui è detto essere il rappresentante collettivo degli spiriti dei loro antenati. In alcune località mangiano carne e bevono liquore, ma in altre si astengono da entrambe. Fra gli indù i Mochis si classificano notevolmente più in alto dei Chamârs; toccarli non è degradante ed è permesso di presenziare alle cerimonie religiose. Il nome di un Saugor Mochi di Saugorè ricordato come colui che divenne un buon disegnatore e pittore e fu tenuto in molta stima alla corte di Peshwa. In India settentrionale circa mezzo di Mochis sono Muhammadani, ma nelle Province Centrali sono tutti gli indù.


Scarpe.

In vista del fatto che molti Mochi erano Muhammadani e che le pantofole sono essenzialmente un articolo Muhammadano, Buchanan pensò probabile che esse furono portate in India dagli invasori, gli indù prima erano stati contenti con sandali e scarpe di legno: "Molti indù ora usano pantofole di cuoio, ma alcuni aderiscono al costume corretto di portare sandali che hanno suola di legno, una connessione di cuoio da passare sul collo del piede, e un piolo di legno o di corno con un bottone sulla sua cima. Il piede è passato attraverso la connessione e il piolo è messo tra due delle dita del piede". È certo, comunque, che scarpe di cuoio e pantofole furono sapute agli indù da lunghissimo tempo: "L'episodio riferito nel Râmâyana di Bhârata che mette sul trono vacante di Ajodhya un paio delle pantofole di Râma che lui adorò durante il lungo esilio del secondo, mostra che le scarpe erano articoli importanti di uso e degne di attenzione. In Manu e Mahâbhârata sono anche menzionate sia le pantofole che il modo corretto di calzarle. Il Vishnu Purâna comanda a chi desidera di proteggere la propria persona di non essere mai senza scarpe di cuoio. Manu esprime forte ripugnanza nell'utilizzare scarpe altrui e formalmente lo impedisce, e i Purânas raccomandano l'uso di scarpe quando si cammina fuori della casa, particolarmente in luoghi accidentati e sulla sabbia calda". Così le scarpe furono portate certamente dagli indù prima dei tempi di Muhammadan, sebbene le pantofole sia divenute di moda ai sui tempi. E sembra possibile che i Mochi abbiano potuto adottare l'Islam, in parte per ottenere il patronato dei seguaci della nuova religione nuova ma anche per togliersi dalla posizione degradata alla quale la loro professione di artigiani del cuoio li aveva relegati con l'Induismo; e per dissociarsi dai Chamars.


Muchi, Rishi

La casta dei calzolai e lavoratori del cuoio del Bengala, ha origine indubbiamente in un ramo dei Chamârs, sebbene i suoi membri ora ripudiano quel nome e dicono di essere una casta distinta con una posizione sociale più alta. Nesfield osserva che "L'industria di concia è preparatoria e più bassa di quella dei sellai e adesso la casta Chamâr è chiaramente sotto quella dei Mochi. L'indù non considera il toccare un Mochi così impuro come toccare un Chamâr, e c'è un proverbio indù 'Essiccato o preparato è come stoffa,' mentre toccare l'oggetto prima della concia dei Chamâr è considerato impuro. Il Mochi non mangia carogne come i Chamâr, né mangia la carne di porco; né sua moglie pratica l'arte aborrita dell' ostetricia. Lui fa le scarpe, grembiuli del cuoio, secchi del cuoio, mantelli, ecc, usati dagli abitanti dell'India. Come regola è migliore dei Chamâr, e questa circostanza lo ha aiutato ad elevarsi nella scala sociale". Si può dire da questa descrizione che nelle Province del Nordovest il Muchi mai usa pellami appena scorticati, ma lavora il cuoio già conciato dai Chamâr. Questa distinzione non appare essere così netta in Bengala, dove i Muchis conciano le pelli come i Chamârs, ma solamente quelle di vacca, capra, bufalo, e cervo.


Tradizioni sull' origine.

L'origine della casta di Muchi è data nella leggenda seguente, riferite da Risley: "Uno dei Prajâ pati, o figli nati dalla mente di Brahma, aveva l'abitudine di provvedere la carne di vacche e burro chiarificato come un offerta agli dei. Era poi usanza di mangiare una porzione del sacrificio, riportare la vittima alla vita, e condurla nella foresta. In un'occasione il Prajâ-pati fallì di risuscitare l'animale sacrificale, avendo dato a sua moglie che era incinta una porzione dell'animale. Allarmato chiamò tutti gli altri Prajâ-pati, e loro cercarono con una divinazione di scoprire la causa del fallimento. Finalmente accertarono quello che era accaduto, e come punizione la moglie fu maledetta e espulsa dalla loro società. Il bambino a cui lei diede vita fu il primo Mochi o conciatore, e da allora l'umanità fu privata del potere di rianimare il bestiame bovino macellato per cibo e le persone pie abbandonarono la pratica di uccisione delle mucche. Un altro storia è che Muchirâm, l'antenato della casta nacque dal sudore di Brahma che stava danzando. Gli capitò di offendere il saggio e irritabile Durvâsa che mandò la bella vedova di un bramino per allettarlo e fargli perdere la castità. Muchirâm si avvicinò la vedova come a una madre, e rifiutò di avere qualsiasi contatto carnale con lei; ma Durvâsa usò il potere miracoloso che aveva acquisito con le sue penitenze e per rendere la vedova incinta così che Muchirâm, innocente, fu fatto cacciato dalla casta in base al sospetto. Dai suoi due figli sono discesi i due rami principali della casta in Bengala. Le sottocaste Barâ-bhâgiyâ e Chhota-bhâgiyâ, che sono le due divisioni principali dei Muchi a discesero dai gemello Bara Râm e Chhota Râm. I Chhota-Bhâgiyâ trattano pellami, si comportano come musicisti, e fanno vari generi di manufatti di cuoio; mentre i Barâ-bhagiyâ professano essere solamente agricoltori. I secondi sono divisi in Uttar-Rârhi e Dakin-Rârhhi che non si imparentano o mangiano insieme. Le altre sottocaste, Châsâ-Kurur o Châsâ-Kolai sono agricoltori; i Betuâ fanno cesti di bambù e anche coltivano; i Jugi-Muchi o Korâ tessono stoffa comune di cotone, spesso mescolata con seta; il Tikâkar Konai fanno i tikâ o palle di carbone usate come combustibile; e i Baitâl, bhumiâ di Mâla, Sabarkârâ, e Sânki sono calzolai, sellai, e strigliatori. I Muchi hanno solamente due sezioni, Kâsyapa e Sândilya che sono state prese in prestito dal sistema braminico, e non hanno prevenzioni sul matrimonio fra tra parenti prossimi.


Matrimonio.

Essi seguono le regole ordinarie come a gradi proibiti, e permettono il matrimonio di due sorelle allo stesso uomo, purché la più giovane non sia già sposata. Per le ragazze esistono sia matrimoni infantili che adulti, ma la prima pratica è ritenuta come più rispettabile, e si fa ricorso ad essa nella grande maggioranza dei casi. Nel distretto di Dakha un padre generalmente riceve da cinquanta a sessanta rupie per sua figlia, da ciò si può dedurre che il costume di poligamia è dovuto per la preponderanza di maschi nella casta. Comunque, il prezzo della sposa non è così alto negli altri distretti, e in Pabna varia secondo i mezzi dello sposo. La cerimonia del matrimonio è una forma semplificata di quella in uso fra le caste indù più alte; sindurdân, o secondo alcuni il bruciare di khai o risone di fronte alla sposa e sposo è la parte principale. La sposa è vestita con indumenti rossi. Nei tempi antichi, dice Wise, le cerimonie dei matrimoni dei Rishi erano scene di depravazione e intemperanza, ma successivamente i liquori sono stati proibiti e si arrivati ad una maggiore temperanza. Anche gli Indù, che raramente hanno da dire qualcosa in favore dei Rishi, confessano che oggi, per ragioni sconosciute, i Chamârs e i Rishi, sono divenuti più moderati e più attenti ai loro doveri religiosi rispetto a prima. La poligamia è permessa senza limiti purché l'uomo abbia i mezzi per mantenere mogli e bambini. Il divorzio è permesso sulla base di adulterio. Di solito il panchâyat (parâmânik o moiâli) sanziona i procedimenti; e se questo non è fatto alla richiesta del marito, la moglie può appellarsi. Con questo permesso le mogli divorziate possono ancora sposare con la forma del sanga o del nika. Le vedove si possono sposare anche una seconda volta con questo rituale, la porzione impegnativa del quale consiste nello scambiare ghirlande fatte con i rami fioriti del tulsi (Ocymum sanctum), un tipo di basilico. Qui è richiesta anche la presenza del panchâyat e vien data una festa. Una somma piccola, da Rs. 1 a Rs. 5, è pagata come pan. Ci sono indicazioni che l'opinione della casta tende a condannare il matrimonio delle vedove e che, fra una generazione o due esso verrà meno a meno che non venga a cambiare qualcosa. Già oggi alcuni Muchi accettano il matrimonio di vedove "vergini", e che il nuovo matrimonio di una donna adulta che già ha vissuto con suo marito è poco migliore del concubinaggio. I bambini di matrimoni sanga sono ritenuti essere "inferiori" e, se maschi, devono pagare una multa pesante prima che loro possano sposarsi. Come i Bauris e i Bâgdis, i Muchs ammettono nella loro comunità membri di qualsiasi casta più alta della loro . Al membro nuovo è richiesto di dare una festa al panchâyat, e mangiare con loro per ritualizzare l'entrata nella comunità. Esempi di uomini di altre caste che diventano Muchi sono rari, e accade solamente quando un uomo è stato cacciato dalla propria casta in seguito ad un rapporto con una donna Muchi per aver preso del cibo dalle sue mani.


Religione.

Si ritiene che la maggior parte della casta appartenga alla setta di Saiva, ma una grande proporzione della sottocasta Betuâ è Vaishnavas. Loro imitano i Sudras nella maggior parte delle loro cerimonie religiose, mentre altri particolari assomigliano a quelli dei Chamârs. Anche se considerato estremamente vile, è permesso loro di fare offerte all'altare di Kâli, cosa che a un Jugi non è permesso di fare. Loro celebrano molte feste indù, la principale in onore di Viswakarmâ nell'ultimo giorno di Bhâdra. In caso di piccole malattie offrono un maiale a Sitalâ, prima di tutti imbrattando il muso dell'animale con minio e ripetendo dei canti rituali, dopo di che il maiale è a disposizione di tutti. Come i Chamâr, Dhobâ, Dosadh, e le altre caste basse, i Muchi adorano Jalka Devi, ogni qualvolta ci sia il colera o altre malattie epidemicche. Le donne di Muchi, comunque, raccolgono contributi solo nel loro quartiere, e portano una ghirlanda di piantaggine, palma da datteri o benâ (Andropogon muricatus) per due giorni e mezzo invece che per sei, come è costume dei Chamârs. Muchirâm Dâs, l' onorato antenato della casta e Rui Dâs, sono anche oggetti popolari di adorazione.


Preti.

Un Bramino fu concesso ai Muchi Barâ-bhâgiyâ da Ballâl Sen, e la storia dice che nel palazzo di quel monarca ad un certo Bramino, diventando fastidioso per continuare ad insistere sulla sua nomina come prete di una casta di recente formazione, fu intimato da parte del Raja che sarebbe appartenuto alla prima casta che gli fosse apparsa la mattina successiva. C'era anche un Muchi, un celebre suonatore di naqârah o tamburo il cui compito era anche quello di dare la sveglia. E così si fece in modo che il Bramino fosse costretto a gettare prima i suoi occhi su lui alla sveglia mattutina, e i suoi discendenti da allora in poi furono costretti ad essere i bramini di questa poco considerata casta. Essi sono considerati all'ultimo livello dei Bramini e nessun membro delle caste dei sacerdoti ma nemmeno delle caste Ácharani possono prendere acqua dalle loro mani. I Chhota-bhâgiyâ hanno invece preti appartenenti alla propria casta. I Muchi bruciano i loro morti e compiono il srâddh il trentesimo giorno dopo la morte. In caso di morte violenta, non viene celebrato il srâddh ma un prâyaschitta, o cerimonia espiatoria. I Chhotabhâgiyâ e sottocaste di Betuâ, come i Chandâls osservano dieci giorni di impurezza e celebrano lo srâddhon l'undicesimo.


Stato sociale.

La posizione sociale dei Muchi è, come è stato detto sopra, appena più alta di quella dei Chamârs, ma entrambe le caste possono essere messe propriamente in una unica classe al fondo della scala di precedenza riconosciuta dall'indù medio. Nessuno dei servitori di un villaggio vuole lavorare per un Muchi, e così la casta è stata costretta a provvedersi di barbieri e servi fra i propri membri. Sono i bambini illegittimi di solito ad occuparsi di questi lavori, e quando la comunità è abbastanza grande non viene riscontrato alcun inconveniente. Le loro regole riguardo all'alimentazione variano, in quanto alcune sottocaste mangiano manzo, come i Chamârs; alcuni mangiano polli e considerano la carne di maiale come una prelibatezza. I Bara-bhâgiyâ, Betuâ, e Châsâ-kolai si astengono dal manzo e dalla carne di maiale, ma non dagli uccelli; e sono molto meno selettivi degli appartenenti alle classi alte riguardo ai generi di pesce che mangiano. Come i Chamârs, tutti i Muchi sono grandi bevitori di alcool, e notoriamente indulgono nel più pericoloso fumo della marijuana. Nessun altra casta mangia del cibo preparato da un Muchi, ma Doms prendono acqua dalle loro mani e fumano dalla stessa pipa.


Occupazione.

Muchi lavorano come conciatori, calzolai, sellai, musicisti, e fabbricanti di cesti. La loro maniera di preparare pelli è la seguente: il pellame è strofinato, e poi ammollato per quindici - venti giorni in una forte soluzione di calce. È privato poi dei peli e di qualsiasi residuo di grasso e messo a bagno per sei giorni in succo acido di tamarindo. Finalmente, è messo in un tino che contiene una soluzione di bacche, di babil (Acacia), garan (Ceriops Roxburghianus), e sundarí (Heritiera minor). Dopo questa immersione il pellame è considerato non più impuro. I Muchi comprano il pellame in quelle parti del paese dove il bestiame bovino abbonda. Nel villaggio Muchi della sottocasta di Chhota-bhâgiyâ, mentre dicono di non scuoiare le carcasse dei propri bovini, gli abitanti vanno su e giù per i fiumi in ricerca di carcasse, e quando malattie epidemiche attaccano gli armenti ne trovano molte: è così che viene attribuita a loro l'espansione della malattia. È indubbio che spesso loro pungono una vacca sana con una spina di Acacia impregnata con il virus, ma quasi mai vengono scoperti in quest'azione infame. È comunque opinione comune che loro aumentano così i loro profitti. Nel Bengala Occidentale e a Chota Nagpur, dove le giungle del sâl formano i pascoli principali, Muchis distruggono bestiame bovino con arsenico messo su un fascio o petali del mahuâ. È questo il cibo favorito per le vacche, e può essere messo sul terreno senza destare alcun sospetto. Il Muchi non toccherà il cadavere, ma scuoierà la carcassa di un animale morto. La pelle del bufalo indiano sacrificata al Durgâ Puja è una preda ambita, e scorticare questo animale dà luogo a litigi tra famiglie concorrenti. Molti Muchi fanno scarpe, ma di qualità inferiore a quelle fabbricate dai Chamârs. La sottocasta di Betuâ è famoso per fare cesti di canna d'India (Calamus rotang), che i nativi asseriscono è tessuto così fittamente da non far colare l'acqua. Loro raccolgono anche le radici del Panicum, e fabbrica le spazzola (il manjan) usate dai tessitori per inamidare. In alcune zone i Muchi castrano i vitelli, ma lo negano con veemenza. Altri lavorano come spazzini ma sono esclusi così dal matrimonio fra consanguinei col resto della casta, e sembrano formare una sottocasta propria. I tablâ-wâla o costruttori di tamburi sono sempre Muchi. Le pelli di capre sono usate per la copertura, mentre le pelli di vacca servono a stringere la pergamena. Su ogni tamburo nativo, sono dipinti da una o entrambe le parti dei cerchi neri (khiran) è dipinto migliorare l'aspetto. Il Muchi prepara una pasta di polvere di ferro e riso con cui macchia la pergamena. A tutti i matrimoni indù, ma anche musulmani, loro sono assunti come musicisti, e spesso si riuniscono in bande musicali. I loro strumenti favoriti sono tamburi di varie forme e taglie, il violino, e il flauto. La donna Muchi differisce da quella Chamâín nell'evitare di essere ostetrica, nel portare braccialetti di conchiglie invece di campanelli metallici e nell'evitare di diventare una cantante professionista.

MUNDA

Costituiscono un gruppo molto piccolo di aborigeni che vivono in diverse parti del Bangladesh. Ci sono 212 famiglie Munda nel paese secondo delle stime basate su informazioni raggruppate da alcune ONG. Come da censimento, 1.163 Munda vivono a Koyra e Dumuria nel distretto di Khulna e Shyamnagar, Debhata e Tala nel distretto di Satkhira - nelle Sundarbans.

L'ecosistema delle Sundarbans sembra adattarsi al modo di vivere e alla cultura dei Munda. Fino a qualche tempo addietro, i Munda (e i Mahato, un' altra tribù a loro affine) erano noti come bunos o pulitori della giungla. Arrivarono circa duecento anni fa da Ranchi e Chota Nagpur dello stato del Bihar in India per aiutare gli Zamindar nel ricupero della terra per l'agricoltura e scavarono laghi e stagni per loro. Vennero anche a lavorare come salariati nelle piantagioni di tè di Duar, nel distretto di Jalpaiguri. Secondo il censimento del 1921 lavoravano in queste piantagioni di Duar 34601 Munda, 115.350 Oraon e 23.488 Santal; tutti provenienti dallo stato del Bihar, per cui avevano forte nostalgia.. Ufficiali britannici del tempo riportarono da Ranchi che " gran parte di quelli che emigrano in Assam e a Duar ritornano, se possono risparmiare un po' di soldi, e ricomprano la terra che loro avevano perso, o acquistano terra nelle vicinanze". Secondo alcune fonti, i Munda con altre tribù affini a loro vennero dalle Colline di Rajmahal in India e si stabilirono nella parte settentrionale del distretto di Rajshahi. Alcuni di loro, come Oraon, Mahato e Santal si stabilirono permanentemente in questo paese e furono assunti in agricoltura, nelle piantagioni di indaco naturale e di tè. Oggi la maggior parte di Munda e Mahato dipendono principalmente dall' agricoltura.

I Munda sono descritti etnicamente, come una grande tribù dravidica di Chota Nagpur consanguinea agli Hos e Santals e classificata, su base linguistica, come Kolariani. Il nome Munda è di origine Sanscrita e vuole dire capo-villaggio. Questa designazione titolare è usata dai membri della tribù. Munda e Oraon sono anche conosciuti col nome generale di Kol. Le lingue della sottofamiglia Munda sono parlate in varie parti dell' India settentrionale e centrale e comprendono più di 20 lingue, di cui la più importante è il Santali scritto in Romano, Devanagari, Bengali e Oriya. Queste lingue appartengono a una famiglia di lingue Austroasiatiche parlata da circa 65 milioni di persone. Le lingue Munda, parlate da circa 4 milioni di tribali sono vicine e sono indicate col singolo nome di Kherwari.

I Munda sono divisi in 13 sotto-tribù e alcune di esse sono Kharia-Munda, Mahili-Munda, Oraon-Munda, BhuiharMunda, e Manki-Munda. Le sotto-tribù sono divise di nuovo in sette numerose o kilis secondo i vari totem. I Munda sono di media statura, robusti e di pelle scura e sono specialmente conosciuti per i loro pesanti lavori nel disboscamento della foresta. Inizialmente, arrivarono come lavoratori stagionali ma, a seguito dell'aumentata richiesta, molti si fermarono e si stabilirono in diverse parti del Bangladesh. Ma la loro occupazione tradizionale, con la diminuzione di giungle e foreste è venuta meno. Per sopravvivere hanno quindi dovuto ricorrere all' agricoltura, alla pesca, e altre piccole occupazioni.

Un Munda non può sposare una donna della propria setta. Vige il matrimonio tra adulti e i rapporti sessuali prematrimoniali sono abbastanza comuni, sono normalmente i genitori a scegliere il partner per il proprio figlio. La sposa aveva il suo prezzo e questo, nel 19° secolo, variava da 4 a 20 rupie. Sindur dan, o mettersi vicendevolmente del colore vermiglio sulla fronte, è parte essenziale e impegnativa di una cerimonia di matrimonio.

Vedove Munda possono risposarsi, con un rituale noto come sagai. Il divorzio è permesso a richiesta di una delle parti ma, in caso di adulterio, al seduttore è richiesto di pagare al marito il pieno ammontare del prezzo della sposa. Dopo il matrimonio, il figlio con sua moglie rimane parte della famiglia unita. Nel passato, i Munda bruciavano i loro morti ma diventando questo rituale troppo costoso, si mette simbolicamente del fuoco sul volto del defunto che poi si seppellisce.

A capo della religione di Munda esiste Sing-Bonga, il sole. Ci sono anche altri dei per prendersi cura degli aspetti diversi delle creature umane e della vita naturale e loro richiedono propiziazione continua col sacrificio di animali o uccelli per allontanare le malattie e salvare il raccolto.

Le feste Munda sono riferite soprattutto alle stagioni e al raccolto. Alcune di queste sono: Sarhul o Sarjun-Baba, la festa primaverile in Chaitra (Marzo-aprile); Kadleta o Batauli in Asad (Giugno-luglio) al principio della stagione piovosa; Nana o Jom-Nana, la festa di riso nuovo in Aswin (Ottobre-novembre); e Kharia Puja o Magh Parab, la festa di raccolta delle messi il riso dell'inverno. Munda e Mahato in Bangladesh si proclamano essere indù. Celebrano Shyama puja e Kali puja a Novembre, Ashadi puja in Luglio e Bhadu puja a Settembre. Celebrano anche poush-parbon come cerimonia per il raccolto.

Non rispettano però le caste come gli indù. Sono persone molto semplici e raramente associati con attività criminali. È raro assistere ad un litigio con i loro vicini. Vivono in case di paglia. Sono piuttosto ospitali e è loro tradizione intrattenere ospiti con jawa o liquore del paese. Amano bere jawa e cantare a matrimoni e altre feste. Piatti speciali includono granchi, topi e lumache.

I Munda hanno un montri, ministro per tutti i villaggi di una certa area. Egli risolve i conflitti fra i tribali con l'aiuto di modols (leader del villaggio). Continui inserimenti di Bangalesi dalle altre regioni crea stress ecologico per la foresta che diminuisce, animali e risorse acquatiche dei Sundarbans.

Solamente molto recentemente, i Munda hanno cominciato a mandare i loro bambini a scuola e con l'aiuto di qualche ONG, stanno mitigando con nuove forme di lavoro e di attività, la loro povertà. E può essere proprio per questo motivo (la povertà e la difficoltà della zona) che il loro numero è calato in queste ultime decadi.

MUNDA - MURA, HORO-HON

Una grande tribù di dravidica di Chota Nagpur classificata per motivi linguistici come Kolariana, e vicina ai ceppi Hos, Santals, e probabilmente anche al Kandhs. Il nome Munda è di origine Sanskrita. Vuole dire capo di un villaggio, ed è una designazione titolare o funzionale usata dai membri della tribù, nello stesso modo come i Santals chiamano loro stessi Manjhi, il Bhumijsardar, e i Khambu del Darjiling Jimdar. Il nome generale Kol che è applicato a Mundas e Oraons, è interpretato da Herr Jellinghaus come uccisore di maiali, ma la migliore opinione sembra essere una variante di horo, uomo in lingua Mundari. Il cambio di r a l è familiare e non necessita di chiarimenti mentre per la di h in k, noi possiamo citare hon, bambino in Mundari che in Korwa diviene kon e koro, e la forma Muasi horo, ' un uomo. ' Si può aggiungere che i Kharias di Chota Nagpur chiamano il Mundas Kora, un nome che si avvicina.


Tradizione.

Il mito Munda sulla creazione dell' umanità dice che le divinità primordiali Ote Boram e Sing Bonga crearono un ragazzo e una ragazza e li misero insieme in una caverna per popolare il mondo. Inizialmente loro erano troppo innocenti per capire quello che si aspettava da loro, ma gli dei mostrarono a loro come fare la birra di riso che infiamma le passioni, e pian piano la loro famiglia arrivò al numero rispettabile di dodici di entrambi i sessi. Come è solito in miti di questa classe, i bambini furono divisi in paia; e Sing Bonga mise di fronte a loro i vari generi di cibo da scegliere. Il fato dei loro discendenti dipese dalla loro scelta. Così "il primo e secondo paio presero carne di giovenche e di bufali, e loro originarono il Kols (Hos) e il Bhumij (Matkum); i successivii presero solamente dei vegetali, e furono i progenitori dei Brahmans e Chhatries; altri presero capre e pesce, e ne derivarono i Sudras. Uno paio prese conchiglie e divennero Bhuiyas; due paia presero maiali e divennero Santals. Uno paio non prese niente, vedendo che gli altri davano a loro il superfluo, e vennero fuori i Ghasis che non si affaticano, ma vivono predando gli altri.


Struttura interna.

I Munda sono divisi in tredici sottotribù, molte delle quali, come Kharia-Munda, Mahili-Munda, Oraon-Munda appaiono essere il risultato di incroci con tribù vicine, mentre altre, come Bhuinhar-Munda e Manki-Munda, hanno riferimenti alla terra e al sistema comunitario della tribù. La sottotribù Mahili-Munda ha il maiale come totem, e la carne di maiale è per loro interdetta. Ma l'appetito è più forte della tradizione, e il tabù è soddisfatto gettando via la testa dell'animale, il resto è ritenuto cibo legale. Le sette o kilis sono molto numerose, ed essenzialmente totemistiche, e il totem è tabù per i membri della setta che porta il suo nome. Se fosse possibile per identificarli tutti, e accertare precisamente in quale maniera il tabù del totem è osservato, potremmo avere molte informazioni sulla crescita di prime società tribali.


Matrimonio.

Un Munda non può sposare una donna della propria setta. Il nome della setta viene dalla parte del padre, e il matrimonio fra consanguinei dal lato materno è avversato come per i Behar. Il matrimonio avviene normalmente tra adulti e rapporti sessuali prematrimoniali sono tacitamente tollerati, ma in famiglie del tutto rispettabili è ancora stabilito dai genitori, e i giovani hanno molto poco da dire nella questione. Il prezzo della sposa varia da Rs. 4 a Rs. 20. Sindurdan, o l'imbrattare di vermiglio sulla fronte della sposa da parte dello sposo e sulla fronte dello sposo da parte della sposa, è una parte essenziale della cerimonia. La pratica descritta da colonnello Dalton di sposare la sposa a un albero di mahua e lo sposo a un mango ora sembra essere stata abbandonato. Sopravvivono ancora fra i Mundas forme di matrimonio, simili al bolok nir dei Santals.

È chiamato dhuko era, volendo dire una sposa che entra nella stessa famiglia. I bambini di una donna così sposata sembrano avere una condizione sociale inferiore relativamente al diritto di ereditare la proprietà terriera del loro padre. Il defunto Babu Rakhal Das Halder, Direttore dell'appezzamento di terreno del Maharaja di Chota Nagpur mi diede un'illustrazione di questo fatto. Degli anni fa il munda o capo di uno dei villaggi dell'appezzamento di terreno Statale di Barkagarh morì, lasciando un unico figlio da una moglie dhuko era, e fu chiesto come procedere per l'eredità. Un numero di dei villaggi furono chiamati, per ordine del colonnello Dalton e furono prese le loro opinioni ma non si arrivò a nessun risultato. Alcuni pensavano che il figlio doveva ottenere la proprietà intera, altri di escluderlo completamente, altri ancora lo consideravano titolare del solo usufrutto. Si arrivò ad un compromesso dandogli un quarto della terra e tutti i beni mobili. Questo esempio ci mostra come in alcuni casi è difficile applicare i costumi tribali.

Le vedove possono sposare di nuovo col rituale noto come sagai nel quale il sindurdan è compiuto con la mano sinistra. Divorzio è permesso da entrambe le parti, ed è permesso un nuovo matrimonio. In casi di adulterio il seduttore è richiesto di pagare al marito il pieno ammontare dello prezzo della sposa.


Religione.

Alla vertice della religione dei Munda c'è Sing-Bonga, il sole, una divinità benefica ma inattiva per quanto concerne gli affari umani, in quanto delega ad altri dei l'incarico relativo al governo degli uomini e della natura . Ciononostante, sebbene Sing-Bonga non sia causa di malattia o calamità agli uomini, lui può essere invocato per distogliere tali disastri, e per questo sacrifici di capre bianche o galli bianchi vengono offerte per far modo di evitare le punizioni ingiustamente date dai suoi dei subalterni.

Oltre Sing-Bonga segue Buru-Bonga o Marang-Buru, anche conosciuto Pat-Sarna, un dio della montagna la cui abitazione visibile di solito è supposta essere il più alto monte o la più alta collina del circondario. "In Chota Nagpur," dice Dalton "una scogliera alta e ripida straordinaria, vicina al villaggio di Lodhma, è il Marang-Buru o Maha-Buru per gran parte del paese. Qui si raccolgono ed offrono sacrifici persone di varie religioni: indù, musulmani ed anche Kols. Non c'è oggetto visibile per l' adorazione; i sacrifici sono offerti sulla cima della collina, una massa semi-globulare e nuda di pietra. Se animali sono uccisi, le teste vengono là lasciate, e successivamente prese dal pahan o prete del villaggio". Marang-Buru è considerato come il dio che presiede la pioggia, e viene invocato in tempi di siccità, così come in caso di una malattia epidemica. L'offerta adatta a lui è un bufalo. Ikir Bonga domina su laghi, fonti e i grandi estensioni di acqua; Garhaera è la dea di fiumi, dei ruscelli e delle brevi primavere ai lati della collina in Chota Nagpur; Nage o Nagaera è un nome generale applicato alle divinità minori o spiriti per i livelli più bassi e acquitrinosi delle risaie costruite a terrazze. Si crede che tutti di questi possano spargere malattie fra uomini, e richiedono una propiziazione continua per evitare calamità. Capre bianche e galli neri o marroni sono offerti a Ikir Bonga, e uova e turmeric al Nage. Deswali o Kara-Sarna è il dio del villaggio che vive con sua moglie Jahir Burhi or Sarhul-Sarna nel Sarna o boschetto sacro, una pezza della foresta primordiale lasciato intatto per dar rifugio agli dei della foresta. Ogni villaggio ha il suo proprio Deswali che è ritenuto responsabile per i raccolto, e riceve adorazione nelle feste agricole. L' offerta adatta è un kara o bufalo, mentre alla moglie vengono sacrificati degli uccelli. Gumi è una delle altre divinità di Sarna, le cui funzioni precise sono stato incapace di accertare. Giovenche e maiali sono sacrificati a lui a intervalli irregolari. Chandor appare essere stesso come Chando Omol o Chanala, la luna adorata da donne come la moglie di Sing Bonga e la madre delle stelle. Dalton menziona la leggenda che lei era infedele a suo marito, e lui la tagliò in due, ' ma pentendosi della sua rabbia le permette talvolta di risplendere della sua bellezza. ' Capre sono offerte a lei nel Sarna. Haprom è propriamente la casa, ma si usa in un senso più largo per denotare il gruppo di antenati morti che sono adorati nella casa, mettendo separatamente per loro una piccola porzione di ogni pasto e con offerte periodiche di uccelli. Loro sono supposti di avere la possibilità di fare del bene o del male ai loro discendenti, e i Munda comprendono pienamente la necessità di placarli e di tenerli sempre di buon umore.

Feste.

Le feste della tribù sono il seguente:

(1) Sarhul o Sarjum-Baba, il festival primaverile corrispondente al Baha o Bah-Bonga del Santals e Hos in Chait (Marzo-aprile) quando l'albero del sal è in fiore.

(2) Kadleta o Batauli in Asarh al principio della stagione piovosa. "Ciascun coltivatore," dice Dalton a colonnello, "sacrifica un uccello, e dopo dei riti misteriosi un'ala viene strappata ed è inserita nella fenditura di un bambù e si è conficcato su un mucchio di sterco che serve da concime nel campo di riso. Se questo è omesso, si suppone che il riso non verrà a maturità."

(3) Nana o Jom-Nana la festa del riso nuovo in Asin quando si raccoglie il riso dell'altopiano. Un gallo bianco è sacrificato a Sing-Bonga, e la prima frutta del raccolto è posata di fronte a lui. Fino a che questo non è stato fatto, sarebbe un atto di empietà mangiare il riso nuovo.

(4) Kharia Puja o Kolom Singh, chiamati dagli Hos Deswali Bonga o Magh Parab che celebrano la raccolta delle messi del riso dell'inverno, il raccolto principale dell'anno. Fra il Hos di Singbhum la festa è tenuta come un genere di saturnale durante il quale le persone danno ad ogni genere di ubriachezza e depravazione. Questo è meno evidente per i Munda dell'altopiano, che vivono fra vicini indù e cristiani, e non formano una comunità tribale compatta come gli Hos del Kolhan. La festa, inoltre, ha per i Munda la durata di un giorno soltanto, e non un mese o sei settimane durante cui le persone dei vari villaggi gareggiano l'un l'altro in dissipazione, come nel Kolhan.


Successione.

La successione fra il Munda è governata dai propri costumi e sembrano avere subito poco l'influenza indù. La proprietà è divisa ugualmente fra i figli, ma nessuna divisione è fatta fino a che il figlio più giovane diventa adulto. Similmente ai Santals le figlie non ottengono parte nell'eredità,; loro sono divise fra i figli come il bestiame. "Così se un uomo muore, lasciando tre figli e tre figlie e trenta capi di bestiame bovino, nella divisione ciascun figlio otterrebbe dieci capi di bestiame bovino e una sorella; ma se invece di tre hanno solo una sorella, loro aspettano fino al suo matrimonio e si spartiscono il suo pan o prezzo della sposa, che di solito consiste in sei capi di bestiame bovino. Il prezzo fra gli Hos di Singbhum è più alto che con i Mundas, e il suo ammontare è talmente alto da compromettere seriamente il numero di matrimoni.


Comunità del villaggio e ufficiali.

Secondo la vecchia ed universale tradizione, il territorio di Chota Nagpur fu originalmente diviso in parhas o comuni rurali che comprendono da dieci a venticinque villaggi, e presieduti da un capo divisionale, chiamato il raja o munda del parha. Nel 1839, rajas titolari del parha ancora esistevano nella Divisione Fiscale di Khukra vicino a Ranchi ed avevano autorità considerevole in dispute tribali, nelle feste e nelle partite di caccia.. Ma questo elemento nel sistema di villaggio di Munda ora è caduto in disuso, e sopravvive solamente nei jhandas o bandiere dei villaggi del parha, e nei titoli particolari dati a se stessi dai coltivatori. Il diritto esclusivo di avere una particolare bandiera alle grandi feste è gelosamente protetto da ogni villaggio di Munda, e serie dispute sono spesso il risultato della violazione di questo diritto. oltre a questo, villaggi individuali nella parha hanno titoli specifici, come raja, diwan, kunuar, thakur, chhota lal ecc., simile a quelli che prevalgono nella famiglia dominante e che si riferiscono naturalmente a un'organizzazione che non esiste più. Ancora oggi questi ufficiali stabiliscono le grandi feste della caccia in certe dell'anno. Una comunità di villaggio di kol consiste, quando è perfetta, degli ufficiali seguenti: Munda, mahato, pahn, bhandari, gorait, goala, e lohar. Lavandai, barbieri, e vasai sono stati aggiunti dal 1839, e anche ora si trovano nelle vicinanze dei villaggi più numerosi. I kols si radono invariabilmente da soli, e sono le loro donne a lavare i vestiti.

(1) MUNDA.--Il munda è il capo del bhuinhars, o discendenti dei fondatori del villaggio. Lui è una persona di grande rispetto nel villaggio; e tutte le domande dai bhuinhari, sia di carattere economico che lavorativo, devono essere notificato dal proprietario del villaggio attraverso il munda. Lui è rimunerato per questa attività dalla terra del bhuinhari che lui tiene a un basso costo di affitto, e non riceve altro salario. In Pargana Lodhma, e nella porzione sud-orientale di Lohardaga qualche volta compie i doveri dei mahato oltre ai propri, e lui ottiene poi un jagir di mezza pawa di terra in uso gratuito.

(2) MAHATO.--Le funzioni di un mahato sono state comparate a quelli di un patwari o ragioniere del villaggio, ma lui può essere descritto meglio come un ufficiale della sistemazione rurale. Lui assegna la terra del villaggio per la coltura, dando a ciascuno uomo un goti o zolla di terra come simbolo di possesso; lui raccoglie l'affitto, lo paga al proprietario, e in breve maneggia tutte le questioni pecuniarie connesse con la terra. Lui è nominato dal proprietario del villaggio, e riceve un pawa di terra del rajha in uso gratuito a titolo di jagir o compenso. Ma l'ufficio non è né ereditario né permanente, e il mahato è responsabile per essere congedato a discrezione del padrone di casa. Il licenziamento, comunque, è insolito, e il mahato spesso è sostituito da suo figlio.

Quando il mahato raccoglie gli affitti, lui riceve quasi sempre una tassa, chiamata batta di mezzo anna da ciascuno coltivatore, o di un anna per ogni casa nel villaggio. In un villaggio la batta ammonta a quattro anna e mezzo per ogni pawa di terra. Di quando in quando, dove non c'è nessun bhandari o agente per il proprietario, il mahato ottiene tre fasci (il karais) di grano nella paglia, contenenti da dieci a venti sers ciascuno, a ogni raccolto. Così durante l'anno lui riceve tre fasci di gondli dal raccolto invernale, e lo stesso ammontare dal gora o il primo riso, e don o riso tardivo. Nei villaggi khalsa che sono sotto la gestione diretta del Maharaja, in aggiunta al suo jagir ufficiale, riceve un singolo pawa di terra, chiamato kharcha o rozina kket, dal provento del quale si aspetta che sostenga le spese inerenti alla raccolta dei fitti. Le funzioni del mahato sono mostrate in dettaglio nell'estratto seguente del Rapporto di Davidson del 1839: "Nel giorno indicato, il thikadar o coltivatore va all' akra o luogo di riunione del villaggio, dove si incontra con il mahato, pahn, bhandari e con i rayats che vogliono essere presenti. Lui procede, in accordo alla dettatura del mahato, a tener conto della coltura dei diversi rayats diverso, stabilendo il numero di pawas tenute e l'affitto pagato da ognuno. Fornito questo conto, qualsiasi rayats nuovo che può desiderare di avere terre nel villaggio dopo avere avuto quantità e affitto stabiliti, da a loro un goti. Se qualche vecchio rayats richiede qualsiasi terra nuova, si paga un goti, ma non si paga per la vecchia coltura.

Il mahato raccoglie l'affitto delle rate dovute, secondo il conto summenzionato dato al coltivatore; e tutte le dispute sull'ammontare dell'affitto, sono compito del mahato. Ma questo avviene assai di rado. Quando un proprietario desidera di ingannare un rayat, l'accusa di aver coltivato più terra di quella a cui è intitolato o di dovergli maswar per la terra tenuta in eccedenza; e in questi casi la disputa arriva al mahato il cui parere è vincolante per entrambe le parti."

(3) PAHN.--L'importanza del pahn, o prete del villaggio, si può definire dalla frase corrente nella quale i suoi doveri sono contrapposti a quelli del mahato. Il pahn, è detto, "fa il villaggio": (gaon banata), mentre il mahato solamente "lo amministra" (gaon chalata). Lui deve essere un bhuinhar, in quanto soltanto un discendente dei primi coloni nel villaggio può sapere come propiziare i dei locali. Lui sempre è scelto da una famiglia; ma il pahn attuale è cambiato a intervalli da tre a cinque anni dalla cerimonia del sup o, vaglio che è usato come un oggetto divinatorio, e portato di casa in casa dai ragazzi del villaggio. Il bhuinhar nella cui casa il sup si ferma è eletto pahn. Alla morte di un pahn, molto spesso ma non sempre, il suo posto è preso da suo figlio. Terre in uso gratuito, connesse alla funzione del pahn sono note con i nomi seguenti:

(a) Pahn, il jagir personale per il servizio del prete, generalmente un pawa di terra.

(b) Dalikatari per cui il pahn deve fare offerte a Jahir Burhi, la dea del villaggio. È chiamato dailkatari, in quanto è supposto di sostenere le spese della festa di Karm, quando un ramo (il dali) dell'albero del karma è tagliato e piantato nei campi.

(c) Desauli, un genere di bhutkheta o l'acro di diavolo, la cui produzione è dedicata a una festa triennale e grande in onore di Desauli, la divinità del boschetto. Questa terra o è coltivata dal pahn stesso, o da raiyats che paga un affitto.

(d) Panbhara e tahalu sono probabilmente lo stesso. Terre tenute sotto questi nomi sono coltivate dal pahn lui o da suoi congiunti; e chiunque li ha, è tenuto ad approvvigionare l'acqua nelle varie feste.

(4) BHANDARI.--Il bhandari o balivo è l'agente del padrone della terra per la gestione del villaggio. Lui di solito è un indù, e rappresenta il punto di vista del padrone come il pahn è il portavoce dei bhuinhars o coloni originali. Lui generalmente tiene un pawa in uso gratuito dal proprietario, ricevendo anche dai raiyat tre karais o covoni di ciascuno raccolto come è tagliato--uno di gondli, uno di primo riso e uno di riso bagnato. Invece della terra, lui qualche volta ottiene Rs. 3 o Rs. 4 in ognuno, con 12 kats o 412 cwt. di risone.

(5) GORAIT.--Il gorait è, infatti, il chaukidar o sorvegliante del villaggio. Lui comunica gli ordini del proprietario ai raiyats, li accompagna dal mahato per il pagamento degli affitti, e seleziona gli operai quando richiesti per scopi pubblici. Di solito non gli viene concessa terra, ma riceve i tre soliti karats o covoni da ogni coltivatore.

(6) AHIR o GOALA.--il dovere dell' ahir è quello di guardare il bestiame bovino del villaggio, e tener conto di quello rubato. Lui è rimunerato da un pagamento di uno kat di risone per ogni coppia di buoi posseduta dai coltivatori di cui si occupa. Lui ottiene anche i tre karais o covoni al tempo del raccolto, inoltre un sup o vaglio pieno di riso. Se si occupa anche delle vacche, è suo il loro latta, a giorni alterni. Nel mese di Aghan (Dicembre) lui porta cinque sers di latte ai coltivatori, ricevendo in cambio un pakhira o 20 sers di risone. Lui sempre paga l' abwa b conosciuto come dadani ghi, e in alcuni villaggi deve dare anche il baithawan ghi. In qualche caso gli viene concesso l'uso gratuito di mezzo pawa di terra.

(7) LOHAR.-- Il lohar o fabbro ferraio ottiene uno kat di risone e i tre karais per ogni aratura nel villaggio, e è pagato anche due a tre annas per ogni nuovo phar o aratura. In qualche caso gli viene concesso l'uso gratuito di mezzo pawa di terra. Il kotwal o conestabile e il chaukidar o sorvegliante non appartengono al sistema originario del villaggio Munda, e non è necessario menzionarli qui.

Nella Divisione Fiscale di Tori la maggioranza degli abitanti appartiene alla sottotribù di Kharwar di Bhogtas, e il sistema del villaggio differisce da quello dell'altopiano centrale. Qui il pahn è l'unico ufficiale che tiene il servizio della terra del servizio, e lui ottiene metà patti, o non completamente due standard bighas. Lui compie le pujas del villaggio, e spesso svolge i compiti del mahato, quando questo non c'è. Ma talvolta il padrone assume un balivo, chiamato barhil, per raccogliere gli affitti. Nel tratto noto come i Cinque Parganas: Tamar, Bundu, Silli, Rahe, e Baranda così come nel Mankipatti, o quella parte di Pargana di Sonpur che delimita il distretto di Singbhum, incontriamo i mankis e mundas che sono indubbiamente i discendenti dei capi originali, e ancora oggi sono nei villaggi fondati dai loro antenati.

Qui le divisioni del parha esistono nella loro interezza, come gruppi da dodici a ventiquattro villaggi ognuno dei quali ha il suo proprio munda o capo villaggio; mentre l'intera comunità è soggetta ad un capo divisionale chiamato manki, che raccoglie gli affitti fissi pagabili dal mundas. L'ufficiale del villaggio principale è il pahn che tiene da uno a cinque kats di terra analoghi, se non identici al khandi dei Kolhan nel Singbhum, e denota la quantità di terra che può essere seminata con un kat di semenza. In questa parte del paese il munda qualche volta ha un assistente chiamato diwan che lo aiuta a raccogliere i suoi affitti, e si trovano solo occasionalmente i bhandaris.


Mundâ.

Circa un quinto della popolazione totale dell' India parla lingue che appartengono alle famiglie Munda e dravidiche . Queste forme di discorso sono state chiamate dagli antropologi le lingue della razza dravidica. Se noi escludiamo i distretti nord-orientali da considerazione, si può dire che la popolazione della penisola indiana rappresenti due tipi antropologici distinti: l'Ariano e il Dravidico. Il secondo è stato descritto come segue da Risley: "Nel tipo dravidico la forma della testa di solito è incline ad essere dolicocefala, ma tutti gli altri caratteri sono differenti da quello ariano. Il naso è spesso e largo, e la formula che esprime le sue dimensioni proporzionate è più alta di qualsiasi razza nota, eccettuati i Negri. L'angolo facciale è comparatamente piccolo; la faccia larga e carnosa; l'aspetto comune ed irregolare. La statura media varia in gran parte delle tribù da 156.2 a 162.1 centimetri; la figura è accosciata, e le membra robuste. Il colore della pelle varia da un marrone scuro ad uno prossimo al nero. Il Dravidico tipico ha un naso largo in proporzione alla sua lunghezza come il Negro. "I capelli sono ricci, e in questo rispetto i Dravidici differiscono dagli australiani, con cui invece hanno molte altre caratteristiche in comune.


Distribuzione della razza.

La razza dravidica non si trova al di fuori del subcontinente indiano. Già è stato notato che gli australiani condividono molte delle caratteristiche dei Dravidici, ma malgrado ciò, gli antropologi li considerano come una razza distinta. Le varie tribù di Món-Khmér e i Sakeis di Malacca si confanno coi Dravidici nell'avere una testa dolicocefala, un colore scuro della pelle e capelli ricci. Loro non sono, comunque, considerati identici. Gli archeologi sono dell' opinione che i vari attrezzi della pietra trovati da Chota Nagpur ad ovest sino alla penisola di Malayan ad est spesso sono così simili da apparire come fabbricati da una stessa razza. Anche molti costumi ed altre coincidenze ha destato notevole attenzione. Sarà menzionato più tardi su quali ragioni filologiche può essere sostenuta la supposizione di un substrato comune nella popolazione di parti diverse dell' India e di altri luoghi, ma allo stato attuale non possiamo decidere se la razza dravidica è discesa direttamente da quel substrato. Si considera comunemente che la razza sia quella degli aborigeni indiani, o almeno dell' India meridionale. I vari gruppi nei quale l'antropologia divide gli uomini non sono in nessun luogo puri e non mescolati. Anche tra gli stessi Dravidici ci sono grandi differenze nella forma del cranio, la forma del naso, il colore della pelle e così via. Sembra perciò necessario concludere che, nel corso dei millenni, numerosi interscambi razziali abbiano avuto luogo.


Lingua.

La probabilità di tale conclusione viene anche da una considerazione delle lingue parlate dai Dravidici. Secondo il filologo tedesco e eminente etnologo Friedrich Müller, essi sono i dialetti di Mundâ, il Singhalese, e le lingue proprie dravidiche. La classificazione di Müller delle lingue del mondo è basata su principi che differiscono estesamente da quegli adottati dai primi studiosi, e sarà necessario dare un breve chiarimento sui suoi metodi per spiegare il fatto che molte lingue di origine diversa sono, nel suo sistema, classificate appartenenti allo stesso gruppo.

Secondo Müller, gli uomini hanno potuto sviluppare una vera lingua soltanto dopo essersi divisi in varie razze, e le varie lingue in uso attuale devono essere dedotte perciò dalle diverse basi razziali. Sembra anche necessario assumere che la razza individuale si sia spesso divisa in sottorazze prima di poter realizzare un proprio linguaggio. Tutte le lingue di una stessa razza non sono, perciò, necessariamente dedotte dallo stesso originale. Fra le lingue dravidiche il Singhalese occupa una posizione a sé stante e non appare avere a che fare col resto. È un dialetto ariano ed è stato portato a Ceylon dall' India in un periodo molto antico. Vi sembrano essere tracce di un substrato non-ariano, sotto la sovrastruttura ariana ma noi non siamo ancora in posizione per giudicare con certezza la natura di questo substrato. Riguardo alle lingue restanti della razza si hanno diverse opinioni, alcuni studiosi che pensano possibile dedurre il Mundâ e Dravidico dallo stesso originale, e altri che sono invece completamente differenti. La seconda opinione sembra essere tenuta comunemente in considerazione dagli studiosi europei.

Il Rev. F. Hahn, d'altra parte, nella sua Grammatica Kurukh, Calcutta 1900, pp. 98 e ss. , sostiene che ci sono forti elementi dravidici nella grammatica Mundari. Mundari è una lingua tipica dei Munda, e ciò porta al suggerimento di un connessione tra le lingue Mundâ e Dravidiche e fra tutte le lingue principali della razza dravidica. Questa teoria è a priori molto probabile. Un esame delle argomentazioni di Mr. Hahn ci mostra invece che non può essere seguita. Lui comincia dando un elenco di parole che sono comuni al munda Mundari e al dravidico Kurukh. Non da molta importanza a tali casi di coincidenza nel vocabolario, e così via. In primo luogo, il Kurukh ha preso in prestito molto dal Mundari, e ci si doveva aspettare di avere molte parole comuni alle due famiglie.

Anche se noi assumiamo che i Dravidici consistono di due famiglie originalmente differenti, i Mundâs e i Dravidici, esse si sono formate o meglio si sono sviluppate con un mescolamento delle due razze. Il risultato di tale mistura deve essere inevitabilmente che le lingue di entrambe le razze hanno una reciproca influenza. Inoltre, la lista pubblicata da Mr. Hahn contiene molte parole prese dall' Ariano e anche parole in cui l'analogia è solamente apparente. Si paragoni il Mundari engâ , madre ma ing-yó in kurukh, mia madre, nel quale ing vuole dire ' mio. '. Tralascio perciò la corrispondenza asserita nel vocabolario. Sembra a me che un paragone completo del vocabolario Mundâ e Dravidico mostrerà che l'elemento comune è senza importanza. Mr. Hahn menziona anche dei punti dove lui trova una corrispondenza tra le grammatiche Mundâ e Dravidica. Sarà necessario estendere l'investigazione anche alle altre caratteristiche per mostrare la vera relazione che esiste tra le due famiglie e soltanto allora gli argomenti di Hahn possono essere collocati nel giusto posto.


Fonologia.

La caratteristica più particolare della fonologia Mundâ è l'esistenza delle così dette semiconsonanti. Non c'è nulla di equivalente nelle lingue dravidiche. L'interscambio tra consonanti dolci e dure del linguaggio dravidico non è d'altra parte una caratteristica della forma di discorso Munda.


Formazione di parole.

Sia la lingua Munda che dravidica fanno uso di suffissi. Lo stesso avviene comunque in tutte le lingue indiane e in molte altre ed è, inoltre, possibile o anche probabile che l'uso di suffissi Munda è estesamente dovuto all'influenza di forme linguistiche dravidiche o ariane. Le lingue dravidiche non hanno comunque niente che corrisponda agli infissi Munda.


Nomi.

I nomi dravidici sono di due generi, quelli che denotano esseri razionali, e quelli che denotano esseri irrazionali, rispettivamente. Le due classi differiscono nella formazione del plurale, e anche in altri rispetti. Per i Munda ciò è piuttosto diverso. Qui noi troviamo la differenza tra nomi animati e inanimati, completamente un altro principio di classificazione, che pervade l'intero sistema grammaticale. Le due classi, inoltre, costruiscono il loro plurale nello stesso modo. Inoltre le lingue dravidiche spesso hanno forme diverse per madre , che è una parola molto comune in molte lingue.

In Santâli assume la forma di ayó. Molti altri termini sono anche relazionati, come ad esempio "stanza dei bambini" ma senz'altro non possono queste essere le prove di una relazione tra le due lingue. Si ha il maschile e femminile singolare di nomi che denotano esseri razionali, mentre per i Munda non vi è alcuna differenza. La formazione di casi è piuttosto diversa nelle due famiglie. Le lingue dravidiche hanno un dativo e un accusativo regolari, mentre i casi dell'oggetto diretto e indiretto sono incorporati nel verbo nella lingua Munda. Il suffissoche è usato per denotare l'oggetto diretto e indiretto in alcuni dialetti Mundari, è un elemento estraneo. In base a questi fatti il paragone del suffisso ablativo Kurukh con il Mundari che non è un vero suffisso ablativo, è di nessuno uso, anche se il Kurukh ti nti, dovrebbe essere la prova di un'origine differente dal Tamil inru, dal Kanarese inda, dal Tulu edd. In connessione a quanto sopra dovrebbe anche essere notato che le lingue Munda non hanno niente di corrispondente alla base obliqua dravidica.


Aggettivi.

Gli aggettivi sono dello stesso genere nelle due famiglie. Lo stesso è, comunque, il caso in pressoché tutte lingue agglutinative.


Numerali.

Nessuna connessione si può rintracciare tra i numerali munda e dravidici. Inoltre i principi che portano alla formazione dei numeri più grandi sono diversi nelle due famiglie. I Dravidici hanno base dieci, i Munda base venti.


Pronomi.

Il pronome iñ, ing, Io, è stato comparato da Hahn con l' én Kurukh, eng obliquo. Sarà comunque, stato mostrato nell'introduzione alla famiglia dravidica che la base della parola dravidica per ' Io ' è probabilmente é, mentre la parte essenziale del pronome Munda è ñ o n. Hahn commenta anche che le due famiglie hanno forme diverse per il plurale del pronome personale della prima persona secondo se la parte interessata sia inclusa o no. Sarà indicato nell'introduzione alla famiglia dravidica che è molto discutibile se questa sia originalmente una caratteristica della lingua dravidica. Inoltre l'uso di due forme diverse per ' noi ' esiste anche in altre famiglie che nulla hanno a che fare con Munda e Dravidiani, ad esempio nelle lingue dei Nuba, le lingue di Algonquin, ecc. Hahn paragona anche il Kurukh ékâ, ' chi? ' con oko, Mundari. Ma la base di é-kâ è é o í, come è mostrato chiaramente dalle altre lingue dravidiche. Nessuna conclusione può essere dedotta dall'assenza di un pronome relativo nelle due famiglie. Lo stesso si ha in numerose lingue in tutto sul mondo.


Verbi.

Ogni traccia di analogia tra il Munda e famiglie dravidiche scompare quando noi procediamo coi verbi. Hahn paragona alcuni suffissi in Kurukh e Mundari. Non è necessario mostrare in dettaglio che i suoi paragoni non superano questo esame. Mostrerò solo un esempio tipico. Lui paragona il suffisso Mundari jan del semplice tempo verbale passato passivo che corrisponde a en di Santâlí, con il Kurukh jan che è la terminazione della prima persona singolare femminile dei verbi con finale in n. Il j del tempo verbale di Kurukh è ammorbidito da ch, come è mostrato chiaramente da dialetti collegati. Il j del Mundari jan, è dedotto d'altra parte da y in yan = en in Santâlí. Il finale n di jan in Kurukh è la terminazione personale della prima persona singolare, e è lasciato cadere nelle altre persone; n di jan in Mundari indica il passivo e vale per tutte le persone.

I restanti paragoni di Hahn sono dello stesso genere e possono essere tralasciati. D'altronde il sistema delle coniugazioni è piuttosto diverso tra le due lingue. Il sistema dravidico è molto semplice, comprendendo soltanto due o tre tempi verbali; in Munda il verbo è una forma indefinita che può essere usata a volontà come un nome, un aggettivo o come un verbo. La maggiore caratteristica del verbo Munda, la categorica a e l'incorporazione dell'oggetto diretto ed indiretto nel verbo, è in discordia assoluta con principi della lingua dravidica. Le lingue Munda non possiedono inoltre, a differenza di quelle dravidiche, la congiunzione negativa. Non è necessario andare più in dettaglio. Le due famiglie sono d'accordo solamente in alcuni punti come è comune a più lingue agglutinative, e non esiste ragione filologica per derivarle dallo stesso originale.


Storia.

D'altra parte Munda e Dravidici appartengono alla stessa radice etnica. È stato già notato che il tipo fisico non è uniforme dappertutto. Ne deriviamo che la razza dravidica è una razza mescolata e consiste di più elementi, i fatti filologici mostrano che i componenti principali della razza attuale sono i Munda ed i Dravidici. I Munda si trovano dappertutto nelle colline e giungle, in quei posti in cui ci aspetteremmo ragionevolmente trovare i resti di razze aborigene. Noi non possiamo, comunque, sapere se i dialetti parlati al giorno presente sono dedotti dalla lingua di quegli aborigeni, e non vi sono inoltre tracce del loro stabilirsi nel sud.

Riguardo ai Dravidici alcuni credono che loro arrivarono in India dal sud, mentre altri suppongono che siano venuti dal nord-ovest dove una lingua dravidica ancora è parlata dai Brâhîís del Baluchistan. I Brâhîís non appartengono alla razza, ma sono antropologicamente Eraniani, e cioè si sono uniti alla razza dei loro vicini. È possibile che lo stesso sia il caso con le tribù dravidiche del sud dalle quali loro vennero, ma l'antropologia ci dice solamente che la razza dravidica comprende i Mundâs e i Dravidici, e noi non abbiamo informazioni per mostrare che i Dravidici non siano gli abitanti aborigeni del sud. La filologia non ci dice molto circa la domanda. Sarà mostrato successivamente che le lingue Munda si confanno in molti punti con varie lingue dell' India, della penisola di Malacca, e il Nicobars e che ci devono essere delle connessioni tra esse.

Le lingue dravidiche, al contrario, formano un gruppo isolato e non ci sono tracce di forme collegate nei paesi circostanti. I filologi comparativi sono d'accordo che le lingue Munda, Khassi, Món-Khmér, Nancowry, e le lingue delle popolazioni aborigene della penisola della Malacca contengono un substrato comune che non può essere niente altro che la lingua di una vecchia razza esistente un tempo in tutti quei paesi. Nessuna traccia di quanto sopra esiste per il linguaggio dravidico, e da un punto di vista filologico, sembra perciò probabile che le lingue dravidiche siano dedotte da una popolazione dravidica aborigena dell' India meridionale, mentre la razza dravidica in un tempo remoto ha ricevuto una mistura di tribù che appartengono allo stesso ceppo come i Món-Khmérs delle regioni più lontane dell' India. La questione dell'origine e la vecchia distribuzione della razza dravidica non può, comunque, essere risolta dal filologo. È un soggetto che appartiene propriamente al dominio dell' antropologia.

La denominazione della razza è quella data da antropologi, e dal punto di vista del filologo è disadatto come, se non più del nome Ariano che è usato da alcuni per denotare l'antico popolo la cui lingua è l'origine delle varie lingue Indoeuropee. Per il nostro scopo presente è sufficiente aver mostrato che le lingue Munda e Dravidica non sono connesse ma formano due famiglie piuttosto indipendenti. Saranno descritte in conseguenza come tali, e ora procedo a dare un conto più particolareggiato della famiglia di Munda.


Famiglia dei MUNDA

Introduzione: La famiglia MUNDA è la meno numerosa delle quattro famiglie linguistiche che dividono fra loro la massa della popolazione di India e conta circa tre milioni.


Nome della famiglia.

La famiglia di MUNDA è stata indicata con vari nomi. Hodgson classificò le lingue in domanda sotto il gruppo Tamuliano. Hó, Santâlí, Bhumij, Kurukh, e Mundari sono, secondo lui, ' dialetti della grande lingua Kol ' La parola Kol o Kolh è un titolo applicato da Hindus a Hós, Mundari, e Orâôs, e qualche volta anche ad altre tribù della base Munda. kâlhâ è una parola corrispondente usata sai Santals per denotare una tribù di fonditori del ferro nei Sonthal Parganas e vicinanze. È connesso probabilmente con nomi della casta come Kólí, ma noi non conosciamo il significato originale della parola. Kóla è anche il nome di una casta di guerriero nel Harivamsa. La parola in Sanskrit vuole dire anche ' maiale ' e alcuni pensano che sia stata usata dagli Ariani come termine dispregiativo per denotare le tribù aborigene.

Secondo altri ' Kol ' è la stessa parola come hâr , uomo, in Santâlí. Questa parola è usata sotto varie forme come Hâr hârâ hó e kóró da più tribù Munda per denotare loro stessi. Il cambio di r a l è familiarizzato e non dà alcuna difficoltà. È anche possibile che gli Ariani che sentirono la parola hâr o kór la confusero con la loro kóla, maiale. La forma santali kâlhâ deve in questo caso essere stata presa in prestito dagli Ariani. Il nome Kol ha lo svantaggio che non si usa in India per denotare tutte le varie tribù della famiglia Munda. D'altronde è applicato anche agli Orâôs che parlano un dialetto dravidico. È perciò adatto a trarre in errore. Come già è stato notato, Hodgson usò il nome per denotare Hó, Santâlí, Bhumij, Kurukh, e Mundari. Lui fu seguito da Logan che, comunque, escluse il Kurukh. Logan seguì anche Hodgson nella considerazione delle lingue Munda come un gruppo di lingue dravidiche che lui chiamò dravidiche del nord. Lui e Hodgson di conseguenza partirono dall'ipotesi non corretta che le due lingue partirono dallo stesso originale.

Il defunto Prof. Max Müller fu il primo a distinguere tra i Munda e le famiglie dravidiche. Lui dice: "Posso vedere davvero molte coincidenze tra parole Uraon, Rajmahali, e Gondi da uno lato, e Sinhbhum (i.e .Hó), Sontal, Bhumij e Mundala dall'altro, ma nessuna tra queste due classi. Io, perciò, suppongo che nei dialetti delle ultime quattro tribù, noi abbiamo tracce di una lingua parlata in India prima della conquista di Tamulian. La razza in cui questi dialetti sono usati si è potuta unire nel Tamulic in luoghi dove entrambe vivono insieme da tempo. Entrambe sono, perciò, promiscuamente chiamate Kol. Ma storicamente e fisiologicamente c'è evidenza sufficiente per mostrare che due razze diverse, il Tamulic e una precedente entrarono in contatto in queste regioni, da cui poi fuggirono prima della nuova civilizzazione. Queste persone chiamarono loro stessi ' Munda' che, come un vecchio nome etnico ho adottato per l'appellativo comune della designazione degli aborigeni Koles.

La designazione della famiglia come "Famiglia Munda" è dovuta a Max Müller, ed è quella che useremo in questo lavoro, anche perché gli altri nomi che sono stati proposti sono questionabili per altre ragioni. Non è, comunque, una denominazione molto appropriata. La parola Munda è usato dagli stranieri per designare i Mundas del distretto di Ranchi e quindi soltanto una sezione della intera razza. In Mundari denota il capo del villaggio e è usato anche come una designazione di onorificenza di proprietari terrieri, come Mâñjhíin in Santâlí. Munda si applica perciò propriamente solamente a quella sezione della tribù che parla la lingua Mundari, e il suo uso come designazione comune della famiglia intera è solamente convenzionale.

La denominazione Munda fu anche soggetta a critiche. George Campbell nel 1866 propose di chiamare la famiglia Kolariana. Lui era dell'opinione che Kol aveva una forma più vecchia Kolar che lui pensò essere identico con kallar, ladri in Kanarese. Non esistono fondamenti per questa supposizione. Inoltre, il nome Kolarian è fuorviante in quanto porta a suggerire un connessione con gli ariani, connessione che non esiste. Il nome Kolarian comunque, a dispetto di tali svantaggi è stato usato molto estesamente. Skrefsrud e successivamente il Prof. Thomsen di Copenhagen, ha portato un nome nuovo nel campo. Kherwarian o Kharwarian. Kherwâr di Kharwâr è secondo la tradizione Santâl, il nome dato alla vecchia tribù dalla quale Santâls, Hós, Mundas, Bhumij, e così via sono discesi. Finora come posso vedere include la massa della famiglia, e ha vantaggi considerevoli in paragone agli altri termini. Non è, comunque, privo da obiezioni. Non vi sono indicazioni della tribù meridionale e occidentale, come Khariâ, Juâng, Savara, Gadabâ, e Kurku mai incluse nella tribù di Kherwâr, e sembra irragionevole sostituire un nome incorretto c un altro meno incorretto, è vero, ma ancora non adatto. Il nome Kherwârí i questo lavoro è stato riservato alla lingua principale Munda che esiste in molti dialetti come Santâlí, Mundari, Hó e così via. Se noi dovessimo coniare un termine nuovo per la famiglia, l'analogia della denominazione dravidica suggerirebbe di adottare un nome sanskrito. In Sanskrit il nome comune per gli aborigeni di MUNDA sembra essere Nishâda. I Nishâdas sono identificati col Bhillas. Loro si trovano nel sud-est di Madhyadésa e nella zona di Vindhya. Il loro paese comincia dove il fiume Sarasvatí scompare nelle sabbie. In altre parole i Nishâdas vissero nel deserto e nelle colline al sud e est della parte presa dagli Ariani, cioè in distretti dove noi ora troviamo tribù Munda dei loro discendenti. Se noi dovessimo proporre un nome nuovo per la famiglia ciò porterebbe ulteriore confusione, e la denominazione di Max Müller quando chiarì che le due lingue formavano un gruppo distinto, sarà usata in queste pagine.


Area in cui vengono parlate le lingue Munda

L' area principale è l'Altopiano di Chota Nagpur. Ma si trovano anche nei distretti adiacenti di Madras e nelle Province Centrali, e nelle Colline di Mahadeo. Si trovano pressoché dappertutto nelle colline e giungle, mentre pianure e valli sono abitate da persone che parlano della lingue di origine ariana. La razza Munda è molto più estesa delle lingue Munda. Già è stato notato qualcosa di identico con la razza Dravidica che forma la maggior parte della popolazione dell' India Meridionale, e che ha anche grandemente contribuito alla formazione della popolazione attuale del Nord. Ora è in più casi impossibile decidere se una tribù individuale ha usato originalmente un linguaggio Munda oppure Dravidico, in quanto i due gruppi razziali sono stati uniti in un periodo precedente.

Un dialetto, il Nahâlí preserva ancora tracce di un'influenza molteplice. Appare essere stato originalmente Munda, ma ha subito successivamente l'influenza di lingue dravidiche. Il risultato è un dialetto mescolato che è stato successivamente influenzato dalle lingue ariane a cui probabilmente soccomberà. Lo stesso sviluppo è successo probabilmente in molti altri casi. Le numerose tribù dei Bhíl occupano un territorio simile a quello abitato dai Mundas. I loro vari dialetti mostrano delle tracce di influenza dravidica, e sembra ammissibile dedurre che questo è il risultato dello stesso sviluppo del dialetto Nahâlí. È anche probabile che le tribù che parlano i vari dialetti in India Occidentale, come il Kólí e così avanti, ha usato originalmente una forma di linguaggio Munda. Non è, comunque, arrivare ad una conclusione. Vi sono d'altra parte molte tribù arianizzate in India Settentrionale che hanno parlato certamente una volta il dialetto Munda.

Così è i Cheros in Behar e Chota Nagpur, i Kherwârs e i Savaras che si sono estesi a nord fino a Shahabad e Râjbansis. Tracce di vecchi elementi Munda sono incontrate anche fra molti dialetti burma-tibetani dell'Himalaya. In ogni caso le lingue si dovute una volta parlare in una vasta area dell' India Centrale, e probabilmente anche nella valle di Gange. Queste lingue furono poi sostituite da forme di linguaggio dravidiche ed ariane e restano oggi solamente nelle colline e giungle del Bengala e nelle Province Centrali.


Elementi Munda nelle lingue dravidiche ed ariane

Non è più possibile decidere fino a qual punto le lingue Munda hanno potuto influenzare le altre famiglie linguistiche di India. La nostra conoscenza su di loro si basa soltanto sugli ultimi due secoli. Noteremo alcuni fatti nell'introduzione alla famiglia dravidica che apparentemente ha nella sua grammatica elementi Munda. La questione intera è, comunque, oltre il limite delle nostre osservazioni, in quanto detta influenza è avvenuta in un periodo molto precedente alle nostre osservazioni. Nel caso delle lingue ariane, l'influenza Munda è evidentemente senza importanza. Il Prof. Thomsen è di opinione che tale influenza ha giocato un ruolo nel creare il principio, regolando l'inflessione dei nomi in vernacoli indo-ariani.

È, comunque, più probabile che sono state le lingue dravidiche quelle che hanno cambiato la grammatica della lingua ariana in tali caratteristiche, e che la famiglia Munda ha così, al massimo, esercitò solamente un'influenza indiretta attraverso la lingua dravidica. C'è, comunque, un esempio in cui i principi della lingua Munda appaiono avere pervaso la lingua ariana, nella congiunzione dei verbi dei Bihârí. Anche se le forme diverse denotavano un soggetto o oggetto onorifico o non onorifico e il cambio curioso del verbo con un pronome della seconda persona singolare può essere spiegato da forme ariane, l'intero principio di indicare l'oggetto è assolutamente non-ariano, ma è d'accordo completamente con la grammatica Munda. L'esistenza di una cosa simile in Kâsmírí e in Shínâ deve, chiaramente, essere spiegato in un modo diverso.


Relazione con altre lingue

È stato già spiegato che Mundas e Dravidici sono considerati dagli antropologi appartenere alla stessa razza, ma che le loro lingue non sono connesse. In India i dialetti Munda formano un gruppo filologico isolato. Nelle più remote regioni indiane e nelle isole Nicobar, troviamo d'altra parte una lunga serie di dialetti che in molti punti importanti si confanno con le lingue Munda tanto che sembra necessario desumere una connessione. Queste lingue includono la famiglia detta Món-Khmér, i dialetti parlati dagli abitanti aborigeni della Penisola della Malacca e Nicobarese.


Famiglia Món-Khmér

Comprende molte lingue e dialetti, e alcuni di loro differiscono notevolmente dagli altri. Questo è per esempio il caso dell' Anamese che è considerato da alcuni non essere un membro della famiglia. Si è dovuto ramificare in un tempo molto antico e ha dovuto più tardi subire l'influenza del cinese. Similmente il dialetto di Cham del vecchio Regno di Champa è stato influenzato grandemente dal Malese, da cui ha preso in prestito anche i numerali. Ci sono così comunque, molti punti di analogia tra tutti i dialetti che devono quindi essere classificati insieme come una famiglia, a dispetto di quanto sopra.

I dialetti Món-Khmér erano a lungo stati considerati come connessi alle lingue sino-tibetane. Il Prof. Kuhn, comunque, ha mostrato che loro formano una famiglia separata, e quelle forme collegate di discorso sono trovate fra le lingue polisillabiche di varie regioni dell'India. Anche antropologicamente gli oratori di dialetti Món-Khmér differiscono dal cinese. La parola Món è stata a lungo paragonata con Munda, e nessuno ora dubita che esiste una connessione tra Món-Khmér e Munda.

È stato già osservato che Munda è una parola ariana e non può perciò aver niente a che fare con ' Món ' ma questo non contraddice la nostra tesi. Pater W. Schmidt mi ha informato che una forma più vecchia di Món è Man. Il primo a far notare una connessione tra le lingue Munda e Mon-Khmer è stato Logan nella sua serie di articoli Ethnology of the Indo-Pacific Islands, nel Journal of the Indian Archipelago. Lui fu seguito da F. Mason, in un lavoro sulla lingua di Talaing nel quarto volume del Journal of the American Oriental Society. Mason tentò di mostrare che molte parole Món corrispondevano a altre in uso in Kolh (Mundari), Góndí, Kurukh, e Malto; ma i suoi paragoni non sono convincenti. L'elenco delle sue parole, comunque, fu ristampato nel The British Burma Gazetteer ed anche nel diciassettesimo volume della francese Revue de linguistique (pp. 167 and ss.) Le tavole comparate di numerali e pronomi pubblicate da Max Müller nella sua lettera sulla classificazione di lingue di Turanian furono usate dal Prof. W. Schott per un paragone dei numerali e pronomi in Mundari e Anamese. Sir A. Phayre seguì il Dr. Mason, e lui fondò anche la sua teoria confermata anche dalla somiglianza tra le costruzioni in pietra, i monoliti celti, trovati in Pegu e in Chota Nagpur. Altri ricercatori come Haswell e Forbes non furono però d'accordo su questa teoria. Forbes pensò che poteva esserci stato un rapporto, ma nessuna affinità razziale, tra Móns and Mundas. Un dettagliato esame sulla corrispondenza tra i vocabolari Món-Khmér e Munda fu fornito dal Prof. E. Kuhn che dice: "Ci sono punti chiari di connessione tra la nostra famiglia monosillabica Khasi-Món-Khmér e le lingue di Kolh, Nancowry, e i dialetti degli aborigeni di Malacca. Sarebbe avventato però dedurre da questo fatto che essa ha la stessa origine di molte lingue polisillabiche. Sembra, comunque, certo che c'è in una porzione considerevole della popolazione indiana un substrato in cui si sono inseriti strati successivi, ma che, ciononostante, ha trattenuto notevoli tracce". La relazione che esiste tra le lingue Món-Khmér e i dialetti parlati dalle tribù selvatiche della penisola malese è stata poi trattata separatamente da Pater W.Schmidt. Il risultato dei suoi studi molto accurati e particolareggiati in quei dialetti, chiamati Sakei e Semang, è conclusivo nel dimostrare la loro appartenenza alla famiglia Món-Khmér.


Mundari

Mundari è il dialetto parlato dalla tribù che chiama sé stessa hârâ-kó o ' gli uomini. ' Il numero di oratori è circa mezzo milione.


Nome della Lingua.

Mundari letteralmente significa la lingua del Mundas. Risley dice "il nome Mundâ è di origine sanskrita. Vuole dire capo di un villaggio, e è una designazione titolare o funzionale usata dai membri della tribù, così come un nome distintivo nello stesso modo in cui i Santals chiamano loro stessi Mâñjhí, il Bhumij Sardâr, e il Khambu delle colline del Darjiling Jimdâr."


Area in cui è parlato.

Il territorio principale dei Mundas è la porzione meridionale e occidentale di Distretto di Ranchi. Il linguaggio è inoltre presente in Palamau e a sud-est di Hazaribagh. Verso il sud noi troviamo Mundari parlato in zone vicine in cui vien parlato l' Hó nel nord di Singbhum. Si trova inoltre distribuito a Chota Nagpur, specialmente in Bonai e Sarguja e a sud-ovest, in Bamra e Sambalpur e distretti vicini delle Province Centrali. Emigranti hanno portato il dialetto a Jalpaiguri, Dinajpur, Rajshahi, i 24-Parganas, e gli altri distretti del Bengala e nelle coltivazioni di the in Assam. I Mundas di Ranchi asseriscono che loro sono venuti dal nord-est.


Dialetti.

Il sottodialetto Mundari può essere paragonato al Santâlí. La differenza sarà trovata principalmente nel vocabolario preso in prestito da vicini ariani, e nelle modifiche grammaticali anche importate dall'ariano. Il Mundari più idiomatico è parlato in Mankipatti, un tratto di terra al sud-est della città di Ranchi, comprendendo Tamar e una parte di Singbhum. Il Mundari di Palamau è quasi identico. In Hazaribagh e in Sambalpur e Bamra il dialetto è stato influenzato dall'Ariano ma nei punti essenziali non si discosta troppo dal Mundari di Ranchi e Palamau. Lo stesso è il caso nel Stato di Patna. Nel Stato di Sonpur i Mundas si trovano in villaggi che delimitano le giungle. Sono venuti originalmente da Chota Nagpur e hanno dovuto parlare precedentemente lo stesso dialetto come i loro cugini in Ranchi. Oggi hanno quasi completamente comunque dimenticato il loro vecchio linguaggio, e usano una forma di Oriyâ, mescolata con parole Mundari.

I Kurukhs delle vicinanze della città di Ranchi hanno adottato il Mundari come la loro lingua comune. Il loro dialetto è noto sotto la denominazione di Horo liâ jhagar. Noi non abbiamo informazioni circa il suo carattere. È, comunque, probabile che è identico al dialetto parlato detto 'Kera-Uraons' ad est di Ranchi. Padre de Smet è, per quanto sono consapevole, l'unica autorità che menzioni questa forma di Mundari. Lui afferma che la particolarità principale del dialetto è che una r è sostituita con la finale t' o d nei verbi; così, jam-der-â-m invece di jam-ked-â-m. Durante il mio lavoro preliminare fu riportato esistere in Sambalpur un dialetto Kol chiamato Bhuyau, ma questa informazione non è stata seguita da nessun campione di linguaggio e, nel compendio, è stato inserito nel Mundari. in quanto è probabile che il Bhuyau è il dialetto dei Munda Bhuiyas del distretto. Forme vicine di discorso sono parlate dalla tribù di Bhumij di Singbhum e dintorni; dal Bírhars di Hazaribagh, Ranchi, Singbhum e distretti adiacenti, e dalla maggior parte dei così detti Kólâs. Questi dialetti saranno perciò indicati immediatamente dopo il Mundari. Il dialetto del H¡ós o Larkâ Kols di Singbhum è anche così da vicino connesso con il Mundari che può essere descritto pressocché come un sottodialetto di quella forma di discorso.


Numero Di Oratori.

Secondo informazioni raccolte per gli scopi di questo Esame, il Mundari è parlato nei distretti seguenti,: Presidenza di Bengal - Hazaribagh 125 Ranchi 322,148 Palamau 30,000 Jashpur State 100 Bonai 478 Sarguja State 395------------Presidenza di Bengal Totale 353,246 Province Centrali - Sambalpur 7,500 Sakti 700 Bamra 13,569 Rairakhol 312 Sonpur 1,250 Patna 250------------Province 23,581 centrali e -- Totale 376,827 Dei 7,500 oratori ritornati da Sambalpur, 1,500 furono affermati parlare Bhuyau. Fuori dall'area principale: Presidenza di Bengal - Jalpaiguri 8,965 Angul e Khondmals 46------- -9,011 Province Centrali - Kalahandi 40 Assam - Cachar Plains 896 Sylhet 300 Kamrup 200 Darrang 2,300 Nowgong 1,350 Sibsagar 2,800 Lakhimpur 12,800----------20,646--------- Grande Totale 29,697 Aggiungendo queste figure noi arriviamo a un totale stimato di oratori Mundari a casa e all'estero, come segue: Mundari parlato a casa 376,827 Mundari parlato all'estero 29,697----- ---- Totale 406,524 Le figure corrispondenti all'ultimo Censimento di 1901 erano come segue: Presidenza di Bengal - Burdwan 835 Birbhum 214 Bankura 61 Midnapore 510 Hoogly 670 Howrah 79 24- Parganas 4,490 Nadia 42 Murshidabad 224 Jessore 4 Khulna 412 Rajshahi 4,255 Dinajpur 3,528 Jalpaiguri 10,290 Darjeeling 3,783 Rangpur 687 Bogra 1,421 Pabna 8 Dacca 84 Backergunge 118 Chittagong Hills 16 Patna 2 Bhagalpur 809 Purnea 96 Malda 63 Sonthal Parganas 849 Angul e Khondmals 619 Hazaribagh 7,910 Ranchi 298,611 Palamau 8,524 Manbhum 1,886 Singbhum 32,743 Kuch Bihar 2 Orissa Stati Tributari 837 Chota Nagpur Stati Tributari 18,576 Collina Tippera 125----------- Presidenza di Bengal Totale 403,383 Province Centrali - Sambalpur 10,844 Sakti 44 Sarangarh 22 Bamra 6,023 Rairakhol 825 Sonpur 594 Patna 261 Kalahandi 146--------- Provinces18,759 Assam Centrali e Totali - Cachar Plains 1,450 Sylhet 1,027 Goalpara 9 Kamrup 468 Darrang 6,642 Nowgong 608 Sibsagar 5,438 Lakhimpur 21,698 Nord Cachar 42 Naga Hills 29----Tot. Assam 37,411 Grande Totale 459,553

È stato trovato conveniente aggiungere a questo addizioni degli oratori della voce Kol, e chi non può essere mostrato a parlare qualsiasi altro dialetto di Mundâ, Assam 1,169 province Unito 3 Berar (Bassim) 19--------- Totale 1,191 Il numero totale di oratori di Mundari può essere stimato in 460,744. è, chiaramente, possibile che gli oratori di ' Kol' non appartengono a Mundari, ma è Kalhas. Il loro numero è, comunque, così piccolo che l'eventuale errore è trascurabile.


Hó or larkâ kol..

H¡ó è il dialetto parlato da una tribù di Mundâ in Singbhum e i Stati Tributari al sud.


Nome del linguaggio.

Hó è il nome di una tribù, e la lingua spesso è chiamata Hó -kâjí, i.e. la lingua del Hós. La parola Hó è identica a Hâr e hârâ, le parole per ' uomo ' in Santâlí e Mundari rispettivamente. Gli Hós sono riferiti da vicino al Mundari, e loro asseriscono che so venuti da Chota Nagpur. In Singbhum loro di solito sono noti come il Larkâ Kols, cioè i combattenti Kols. Bradley-Birt commenta che questo nome è pienamente giustificato. ' Per quanto si vada indietro nel tempo si trovano descritte sempre battaglie, sia contro invasori che contro insediamenti fissi, e sempre coronate da vittoria ' Loro non hanno sotto-tribù, e il dialetto è lo stesso per l'intera area.


Area in cui è parlato.

L'area principale degli Hós è Singbhum, i vicini Stati di Kharsawan e Sarai Kala, e i distretti adiacenti di Morbhanj, Keonjhar, e Gangpur. Al di fuori di queste località il loro numero è irrilevante. Il loro territorio giace nel mezzo alla zona in cui si parla il Mundari, e tutti e due i dialetti sono parlati nei tratti della frontiera. Comunque, Hó è la lingua predominante in Singbhum, anche se noi consideriamo i linguaggi ariani. Questo è particolarmente il caso nel sud-est, nel Kolhan o territorio di Kol. Già è stato menzionato che Kol o Kâlha è stato indicato come il dialetto di oratori numerosi in Hazaribagh, il Sonthal Parganas, e Manbhum, e che è possibile che qualche Kol di quelli distretti parli Hó. La maggioranza, comunque, usa una forma di Santâlí che è stato descritto sopra di sotto il nome di K¡ârmâlí.


Numero Di Oratori.

Secondo stime locali costituite gli scopi di questo Esame, Hó fu parlato nei distretti seguenti,: Orissa Stati Tributari - Athmallik 200 Daspalla 45 Keonjhar 18,536 Morbhanj 45,479 Nilgiri 2,440 Lahera 710 67,410 Singbhum 205,433 Chota Nagpur Stati Tributari - Sarai Kala 9,975 Kharsawan 19,702 Gangpur 65,000 Corea 3 Bonai 3,348 Sarguja 276 98,304------------Totale 371,147 La maggior parte degli oratori nel Chota Nagpur Stati Tributari fu ritornato sotto la voce Kol, e è possibile che alcuna di loro nella realtà parlano Mundari Outside il territorio dove è parlato come un Hó vernacolare fu ritornato dai distretti seguenti: Presidenza di Bengal - Purnea 3,000 Angul e Khondmals 46 3,046 Province Centrali - 665 Kalahandi 575 Assam - Cachar Plains 4,028 Sylhet 1,750 Kamrup 330 Darrang 500 Lakhimpur 1,750 8,358----------- Totale 11,979 Aggiungendo tutti queste figure che noi arriviamo al seguente grande totale per il dialetto: Hó parlato a casa 371,147 Hó parlato all'estero 11,979----------- Totale 383,216 All'ultimo Censimento di 1901, 371,861 oratori di Hó furono ritornati. Ho visto solamente i dettagli dalla Presidenza di Bengal. Loro sono come segue: Midnapore 334 Balasore 244 Angul e Khondmals 35 Manbhum 85 Singbhum 235,313 Orissa Stati Tributari 96,249 Chota Nagpur Stati 35,353 Tributari----------- Totale 367,613


Mâhlé.

I Mâhlés sono una casta di garzoni, portatori e lavoratori in bambù in Chota Nagpur e Bengala Occidentale. Loro parlano un dialetto di Santâlí. Il Mâhlé o dialetto di Mâhilí è stato ritornato per gli scopi di questo Esame dai distretti seguenti: Birbhum 650 Sonthal Parganas 17,237 Manbhum 10,794 Morbhanj State 280----------Totale 28,961 Le figure corrispondenti all'ultimo Censimento di 1901 erano estesamente diverse e sono come segue: Burdwan 180 Birbhum 322 Midnapore 1,681 24-Parganas 369 Rajshahi 22 Dinajpur 282 Jalpaiguri 1,137 Darjeeling 180 Bogra 116 Malda 117 Sonthal Parganas 8,643 Angul e Khondmals 1 Hazaribagh 9 Ranchi 9 Manbhum 1,169 Singbhum 2,851 Kuch Bihar 12 Orissa Stati Tributari 1,642 Chota Nagpur Stati 59 Tributari--------Totale 18,801

Le figure del Censimento sono probabilmente troppo alte in quanto in molti casi stato risposto al questionario col nome della casta e non della lingua. L'area principale del dialetto di Mâhlé è la porzione centrale e meridionale dei Sonthal Parganas e le parti adiacenti di Birbhum e Manbhum. Campioni sono stati ricevuti da Birbhum, il Nilgiri State, e il Sonthal Parganas.

I campioni di Nilgiri furono scritti in un Santâlí corrotto, e quelli riceverono da Birbhum contenne una mescolanza considerevole di parole ariane. Ho riprodotto perciò solamente una versione della Parabola dal Sonthal Parganas. Un elenco di parole standard e frasi è stato preparato con la massima cura e accuratezza dal Rev. P.O. Bodding. Mâhlé è molto vicino al Kârmâlí. Fra loro i Mâhlés fanno uso di una specie di lingua segreta, sostituendo parole particolari e espressioni a parole comuni. Così loro dicono †hâk invece di †âkâ, una rupia; pí†ís invece di paisâ; mâch invece di pâe; lekâ invece di ânâ, , e così avanti.

MUNDAS

Origine

L'origine probabile di questa tribù è che arrivarono in India dal Sud e Sud-est in un periodo quando in cui l'India aveva collegamenti terrestri con l' Australia e era separata dall' Asia Settentrionale. La lingua parlata è nota come "Kolarian" e ora è conosciuta come una sottofamiglia del gruppo di Austro-Asiatico. Etnologicamente, i Mundas e Dravidiani di cui gli Oraons sono un tipo, non sono distinguibili e perciò, si disputa se queste due razze sono etnicamente fra i primi abitanti dell' India e molto prossime a conseguenza di matrimoni fra consanguinei e somiglianza di ambiente in cui vissero. "Matrimonio fra consanguinei" che è interdetto severamente oggi, è naturalmente riferito al periodo precedente all'inizio dell'esogamia in cui le donne erano catturate fuori della tribù. I Mundas sono anche relazionati con gli Hos, Santals e Kharias, le quattro tribù che rappresentano probabilmente diramazioni recenti di un unico gruppo, di cui alcuni pensano che i Mundas rappresentano il corpo principale, e gli altri siano da essi derivati.


Numeri e distribuzione

All'ultimo Censimento i Mundas erano 593.839, di cui 366.500 furono trovati in Behar e Orissa, e 128.000 in Assam, la maggior parte come lavoratori nelle piantagioni di the o ex lavoratori. Il territorio dei Munda consiste della parte sud-orientale del Distretto di Ranchi e l'altopiano e colline al Nord di Singhbhum, noto come Parahat. Ci sono 286.000 persone in questi due distretti. Nella Divisione di Rajshahi (Dooars) furono trovati 66.000. Mundas sono trovati anche in Khar-sawan, Seraikela e Gangpur, ed anche nelle regioni settentrionali di Sambalpur e Borai. Ci sono davvero coloni nella maggior parte dei Stati esterni--Keonjhar, Sirguja e Jashpur. Numeri considerevoli di Mundas si trovano anche sul piccolo altopiano nel Distretto di Manbhum, chiamato Baghmundi. Qui i Mundas sono trovati in uno stato più originale, come era da aspettarsi per la natura inaccessibile di Baghmundi, ma la loro cultura è stata parzialmente induizzata e viene indicata come Bhumij. Questi Bhumij conservano il costume della sepoltura dei Munda, ma hanno perso il linguaggio Munda. Nelle Province Centrali, da Jubbulpore allo Stato di Rewah e in Mirzapur, si sono trovati i Kols che erano in origine Munda ed hanno mantenuto con i loro cugini una debole relazione.


Linguaggio

Come è stato affermato, la lingua dei Munda è Kolarian, ed è di una forma curiosamente interessante. È agglutinativa contrariamente alla forma organica indù ed inglese. Quella lingua consiste di un numero di parole che possono essere usate come nomi, verbi ecc., secondo la posizione nella frase. È un lingua estremaemente precisa e flessibile e relativamente facile.

I Mundas si autodenominano Horoko, horo che è la parola per un uomo (ko è il segnale del plurale), la parola Munda indica capo come sarà spiegato a proposito dell'organizzazione del villaggio . H e K frequentemente sono intercambiabile come è anche L e R (R è palatale, pronunciata con la lingua sul palato). Quindi Kol è soltanto una variazione di Hor. È stato menzionato che gli Hos o Larka Kols (combattenti) di Singhbhum e i Santals sono alleati dei Mundas. La tre lingue hanno struttura quasi identica, ma il Santali che è leggermente più complesso per i verbi. Le differenze principali nelle lingue, comunque, sono tipizzate nelle parole che indicano " uomo ", la stessa parola che è usata nel parlare di razza. Quindi: Santali... Hor. Mundari... Horo. Larka.. Kol (o Ho)... Ho. Il Mundari si avvicina alla R inglese, o meglio scozzese; il Santali ha una R palatale, mentre i Larka Kols omettono la R al centro delle parole: Mundari. Ho. Kuri...... Kui una ragazza. Ora...... O-a: una casa. Tutte queste lingue hanno una vocale controllata e il Santali è particolarmente più difficile. Acqua da si pronuncia da-a, con la prima "a" molto acuta, non dissimile dalla pronuncia di un uomo di Glasgow "wa'er". Il migliore libro sulla lingua di Mundari è la Grammatica di Hoffman e i suoi due Esercizi, disponibile alla Catholic Orphan Press, Calcutta. Con questi libri e un po’ di pratica non è difficile fare dei progressi. Come in greco c'è un numero duale, e a una donna ci si rivolge nella forma duale "aben" duplice invece di "am" applicata a un uomo. È sempre facile distinguere se il Mundari è stato istruito tra gli agricoltori o tra i lavoranti che raccolgono i prodotti della terra.


Organizzazione.

I Munda sono divisi in sette esogamiche, e ciascuna setta o Killi venera un totem distinto. Esempi dei nomi-totem sono: Horo o Kachap... tartaruga. Tuti...... una pianta. Soe...... un pesce. Nag...... il Cobra. Purthi un insetto. Barla... un frutto. Bejra... falco piccolo. Chirko... fungo. Demta... formica rossa. (Risley dà un elenco di 350 Septs!). Vi sono frequentemente sono molte sottodivisioni di ciascun Killi che stanno ad indicare gruppi esogamici di recente formazione. La porzione Orientale del territorio dei Munda parla il Mundari più puro e mantiene ancora oggi la vecchia organizzazione tribale. È diviso in patis o gruppi di circa diciassette villaggi, presieduti da un Manki, noto in quest'area come Manki-pati. Il Manki è mantenuto da contribuzioni da ciascuno villaggio e dal raccolto che fa nel suo villaggio.

Non c'è nessuna proprietà individuale di terra, le terre del villaggio sono tenute congiuntamente dalla comunità del villaggio in questa area. Nessuno affitto è pagato ma la comunità è congiuntamente responsabile per un pagamento annuale al Manki, che è chiamato "chanda" (la sottoscrizione) e che rappresenta l'equivalente del pagamento per il servizio militare.

Le terre nel villaggio sono coltivate da membri individuali, ognuno dei quali gode il frutto della sua propria coltura, e i suoi figli oggi di solito ereditano i suoi campi, ma se un uomo muore senza aver fatto testamento, i campi ritornano alla comunità e sono condivisi dal "hagako" (la fratellanza). L'idea sulla proprietà individuale che è alla base della concezione inglese di conduzione della terra e l'attuale sistema prima o poi scomparirà. Nei distretti occidentali è venuto meno, a seguito dell'ignoranza degli Ufficiali del Distretto. I Munda o capi invariabilmente apparvero come portavoce dei villaggi e incidentalmente fu così che la tribù ricevè il suo nome presente. Fu trattato dagli Ufficiali come uno "zemindar" e dagli altri membri della comunità come il suo capo. Alcuni Munda non erano Presero in prestito soldi, ipotecarono i villaggi, e permisero che loro fossero venduti per debiti. Molto rapidamente l'aborigeno cominciò a essere cacciato dal suo territorio e si arrivò alle rivolte del 1820 e 1832. Dopo l'Ammutinamento nel quale loro parteciparono, fu fatto un tentativo di legislazione. Un censimento di Bhuihari fu tenuto nel 1862 e furono concesse delle terre agli aborigeni, dove il sistema comunale stava scomparendo. Questo non rimosse la scontentezza, comunque, e altre rivolte avvennero nel 1900. I nuovi Atti di Chota Nagpur del 1893 e 1908 hanno tentato di risolvere il problema ma c'ancora è scontentezza considerevole, I Mundas sono agricoltori e disprezzano altre occupazioni. Nei loro villaggi, si trovano gli artigiani necessari--Lohars, Barhis, Kumhars, Turis o tessitori in bambù, Malars (ottone) e Panrs (i tessitori). A queste persone sono date talvolta piccole porzioni di terra da coltivare.


Religione e Cerimonie Religiose.

I Mundas sono animisti, sebbene Babu S.C. Roy, autore di "Il Mundas e il loro Paese" parla di una religione più alta di tipo monoteistico, in quanto venerano Singh Bonga come Essere Supremo, con il resto del pantheon include gli spiriti di antenati, gli spiriti dei boschi che sono soltanto demoni di ordine più basso; credenza che non intacca il loro monoteismo essenziale.

L'idea su Singh Bonga, comunque, è molto vaga e lui non è adorato nel vero senso della parola --un po’ di cibo quotidiano è messo da parte per lui e per gli spiriti degli antenati, ma pressoché tutte le attività religiose consistono in offerte propiziatorie ai demoni. Il prete del villaggio, o come lui è chiamato, il Pahan, è il vero capolvillaggio, ma lui è lontano troppo santo per apparire di fronte a estraneo per rappresentare la comunità in questioni mondane; il Munda fa così e ne trae vantaggio. C'è attualmente un antagonismo crescente tra i rami rispettivi della comunità del villaggio, noto come Pahan khunt e Munda Khunt. Il Pahan è responsabile per tutti i sacrifici pubblici e per placare le divinità del villaggio nel Sarna, un boschetto lasciato intatto nella foresta originaria. Le feste principali sono:

(i) Maghe Parab tenuta alla luna piena di Pous (Gennaio/Febbraio). I penati o dei della famiglia --gli spiriti di antenati deceduti-- sono adorati in questa festa. In questo tempo dell'anno vengono contrattati i nuovi servitori per l'anno seguente.

(ii) Phagua, tenuta alla luna piena di Falgun (Marzo/Aprile). Questa festa corrisponde alla festa di Holi degli indù e è la festa primaverile. Il Pahan propizia tutte le divinità locali, e i sacrifici hanno l'oggetto magico di aumentare la fertilità della terra.

(iii) Ba-Parab (festa Floreale), anche noto come il Sarhul, celebrò in Chait (Aprile/Maggio) quando gli alberi di Sal sono in fiore. Sacrifici sono compiuti nel Sarna, un boschetto sacro e molta birra di riso viene bevuta.

(iv) Il Hon-Ba Parab e Batauli sono feste private tenute solo per la prima semina e il primo trapianto e sono propiziatorie per il successo di queste operazioni. Il Karam è anche una cerimonia agricola intesa ad assicurare la salute e benessere del raccolto; è tenuto in Agoso/Settembre (Bhado). Ci sono molte altre feste minori, prima di mietere, prima di battere e prima di mangiare il riso nuovo. Infatti, nessuna opportunità è persa per una bisboccia.

(v) Shore è la grande festa del raccolto tenuta nel giorno della luna nuova di Karitk (Ottobre/Novembre). Bestiame bovino sono venerati ed alimentati. I Mundas ballano e bevono tutta la notte con grande divertimento.


Matrimonio.

Come prima è stato affermato, il matrimonio deve avvenire nella tribù, ma fuori del proprio Killi o setta. La sposa è adottata formalmente nel Killi di suo marito e la cerimonia del porsi del Sindur (minio) sulla fronte della sposa è una reliquia della vecchia cerimonia di mescolare il sangue degli sposi. È parte essenziale della celebrazione attuale del matrimonio. La sposa deve adottare il totem di suo marito, ma continua a venerare il proprio totem. Matrimoni infantili sono ignoti, e una sposa è pagata in rupie o in bestiame bovino. Il divorzio è facile e frequentemente consiste soltanto nel pagamento del prezzo della sposa da parte del nuovo marito. C'è una cerimonia del fidanzamento formale e si beve molta birra di riso. Un aspetto interessante è quello di vestire un albero di mango e considerarlo come un testimone al matrimonio. Il matrimonio delle vedove è permesso liberamente, sebbene la vedova di un fratello più vecchio si aspetti che viva col cognato sopravvissuto. Le cerimonie del matrimonio sono descritte da S. C. Roy in " The Mundas and their Country "


Cerimonie della nascita.

Ci deve essere un'accettazione pubblica del bambino dal padre putativo nel sesto giorno dopo la nascita (Chathi). La madre deve andare attraverso le varie cerimonie purificative di nessun particolare interesse.


Morte.

I corpi dei defunti sono seppelliti, e un anno dopo, le ossa sono dissotterrate e sono messe sotto le pietre della sepoltura nel villaggio ancestrale. Più villaggi hanno cimiteri estesi (Sasan) e grandi lastre grandi di pietra che coprono le ossa dei defunti della famiglia. Soltanto i membri delle famiglie originarie, quelle che hanno costruito il villaggio, possono essere seppelliti qui, questo diritto è preso come una prova di appartenenza alla famiglia e, perciò, anche come diritto alla coltivazione della terra. I Mundas hanno un detto "Horoharkoa patta do sasandhiri " ("Queste pietre tombali sono i pattas o atti del titolo dei Mundas"). Ogni Munda sa che le sue ossa finalmente saranno sotterrate sul terreno di sepoltura della famiglia e figli deferenti preserveranno attentamente le ossa di genitori che sono morti sotto cieli stranieri, prendendoli per la sepoltura quando sarà offerta l'opportunità

MURONG

I Murong sono uno dei famosi gruppi aborigeni di Arakan e i due re Murong che avevano governato Arakan nel decimo secolo, si chiamavano Un-mya-thu (957) e Pai-phyu (964). A quel tempo Wathaly era la capitale di Arakan.

I Murong combatterono una guerra con i Khumi sulle rive del fiume Koladain. La tribù Khumi sconfisse il Murong e li cacciò da Arakan. I Murong si diressero verso i Tratti collinari di Chittagong tra i 17° e il 18° secolo. Molti invece ritengono che questa migrazione avvenne prima, nel quattordicesimo secolo. I Murong ora vivono nelle upazilas di Lama, Ruma, Alikadam vicino alla Montagna Chimbuk nel distretto di Bandarban. Nel 1991, la popolazione Murong in Bangladesh era 22.178, costituendo la quarta tribù nei Tratti collinari di Chittagong.

I Murongs sono patriarcali. I figli ereditano la proprietà. Hanno clan diversi e molti sotto-clan. Secondo una fonte, i cinque clan maggiori sono Dengua, Premsang, Kongloi, Maizer e Ganaroo Gnar. Altri menzionano i dieci clan di Murong diversi come Yarua, Yaringcha, Tang, Deng, Kough, Tam-tu-chah, Kanbak, Prenju, Naichah e Yomore. Lo Yarua è considerato essere il più influente e potente fra i clan Murong. Ha quattro suddivisioni: Khatpo, Chimlung, Zongnow, e Chawla. Questi sotto-clan sono considerati da alcuni come clan indipendenti.

I Murong non si sposano all'interno dello stesso clan o sotto-clan. Non viene neanche permesso il matrimonio fra membri di due clan coinvolti in guerra. Anche dopo la tregua o accordo di pace non è possibile il matrimonio in quanto, in tale situazione, loro divengono in pratica fratelli e come tali il matrimonio è vietato. I Murong hanno molti modi di compiere la cerimonia del matrimonio ma la cerimonia di solito è breve. Una volta selezionata una coppia per il matrimonio, viene macellato un gallo in sua presenza. Con il sangue sgorgato qualcuno bagna il dito medio e unge la fronte dei due sposi. Segue poi la dichiarazione che loro sono marito e moglie. La sposa e lo sposo mangiano insieme dopo questa breve cerimonia, e invitati e ospiti spandono acqua e riso per benedire la coppia.

Il divorzio è permesso nella società ma il marito non può accordare il divorzio a sua moglie senza una causa legittima. Se un uomo accorda il divorzio a sua moglie senza motivo, sarà lasciato solo nella giungla con un'ascia difendersi dagli animali selvatici. Una vedova può risposarsi ma il nuovo matrimonio è permesso solamente con un plebeo. Bigamia o poligamia non sono socialmente permesse.

La maggior parte dei Murong sono buddisti e alcuni si sono convertiti al Cristianesimo. In generale, loro ancora rimasti comunque animisti e adorano la natura. Riveriscono Thurai come il creatore di questo universo. Tutte le loro puja sono dirette a Oreng, il Dio della famiglia e affari giornalieri. Hanno molte superstizioni. Credono in segnali e auspici a cui spesso assoggettano le loro decisioni. Sungteung è un altra divinità a cui i Murong offrono omaggio, sebbene questa puja abbia poca importanza nella società. Prima del raccolto, festeggiano una puja chiamata Kumlang nellla quale loro uccidono una vacca. I giovani ballano, cantano, mangiano e bevono birra fatta in casa durante questa cerimonia.

L'attività principale dei Murong è la coltura Jhum (seminomade) e la raccolta di legna nella giungla. Prima di iniziare la coltivazione, nel mese di Srabon, offrono una puja a Oreng. Le donne lavorano più degli uomini. Hanno una lingua propria ma nessuna scrittura. Amano canzoni e balli e usano strumenti musicali fatti di bambù. Il flauto è lo strumento principale. I loro balli hanno quattro classi: Plees Pleesing, Chat Chet Plee, Dengram Tek Plee, and Rowlata Ting Plee. Ballano in un gruppo di 10 - 12 ragazzi e ragazze non sposati, che si ornano con catenine alle caviglie. Il gong è il loro strumento principale nella danza. Riso e birra casalinga sono i loro preferiti. Mangiano tigri, cani, capre, vacche e molti altri animali. Una loro delicatezza è il nappi fatto di grasso fermentato di pesce, rana, cervo o verro, mescolato con riso fermentato.

Gli uomini indossano il lengti e le donne portano il wanglai (gonna corta) entrambi tessuti. Costruiscono le case su machang (piattaforme) sulla cima delle colline. Le loro case sono più grandi di quelle delle altre tribù. Solitamente bruciano i corpi dei loro morti.

ORAON

Appartengono a una tribù di origine proto-australiana. Le persone Oraon sono di statura media, carnagione scura, nasi schiacciati e capelli neri e ricci. Nel subcontinente indiano vivono soprattutto in Orissa, Chotonagpur, Rajmahal e nelle aree adiacenti al Bihar. Secondo gli antropologi, Oraon, Munda, Malpahari e Santal appartengono allo stesso gruppo di aborigeni. Appartengono anche alla stessa famiglia Austrica, dal punto di vista della lingua. Molti specialisti considerano che la parola Oraon è una forma distorta di un totem nella lingua Kurukh antica.

Non esiste evidenza certa su come e quando gli Oraon si sono stabiliti in Bangladesh. Attualmente, loro vivono nei distretti di Rangpur, Dinajpur, Bogra e Rajshahi. Il censimento del 1881 li indicava anche nei distretti di Mymensingh, Chittagong e Noakhali. Successivi censimenti non li consideravano come un gruppo separato ed è perciò impossibile risalire al loro numero. Nel censimento del 1991 ne furono comunque registrati 6000.

Come molti altri gruppi etnici, gli Oraon adorano la natura. Credono comunque a un creatore dell'universo, Dharmesh che esiste nel sole. Il centro delle cerimonie religiose è quasi sempre il sole. Credono in dei diversi che hanno rappresentazione simbolica in villaggi, beni agricoli, foreste, epidemie ecc. Soddisfanno questi dei attraverso feste religiose simili a quelle della comunità indù.

Per esempio, la festa di Bhadu degli indù e i Karam degli Oraon sono quasi identiche. E' questa un'adorazione degli alberi compiuta simbolicamente con l'albero kadam (anthocephalus chinensis) e i suoi rami. Infatti, bhadu e karam sono il nome dello stesso albero kadam in lingue diverse. Feste religiose come Hariari e Sarhul sono associate con preghiere per la fertilità della terra e un buon raccolto di riso. Gli Oraon adorano alberi, fiori e frutta per aumentare la produzione del raccolto e proteggere la tribù. Fertilità della terra e delle donne vengono associate nelle loro preghiere.

I loro voti sono associati da vicino col loro stile di vita, la lotta per l'esistenza e i piaceri della vita. Cerimonie religiose e feste stagionali riflettono il loro modo di vivere e le loro necessità sociali. Credono anche nel potere della magia. Tutte le cerimonie religiose e feste stagionali degli Oraon come Basundhara nel mese di Baishakh, Bhadri in Bhadra, Jejuti in Agrahayan, Itu in Falgun e Sarhul in Chaitra riflettono il collegamento della tribù all' agricoltura.

Come per le altre tribù anche agli Oraon piace cantare, danzare e suonare strumenti musicali. I loro balli e canzoni sono profondamente radicati nella loro vita sociale e culturale. Canzoni Jhumur degli Oraon riflettono il loro stile di vita e la loro filosofia religiosa. Il Dhumkuria è un importante aspetto della loro vita sociale come il Dekachang per i Garo, Akhra per i Santal e Ghatul per i Muria.

I giovani Oraon vivono in una specie di dormitorio in cui ragazzi e ragazze possono conoscersi e scegliere i loro partner. Rituali del matrimonio nella comunità Oraon sono simili a quelli dei Santal e dei Munda. Matrimoni sono generalmente concordati dalle famiglie, ma le opinioni dei futuri sposi sono anche rispettate. Matrimoni tra bambini non sono riconosciuti mentre il divorzio è permesso.

Divorziate e vedove possono risposarsi. Uomini e donne possono sposarsi più volte, ma per gli uomini un secondo matrimonio è permesso solo se vedovi o divorziati. Uomini e donne indossano vestiti semplici. Le donne portano sari comuni e uomini dhuti e il lungi. Uomini poveri portano il gamcha. Alle donne piace ornarsi con fiori. Un costume sociale riconosciuto è di avere tatuaggi sul corpo di uomini e donne. Attualmente gli Oraon colti portano camicie, pantaloni e panjabi.

Riso è il cibo principale degli Oraons. In aggiunta mangiano vegetali, pesce, carne. Bevono un vino casalingo chiamato pachai che generalmente è fatto da riso. Mahua, un' altra varietà indigena di vino casalingo in Bangladesh è raro tra gli Oraon. Coltivare è la loro occupazione principale. Gli uomini arano la terra e le donne, che lavorano più sodo degli uomini, fanno gli altri lavori. Vendono pesce, vegetali o frutta.

Gli Oraon senza terra la lavorano come salariati (kamin). Gli Oraon bruciano i loro morti. Come segno di rispetto al defunto loro offrono fiori e foglie di alberi sacri al morto sulle pire. Le persone Oraon esprimono ai familiari anche formali condoglianze. Nell'amministrazione praticano il vecchio sistema Panchayet e, a causa della povertà, il grado di analfabetismo è molto alto. Sono inoltre molto legati alle tradizioni. I Missionari cristiani hanno tentato di migliorare l'istruzione e molti Oraon sono divenuti cristiani. Attualmente sono numerose le ONG che stanno portando avanti programmi per il loro sviluppo socioeconomico.

ORAONS - Uraon, Kurukh, Dhangar, Klada, Kisan

Gli Oraons sono una importante tribù dravidiana dell' altopiano di Chota Nagpur, con circa 750.000 persone di cui 85.000 ora appartengono alle Province Centrali, essendo residenti negli stati di Jashpur e Sarguja e nelle vicinanze. Sono comunemente conosciuti nelle Province Centrali come Dhangar o Dhangar-Oraon. Nel Chota Nagpur la parola Dhangar vuole dire un servitore della fattoria assunto secondo uno speciale contratto , ed è venuto a essere applicato agli Oraons che sono comunemente impiegati in questa mansione. Kuda vuole dire uno sterratore in Uriya, e studi fatti da B.C. Mazumdar e Hira Lal hanno dimostrato che le 18.000 persone ritornate da Raigarh e Sambalpur nel 1901 realmente erano Oraons. Lo stesso commento si applica a 33.000 persone ritornate da Sambalpur come Kisan o coltivatori, essendo anche essi membri della tribù. Il nome col quale gli Oraons si chiamano è Kurukh o Kurunkh, e la designazione di Oraon o Orao è stata applicata a loro da estranei. Il significato di entrambi nomi è oscuro. Il dott. Halm era dell'opinione che kurukh potrebbe identificarsi con horo che in Kolarian, significa uomo e spiegò il termine Oraon come il totem di una delle sette nelle quali i Kurukhs furono divisi. Secondo lui Oraon era un nome coniato dagli indù, dal nome orgoran, falco usato come nome di una setta totemistica. G. Grierson comunque, suggerì un collegamento col Kaikari, urupai, uomo; col Burgundi Urapo (uomo) e Urang (uomini).The Kaikaris sono una casta Telugu, e poiché si crede che gli Oraons siano venuti dal sud dell'India, questa derivazione suona plausibile. In un modo simile G. Grierson afferma, che Kurukh possa essere connesso con kurugu (aquila) in Tamil e che questo può essere stato il nome di un clan totemistico. Sono presenti anche nomi come Korava, Kurru, un dialetto Tamil e Kudagu. Nella valle di Nerbudda il servitore della fattoria di che versa il seme attraverso il tubo per la semina è noto come Oraya; questa parola è dedotta probabilmente dal verbo urna (versare), e significa ' uno che versa. '

Poiché la caratteristica principale degli Oraons fra gli indù è il loro impiego come servitori nelle fattorie e garzoni, si può suggerire che il nome sia derivato da questo termine. Degli altri nomi con i quali sono noti ai forestieri, Dhangar vuole dire un servitore della fattoria, Kuda uno sterratore, e Kisan un coltivatore. Il nome Oraon e la sua variante Orao è molto vicino a Oraya che, come già visto, significa servitore di fattoria. Il suono nasale sembra spesso essere aggiunto o omesso in questa parte del paese, come Kurukh o Kurunkh

Sistemazione a Chota Nagpur.

Gait scrive che, secondo le loro proprie tradizioni, "La tribù dei Kurukh visse originalmente nel Carnatic da cui andarono lungo il fiume di Nerbudda e stabilirono nel Bihar sulle rive del Son. Cacciata via dai Muhammadans, la tribù si spartì in due divisioni: una seguì il corso del Ganges e finalmente si stabilì nelle colline di Rajmahal, mentre l'altra andò sul Son ed occupò la porzione nordoccidentale dell'altopiano di Chota Nagpur, dove molti dei villaggi che ancora occupano hanno nomi Mundari. Questi ultimi furono gli antenati degli Oraons o Kurukhs, mentre primo furono i progenitori dei Male o Saonria, come loro spesso chiamano loro stessi". Verso Lohardaga gli Oraons si trovarono in mezzo ai Mundas o Kols che probabilmente si ritirarono gradualmente e li lasciarono in possesso del paese.

"Gli Oraons" afferma Padre Dehon "sono una tribù molto prolifica e presto divenne l'elemento preponderante, mentre i Mundas, essendo conservatori e contrari a vivere con estranei emigrarono verso un altra giungla. I Mundas odiano i proprietari, e ogni qualvolta possono, preferiscono vivere in un piccolo spazio ma nel pieno possesso del loro territorio; e non è del tutto improbabile che, come i proprietari presero possesso dei villaggi di recente formazione, loro andarono verso l'est, mentre gli Oraons, essendo più abituati alla soggezione, restarono".


In considerazione del fisico eccellente e del carattere marziale dei Larka o dei combattenti Kols o Mundas, Dalton era scettico sulla teoria che essi si erano ritirati prima degli Oraons; ma in aggiunta al fatto che molti villaggi nei quali vivono oggi gli Oraons hanno nomi Mundari, si può notare che il capo di un villaggio oraon è chiamato Munda e si considera disceso dal suo fondatore, mentre per il Pahan o prete degli dei del villaggio, gli Oraons assumono sempre un Munda, se disponibile, e una delle responsabilità del Pahan è quella di indicare i confini del villaggio in casi di disputa; questa è regolarmente una funzione assegnata ai primi residenti, e questa è una consistente prova che gli Oraons trovarono i Mundas già stabiliti in Chota Nagpur quando loro arrivarono colà.

Non è necessario supporre che qualsiasi conquista o espropriazione forzata ebbe luogo; ed è probabile che, non appena possibile, i Mundas preferirono i tratti della foresta più selvatici, così come nelle Province Centrali i Korkus e Baigas fecero spazio ai Gonds, e successivamente i Gonds agli indù. Nessuno degli scrittori citati ha notato il nome Munda ad identificare il capo di un villaggio Oraon, ma non si può dubitare che è connesso con quello della tribù; e sarebbe anche interessante sapere se il Pahan o prete del villaggio prende il suo nome dai Pans o Gandas.

Dalton dice che i Pans sono addomesticati come costituenti essenziali di ogni comunità di villaggio Ho o Kol, ma non allude alla loro presenza fra gli Oraons. La consuetudine, nelle Province Centrali, nei villaggi Gond è che il prete del villaggio è sempre noto come Baiga, perché in alcune località i membri della tribù Baiga assumono questa funzione. In villaggi stabiliti all'origine dagli Oraons, Padre Dehon afferma, la popolazione è divisa in tre khunts, o rami, chiamati Munda, Pahan e Mahto, i fondatori dei tre rami che erano i figli del fondatore. I membri di ciascun ramo appartengono perciò alla stesso setta o got. Ogni khunt ha una parte delle terre del villaggio.


Suddivisioni.

Gli Oraons non hanno sottocaste nelle Province Centrali, ma il Kudas e Kisans, avendo nomi ed occupazioni distinte qualche volta si considerano come corpi separati ed evitano matrimoni ribasso con altri Oraons. In Bengala H. Risley considera cinque divisioni, Barga, Dhanka, Kharia, Khendro di altre tribù e Dhanka che può essere una variante per Dhangar. I nomi mostrano che, come al solito con le tribù di questa parte del paese, l'endogamia non è strettamente osservata. La tribù ha anche un gran numero di sette esogamiche di tipo totemistico, chiamate col nome di piante e animali. Membri di ogni setta si astengono comunemente dall'uccidere o mangiare il totem della propria setta. Un uomo non devono sposare un membro della né un primo cugino da parte materna.

Consuetudini prenuziali. Il Matrimonio avviene tra adulti e la non castità appare essere tacitamente riconosciuta. I villaggi Oraon hanno l'istituzione del Dhumkuria o il dormitorio degli scapoli che Dalton descrive come segue: "In tutti i villaggi Oraon in cui si conservano le vecchie tradizioni, c'è una casa chiamata dhumkuria nella quale tutti gli scapoli del villaggio devono dormire pena una sanzione pecuniaria. Le capanne degli Oraons hanno sistemazione insufficiente per una famiglia completa e quindi alloggi separati per i giovani sono una necessità.

Lo stesso commento si applica alle donne non sposate e giovani, ed è un fatto che loro non dormono nella casa coi loro genitori. Sono generalmente franchi quando si parla delle loro abitudini, ma un po’ di reticenza su questo soggetto è sempre presente, e ho visto ragazze allontanarsi quando si parlava di questo. Mi è stato detto che in alcuni villaggi viene fornita un'abitazione simile ai Dhumkuria, in cui essi possono stare, sotto la sorveglianza di una donna anziana, ma credo che la pratica più comune è quella di distribuirle fra le case delle vedove, e questo è quello che le ragazze stesse asseriscono, quando vien posta loro la domanda; ma comunque alloggiate, si sa bene che loro spesso trovano il modo di andare dai ragazzi e, in alcuni villaggi, dormono direttamente con loro. Non molto tempo fa ho visto un Dhumkuria in un villaggio di Sarguja in cui ragazzi e ragazze dormivano assieme ogni notte".

Il Colonnello Dalton considerava incerto il fatto che questa pratica fosse causa si immoralità, ma il fatto può essere fortemente dubitato. I rapporti sessuali prematrimoniali, afferma H. Risley , sono tacitamente riconosciuti, e generalmente praticati tanto che, nell'opinione dei migliori osservatori, nessuna ragazza Oraon è ancora vergine al suo matrimonio. "Chiamare questo stato di cose immorale è applicare una concezione moderna ad abitudini primitive di vita. Nella tribù, l'idea di moralità sessuale sembra davvero esistere appena, e gli Oraons non sposati non sono lontani dalla condizione di promiscuità che prevale fra molte delle tribù australiane. Purché la regola esogamica del totem sia rispettata, una donna non sposata può dare i suoi favori a chi meglio crede.

Se, comunque, lei diventa incinta, si fa in modo di farla sposare senza dilazione, e si aspetta che da quel momento conduca una vita virtuosa". Secondo Dalton, comunque, relazioni tra ragazzi e ragazze dello stesso villaggio raramente arrivano al matrimonio, in quanto è considerato più rispettabile portare a casa una sposa da un altro villaggio. Questo sembra derivare dalla primitiva regola esogamica che non ammette matrimonio tra chi è cresciuto assieme. Gli uomini giovani possono scegliere loro stessi e a balli, feste o altre riunioni sociali corteggiano liberamente la loro bella, dando loro fiori per i capelli e regalando un topolino alla griglia, che gli Oraons considerano essere il cibo più delicato. Padre Dehon, comunque, asserisce che il tutto è stabilito dai genitori, e la sposa o lo sposo non sono preventivamente coinvolti. I ragazzi di solito si sposano a sedici anni e le ragazze a quattordici o quindici. Le ragazze hanno così solamente circa due anni di amoreggiamento preliminare o vita di Dhumkuria prima di sposarsi.


Fidanzamento.

La prima cerimonia per un matrimonio è nota come pan bandhi o sistemazione del prezzo; il padre del ragazzo accompagnato dagli uomini del suo villaggio per rappresentare i panch o anziani, va alla casa della ragazza. Padre Dehon informa che il prezzo della sposa è di cinque rupie e quattro maunds di grano. Quando questo è stato stabilito la festa inizia. "Tutte le persone del villaggio sono invitate; arrivano due ragazzi e ungono i visitatori con olio. Da ogni casa del villaggio chi può permetterselo porta un handia o recipiente di birra di riso e bevono tutti assieme.

Per tutti questo tempo la ragazza è stata tenuta nascosta, ma ora lei improvvisamente arriva portando un handia sulla sua testa. Un mormorio di ammirazione la saluta quando, avanzando attraverso la folla lei viene e sta in piedi di fronte al suo futuro suocero che subito prende l' handia dalla sua testa, l'abbraccia, e le dà una rupia. Da allora e durante tutta la festa la ragazza rimane seduta ai piedi del suo futuro suocero. La festa intanto va avanti e si continua a bere ed a parlare; e voci sono così alte che talvolta è difficile sentirsi l'un l'altro. Come diversione le vecchie donne del villaggio quasi crollano per terra, molto ubriache e con cappelli fantastici fatti di foglie; gesticolando come diavoli e portando un manichino di paglia che rappresenta lo sposo. Assomigliano tutte a vecchie streghe, e nel loro stato di completa ubriachezza sono anche pericolose."

Cerimonia del matrimonio.

Il matrimonio ha luogo dopo circa due anni, nel frattempo vi è stato uno scambio di visite due volte l'anno. Quando arriva il giorno lo sposo fa una gran festa con i suoi amici, maschi e femmine, nella casa della sposa.

La maggior parte dei maschi portano armi, vere o finte, e come si avvicinano ai giovani al villaggio della famiglia della sposa, questi ultimi, anche armati come a respingere l'invasione, iniziano una lotta mimata, che pian piano si cambia piacevolmente in una danza. Lo sposo e la sposa partecipano, ciascuno dalla parte dei relativi amici. Dopo questo la festa continua quasi per tutta la notte. La mattina seguente il pane è cucinato dalla madre della sposa è portato al dari o sorgente del villaggio, dove sono tutte le donne del villaggio.

Quando hanno finito portano un vaso di acqua con delle foglie dell'albero di mango. Nel frattempo la sposa e lo sposo sono nella casa, e vengono unti con olio e curcuma dalle rispettive sorelle. Quando tutti si sono raggruppati sotto il pergolato il ragazzo e ragazza vengono portati fuori e vien collocato un giogo, un fascio di erba ed una pietra da macina. La sposa e lo sposo sono fatti stare in piedi sulla pietra, il ragazzo tocca i calcagni della sposa con le sue dita del piede e sono avvolti da un lungo pezzo di stoffa per proteggerli dagli occhi del pubblico.

Solamente le loro teste e i piedi possono essere visti. Un calice pieno di vermiglione è presentato al ragazzo che vi immerge un dito e fa tre linee sulla fronte della ragazza; la ragazza fa lo stesso al ragazzo, ma siccome non può vederlo per la sua posizione, i segni che alla fine ha il ragazzo sono dappertutto sulla sua faccia il che finisce per provocare molte risate.

"Quando anche questo è finito," afferma Dalton, "un'arma da fuoco è sparata e poi, con qualche marchingegno, si fa in modo di capovolgere dei vasi colmi di acqua, collocato sul pergolato, in modo da bagnare la giovane coppia e chi è a loro vicino. ' Il matrimonio è fatto, il matrimonio è fatto, viene gridato ' ed i giovani possono andare in un appartamento preparato per loro, apparentemente per cambiare vestiti ma loro non vengono fuori che dopo un po' di tempo, e quando appaiono sono salutati come marito e moglie."


Usanze speciali.

Nel frattempo gli ospiti siedono in cerchi bevendo dalle handias (vasi di coccio pieni di birra di riso). La sposa e lo sposo si ritirano per una seconda volta e vengono chiamati fuori per il rito seguente. Un vaso pieno di birra viene portato e la sposa porta una coppa al fratello dello sposo, ma invece di porgerlo nella sua mano lei lo deposita sul terreno di fronte a lui. Questo sta a sigillare il tacito accordo che da quel momento il fratello dello sposo non toccherà sua cognata, e fu istituito probabilmente per sottolineare l'abolizione del precedente sistema di poliandria tra fratelli, usanze di natura analoga sono state trovate anche fra i Khonds e i Korkus. "Poi," Padre Dehon continua, "viene l'ultima cerimonia che è chiamata khiritengna handia o handia della storia, e è considerata dagli Oraons per essere la vera forma di matrimonio dei loro antenati. Il ragazzo e ragazza siedono insieme di fronte alle persone e uno degli uomini più anziani si alza e si rivolge al ragazzo dicendo: ' Se tua moglie va per prendere un sag e cade dall'albero e si rompe una gamba, non dire che lei è sfigurata o è storpiata. Dovrai sempre mantenerla ed alimentarla ' Poi, parlando alla ragazza: ' Quando tuo marito va a caccia, se si rompe un braccio oppure una gamba, non dire, "Lui è un zoppo, non vivrò più con lui". non dice che, per Lei deve rimanere con lui. Se prepari della carne, da a lui due porzioni ed una soltanto per te. Se prepari dei vegetali, da a lui due porzioni ed una soltanto per te. Se lui è ammalato e non può andare fuori, non dire che lui è sporco, ma pulisci la sua stuoia e lavalo. ' La festa continua, e di notte la ragazza è portata da sua madre al ragazzo e la madre dice ' Ora questa mia bambina è tua; non per alcuni giorni ma per sempre; prenditi cura di lei e amala molto. ' Un compagno dello sposo poi prende la ragazza nelle sue braccia e la porta nella casa."


Vedovanze -Nuovi matrimoni e Divorzi.

È non comune per un uomo per avere due mogli. Il divorzio è permesso, e di solito è effettuato dal ragazzo o ragazza che vanno via in Duars o in Assam. Un nuovo matrimonio per le vedove è una pratica regolare. La prima volta che una vedova sposa di nuovo, Padre Dehon afferma, il prezzo che lo sposo deve pagare è di Rs. 3-8 per lei; se i mariti successivi muoiono il suo prezzo scende di una rupia rispetto a un primo matrimonio, così che un quinto marito verrebbe a pagare solamente otto annas. Casi di adulterio sono abbastanza rari. Quando i colpevoli sono scoperti viene imposta multa abbastanza salata, comunque proporzionale al loro reddito.

Usanze alla Nascita.

"Gli Oraons," Padre Dehon continua, "sono una tribù molto prolifica, e ogni qualvolta è permesso loro di vivere senza essere oppressi aumentano prodigiosamente. Quello che maggiormente sorprende, quando si visita un villaggio Oraon è il numero di bambini sporchi che giocano dappertutto, mentre è difficile incontrare una donna che non porta un bambino sulla sua schiena. Le donne sembrano, in larga misura, essere stato esentate dalla maledizione alla nostra prima madre: "Tu partorirai con dolore etc" Sembrano invece dare nascita ai loro bambini con la più grande facilità.

Avviene tutto nel modo più naturale e già dal giorno successivo al parto si vedrà la puerpera portare sulle spalle il proprio figlioletto e, con una brocca sulla testa, andare alla fonte del villaggio per attingere l'acqua, come se niente fosse accaduto. Questa pratica, può essere notato in parentesi, può sorgere dalla primordiale osservanza della "covata", il costume particolare che prevale fra molte tribù primitive per cui, quando un bambino è nato, il padre resta a casa e finge di essere malato, mentre la madre si alza immediatamente e va ad eseguire i lavori che le competono. Quest'usanza del tutto particolare è stata riportata, ma finora senza conferma, da un osservatore da Bilaspur.

Dare il nome al bambino.

"Al bambino viene dato il nome otto o dieci giorni dopo la nascita, ed è in questo giorno che gli uomini del villaggio e i membri della famiglia si riuniscono nella casa dei genitori. Sono portate due coppe, una pieno di acqua e l'altra di riso. Dopo una formula preliminare i chicchi di riso sono lasciati cadere nella tazza, prima nel nome del bambino e poi successivamente in quelli dei suoi antenati nell'ordine seguente: nonno paterno, bisnonno paterno, zio paterno, nonno materno, altri parenti. Quando il chicco che indica il neonato viene a contatto con un altro chicco indicante un suo parente, viene dato proprio questo nome al bambino, e si considera probabilmente il bimbo è una sua reincarnazione."


Pitture e tatuaggi.

"Quando un ragazzo arriva a sei o sette anni è tempo per lui per divenire un membro del Dhumkuria o dormitorio comune. I ragazzi più grandi prendono il suo braccio sinistro e, con stoffa che brucia, fanno cinque marchi profondi sulla parte più bassa del suo braccio. Questo è fatto in modo che possa essere riconosciuto come un Oraon alla sua morte quando andrà nell'altro mondo". La cerimonia era probabilmente l'iniziazione alla virilità all'arrivo della pubertà, e assomigliava a quella comune fra le tribù australiane. La differenza è che tra gli Oraon non sono gli uomini ma le donne ad essere tatuati. Hanno anche tre linee parallele verticali sulla fronte che formano un marchio distintivo, e segni su braccia, torace, ginocchia e caviglie. Si considera che i marchi sui ginocchi siano passi per ascendere al cielo dopo la morte. Se un bambino piange molto è tatuato anche sul naso e mento.


Disciplina del dormitorio.

La fraternità di Dhumkuria, commenta Dalton, è sottoposta a severe sanzioni, e si è tenuti alla segretezza per tutto ciò che avviene nel dormitorio; e anche le ragazze hanno le stesse regole. Non è permesso di partecipare ai balli fino a che la punizione non viene condonata. Hanno un sistema regolare di condotta in questa istituzione curiosa. I ragazzi piccoli servono quelli di più grandi: li lavano e li pettinano e così via, talvolta sono sottoposti a severa disciplina per diventare uomini.


Funerali.

Gli Oraons o seppelliscono o bruciano i morti. Come il cadavere è portato alla tomba, cominciando dai prime incroci, del riso viene sparso sino alla tomba o alla pira. Questo è fatto in modo che l'anima del defunto possa trovare la strada per tornare a casa. Prima della sepoltura o cremazione vien cucinato del cibo e delle piccole monete sono messe nella bocca del cadavere. Esse sono, in seguito, rimosse o recuperate dalle ceneri e prese dai musicisti a titolo di compenso.

Dei vestiti che appartengono al defunto e un vaso con un po' di riso o sono bruciati col cadavere o sono messi nella tomba. Si comincia a porre della terra sulla testa del morto e vi si conficca un po’ di erba orai, si continua poi così ricoprendo tutto. Dicono che questo è fatto per lasciare un passaggio per l'aria sino alle narici del defunto. Questo è il tipo di erba con cui si fanno le penne rosse, e cresce rigogliosa, con il fusto cavo. Dopo, nello stesso luogo, piantano una radice della stessa erba. Al decimo giorno loro sacrificano un piccione e seppelliscono le gambe, coda, orecchi e naso del maiale in un buco con sette palle di ferro.

Procedono poi sino alla tomba spargendo un po’ di riso cotto, lungo il percorso. Il riso cucinato viene offerto alla tomba. Se il cadavere è stato bruciato raccolgono le ossa e le mettono in un recipiente che è portato a casa del defunto e è appeso sulla parte posteriore di essa. Di notte un parente siede nella casa con una lampada che brucia, mentre degli amici vanno fuori il villaggio e fanno un piccolo falò. Vanno quindi alla tomba e chiamano il morto:" Vieni, si sta bruciando la tua casa, ' e camminano verso la casa trascinando un materasso ed un falcetto.

Arrivati alla dimora essi bussano e vien loro chiesto, dall'uomo che era rimasto dentro: "Chi siete?" e rispondono: "Siamo noi!" Loro guardano la lampada e quando la fiamma oscilla loro credono che mostri che lo spirito del defunto li ha seguiti ed è entrato nella casa. Il prossimo giorno le ossa sono gettate in un fiume e la pentola di terra rotta contro una pietra.

Adorazione degli Antenati.

I pitras o antenati sono adorati a ogni festa, e quando il riso nuovo è mietuto una gallina è offerta a loro. Loro pregano i loro genitori di accettare l'offerta e poi mettono alcuni grani di riso di fronte alla gallina. Se lei li mangia, è un segnale che gli antenati hanno accettato l'offerta e un uomo uccide la gallina schiacciando la sua testa col suo pugno chiuso. Questo è probabilmente, come notato da Padre Dehon, in ricordo del metodo utilizzato anteriormente all'introduzione di coltelli e lo stesso chiarimento può essere dato sul metodo barbaro dei Baigas di uccidere un maiale con un tronco d'albero che pian piano attraversa il suo corpo come una sega, e su quello presso i Gond di uccidere, da parte dei novelli sposi che entrano per la prima volta nella loro nuova casa, di uccidere un uccello calpestandolo entrambi.


Religione.

La Divinità Suprema. Questa parte sulla religione tribale è stata presa da Padre Dehon: "Gli Oraons adorano un dio supremo che è noto come Dharmes; lo invocano nelle loro difficoltà più grandi quando il ricorso ai preti del villaggio e maghi sono stati vani. Quindi si rivolgono a Dharmes e dicono, ' Ora noi abbiamo provato tutto, ma abbiamo ancora te che puoi aiutarci. '

Gli sacrificano un gallo bianco. Pensano che Dio è troppo buono per castigarli, e che loro non sono responsabili nei suoi riguardi per la loro condotta; e credono che ognuno sarà trattato nello stesso modo nell'altro mondo. Non esiste per loro inferno o luogo di punizione, ma ognuno andrà a merkha o paradiso. I Pellerossa parlano dei pascoli beati e gli Oraons immagina qualche cosa di simile, dove vivere felici, dove ognuno avrà moltissima birra di riso da bere dopo il lavoro. Loro guardano dio come un grande zamindar o possidente che non fa niente personalmente, ma ha un chaprasi come un agente raccogliere le tasse; e loro concepiscono il secondo come avente tutti i difetti così comuni alla sua professione. Baranda, il chaprasi esige spietatamente da loro i tributi, non esattamente per zelo nei riguardi del suo padrone, ma per avidità per il suo talbana. Quando fanno un sacrificio a Dharmes pregano: ' O Dio, da oggi non mandarci il tuo chaprasi per castigarci a alcuno più. Come vedi abbiamo pagato i nostro tributo a te, e daremo a lui il suo dasturi (mancia).

Divinità minori.

"Ma nelle preoccupazioni di questo mondo, molte divinità minori devono essere propiziate per ottenere un buoni raccolto e buona salute. Queste sono i bhuts o spiriti della famiglia, della setta, del villaggio, e divinità comuni, come la terra e il sole. Chola Pacho o la signora del boschetto vive nel sarna o boschetto sacro che è stato lasciato quando la foresta è stata distrutta. Lei ha il potere della pioggia e di conseguenza dei buoni raccolti. Churel è lo spirito di una donna che è morta mentre era incinta o durante il parto. Lei volteggia sulla sua tomba ed è un oggetto di orrore e spavento per ogni passante. È sua natura cercare l'uomo che più le piacque durante la sua vita. Verrà poi di notte e l'abbraccerà e gli farà il solletico a sotto le braccia, in modo da farlo ridere sino alla morte. Bhula o i vagabondi sono le ombre di persone che sono morte innaturalmente, assassinate, impiccate, o uccise da un tigre. ' Loro mantengono le cicatrici delle loro ferite e si può quindi immaginare il terribile aspetto che hanno. Non sono molto potenti e sono solamente responsabili di piccoli problemi, come incubi e piccole indisposizioni.

Quando un Ojha o scopritore di spiriti vede che un Bhula è apparso nella luce della sua lampada mostra una faccia delusa, e dice: ' Pshaw, solamente un Bhula! ' Nessuno sacrificio viene offerto, ma l'Ojha prende poi alcuni grani di riso, li strofina sul carbone e li getta sulla fiamma della sua lampada, dicendo ' Prendi questo, Bhula e vattene. ' Murkuri è il bhut che colpisce. Gli europei, per mostrare affetto e familiarità, danno dei colpetti sul didietro. Se questo è seguito da febbre o qualsiasi genere di malattia esso sarà ascritto al passare di Murkuri dal corpo dell'europeo nel corpo del nativo. "Chordewa è una strega piuttosto che un bhut. Si crede che alcune donne hanno il potere per cambiare la loro anima in un gatto nero che poi va nelle case dove ci sono persone ammalate. Tale gatto ha un modo particolare di lamentarsi, diverso dai suoi simili, ed è riconosciuto facilmente. Ruba nella casa, lecca le labbra dell'uomo ammalato e mangia il cibo che è stato preparato per lui. L'uomo ammalato presto va peggiorando ed alla fine muore. È molto difficile prendere il gatto, in quanto ha tutta l'agilità della sua natura aggiunta all'abilità di un bhut. Comunque, qualche volta ciò succede, ed allora avviene qualcosa di incredibile. La donna, fuori dalla quale è uscito il gatto, resta insensibile, come in un stato di morte provvisoria, finché il gatto rientra nel suo corpo. Qualsiasi ferita inflitta al gatto sarà inflitto a lei; se vengono tagliati al gatto le orecchie, una zampa o altro, lo stesso avverrà alla donna. Gli Oraons dicono che precedentemente bruciavano qualsiasi donna sospettata di essere una Chordewa.


Sacrifici umani.

"Vi è anche Anna Kuari o Mahadhani che sono a nostro avviso le divinità più crudeli e repellenti, in quanto richiedono sacrifici umani. Ma gli aborigeni, che pongono i buoni raccolto al di sopra di tutto, le guardano con una luce diversa. Esse possono dare buoni raccolti e fare un uomo ricco, e questo copre una moltitudine di peccati. Si può essere scettici su quanto sopra e dire che è impossibile che esistano ancora sacrifici umani in qualsiasi parte dell'India sotto il Governo britannico. Ma, a dispetto di tutta la vigilanza delle autorità , sacrifici umani sono ancora fatti a Chota Nagpur. Come la vigilanza delle autorità aumenta, così anche fa l'accuratezza degli Urkas o degli Otongas nel nasconderli. Loro scelgono per le loro vittime oggetti dei poveracci la cui scomparsa passerà inosservata. Aprile e Maggio sono i mesi preferiti dagli Urkas. I Doisa, Panari, Kukra e Sarguja hanno anch'essi una cattiva reputazione. Durante questi mesi nessuno estraneo andrà in giro da solo circa non verrà nemmeno permesso a ragazzi e ragazze di andare nella giungla e pascolare il bestiame bovino per paura degli Urkas. Quando un Urka trova una vittima gli taglia la gola e gli recide l'anulare e il naso. Anna Kuari trova discepoli non solo fra gli Oraons, ma specialmente fra i grandi zamindars e i Rajas degli Stati Nativi. Quando un uomo ha offerto un sacrificio a Anna Kuari lei va e vive nella sua casa nella forma di un piccolo bambino. Da allora i suoi campi produrranno il doppio, e quando raccoglie il riso lui prende Anna Kuari e la rotola sul covone per raddoppiare la quantità. Ma Anna Kuari presto si stanca ed è pacificata solamente da nuovi sacrifici umani. Alla fine, dopo qualche anno, lei non può sopportare di rimanere nella stessa casa ed uccide tutti i membri di essa."


Cristianesimo.

Nello stato di Jashpur State dove gli Oraons sono 47,000 circa metà di essi è divenuto Cristiano. I non-Cristiano chiamano loro stessi Sansar, e la differenza principale tra loro è che i Cristiani hanno tagliato la treccina, mentre i Sansar continuano a portarla. In alcune famiglie il padre può essere un Sansar e il figlio un Cristiano, e loro vivono insieme senza qualsiasi distinzione. I Cristiani sono cattolici o luterani luterane, ma anche se gli Oraon conoscono la chiesa a cui appartengono, non hanno conoscenza delle differenze dottrinali con l'altra.


Feste.

Il Karma o giorno di Maggio. Le feste principali sono i Sarhul, celebrato quando l'albero del sal fiorisce, il Karma o giorno di Maggio quando il riso è pronto per essere trapiantato, e il Kanihari o celebrazione del raccolto. "Alla festa di Karma un gruppo di giovani di ambo i sessi," dice Dalton "va nella foresta e taglia un giovane albero karma (Nauclea parvifolia) o il ramo di un grande albero; lo portano in trionfo e lo piantano nel centro dell'Akhara o aia, dove si macina. La mattina successiva, di buon'ora, tutti sono vestiti a festa, i vecchi in gruppo sotto i grandi alberi di tamarindo che circondano l'Akhara, e i giovani di ambo i sessi, abbracciati in un cerchio enorme ballano attorno all'albero del karma che, addobbato con strisce di stoffa colorata, con braccialetti ed altri oggetti, ricorda anche per le gaie risate dei giovani, il grande albero dei doni spesso utilizzato nelle feste maggiori." L'albero, comunque, probabilmente corrisponde al Maypole inglese, e la festa celebra il rinnovamento della vegetazione. La Festa dei fiori del Sal. Il matrimonio della sole-dio e della terra-madre è celebrato nella festa di Sarhul, e questo non si può fare fino a che l'albero del sal non dà i fiori per la cerimonia. Ha luogo circa all'inizio di Aprile in un qualsiasi giorno quando l'albero è in fiore. Un gallo bianco è preso a rappresentare il sole e una gallina nera la terra; il loro matrimonio è celebrato marcandoli con vermiglione, e loro sono sacrificati. Gli abitanti di un villaggio accompagnano poi il Pahan o Baiga, il prete del villaggio, al sarna o boschetto sacro, un residuo della vecchia foresta di sal in cui è localizzato Sarna Burhi o ' Le vecchie donne del boschetto. ' "A questo driade," scrive il Colonnello Dalton "che è supposto avere grande influenza sulla pioggia (una superstizione fondata non improbabilmente sull'importanza di alberi come apportatori di nubi), si offrono cinque uccelli, e il resto del giorno è speso nel banchettare. Ritornano carichi di fiori dell'albero del sal, e la mattina successiva col Baiga visitano a ogni casa, portando i fiori. Le donne del villaggio attendono in piedi sulla porta delle loro abitazioni, ciascuna con due tazze; una vuota per ricevere l'acqua benedetta; l'altra colma di birra di riso per il Baiga. Il Baiga si ferma in ciascuna casa, e pone fiori su di essa e sui capelli delle donne. Spruzza poi l'acqua santa sui semi che sono tenuti per l'anno nuovo e i su ogni casa, dicendo 'Possano le tue stanze e il granaio essere riempiti di riso e che il nome del Baiga possa essere grande. ' Quando questo è completato la donna getta un vaso di acqua sulla sua persona venerabile, bagnando così l'uomo che un momento prima stava trattando col massimo rispetto. Questa è senza dubbio una pioggia particolare ed è un processo diventato familiare. Per evitare al Baiga di buscarsi un raffreddore gli viene data una tazza di birra di riso che viene generalmente bevuta immediatamente. Inizia ora la festa generale, e i giovani dei due sessi, spensieratamente adornati coi fiori del sal (che, col loro color crema-bianco offrono un bel contrasto col colore della loro pelle e dei loro capelli) vanno verso l'Akhara e ballano tutta la notte."


La Festa del Raccolto.

Il Kanihari, come descritto da Padre Dehon, è tenuta precedente alla trebbiatura del riso, e a nessuno è permesso di preparare la sua aia finché essa non sia stata celebrata. Può avvenire solamente di martedì. Un uccello è sacrificato e il suo sangue spruzzato sul riso nuovo. Di sera si celebra una festa comunitaria, presieduta dal Baiga, e quando questa è finita vanno nel luogo dove Mahadeo è adorato e il Baiga versa latte sulla pietra che lo rappresenta. Le persone poi iniziano a ballare. È portata molta birra di riso, e si inizia a bere ed a fare di tutto, rimovendo tutte le limitazioni. Si cantano le canzoni più oscene e si da sfogo a tutte le passioni. In questo giorno nessuno è responsabile per qualsiasi infrazione di carattere morale.


Digiuni per i raccolti.

Come le altre tribù primitive, e generalmente per gli indù, gli Oraons osservano un digiuno Quaresimale, come spiegato da J.G.Frazer, dopo avere seminato i loro raccolto. Avendo consegnato il seme, con ogni rito propiziatorio alla Madre Terra, il tribale attende, con ansia, di vedere se ancora una volta essa compirà il miracolo annuale del rinnovamento della vegetazione, e la crescita delle piante dai semi che i greci simboleggiarono con la discesa di Persefone nell'Ade per una stagione dell'anno e la sua trionfale ricomparsa sulla terra. Nel frattempo il tribale digiuna e fa ammenda per qualsiasi peccato o mancanza che abbia potuto offendere la dea e frenare il suo aiuto. Dall'inizio di Asarh (Giugno) gli Oraons cessano radersi, si astengono da mangiare curcuma, e non mangiano il loro cibo dai piatti usualmente fatti con foglie, ma lo mangiano direttamente dalla pentola di cottura. Dico che fanno questo per non dar modo ai topolini di mangiare i semi di riso (che cadono dai piatti).

Aspetto fisico e costumi degli Oraons.

"Il colore della maggior parte degli Oraons," afferma H. Risley, "è un marrone scuro prossimo al nero; i capelli neri, tendenti ad essere crespi. Mascelle e denti prominenti, labbra spesse, fronti strette e basse, e nasi piatti e larghi sono alcune caratteristiche della tribù. Gli occhi spesso sono brillanti e pieni, e nessuna obliquità è osservabile nell'apertura delle palpebre". "I giovani Oraon" Dalton afferma, "sebbene non abbiano i canoni di bellezza europei, sono piacevoli, ed i loro volti irradiano animazione e buon umore. Sono di statura non alta, con una media di 4 piedi e 5 pollici (135 cm) ma la loro struttura è molto proporzionata. I giovani Oraon hanno un'espressione elegante innata che li distingue dai Munda o dagli Ho che hanno un aspetto più grave e serio, simile a quello degli indiani nordamericani. L'Oraon è così solo fino a che non è sposato, ma normalmente non ha alcuna fretta di andar via dal Dhumkuria, e generalmente la sua prima gioventù passa prima che lui finisca di manifestare le sue inclinazioni decorative. "Porta i suoi capelli lunghi come una donna, raggruppati in un nodo dietro a, sostenendo, quando è in costume di gala, oggetti ed ornamenti rossi, ma anche ornamenti di ottone. All' estremità del ciuffo di capelli pende un piccolo specchio circolare in ottone da cui ed anche dagli orecchi, penzolano catene di ottone brillanti con ciondoli; come si muove col passo elastico della gioventù e muove la sua testa, come un destriero, fa muovere tutti questi ornamenti mentre lui mostra, ridendo, la bianchissima e curatissima fila di denti bianchi che appaiono ancora più bianchi in contrasto con la sua carnagione scura. Non indossa alcun indumento simile alle nostre giacche o camicie, il suo collo decorato ed il torace sono scoperti, e vengono mostrati con orgoglio. In aggiunta agli abiti porta sempre una cintura di corda, fatta con foglie di canna. Questo è oggi superfluo, ma senza dubbio è il residuo di un antico costume, quando venivano utilizzate anche foglie di ficus. "

Finita l'età giovanile, propria di queste ornamentazioni, l'aspetto degli Oraon diventa davvero poco attraente. Tutti gli ornamenti sono abbandonati, i capelli non curati e qualunque straccio è buono per coprirsi. Ciò si applica indistintamente sia ad uomini che a donne.

Nota: In Bilaspur gli uomini soltanto (non le donne) portano un pettine del ferro nei capelli con una terminazione circolare e due punte come una forchetta.

Vestito delle Donne.

"Il vestito delle donne consiste in una stoffa, lunga cinque metri, indossata con grazia come per formare un scialle e una sottoveste. La parte superiore è messa sulla spalla sinistra e cade con la sua frangia e il bordo ornamentato sulla schiena. Grandi quantità enormi di perline rosse e un grande, pesante ornamento di ottone formano una collana metallica intorno al collo. Vengono usati anelli di rame sono sulla mano sinistra, tanti quanti possono essere indossati su ciascun dito sino alla prima giuntura, sulla mano destra una quantità più piccola; anelli di ottone o bronzo sul secondo dito del piede, cavigliere e braccialetti dello stesso materiale ". Le donne portano solamente ornamenti di metallo e non di vetro, e questo, con le tre linee verticali dipinte sulla fronte e il fatto che la testa e braccio destro sono scoperti li abilita essere riconosciuto facilmente. "I capelli sono cosparsi di olio, per renderli lisci, e capelli posticci o di altro materiale vengono usati per aumentare la massa che non è raggruppata immediatamente dietro, ma più o meno su un lato, sulla parte posteriore destra fino all'orecchio; fiori vengono anche inseriti in questi capelli". Vengono portati, nei lobi dell'orecchio, solo degli anelli ma non gli altri ornamenti. "In occasione delle danze o in altre occasioni speciali, aggiungono alla loro acconciatura anche delle penne di airone, ed una vivace sciarpa nella parte superiore del corpo."


Danze.

"La tribù sto descrivendo può essere osservata alle riunioni di ballo nazionali chiamate Jatras, tenute una volta l'anno generalmente i grandi boschetti di mango nella vicinanza di vecchi villaggi. Come un segnale, le bandiere di ciascun villaggio sono messe sulla strada che conduce al luogo di riunione. Questo incita ragazzi e ragazze ad affrettarsi nei lavori della mattinata e ad indossare i loro abiti jatra, che non sono abiti indossati ogni giorno. Quelli che hanno delle miglia da percorrere portano i loro vestiti in un fagotto, per tenerli freschi e puliti, e si vestono in prossimità del luogo in cui si tiene la festa; e circa alle due del pomeriggio si possono ovunque vedere gruppi di ragazze che fanno le loro tolette all'aria aperta, e giovanetti, in disparte, che fanno lo stesso. Quando sono pronti si suonano tamburi e grandi corni, e i gruppi dei vari villaggi formano una specie di processione. Davanti vanno i giovanetti con spade, scudi o altre armi, gli sbandieratori di ogni villaggio con le loro bandiere e i bambini che fanno ondeggiare le code di yak o fantastiche di ghirlande sinonimo di dignità ed importanza. Qualche volta un uomo che cavalca un cavallo di legno, viene portato dai suoi amici come il Raja e altri si mascherano in qualche modo da bestie da preda. Dietro a questo gruppo multicolore procede la parte principale della processione, in file alternate di ragazzi e ragazze, e così entrano nel boschetto, dove si avrà la festa, muovendosi a passo di danza, con grazia e precisione, fino a formare cerchi e controcerchi. Il ballo con questi movimenti è chiamato kharia, e si considera essere una danza Oraon piuttosto che Munda, anche se delle ragazze Munda vi partecipano. Quando entrano nel boschetto i gruppi diversi si uniscono e ballano insieme il kharia, formando un corteo enorme e poi un grande cerchio. Tamburi e strumenti musicali sono messi da parte, e è da solo dalle voci che viene scandito il tempo; l'effetto è davvero imponente in quanto si ha la partecipazione di centinaia, o meglio di migliaia di persone.. In file serrate, tanto vicine da sembrare legate, essi procedono in cerchio con passi perfetti, ma a intervalli regolari la danza termina con un hururu che ricorda l' huroosh' che viene gridato per la cerimonia del riso e allo stesso momento tutti fanno un salto in aria e poi piombano a terra con un fracasso indicibile, che non è la fine della danza, ma solamente per una pausa momentanea. Una voce allora incita ad un altro giro, e così via in continuazione sino a quando arriva il tramonto ed i ragazzi tornano, sempre danzando, nel loro villaggio.

Costumi sociali.

Ma, più spesso, le danze procedono per tutta la notte. Ball, a proposito delle loro danze, dice: La danza degli Oraon è diversa da tutte quelle che ho visto presso i Santals o le altre tribù. Le ragazze, disposte con cura in ordine di altezza,con la più bassa da una parte e la più alta dall'altra, si tengono strettamente per mano, e i movimenti sono così perfettamente coordinati che saltano con agilità maggiore rispetto a quella di un singolo individuo". Padre Dehon ci da la seguente importante informazione circa i loro costumi: "Gli Oraons sono esseri molto socievoli, a cui piace godere insieme la vita. Effettuano visite o pahis l'un l'altro in tutti i periodi dell'anno intero. In queste visite l' handia (recipiente che contiene birra di riso) ha sempre un ruolo importante. Chiunque riceva dei visitatori senza offrirgli un handia sarebbero insultato e messo alla berlina dai suoi ospiti e da tutte le persone del villaggio. Si può affermare che, che dal tempo del riso nuovo alla fine di Settembre alla fine delle feste di matrimonio o sino a marzo c'è un viavai continuo di visitatori.

Per una festa del matrimonio quaranta handias sono preparati dal padre dello sposo, e tutte le persone del villaggio che possono permetterselo ne portano una. Ciascun handia contiene circa tre galloni di birra di riso (14 litri!), così che in un giorno e mezzo, in un villaggio di trenta case si consumano circa 200 galloni di birra (900 litri). Gli Oraons sono famosi per i loro balli. Si dilettano nel passare la notte intera, dal tramonto fino a mattina in questo divertimento più eccitante, e nella stagione delle danze, vanno da villaggio a villaggio. Sono completamente inebriati dalla musica, e non si ha mai alcuna diminuzione del ritmo. Al contrario, il ritmo sembra continuamente aumentare molto presto fino a di mattina, e qualche volta accade che qualcuno scompaia dal gruppo, e cada completamente esausto, come spento, in un campo vicino. Chiaramente è il diavolo che ha preso possesso di lui. Uno può ben immaginare in che stato siano i ballerini al primo corvo del gallo, e quando 'L'aurore avec ses doigts de rose entr'ouvre les portes de l'orient,' si trovano le ragazze che tornano a casa singolarmente, troppo stanche anche per godere della compagnia dei ragazzi, che restano dietro in piccoli gruppi, suonando ancora i loro tamburi, come se fossero spiacenti che la festa sia durata così poco. Ma, cosa incredibile di cui sono stato testimone, vanno direttamente a lavorare nei loro campi e nelle stalle, come se la notte passata avesse fornito non un'indicibile stanchezza ma un sonno ristoratore. Ritornano a casa alle undici, mangiano il loro pasto, e crollano dal sonno nella veranda come pezzi di legno, fintantoché i familiari, verso le 2 del pomeriggio li chiamano nuovamente al lavoro, a cui questa volta vanno davvero malvolentieri, con occhi appena aperti e passi pesanti. "


Regole sociali.

Gli Oraons non ammettono estranei nella loro tribù. Non esiste alcuna offesa per la quale un uomo è messo permanentemente fuori casta, ma una donna che vive con qualsiasi uomo non Oraon è espulsa. Per colpe lievi si ha normalmente un'espulsione provvisoria. Il capo della casta panchayat è chiamato Pannu, e quando una persona viene riabilitata, il Panna beve dell'acqua dalla sua mano, come a prendersi carico della trasgressione ormai perdonata. Per questo di solito riceve una tassa di cinque rupie, in alcuni Stati questo è nelle mani del Raja che talvolta esige una multa di cento rupie o più da un candidato nuovo. Gli Oraons mangiano pressocché tutti i generi di cibo, inclusa la carne di maiale, uccelli e coccodrillo ma si astengono dal manzo. La loro condizione sociale è molto bassa fra gli indù; loro di solito sono fatti vivere in un angolo separato del villaggio, e qualche volta non è permesso di prendere l'acqua alla fonte del villaggio. Come già accennato, il vestito degli uomini consiste solamente di uno stretto pezzo di stoffa rotondo i lombi. Alcuni di loro dicono che, come Gonds, sono discesi dai Rawan, re demoni del Ceylon; questa ascendenza è senza dubbio stata attribuita loro dagli hindu. E loro spiegano che quando Hanuman nella forma di una scimmia gigante venne ad assistere Rama, il loro re Rawan tentò di distruggere Hanuman prendendo tutte le stoffe dei loro vestiti, cospargendole di petrolio e legandole alla coda della scimmia per dar loro fuoco e bruciare Hanuman. Questo sotterfugio non ebbe successo e Hanuman scappò, ma da allora i soggetti di Rawan e i loro discendenti non hanno mai avuto un taglio di stoffa sufficiente a coprirli propriamente.


Carattere.

"L'Oraon, dice il Colonnello Dalton, se non il più virtuoso, è il più allegro dell'intera razza umana. Il loro destino non è stato particolarmente felice. Essi sono consapevoli di essere stati creati specialmente come una classe di lavoratori, tante e tante volte questo è stato loro detto che alla fine lo credono e l'ammettono. Credo che a loro piaccia il lavoro a condizione che il capo non richieda davvero troppo. Gli Oraons imprigionati senza lavoro, come qualche volta accade, per non aver ad esempio pagato le tasse, insistono per unirsi a quelli che lavorano. Se sono trattati con riguardo lavorano e mostrano interesse nel loro compito. Col caldo o col freddo, con la pioggia o con il sole, vanno gioiosamente a lavorare e tornano a casa, allegri, tenendosi per mano e cantando, dopo ben nove-dieci ore di duro lavoro.


Lingua.

La lingua Kurukh, Grierson afferma, non aveva caratteri scritti, ma i vangeli sono stati stampati in caratteri Devanagri. La traduzione è dovuto al Rev. Padre Halm che aveva pubblicato anche una storia biblica, un catechismo e gli altri libri piccoli in Kurukh, più dell'80% degli Oraons sono tornati a parlare la loro lingua originaria.

PAHARIA

Sono una piccola comunità etnica, molto dispersa nel nordest del Bangladesh. Paharia è una parola Indo-ariana che indica persone che vivono in colline o montagne. I Paharia del Bangladesh dicono che la loro origine deriva dalle colline Rajmahal del Bihar meridionale (India). Nel passato, i Paharia erano noti come banditi che operavano in scorrerie nelle aree vicine e rubavano le barche da trasporto sul Gange. Sono una minoranza etnica e storicamente trascurata dedita ad un'agricoltura primitiva ed alla raccolta di alimenti nelle foreste. Furti e saccheggi da parte loro arrivarono quando il cibo divenne scarso e il governo inglese li teneva a bada con un corpo di fanteria leggera. Essi sono uno dei due gruppi etnici del Bangladesh di origine dravidica, l'altro è quello degli Oraon. Nessuna distinzione chiara esiste comunque tra loro. I Paharia sono divisi principalmente in due gruppi: Sauria (noti anche come Maler) e Mal. I Kumar o Kumarbhag sono originati dai Mal che sono estremamente pochi in Bangladesh. Secondo il censimento del 1991, la popolazione di Paharia in Bangladesh era solamente 7,361 concentrata principalmente nei distretti di Rajshahi, Dinajpur, Bogra e Pabna. La comunità Paharia in Bangladesh trova molto difficile ora mantenere la propria identità indigena largamente influenzata dall' Induismo. La terminologia Paharia ora è completamente induizzata. La lingua Paharia non ha alfabeto e in molti posti è stata addirittura dimenticata. Con la struttura sociale che si evolve e per la chiusura alle credenze religiose, molti Paharia ora si identificano come indù, sebbene loro non abbiano potuto convertirsi formalmente all' Induismo. Dicono di adorare divinità indù come Laksmi, Manasa, Kali e Durga, ma non erigono alcuna immagine di queste divinità.

PANKHO

Appartengono a una tribù di Tratti collinari di Chittagong considerata un sotto-ramo della razza mongola. In lingua e stile di vita sociale hanno molte somiglianze con un altra tribù chiamata Banajogi. I Pankho sono di statura piccola, carnagione bruna, naso piatto e occhi piccoli. Vivono nel distretto di Bandaraban dei Tratti collinari di Chittagong, ma la loro origine era probabilmente la Birmania (Myanmar). Essendo stati estromessi da lì, si stabilirono in questa regione alcuni secoli fa.

Si dichiarano buddisti ma, come molti altri aborigeni, adorano la natura. Il nome del loro Creatore è Patyen che assomiglia a Puthian, il Creatore dei Lushei. Molti miti nella società Pankho esistono circa la creazione dell'Universo. Dopo il Creatore, Patyen, il dio più importante che loro adorano è chiamato Khojing, il Dio della foresta che controlla l'agricoltura Jhum. Di conseguenza, più offerte di puja e riti sono a lui dedicati. La tigre, animale domestico per Khojing, è molto rispettata dai Pankhos. La prima festa dell'anno bengalese, all'inizio di Baisakh (Aprile-maggio), è dedicata a Khojing. I Pankho credono che Khojing stia nella profondità della foresta. La puja principale di Khojing è tenuta in Sraban (Luglio - Agosto) ed è considerata la più grande festa della comunità Pankho. I Pankho e i Banajogi sono coltivatori. Il sistema di agricoltura jhum è ancora praticato estesamente da loro.

I Pankho producono riso e altri raccolti. Si forniscono di legname abbattendo alberi nella foresta. In tutti queste lavori le donne sono attive come gli uomini, ed in aggiunta, si occupano anche del mercato. Come le donne tribali birmane ed assamesi, le donne Pankho lavorano molto e godono di un ruolo speciale nella famiglia. Il riso è il cibo principale e il vino è la loro bevanda preferita. Mangiano carne di capra, maiale, cane, toro selvatico, selvaggina varia ecc., ma la carne di tigre o chitah è per loro tabù. Nella comunità Pankho, il padre è il capo della famiglia. Dopo la morte del padre, i suoi figli ereditano la sua proprietà e tutti i beni. I Pankho sono divisi in due clan: Pankho e Bhanjang. Permettono matrimonio tra persone di clan diversi. Dopo il conseguimento della maturità il matrimonio avviene col beneplacito dei genitori. Regole e riti di matrimonio sono molto simili a quelli dei Kuki e dei Lushei. Non praticano matrimonio di bambini mentre sono ammessi divorzio e nuovo matrimonio per le vedove.

I vestiti dei Pankho e Banajogi sono molto semplici. Gli uomini portano un pezzo di stoffa simile al dhuti. Le donne portano un vestito chiamato pirhan che è simile al vestito delle donne Chakma. Un pezzo separato di stoffa è allacciato sulla parte superiore del corpo. Questi vestiti sono tutti tessuti a casa. I Pankho hanno la propria lingua che è solo parlata. Lo stesso vale anche per i Banajogi. C'è molta somiglianza tra le lingue parlate delle due tribù, entrambe senza alcuna forma scritta. Ciononostante, non mancano nella loro lingua canzoni, specialmente quelle d'amore. La cultura dei Pankho e dei Banajogisi è sviluppata attraverso una combinazione delle loro credenze religiose, costumi e cerimonie sociali, puja e feste. Balli e canti hanno alimentato la loro cultura. Tra i loro balli sono peculiari quello del bambù, quello floreale e altri generi.

PATRA

Noti anche come Pathor o Pator, sono una piccola tribù piccola che vive nell'area del Sylhet. Furono menzionati come Chutiya nel Rapporto di RM Nath sulla Cultura Assamese (1948). Nel catasto del Sylhet erano invece menzionati come Khasia. Ma sono diversi in fisico e carnagione e non sono robusti come i Khasia. Nella propria lingua, i Patra chiamano la loro tribù Laleng. C'è una mancanza di chiarezza circa il loro credo religioso e la loro identità etnica. Una parte della tribù mostra caratteristiche mongole. I villaggi Patra ora sono nelle upazilas di Sylhet Sadar e Gowainghat. Nel 1971, alcuni Patra andarono in Assam, Meghalaya e Kachar. Nel 1991, 402 famiglie Patra con una popolazione totale di 2.033 viveva in 19 villaggi del distretto di Sylhet. La distribuzione era del 54% uomini e 46% donne.

Si identificano come indù e adorano Kali, Manasa, Lakshmi e Saraswati ma le famiglie Patra di solito non hanno idoli di queste divinità nelle loro case come è invece usuale per le famiglie indù. I riti religiosi e i rituali dei Patra riflettono una combinazione di credenze tribali e indù. Questo è particolarmente vero nelle loro cerimonie relative a nascite e morti. Praticano due tipi di matrimonio: Sitakkhi e Taitakkhi. Sitakkhi è un genere di matrimonio forzato che è anche noto come Chhaibhashma. Il matrimonio Taitakkhi è invece vicino a un matrimonio indù. La società Patra è patriarcale. Solamente i figli maschi ereditano la proprietà di padre. Se un Patra non ha un figlio, i suoi fratelli o i figli dei suoi fratelli diventano gli eredi.

RAJBANGSHI

Sono una piccola tribù del gruppo Bhotbarmi. Arrivarono in Bangladesh dalla regione dell' Himalaya e dalla valle del Brahmaputra. Appartengono ad una razza mista, sebbene identificata da molti come un ramo del Ksatriya nota come Kotch. Sono di statura bassa e hanno nasi piatti e mascelle pronunciate. Sono seguaci di Vaisnavismo. Alcuni di loro si sono convertiti all'Islam o al Cristianesimo. In Bangladesh, loro vivono soprattutto nei distretti di Rangpur, Dinajpur e Rajshahi e un piccolo numero nei distretti di Bogra e Mymensingh. Nei censimenti condotti nel 1941 e anni successivi, furono considerati come parte della comunità indù e il loro numero non potè quindi essere accertato. I Rajbangshi ora sono una comunità in declino nel Bangladesh. La loro popolazione totale era nel 1991, di poco superiore a 5.000. La loro professione principale è l'agricoltura, ma sono anche attivi nella pesca e nella vendita del pesce. Le donne si sono specializzate in lavori artigianali ma anche nelle costruzioni. Nella loro comunità, il padre è il capo della famiglia. Solamente i maschi ereditano la proprietà di loro padre dopo la sua morte. I Rajbangshi adorano dei e dee indù (Shiva, Vishnu, Durga e Kalì) e osservano Baridhara brata (voto), un simbolo delle antiche comunità agricole. Compiono anche riti religiosi e rituali riferiti alla fertilità e alla procreazione. Fra i Rajbangshi, molti sono animisti, mentre molti altri adorano la natura, incluse montagne, fiumi, foreste e terra. Loro pregano al dio della casa (Bahasto o Bahusto) per il benessere della loro famiglia e Balibhadra Thakur prima della semina o del raccolto. Cantano canzoni indigene e ballano nelle festività religiose. In caso di prolungata siccità, organizzano il Huduma Puja che spesso diventa una grande festa religiosa. I Rajbangshi non hanno nessuna lingua scritta o alfabeto. La loro lingua parlata è una mistura di lingue colloquiali considerata da molti come una versione distorta del Bengoli. Rituali per il matrimonio hanno elementi Santal e Oraon. Divorzio e matrimonio dei vedovi è permesso ma, in caso di matrimonio di una vedova, il fratello più giovane del marito deceduto ha il diritto di sposarla. Bruciano i corpi dei morti e celebrano il Shraddha (funerale) dopo uno mese dalla morte.

RAKHAIN

Sono una piccola tribù di origine in Arakan che appartiene alla comunità mongola Bhotbarmi. Molti però considerano i Rakhain e i loro vicini, i Marma come una stessa tribù. La testa dei Rakhain è rotonda, il naso piatto, capelli neri, di solito di bassa statura e con carnagione marrone chiaro.

Una sezione dei Rakhain cominciò vivere a Ramu e nelle aree adiacenti ai Tratti collinari di Chittagong nel quindicesimo secolo. Molti Rakhain emigrarono dalla loro terra natia in Arakan a causa dei tumulti politici del diciottesimo secolo, e gradualmente si stabilirono in aree diverse dei Tratti collinari di Chittagong e a Patuakhali. 4.049 erano, nel 1872, i Rakhain presenti nella regione di Patuakhali. Il numero aumentò a 16.394 nel 1951, ma si ridusse a 3.713 nel 1979. Il censimento di 1991 registrò 7000 Rakhain in Bangladesh. Più dell'80% vivevano a Ramu, Cox Bazar, Bandarban, Manikchhari e Teknaf.

Sebbene buddisti per fede religiosa, i Rakhain, come molti altri gruppi tribali, credono in superstizioni, poteri magici e soprannaturali. Conducono una vita molto semplice. L'anniversario della nascita di Gautam Buddha è una delle loro maggiori cerimonie religiose. Osservano la festa primaverile e il Baishakhi, Maghi Purnima e Prabarana Purnima. Sundreyè la loro festa di comunità più grande e è osservata per tre giorni in occasione di Chaitra Sankranti. Ognuno prende parte in questa festa. Ragazzi giovani e ragazze cantano canzoni e ballano in gruppi.

La professione principale dei Rakhain è l'agricoltura. Tessono e producono sale e zucchero (melassa). Maschi e femmine prendono parte ai lavori agricoli. Ma è delle donne il ruolo principale nell'allevamento del bestiame e del pollame. Alcuni sono dediti al commercio o all'insegnamento.

La loro dieta include riso, pesce, legumi e vegetali. Carne di maiale e pesce essiccato sono i cibi preferiti. Nelle cerimonie vengono offerti Pitha (dolci) e porridge di riso dolce. Il vestito comune per gli uomini è il lungi e fatua mentre le donne usano lungi e camicie ricamate ma anche vari tipi di ornamenti sui loro corpi e fiori nei capelli. Il matrimonio è un'obbligazione religiosa e sociale nella loro società.

Generalmente i matrimoni sono prearrangiati dalle famiglie, ma matrimoni d'amore diventano più frequenti. La dote non è accettata; il padre è il capo formale della famiglia, e maschi e femmine godono degli stessi diritti. Figli e figlie ereditano in parti uguali.

La lingua Rakhain appartiene al gruppo di lingue Bhotbarmi. I bambini Rakhain cominciano la loro istruzione nelle Buddhist Patshalas ( scuola elementare ) o khyangs (convento). Ricevono l'istruzione religiosa e linguistica. Il tasso di alfabetismo nella comunità Rakhain è quindi molto alto e alcuni arrivano a livelli elevati di istruzione. Bruciano i corpi dei morti e seppelliscono ossa e ceneri. La cerimonia Shraddha (funerale) per il morto è tenuta dopo sette giorni.

SANTAL


Le loro tradizioni e istituzioni in Bangladesh di p. Marcus Murmu

  1. Introduzione

Introduzione Ogni gruppo etnico o società ha le sue uniche e proprie caratteristiche, sistema di valori, consuetudini, atteggiamento alla vita, gerarchie sociali, religione e tradizioni. Ha il suo proprio approccio alla vita e alla morte, malattie e calamità, individuali e comunitarie e, soprattutto, un senso di identità. Questo senso di identità o auto-immagine culturale ha sempre sfaccettature positive e negative; definisce le caratteristiche di solidarietà e di unicità del gruppo etnico, e mostra anche le differenze con gli altri gruppi nella società. Non vi è dubbio che tradizioni e istituzioni hanno un importante ruolo nel definire un senso di identità. I Santal, come tribù, sono estremamente orgogliosi delle loro tradizioni e istituzioni e credono nell'idea di una " Grande Tradizione " della quale loro sono gli eredi. Essendo consapevoli del ruolo delle tradizioni e delle istituzioni nel definire un senso di identità, questo capitolo accentua le caratteristiche uniche delle Tradizioni ed Istituzioni Istituzioni, coi suoi vari cambiamenti avvenuti nel corso della storia

2. Premessa storica

Dai tempi pre-storici, l'India è stata la terra natia di un gran numero di gruppi etnici e culture. Questi vari gruppi etnici, che sono creduti essere i primi abitanti del paese sono chiamati con vari nomi, più generalmente e estensivamente il termine noto è "Adibasi". Antropologicamente non vi è alcun concetto di "Adibasi" o "tribù" come una razza. L' ONU ha designato i tribali di tutto il mondo come "Popoli Indigeni". Nel 1993, l'Anno dei Popoli Indigeni, il Consiglio mondiale dei Popoli Indigeni ha proposto seguente il termine:

Popoli indigeni, come noi siamo, sono quelli che da tempi della era antica hanno occupato le terre dove noi viviamo, che sono consapevoli di avere un carattere proprio, con tradizioni sociali e mezzi espressivi che sono collegati al paese ereditati dai nostri antenati, con una lingua propria e con caratteristiche essenziali e uniche che conferiscono su noi la forte convinzione di appartenere a un popolo che ha un'identità in noi stessi e tale dovrebbe essere considerato dagli altri.

Molti di questi gruppi hanno preservato più o meno il loro senso di un'identità sociale e culturale separata relativamente ai loro costumi e regolamentazioni. Dal 1891, questi gruppi etnici sono stati enumerati in diversi Rapporti del Censimento come persone che hanno una forma tribale di religione, (1891), animisti (1901), animisti tribali o religione tribale (1911), tribù delle colline e della foresta (1921), tribù primitive (1931), tribù (1941) e tribù inventariate (1951, 1961 1971). Secondo il Censimento del 1971, la popolazione delle Tribù inventariate in India era 38.015.162 o il 6.9% della popolazione totale. La Costituzione indiana non considera tutte le comunità tribali come Tribù inventariate. È evidente dall' articolo 342 che: provvede alla specificazione di tribù o comunità tribali o parti di o gruppi fra tribù o comunità tribali che saranno ritenute per lo scopo della Costituzione essere Tribù inventariate in relazione ai vari Stati e Territori dell'Unione.

2.1 Identità dei Santal

I Santal non hanno storia scritta e tutto che è conosciuto è stato tramandato oralmente da generazione a generazione. Considerano la storia scritta come inattendibile e perciò dipendono dalle loro tradizioni orali. Questo è espresso nel loro proverbio: Puthi reak' khon tuthi reak' sorosa (la memoria è superiore ai libri o la bocca è il nostro libro stampato). Noi non possiamo essere d'accordo con loro ma le tradizioni orali di una razza così antica e virile come i Santal, costituiscono uno studio affascinante e pieno di interesse. Come dato di fatto, i racconti popolari Santal sono un mezzo molto importante per la conservazione della loro conoscenza tribale, integrità tribale e identità culturale. Essi asseriscono valori, creano solidarietà e inspirano fiducia.

I Santal sono una delle maggiori tribù indiane, con 3,633,459 persone o il 9.55% delle tribù inventariate, secondo il Censimento del 1971. Questo dato, comunque, non include un numero abbastanza grande di Santal che si trovano in Stati certi come l'Assam e Meghalaya dove loro non sono considerati come Tribù inventariate. Molti Santal si trovano anche in Orissa (numerosi nel distretto di Mayurbhanj), Nepal, Bangladesh e Bhutan. I Santal si trovano soprattutto nei distretti sud-orientali di Bihar e i distretti confinanti di Bengala occidentale. Nel Bihar, i Santal sono nei distretti di Santal Parganas, Ranchi, Baghalpur, Singhbhum, Hazaribagh, Dhanbad, e Purnea. Nel Bengala occidentale, sono concentrati soprattutto nei distretti di Midnipur, Purulia, Burdwan, Bankura, Dinajpur occidentale, Birbhum, 24 Parganas e Malda.

2.1.1 Nomi e origini

Il Nome Santal

Relativamente al nome Santal, vi sono varie opinioni. H.H. Risley propone la seguente: Secondo Skrefsrud, il nome Santal è una corruzione di Saontar, e fu adottato dalla tribù dopo il loro soggiorno per molte generazioni nel paese vicino a Saont nel Midnipur. Prima che loro andassero a Saont si diceva che erano stati chiamati Kherwar, la cui radice, khar, è una variante di hor "uomo", il nome che tutti i Santal usano fra loro. Relativamente alla derivazione del nome da Saont, un villaggio oscuro, piuttosto fuori dalla linea principale delle loro migrazioni recenti, si può osservare che il Colonnello Dalton espresse il dubbio se il nome del luogo non avesse potuto essere preso dalla tribù, e questo sembra derivare dalla scoperta di una piccola tribù di Saonts in Sarguja e Keunjhar. Il punto, comunque, non è di grande importanza. Oggi quando a un Santal si chiede a quale casta appartenga, lui risponderà pressoché invariabilmente Manjhi (letteralmente, "capo del villaggio", uno dei titoli più comuni della tribù), aggiungendo Santal Manjhi se è richiesto un ulteriore chiarimento. Secondo W. B. Oldham, Santal è un'abbreviazione di Samantawala che è dedotto dalla parola Sanscrita, un altro nome dato al paese intorno a Saont. O' Malley è dell'opinione che Santal sia una forma inglese adottata dagli Hindi che corrisponde alla forma Saontar usata dai Bengalesi. È molto interessante notare che Sir John Shore designò i Santal come Soontars mentre Mc Pherson li menzionò col nome di Saungtars.

Più Antropologi sono stati d'accordo, nonostante le varie opinioni riguardo al nome, che Santal è il nome dato a questa tribù da non-Santal, più probabilmente originandolo dal termine Sanscrito Samanta, che vuol dire "delimitando" e questa opinione sembra avere conforto nel fatto che i Santal sono concentrati soprattutto in aree di confine. Qualunque sia il nome, Santal usano tra di loro il termine Hor che vuole dire "uomo" e a loro piace essere chiamati in questo modo per designare la loro identità. Nel passato, il termine Manjhi veniva anche usato per designare l'identità dei Santal come è evidente dai vari Dalil o documenti legali, specialmente i documenti relativi alla proprietà della terra.


Storia delle loro Origini

Per l'origine del Santal, non è possibile essere molto assolutamente certi, in quanto ben poco è conosciuto in quanto, come menzionato prima, i Santal non hanno storia scritta. Come gli altri esseri umani, essi hanno tentato di esplorare i misteri della creazione, della storia e della vita con miti e leggende. Vi è una storia mitologica tradizionale circa l'origine della prima coppia umana.

All'inizio, dappertutto, c'era solamente acqua. E, in fondo all'acqua, c'era la terra. ThakurJiu creò la prima coppia umano della terra; ma quando lui stava donandole il jiu (lo spirito della vita) arrivò Sin' Sadom (letteralmente, Cavallo del giorno) e li ridusse in pezzi. ThakurJiu accorato disse che non li avrebbe fatti di terra; ma come uccelli. Così lui creò un paio di Cigni (Has Hasil) dal suo petto. Lui tenne questo paio nella sua mano e respirò su di essi e loro divennero vivi e volarono via. Ma, non trovando nessun luogo su cui posarsi, tornarono da Thakur-Jiu. Il Cavallo del Giorno venne in giù lungo una sottile ragnatela per bere acqua. Mentre faceva questo si formò della schiuma che stette a galla sull'acqua. Thakur- Jiudisse allora ai due uccelli di posarsi sulla schiuma. Loro fecero così e restarono a galla sul mare. Ma non avevano nulla da mangiare. Tutto era coperto dall'acqua e Thakur-Jiu fece appello a molti animali per portare un po’ di terra; nessuno però vi riuscì fino a che non venne richiesto al verme di terra, che promise di farlo se la testuggine fosse rimasta in acqua. Il verme di terra aveva la sua coda sulla schiena della testuggine, mangiò la terra con la sua bocca e lasciò che essa uscisse sulla schiena della testuggine. Thakur-Jiu erpicò la terra, formando colline e valli. La schiuma suddetta aderì alla terra e Thakur-Jiu seminò semi diversi di erba, alberi e finalmente tutti i generi di vegetali. Poi gli uccelli fecero il loro nido in gruppo di erba di Sirom (Andropogon muricatus). Qui loro posarono due uova, e da queste nacquero un ragazzo e una ragazza. Thakur-Jiu istruì gli uccelli su come alimentarli. Dovevano lasciare il succo di quello che mangiavano su del cotone e succhiando questo i bambini si sarebbero alimentati. Un ulteriore problema derivò da dove tenerli quando sarebbero cresciuti. Implorarono di nuovo Thakur-Jiu che disse di volare e di trovare un luogo adatto. Loro volarono verso il sole al tramonto e trovarono Hihiri Pipiri e, dietro istruzione di ThakurJiu volando li trasportarono sulle loro schiene. Questo fu il luogo dove visse la prima coppia umana. Quello che accadde dopo agli uccelli non è noto, loro dicono. Le tradizioni successive ci dicono che loro doverono passare molti paesi per arrivare a Sasan Beda da Hihiri Pipiri e da là loro andarono a Campa da dove, dopo un soggiorno lungo, loro avevano fuggire fuori di paura di avere le loro figlie rapite da Mandho Sin', un potente tiranno non-Santal. Qualunque sia l'origine dei Santal, la loro storia mitologica e tradizionale concorda nella prima parte di essa sulle seguenti quattro linee:

Siamo nati a Hihiri Pipiri,

Fummo chiamati al promesso Kaman ,

Crescemmo e ci moltiplicammo a Harata,

Ci dividemmo in clan a Sasan Beda.

Poiché i Santal non hanno una storia scritta, molte teorie congetturali sono state avanzate riguardo all'origine delle tribù Pre-Dravidiane che erano una volta estremamente nomadi, secondo le tradizioni. Sforzi sono stati fatti anche da diversi studiosi per identificare i paesi, fiumi colline, foreste ecc., ma in seguito alla mancanza di evidenza da parte di altre fonti, non è stato mai possibile avere una teoria definitiva e universale. L'opinione di W. W. Hunter sembra essere giusta quando dice: A seguito delle abitudini migratorie dei Santal, ed alla rotazione delle culture che praticano, la loro origine è particolarmente difficile da determinare. I loro luoghi non esistono più, o per la scomparsa delle foreste, o per l'intrusione degli indù, e attualmente fra gli etnologi resta aperta la domanda relativa alla loro provenienza.


Identità razziale del Santal

Per quanto riguarda l'etnologia razziale, ci sono opinioni diverse fra gli studiosi e non esistono mezzi per accertare l'esattezza di nessuna di esse. La carnagione dei Santal è marrone scuro, raramente molto scuro, ma mai come quella dei Negri e spesso anzi anche abbastanza chiara. Gli occhi sono di taglia media e di colore nero. Capelli generalmente sono comuni, neri e lisci. Alcuni individui possono avere capelli ondulati e crespi, talvolta ricci, mai, comunque, come in Africa. Il naso generalmente è largo e un po' appiattito. I Santal generalmente hanno poca barba, pochi peli e labbra spesse. Fisicamente, sono robusti, diritti e forti; la loro altezza varia molto ma, come regola, un po' più bassi degli Ariani.

I Santal hanno una propria lingua nota come Santali che appartiene alla famiglia di lingue Munda. Peter W. Schmidt ha classificato la lingua Mundari come una sottofamiglia del gruppo delle lingua Austro-asiaticche. Poiché i Santal appartengono alla famiglia di lingue Munda, sono stati classificati dagli antropologi come pre-Dravidiani, Kolariani, Dravidiani, ProtoAustraloidi, Nishadies e Austrici. La classificazione di Risley del puro ceppo dravidiano pura è considerata obsoleta perché i Santal differiscono razzialmente dalle tribù di lingua Dravidiana. Peter W. Schmidt classificò i Santal come Austro-Asiatici, A. C. Haddon come preDravidiani, Guha come proto-Australoidi, a causa della somiglianza razziale con gli aborigeni australiani. Osservando le caratteristiche fisiche e generali dei Santal P. O. Bodding ha messo in dubbio l'esistenza di un elemento di Negroidi fra di essi e il Dott. Hrdlicka, confermando ciò, ha suggerito che i Santal sono una mescolanza di Mongoli. S. S. Sarkar pensa che i Santal sembrano possedere forti elementi australoidi in aggiunta a quelli mongoloidi.

Da quanto sopra è evidente, che nessuno è scientificamente certo sull'identità razziale dei Santal. Sarebbe molto desiderabile per avere scientificamente maggiori dati uno studio scientifico più approfondito sui Santal. Sebbene non sia soddisfacente rimanere solamente con l'opinione di uno basata su congetture probabili, l'opinione di Guha che identifica il Santal come Proto-Australoidi si appoggia al fatto che c'è una somiglianza razziale tra Santal e gli aborigeni in Australia. Noi possiamo aggiungere che i Santal attuali non sono una razza non mescolata. Durante le ultime generazioni, ma forse anche precedentemente, deve esserci stata una mescolanza con altri gruppi. È per questo che i Proto-Australoidi sono anche noti come Austrici. Qualunque sia l'identità razziale del Santal, evidentemente possiedono componenti molto primitive.

2.1.2 Sinossi della migrazione dell’insediamento

La storia del Santal è la storia di una dura lotta dura coi loro vicini, per mantenere la loro esistenza. La loro fedeltà e la semplice cordialità costituirono una facile preda per lo sfruttamento da parte di proprietari ingiusti o di altri gruppi superiori. I Santal hanno un buon numero di tradizioni, che descrivono il nomadismo dei loro antenati. Iniziano con la creazione del mondo e della prima coppia umana che credono siano i loro primi genitori. Si crede che la prima coppia umana cominciò la vita a Hihiri Pipiri dove loro avevano sette ragazzi e sette ragazze. Questi sette ragazzi e sette ragazze si appaiarono, il ragazzo più grande con la ragazza più grande e così via. Vedendo questo, i loro genitori li fecero sposare e tutti ottennero bambini. I loro genitori li divisero in sette clan esogamici, per evitare incesti,: Hasdak', Murmu, Kisku, Hembrom, Mardi, Soren e Tudu.

Poi emigrarono a Khojkaman dove loro divennero come animali. In questa situazione la loro Divinità Suprema, Thakur-Jiu si arrabbiò e disse cambiare il loro modo di vivere, ma loro non ne tennero conto. Finalmente, Thakur-Jiu distrusse tutta l'umanità, eccetto una coppia, facendo piovere fuoco per sette giorni e sette notti. La coppia fu mandata in una caverna nella montagna di Harata dove i Santal ancora una volta aumentarono e si moltiplicarono. Poi loro migrarono a Sasan Beda dove loro stettero per molto tempo e, ancora una volta, furono divisi in clan (inoltre ai sette clan su menzionati se ne aggiunsero cinque: Baske, Besra, Pauria, Core e Bedea, l'ultimo scomparso molto tempo fa). Da qui gli antenati vagarono verso l'Est fino ad arrivare alla terra di Campa.

I Santal e i loro antenati sono stati vagabondi da una terra all'altra, secondo le tradizioni, restando talvolta per generazioni in uno luogo ma sempre spostandosi più o meno verso l'Est, non all'Ovest. Pressoché tutte loro tradizioni mantengono la stessa direzione e i Santal credono che loro sono venuti dall'Ovest. I primi insediamenti dei quali parla la tradizione Santal, specialmente quegli in Hihiri Pipiri e Cai Campa sono sulla frontiera nord-occidentale del bassopiano di Hazaribagh e nella linea dell'insediamento dei numerosi immigranti indù da Bihar che, secondo il rapporto del Rev. J. Philip, indubbiamente spinsero i Santal verso est. Qualunque sia stato l'habitat originale dei Santal, si trovarono in gran numero in Chotonagpur, specialmente nei distretti di Hazaribagh, Palamau e Singhbhum e nei vicini distretti di Midnipur e Birbhum verso la metà del diciottesimo secolo. Cominciarono a emigrare verso le Colline di Rajmahal, situate sul lato nord-orientale dell'altopiano di Chotonagpur verso la fine del diciottesimo secolo. Nel 1833, il Governo britannico demarcò l'area delle Colline di Rajmahal, comprendendo 1,366 miglia2 che furono note come Damin-i-Koh (letteralmente, ' le gonne delle colline) e i Santal furono incoraggiati stabilirsi in quell'area. Nel 1851, la popolazione di Santal in questa area era aumentata da 3,000 a 82,795, e Damin-i-Koh divenne il centro dei Santal. I Santal divennero ancora più numerosi e il Governo stabilì delle tasse sul reddito della terra, sotto la soprintendenza di James Pontet provvide per la prima volta nella storia del Santal ad una certa forma di possesso della terra.

L'Insurrezione dei Santal nel 1855-1856 è l'evento più importante nella storia dei Santal. È divenuta parte integrante della loro coscienza. È stata la conseguenza di un " lungo periodo di oppressione sopportata silenziosamente e pazientemente da queste persone non sofisticate e non avvezze a lottare per i loro diritti nei modi legittimi dei loro vicini ". La ragione dietro a questa insurrezione è espressa bene nella Calcutta Review: … un sistema combinato di estorsione, esazioni oppressive, possessi forzati di proprietà, dell'abuso e della violenza personale e una varietà di piccoli tirannie sui timidi Sonthal. Interessi usurai su prestiti varianti dal 50 a 500 percento; imbrogli al haut (mercato provvisorio) e al mercato; trasgressioni e soprusi da parte dei ricchi erano all'ordine del giorno.."

Dopo battaglie intermittenti per un anno, la ribellione fu soffocata dagli inglesi. L'insurrezione (Hul), nonostante il suo fallimento, ha avuto un'influenza importante sulla successiva politica inglese nei riguardi dei Santal. Essa convinse il Governo britannico sulla necessità di adottare riforme giudiziali e amministrative migliori. Come risultato, dall'Atto XXXVII del 22 Dicembre 1955 il territorio di Damin-i-Koh e quello circostante fu formato come distretto separato e non-regolare chiamato Santal Parganas che i Santal considerano la loro terra natia e Dumka divenne il capitale del distretto. Con le leggi di polizia del 1856, fu riconosciuto il sistema Santal amministrativo e tradizionale e al Manjhi e Pargana furono dati poteri di polizia. Al Vice Commissario fu conferito il potere di nominare e congedare un Manjhi o un Pargana. Inoltre, i Santal trassero profitto dall'Atto di Affitto della Terra del 1885, perché in ragione di questo Atto, nessuna terra poteva essere comprata da persone nonSantal.

2.1.3 I Santal in Bangladesh

Come abbiamo visto, i Santal cominciarono prima a emigrare nelle colline e foreste dei Santal Parganas verso la fine del diciottesimo secolo. Si sparsero rapidamente all'interno delle parti collinose del distretto, distruggendo la foresta e coltivando laddove possibile. La tassa annuale era prima irrisoria ma gradualmente aumentò. I padroni cominciarono anche a richiedere dopo alcuni anni, un somma molto più alta come affitto anche allo scopo di molestare gli abitanti dei villaggi in vario modo. E quindi gli abitanti di un villaggio erano di solito costretti a abbandonare le terre rese produttive con loro sudore e si avventuravano verso altri tratti di foresta vergine, dove il processo si sarebbe ripetuto.

Durante il diciannovesimo secolo si assistette alla scomparsa di molte foreste e alla della popolazione. Allo stesso tempo si arrivò a dispute e problemi di carattere agrario. Fu indicato da Sir Edward Gait nel 1901 che le migrazioni dei Santal avvenivano anche nei bassipiani, con suolo di laterite. Durante questo periodo, il Santal si erano insediati non soltanto nei Santal Parganas e Chotonagpur, ma a Malda (India), Dinajpur, Rajshahi e Bogra (Bangladesh). Pier Bessignet è dell'opinione che la maggior parte dei Santal del Bangladesh è emigrata da Chotonagpur e Santal Parganas.

Il Bangladesh è ufficialmente noto come il "la Repubblica del popolo del Bangladesh", un paese litoraneo e piccolo dell'Asia centrale e meridionale, che copre un'area di 55,598 miglia . La capitale è Dhaka. Giace tra latitudini 20°30' e 26°15 ' nord (circa 390 miglia dal suo nord estremo all'estremo sud) e tra le longitudini 88°30 ' e 92°15 ' est (circa 190 miglia da est a ovest).

Al Sud comprende la linea costiera irregolare della Baia del Bengala, e è delimitata a sud-est da Myanmar (la Birmania). Gli stati indiani del Bengala occidentale all'ovest e nord e Assam al nord e est confinano con il Bangladesh. I dati seguenti sono registrati secondo il censimento del 1994* .

Lo stesso Censimento di 1994 indica che ci sono 88.3% musulmani, 10.5% indù, 0.6% buddisti, 0.3% Cristiani e 0.3% altri. Il numero accurato delle tribù aborigene in Bangladesh è ancora ignoto. Secondo p. Stefano Gomes, il numero della popolazione tribale in Bangladesh è approssimativamente 1,392,008, mentre il 1994 Censimento li indica in 1,205,978 che forma 1.33% della popolazione totale. È molto difficile dare un numero accurato delle tribù aborigene. La popolazione totale degli Adibasi sarà più probabilmente non meno di 2,500,000. Sono divisi in 58 gruppi secondo la loro propria identità.

Questi tribali sono principalmente nei distretti di Chittagong-Hill Tracts, Sylhet, Mymensingh, Rangpur, Dinajpur, Rajshahi, Bogra, Pabna. I Santal sono la tribù aborigena più influente del Bangladesh, principalmente concentrata al nord, con circa 225.000 persone. A livello di distretto si trovano in Rajshahi, Chapai Nawabgonj, Natore, Bogra, Joypurhat, Nogaon, Pabna, Dinajpur, Thakurgaon, Rangpur, Gaibandha, Sirajganj, Sylhet e Kustia. Più probabilmente, loro emigrarono nell'area di Bangladesh verso la fine del diciannovesimo secolo o all'inizio del 20° secolo.

* Stima 2011: 158 milioni

2.2 Tradizioni e istituzioni dei Santal

I Santal sono notevolmente omogenei. La loro integrità e identità sociale "non è mantenuta esteriormente per fronteggiare interazione e partecipazione ma da comuni tradizioni culturali, sentimenti tribali e consapevolezza." In tutto il corso della loro evoluzione sociale, nonostante la loro dispersione, le crisi e l'impatto di vari cambiamenti politico-culturali i Santal hanno potuto preservare la loro omogenea identità attraverso la loro lingua, le istituzioni di parentela, la organizzazione rituale e sociale. Questa omogeneità è ben espressa da Datta-Majumdar: " L'organizzazione democratica e tradizionale del Santal ha… mostrato tenaticità nell'essere mantenuta anche in quelle aree dove si è avuta diretta pressione politica contro di essa…. A dispetto dell'adozione di poche divinità e feste indù, e l'abbandono di poche feste in alcuni distretti come Birbhum, il carattere di base della religione Santal si è mantenuto intatto… aspetti diversi del modo di vita Santal di vita hanno mostrato un diverso cambiamento ma l'interrelazione di vari aspetti nelle dinamiche di cambio non ha condotto a una disintegrazione della cultura Santal in quanto tale. Cambi in un aspetto, piuttosto ha condotto a un cambio concomitante in un altro.

La vita sociale dei Santal è estremamente organizzata e completa. È basata sulla loro organizzazione del villaggio tradizionale e organizzazione politica che, come loro credono, è il frutto delle esperienze dei loro antenati. Così le Tradizioni dei Santal e le loro Istituzioni devono avere una speciale attenzione.

2.2.1 Tradizioni

I Santal hanno un numero di tradizioni, alcune molto particolareggiate, nel descrivere l'identità dei loro antenati e i loro vagabondaggi. Iniziano con la creazione del mondo e della prima coppia umana, i progenitori dei Santal che furono creati da Thakur-Jiu e si stabilirono a Hihiri Pipiri, un luogo geograficamente ancora ignoto. La storia mitologica continua nel dire che la prima coppia umana, nota come Pilcu Haram e Pilcu Budhi (letteralmente, un vecchio e un vecchia) impararono a fabbricare la birra a partire dal riso grazie a che li incitò anche a berla, ma prima di fare ciò doveva essere fatta una libagione a Maran Buru (letteralmente, "montagna grande"), una delle divinità principali dei Santal; loro bevvero e dopo ebbero un rapporto sessuale. Gli anni passarono ed ebbero sette figli e sette figlie. Le tradizioni dicono poi come tutta l'umanità, eccettuata una coppia, fu distrutta dal Creatore a seguito della loro degradazione morale. Tutta l'umanità attuale, credono i Santal, deriva da questa coppia. Mentre loro erano a Harata loro aumentarono grandemente, si moltiplicarono e furono chiamati Kherwars. Poi da là, loro emigrarono a Sasan Beda dove loro furono divisi in razze e i Santal in clan. Da qui gli antenati vagarono verso l'Est e si stabilirono in Cai Campa nell' Hazaribagh dove loro rimasero molte generazioni e finalmente emigrarono nelle Santal Parganas, la loro sede attuale. H. H. Risley commenta: Una tradizione è osservata dal Colonnello Dalton circa un vecchio forte in Cai occupato da Jaura, un re Santal che uccise sé stesso e la sua famiglia vedendo l'avvicinarsi di un esercito di Muhammedan sotto Syed Ibrahim Ali Alias Malik Baya, un generale di Mohammad Tuglak, morto nel 1353. La tradizione enumera di nuovo quello ci sono dodici clan esogami e patrolineari, ma solamente undici esistono tuttora. I Santal credono che i primi sette clan sono discesi dai primi sette figli dei progenitori e che gli ultimi cinque clan si sono sviluppati successivamente. Nel passato e ancora attualmente, è creduto che i clan come Kisku, Murmu, Soren e Mardi sono rispettivamente i clan dei re, dei sacerdoti, dei soldati e degli agricoltori. Ciascuno clan è diviso a sua volta principalmente in un numero di khut o sotto-clan in particolare per le funzioni religiose.

2.2.2 Istituzioni

È importante sapere quelle cose che sono significative per una particolare tribù, specialmente le memorie del passato e le speranze per il futuro della tribù tiene, la loro valutazione, istituzioni e atteggiamenti ai quale loro sono attaccati istintivamente, in corto, le cose che costituiscono la "coscienza del popolo". Secondo W. J. Culshaw "sangue" e "suolo" sono le basi gemelle di un "popolo". È fuori questione che il concetto di "sangue" nel senso di ereditarietà entra profondamente nella coscienza dei Santal. W. J. Culshaw è corretto quando dice: Non è senza significato che i Santal non chiamano loro stessi col nome col quale loro sono designati dalle altre persone. Come molte altre tribù, loro chiamano loro stessi "uomini", (hor); reliquia di un'età forse quando le altre corse erano ignote, o almeno considerate appartenenti a una specie diversa.

Se consapevolmente o inconsapevolmente i Santal hanno un concetto molto forte e profondo di "unicità", ad esempio il sentimento dell'unità tribale o "Santalità". Certamente questo sentimento è centrato in "sangue", la conoscenza dell'ascendenza comune e un senso istintivo delle obbligazioni che questo comporta. Osservando il senso più profondo di unità e solidarietà dei Santal, basato sulla storia mitologica e tradizionale, W. G. Archer è dell'opinione che è la tribù, piuttosto che il clan o sotto-clan che è significativa nella vita dei Santal. La lealtà del Santal alla solidarietà della tribù è espressa attraverso le varie istituzioni. Non è facile distinguere le istituzioni come organi legislativi, giudiziali e amministrativi perché loro sono mescolati intimamente. Le istituzioni più fondamentali ed essenziali che governano la vita della tribù dei Santal e servono come forza coesiva e unificante sono:


Il Villaggio

Gli antropologi hanno studiato il villaggio come un'istituzione umana e autonoma dal punto di vista di istituzioni politiche e processi, interazioni sociali interpersonali e relazioni interfamiliari, ecc., e è venuto alla conclusione che il villaggio, nonostante le varie influenze e cambiamenti ha mantenuto la sua particolare istituzione tradizionale. Il villaggio Santal, essendo l'istituzione più tradizionale e antica ha cristallizzato l'intero sistema di strutture sociali, politiche, e rituali. Esiste attraverso la dispensa speciale dei bongas e è santificato dalle loro benedizioni. I Santal credono in un mondo di bongas, buoni e cattivi. I buoni bongas hanno bisogno di essere propiziati per preservare l'armonia naturale, mentre i cattivi bongas hanno bisogno di essere propiziati per assicurare un buon raccolto e la prosperità del villaggio. I Santal credono anche che litigi fra famiglie e gruppi nel villaggio, calamità, epidemie ecc., sono causate dalla mancanza di equilibrio tra le forze del bene e del male.


Jaherthan (Boschetto Sacro)

Il Boschetto Sacro è una delle istituzioni essenziali del villaggio. È chiamato Jaherthan o boschetto sacro, un luogo per l'adorazione della comunità, di solito alla periferia del villaggio. Il jaherthan è generalmente un gruppo di alberi sarjom (shorea robusta) che originariamente era al centro delle foreste di sarjom quando c'erano dappertutto giungle. È un luogo consacrato di adorazione dove risiedono i jaher bongas o gli spiriti del villaggio, vale a dire il Maran Buru (letteralmente, "montagna grande"), il Moreko-Turuiko (letteralmente, "cinque-sei"), Jaher Era (la dea principale dei Santal), Gosae Era (lo spirito benevolo) e il Pargana bonga (lo spirito del Pargana). Gli spiriti del jaherthan sono considerati spiriti nazionali e sono adorati con offerte sacrificali durante le feste principali, come Sohrae (festa del Raccolto), Baha (festa Floreale), Erok' Sim (Festa della semina), Hariar Sim (Festa dei nuovi germogli) e Janthar (Prima festa della frutta).


Manjhithan (Dimora dello spirito del capotribù)

Il manjhithan è un'altra istituzione tradizionale, essenziale e importante dei Santal, un luogo speciale costruito per lo spirito del manjhi che è di fronte alla casa del manjhi. Si crede che il manjhi bonga risiede nel manjhithan e è rappresentato da una pietra alla base del suo posto centrale di legno. È credenza tradizionale che questo spirito si comporta come il consulente del capovillaggio e l'autorità del deriva dal manjhi bonga. Il capovillaggio propizia questo spirito offrendo libagioni di birra di riso e sacrificando due piccioni per il beneficio di sé stesso, della sua famiglia e di tutto il villaggio. Questa istituzione è usata anche dal consiglio del villaggio per far fronte a qualsiasi tipo di dispute del villaggio.


Istituzione del Matrimonio

Il matrimonio è visto come una relazione socialmente sanzionata tra un uomo e una donna. L'istituzione tradizionale di matrimonio, con le sue norme culturalmente designate regolarmente specifica chi può o non può fare un matrimonio, come può essere stabilito e può essere terminato e quello che ciascuno partner può o non può fare. W. G. Archer definisce il matrimonio Santal come il trasferimento di una persona e ciascuno trasferimento è un veicolo per richieste - pubbliche, esatte e rigide. Così la funzione dell'istituzione è controllare e regolare queste richieste e impegni, enunciare rituali, concedere diritti e doveri, controllare le spese e imporre gli standard. Finalmente, definisce le condizioni che concedono a un'unione Santal la condizione sociale di un matrimonio valido.


Endogamia tribale ed esogamia di clan

I Santal sono una delle più grandi tribù omogenee del Bangladesh. Hanno ancora regole molto severe relativamente all'endogamia tribale per preservare e proteggere la loro solidarietà e identità. Un Santal non può sposare un non-Santal e la violazione di questa regola è aborrita ed è considerata una minaccia alla loro unità e identità. La Bitlaha (punizione di massa per le offese maggiori che sono accompagnate da scomunica) è sanzionata per questa offesa. Secondo i Santal, se qualsiasi ragazza Santal ha relazioni sessuali con un non-Santal, lei ha inquinato non solo lei ma tutta la tribù; lei ha degradato la tribù ' nel proprio utero '.

I Santal, come gli israeliti sono divisi in dodici clan o sette (paris): Hasdak', Murmu, Kisku, Hembrom, Mardi, Soren, Tudu, Baske, Besra, Pauria, Core e Bedea. Questi clan sono inoltre divisi in un numero di sottoclan o sottosette (khuts), il cui numero varia da clan a clan. C'è una diversità di opinioni riguardo al numero di sottoclan.

La funzione principale dell' organizzazione di clan e sottoclan è quella di preservare e difendere la regola tradizionale dell'esogamia del clan. In altre parole, un uomini non possono sposare un membro del proprio clan e sottoclan. Attualmente la regola del sottoclan non viene oggi considerata un grande impedimento al matrimonio. La proibizione di matrimonio inter-clan è così estremamente rigida che proibisce un uomo da sposare una ragazza che appartiene al clan di sua madre e la violazione di questa regola comporta il bitlaha, cioè una punizione di massa accompagnata dalla scomunica dalla società. La regola di esogamia del clan, infatti, conserva la memoria del legame di sangue che connette i membri del clan e così fornisce una sicurezza supplementare contro un incesto inconscio.


Istituti giudiziali

L'istituzione giudiziale fondamentale e tradizionale è il Consiglio dei Manjhi (consiglio del villaggio). Ogni villaggio è governato dal suo consiglio del villaggio e tutti i piccoli problemi sono competenza di questo consiglio del villaggio. Noi possiamo paragonare il consiglio del villaggio al tribunale a cui è conferito il potere di giudicare casi in prima istanza. Il consiglio è anche responsabile per la relazione degli abitanti di un villaggio col mondo esterno così come per funzioni religiose.

Ci sono due altri istituti giudiziali che possono essere chiamati tribunali del secondo e terzo grado. Essi sono il Consiglio di Pargana e il Consiglio di Desh Manjhi che trattano problemi di maggior importanza e casi irrisolti, in altre parole si usano come corti d'appello. Queste due corti superiori si comportano come anche corpi legislativi: hanno potere legislativo e esecutivo. In virtù di questo potere possono pubblicare leggi e regolamentazioni in accordo con le leggi, le tradizioni ed i costumi tribali.

C'è un altro istituto giudiziale chiamato lo bir baisi (consiglio della foresta): è una corte informale che i Santal considerano il loro organo giudiziale più alto. Secondo Kolean Haram (un vecchio leader), esso era l'unico istituto giudiziale che poteva sanzionare un bitlaha, e perciò, le questioni erano tenute in sospeso sino alla caccia. Oltre ai casi di bitlaha (violazione di endogamia tribale e esogamia di clan), se c'è una disputa tra gli ufficiali di un villaggio e i parganas, questo è preso in carico anche dal consiglio della foresta e è deciso dal popolo. Di solito questo consiglio si riunisce una volta un anno. Questa pratica attualmente non esiste più, ma come tale è ancora in forza in un altra forma, ad esempio la violazione di endogamia tribale e esogamia di clan viene giudicata in un consiglio pubblico ma in un modo moderato.

Bitlaha (Scomunica Maggiore)

I Santal hanno il loro proprio sistema per castigare i loro offensori. L'istituzione di Bitlaha è una punizione di massa per le maggiori offese tribali. Secondo la tradizione, due offese comportano il Bitlaha,: l'offesa contro l'endogamia tribale e l'offesa contro l'esogamia del clan. È una punizione Santal molto impressionante e molto temuta ed inoltre è un'istituzione peculiare dei Santal.

W. G. Archer la racconta come segue: Il rituale della cerimonia è uno dei più impressionanti dell'intera vita dei Santal. È compiuto da una folla enorme. È fatto al suono di tamburi. La folla, in lunghe fila, avanza verso la casa. Finalmente, una cerimonia di scomunica simbolica è compiuta nel centro del cortile. Nella sua espressione disciplinata di disgusto, di dignità selvaggia, la cerimonia è unica… 2.3 Stadi

2.3 Stadi importanti nel corso della vita

Il ciclo vitale di un Santal individuale è marcato da molti riti diversi e cerimonie connesse coi vari stadi di essa. Questi riti si riferiscono principalmente alle credenze tradizionali Santal ed a pratiche relative sia agli spiriti del bene che a quelli del male. I riti e le cerimonie sono compiuti per assicurare così l'aiuto attivo degli spiriti benevoli e l'indulgenza passiva di quelli malevoli come per assicurare incolumità, benessere e prosperità dell'individuo e della sua famiglia nelle varie fasi della vita. Gli stadi più importanti della vita di un Santal sono janam chatiar (nascita), caco chatiar (iniziazione), bapla (matrimonio) and moron (morte).

2.3.1 Janam Chatiar (Nascita)

La nascita di un bambino è un grande evento grande fra i Santal. La nascita di un bambino impone alla famiglia una serie di e di doveri. Il bambino viene rivendicato alla proprietà della famiglia. Il villaggio e la famiglia, sono considerati impuri, alla nascita di un bambino. Come dato di fatto, nessuno sacrificio o altra cerimonia religiosa è compiuta. La cerimonia della purificazione dopo il parto è chiamata Janam Chatiar. Janam vuole dire ' nascita' e Chatiar, una parola connesse con la parola Hindi chut vuole dire ' contaminazione '. Finché questa cerimonia non ha luogo, a nessuno è permesso anche di mangiare o bere con la famiglia in questione.

La cerimonia di purificazione a cui tutta la comunità del villaggio così come i parenti e amici della famiglia di solito partecipano ha luogo cinque giorni dopo la nascita di un bambino e tre giorni dopo la nascita di una bambina. Nella cerimonia di purificazione, al bambino è dato un nome. La cerimonia che da il nome è la parte essenziale del cerimonia di Janam Chatiar perché nel dare un nome al bambino, il padre riconosce il bambino come suo e il bambino acquisisce una condizione sociale definita nel villaggio e fra il suo parentado. Infatti, il bambino è riconosciuto essere un Santal. Il dare il nome impartisce anche le obbligazioni sociali della famiglia nei riguardi del bambino appena nato. Questa cerimonia purificatrice ha principalmente una funzione trivalente: 1) purificare la casa e il villaggio dalla contaminazione derivata dalla nascita di un bambino; 2) dare un nome al bambino, così formalmente ammettendolo nel clan e sottoclan del padre e dando la protezione degli spiriti del padre e 3) incorporare il bambino nella tribù.

2.3.2 Caco Chatiar (Iniziazione)

Oltre al Janam Chatiar, un' altra cerimonia purificatrice e importante è chiamata Caco Chatiar. Tuttavia la parola caco letteralmente significa ' un bambino che fa i primi passi' e questa cerimonia purificatrice di solito è compiuta prima del matrimonio, tra i quattro e i dodici anni di età. Ogni Santal deve subire il rito dell'iniziazione attraverso il Caco Chatiar . Dopo di essa un Santal diviene un membro della società Santal con pieni diritti, doveri e privilegi. L'aspetto più importante della cerimonia è il racconto del mito che narra la creazione del mondo e i vagabondaggi degli antenati sino all'occupazione dell' habitat attuale. I Santal credono anche nell'altro mondo con le sue gioie e sofferenze. Ciò è espresso esplicitamente con un marchio tipico. In fanciullezza ciascun uomo è marcato con un sika (un marchio sul suo avambraccio sinistro, a metà tra il polso e il gomito). Il marchio è sia il segnale di essere un Santal che quello di credere nella vita e nella morte. Il primo marchio rappresenta la vita (jion) e il secondo la morte (moron). Un numero dispari è considerato il segnale di vita. Le ragazze non sono marcate ma recano un tatuaggio sulle loro palme, braccia e mammelle. È creduto che un Santal che muore senza qualsiasi marchio o con un marchio pari sarà mangiato da un verme enorme chiamato dai Santal, Jom Raja, il custode dell' Inferno o Norok

2.3.3 Bapla (Matrimonio)

L'evento più importante nel ciclo vitale di un Santal è indubbiamente il matrimonio. In Bangladesh, i Santal hanno un sistema di matrimonio tribale flessibile e intricato. Matrimonio è così importante fra i Santal che si dice, "solo un idiota rimane celibe" e un uomo che rimane celibe è disprezzato da ambi sessi, e "è classificato come un ladro o una strega; loro chiamano l'infelice disgraziato come 'Non uomo'." Malgrado il matrimonio sia di tale importanza fra i Santal, il matrimonio tra bambini è molto raro fra loro. È generalmente comune contrarre un matrimonio monogamo. La poligamia è solamente ammessa quando una moglie è sterile. Secondo i Santal, solamente un sciocco può vivere con più di una moglie, come dice il proverbio "Una co-moglie punge come l'erba-lancia". Come regola, i Santal favoriscono il matrimonio tra adulti. Sebbene il matrimonio è progettato e è accomodato dai genitori, ai futuri sposi viene comunque data libertà di scelta. Una sposa sempre si aspetta che sia più giovane dello sposo.

Abbiamo menzionato che i Santal hanno leggi molto severe di endogamia tribale e esogamia di clan per proteggere la loro integrità e solidarietà tribale. L'endogamia tribale è vista come una minaccia all'integrità della tribù e l'esogamia del clan è per prevenire incesti. Secondo le loro tradizioni, i loro antenati andarono due volte via dal paese per proteggere la loro regola di endogamia tribale. In senso stretto, l'unico grado proibito di consanguineità in relazione a matrimonio è tra fratelli e sorelle, cugini di primo e secondo grado. Comunque, i Santal riconoscono sino a tre generazioni il pratico impedimento al matrimonio. Levirato e sororato sono interdetti. Esiste anche una riluttanza sociale verso il matrimonio nello stesso villaggio, come dice il proverbio "Una gallina e una sposa dello stesso villaggio torna a casa sua" o "Genitori acquisiti nello stesso villaggio sono come pipe rotte. Il fuoco cade fuori. Loro sentono i reciproci litigi."

I Santal, in principio, non sono in favore del divorzio e, infatti, il divorzio era molto raro fra loro. Situazioni particolari o incompatibili e tre ragioni che lo giustificano furono riconosciute socialmente per il divorzio in favore del marito: 1) l'adulterio; 2) la stregoneria; 3) la sterilità. Un uomo può chiedere il divorzio anche per altre ragioni, ad esempio se la moglie è troppo stravagante e devasta le risorse della famiglia o se la moglie è permanentemente malata o se è molto pigra. Una donna ha anche similmente il diritto di divorziare. Lei può ottenere il divorzio se suo marito non può provvedere alle sue necessità o se il marito vuole avere una seconda moglie contro il suo beneplacito. Ci sono molte forme tradizionali di matrimonio che saranno discusse in seguito.

I riti e le usanze di un matrimonio Santal rivelano due atteggiamenti fondamentali: il nuovo coinvolgimento della coppia e la coscienza della relazione Santal unitamente alla dipendenza dai loro spiriti. Così il matrimonio è un'unione di due persone ma anche un'unione di due villaggi e due famiglie.

2.3.4 Moron (Morte)

I Santal credono che quando una persona muore, la sua personalità sociale non è annichilita ma piuttosto trasformata. Alcune delle espressioni usate per indicare la morte di una persona dicono che l'anima, dopo avere lasciato il corpo diviene un bonga (spirito) raggiungendo la dimora dei suoi antenati deceduti. Così loro hanno l'espressione: nitok’ doe hapramena, che vuol dire ' lui è divenuto antenato'. La credenza nell'anima di una persona di divenire bonga e di raggiungere la dimora dei suoi antenati è esplicitamente evidente in tutti i rituali e nelle cerimonie connesse con la morte. La nozione di morte presso i Santal può essere sommarizzata dal passaggio seguente di W. G. Archer:

La morte è una vittoria per tutte quelle forze anti-Santal che sono rappresentate da bongas ostili. È come se il Santal morto ha tradito la sua fiducia, ha fallito nel suo principale dovere di continuare a vivere. Morire è perciò inquinare e per il momento il villaggio intero è orbato dei suoi guardiani tribali e è privato della cura degli spiriti. Allo stesso tempo la morte sottopone l'uomo a un cambio innaturale e violento. Egli rimane un Santal. È ancora un membro della sua famiglia ma finché non è arrivato in salvo al paese dei morti, lui è ancora un uomo pericoloso. Non può fare più le cose che per i Santal sono più importanti: è privato improvvisamente del sesso e della compagnia dei suoi bambini. È "fuori posizione". Non appartiene più e solamente la condotta più accurata della sua famiglia possono assicurare la sua dimessa. Ora è più un bonga che un uomo - una forza spettrale invisibile ma intimamente reale. Il danno che lo ha ucciso infetta la sua persona e finché il processo funebre non è compiuto, resta una fonte di minaccia a tutti i membri della famiglia. Quando ha finalmente realizzato la condizione sociale di antenato, lui ancora ha la natura del bonga e per nessun motivo può essere ignorato. Non è come un Santal vivente ma è qualche cosa con cui fare i conti, un potere con il quale è più necessario essere in buoni rapporti adesso rispetto a quando era vivo. Come abbiamo visto, le connessioni critiche nel ciclo vitale di un Santal individuale sono piene di pericoli. Non solo l'individuo è in pericolo ma trasmette questo pericolo alla sua famiglia, al suo villaggio ed addirittura all'intera tribù dei Santal. Inoltre l'individuo, la sua famiglia, il villaggio e i bongas del villaggio sono coinvolti. È ovvio che i passaggi più importanti nel ciclo vitale di un individuo non solo si riferiscono alla relazione di armonia mutua e dipendenza tra l'individuo, la sua famiglia e società ma comunicano anche le intime credenze religiose e pratiche fra i Santal. Così i riti e le cerimonie relativi agli eventi critici del ciclo vitale prevalentemente tendono a mantenere l'integrità tribale e la solidarietà dei Santal.

3. La struttura della società

Un essenziale pre-requisito per un studio scientifico di qualsiasi comunità è la conoscenza del suo sistema sociale, abbracciando la rete intera di relazioni sociali nelle quali i membri di una particolare comunità sono coinvolti. Il sistema sociale di una comunità definisce le forme nelle quali sono raggruppati gli individui per un fine comune così come le obbligazioni socialmente riconosciute riflettono il comportamento di individui tra di loro e nei gruppi sociali. Riflette anche il modello del pensiero, ideali e aspettative di una società. L'unità esistente e l'uniformità di una società che sempre bada a mantenersi viva sono il risultato dell'interazione fra i suoi membri.

3.1 Organizzazione sociale

La società Santal è patriarcale. Il carattere distintivo dei Santal è che loro hanno una endogamia tribale e una esogamia di clan nel loro sistema sociale. Abbiamo già menzionato che la tribù Santal è divisa in dodici clan o paris e ciascun clan è suddiviso in molti khut (sottoclan). La tradizione Santal è unanime nel parlare di dodici clan sebbene il numero di sotto-clan differisce tra una versione ed un'altra. È importante e notevole che il sistema del clan dei Santal regola il loro comportamento fra la tribù e nei rapporti con gli spiriti in cui credono. I Santal accettano la regola del sistema del clan e i miti ad esso connessi sono una chiave per la comprensione di quasi tutto quello che è distintivo nel loro modo di vita. Violazione di endogamia tribale e esogamia di clan è uno dei maggiori crimini nella società Santal e quelli che rompono queste regole sono ostracizzati dalla società.

La caratteristica fondamentale e primaria di organizzazione sociale è rappresentata in ogni villaggio Santal. La presenza di clan diversi in un villaggio dimostra evidentemente il carattere democratico della società Santal. I Santal, come regola, stanno in villaggi indipendenti. Le famiglie nel villaggio costituiscono un'entità indipendente per tutte le questioni sociali, giuridiche e rituali, e i fattori impegnativi e più importanti di questa organizzazione sociale sono un corpo unico di costumi e pratiche tradizionali, lingua comune e folclore, tradizioni, miti, varie istituzioni e finalmente, la conformazione allo stesso modello di relazioni sociali. Quando i Santal si stabiliscono in un villaggio, la prima cosa che fanno è stabilire un jaherthan (boschetto sacro) e un manjhithan per la loro tradizionale tribale e i bongas del villaggio (le divinità) e selezionare un numero di tradizionali ' ufficiali-in-carica del villaggio ' per i vari doveri, specialmente un capovillaggio e un sacerdote. Il boschetto sacro è condiviso d un unico villaggio, sebbene gli spiriti jaher siano gli stessi dappertutto. Eventi importanti nel ciclo vitale di un individuo sono essenzialmente affari di comunità; la consapevolezza della comunità costituisce anche un grande incentivo al comportamento dei singoli. Infatti, è difficile per un Santal concepire la vita senza una relazione di comunità. Questa obbligazione inseparabile con la comunità del villaggio è la ragione più importante per la quale i Santal hanno potuto conservare e hanno mantenuto le loro tradizioni e identità culturali.

3.2 Organizzazione politica

Il modello dell'organizzazione politica e amministrazione dei Santal è di natura democratica, ovvero, su una base repubblicana. Le cariche delle organizzazioni politiche generalmente erano ereditari e passano da padre in figlio. Oggi, le cariche sono non solo ereditarie ma anche conferite da una selezione, secondo l'efficienza della persona in questione. Talvolta, per ragioni personali, la carica può anche essere abbandonata. La durata della carica è indefinita, ma è anche prevista la possibilità di una rettifica, ove necessario. Tutti gli ufficiali dell'organizzazione politica sono responsabili nei riguardi della comunità per le loro funzioni. Non possono esercitare qualsiasi azione in qualsiasi forma se non attraverso i membri degli organi esistenti.


Consiglio del Manjhi (capo villaggio)

Ogni villaggio di Santal è un'unità politica e amministrativa ben-definita e governata da un consiglio di leader del villaggio chiamato Manjhi o consiglio del villaggio che non solo regola la vita del villaggio ma anche la relazione degli abitanti di un villaggio rispetto al mondo esterno. Un termine Santal, more hor (letteralmente, "cinque persone") è usato per indicare questo consiglio del villaggio come il corpo rappresentativo della comunità. I villaggi Santal godono una grande autonomia interna nella quale sono governati essenzialmente dalle loro proprie leggi tradizionali. Hanno i propri metodi per trattare i vari generi di problemi. Sebbene l'autorità del Manjhi tradizionale capovillaggio sia riconosciuta tacitamente dal Governo, molti cambiamenti si sono avuti nell'amministrazione del consiglio del villaggio. Ogni qualvolta si ha a che fare con crimini o altri problemi importanti, specialmente quelli connessi alla proprietà della terra e in relazione alle comunità non-Santal, non è naturalmente possibile andare contro la legge civile vigente. Infatti, l'autorità del tradizionale capovillaggio si sta deteriorando a causa della applicazione della "legge indù" sugli Adibasi, come vengono chiamati i popoli tribali del Bangladesh. Il consiglio Manjhi è consiglio del villaggio che consiste di sette elementi: Manjhi (capo), Paranik (vicecapo), Jog Manjhi (controllore della moralità), il suo assistente Jog Paranik, Godet (messaggero), Naeke (sacerdote) e il suo assistente Kudam Naeke. Questi ufficiali devono compiere le loro funzioni in concordanza col sistema tribale e si assume che conoscano bene le tradizioni, i costumi, le credenze religiose e le pratiche Santal.


Consiglio Pargana o Parganait

Il consiglio Pargana o Parganait è un consiglio formale di tutti i villaggi, e di solito da 10 a 20 villaggi cadono nella giurisdizione di un parganait. Questo consiglio consiste nel manjhis (capo) di tutti i villaggi sotto la giurisdizione di un parganait. Il Pargana è il capo del consiglio e è nominato o selezionato dal manjhis del parganait; è lui che presiede le riunioni del consiglio. L'autorità del consiglio copre i casi che non sono stati risolti dai consigli di Manjhi o che sono troppo importanti per essere lasciati al consiglio del villaggio. Il consiglio tratta anche casi che sorgono fra i membri di due o più villaggi o dispute fra i capovillaggio. L'autorità e potere del consiglio di Pargana possono essere paragonati a quelli della "Alta Corte" nel sistema della Legge Civile. Come menzionato prima, al Manjhi e al Pargana furono dati poteri di polizia dalle Police Rules nei Santal Parganas nel 1856. Così un fu presentato un sistema, la cui caratteristica principale era quella di una comunicazione diretta tra le persone e i loro dominatori britannici. Dall'Indipendenza dell' India nel 1947, varie modifiche sono state apportate nel sistema amministrativo. Gli uffici del Manjhi e il Pargana ancora rimangono ma i loro poteri sono stati sostituiti dall' amministrazione della Polizia. Il sistema di Pargana è scomparso in molte località di Bangladesh. La ragione principale è dovuta ai cambiamenti socio-economici e politici rapidi così come il non-riconoscimento del sistema da parte del Governo. L'eliminazione di questa importante entità politica non è senza conseguenza. Ne sono derivati molti problemi sociali che stanno minacciando l'integrità sociale e l'identità dei Santal. Essendo consapevoli di questo fatto, molti leader stanno facendo di tutto per rianimare e riorganizzare il sistema dei Pargana attraverso un'organizzazione chiamata Sangstha di Unnayan di Adibasi (Associazione dello Sviluppo Tribale).


Consiglio del Desh Manjhi (capo regionale)

Il terzo organo giuridico dell'organizzazione politica è noto come Consiglio del Desh Manjhi. I Santal considerano una certa zona o area come Desh (letteralmente, paese) che è messo sotto la giurisdizione di un Consiglio di Desh Manjhi. Chi è scelto come leader dell'area è chiamato Desh Manjhi (capo dell'area) e di solito presiede le riunioni di Consiglio di Desh Manjhi. Questo consiglio consiste dei manjhis (capi dei Consigli Manjhi) e parganas (capi dei Consigli Pargana) sotto la giurisdizione del Desh Manjhi. Questo organo giuridico o entità è superiore al Consiglio di Manjhi e Consiglio di Pargana. Giudica i casi che rimangono insoluti dalle due entità giuridiche inferiori e le dispute fra i parganas.


Consiglio Bir Baisi (consiglio di caccia o della foresta)

Il Consiglio di caccia o della foresta è una corte informale e tradizionale che però i Santal considerano come la loro Corte Suprema. Questo consiglio si riunisce una volta l'anno al tempo della caccia annuale alla quale la popolazione intera della regione o area, che copre un certo numero di parganas, partecipa. Questa corte informale, formata dagli anziani, prende decisioni su casi notevoli. Sente anche appelli fatti contro il dominio dei consigli del manjhi o consigli dei pargana. Il consiglio della Caccia impone di solito immediatamente, la sua decisione. C'è un provvedimento che, in casi estremi quando l'unione della comunità può essere messa in discussione, questa corte suprema può ricorrere anche a una punizione fisica. Il dihri, uno speciale sacerdote selezionato per sacrificare ai bongas della foresta, presiede al consiglio della Caccia. Una caratteristica speciale di questo consiglio è che giudica casi sul principio di uguaglianza. È notevole che le decisioni prese dalle entità giuridiche menzionate e sono sempre prese collettivamente e non da qualsiasi membro del consiglio individuale, nemmeno dal Manjhi o capovillaggio. È sempre possibile per una buona ragione, chiaramente, la possibilità di controbattere le decisioni. Nel risolvere casi, ognuno presente nel consiglio è libero di esprimere la sua opinione, e il diritto all'autodifesa sempre è rispettato.

3.3 Organizzazione economica

Si crede che i Santal siano i migliori coltivatori della trra. Nei primi tempi loro ricorsero a spostare le colture, ma gradualmente divennero agricoltori fissi. Loro si aggrappano alla loro terra come loro mezzo principale di esistenza. L'economia del Santal è basata primariamente sull'agricoltura e circa il 95% di essi è coinvolto in operazioni agricole. Raccogliere, cacciare e pescare erano una volta le fonti principali di sostentamento ma ora sono molto meno importanti. Anche l'allevamento viene da loro praticato ma ha un ruolo minore rispetto all'agricoltura. Infatti, i Santal dipendono principalmente dalla coltura del riso come la loro fonte principale di sostentamento.

Inizialmente la maggioranza del Santal possedeva della terra, ma l'aumento nella popolazione, lo sfruttamento da parte di usurai e di altri proprietari, occupazioni illegali, analfabetismo, ecc., ha fatto in modo che moltissimi Santal, circa l'80%, siano senza terra e siano costretti a guadagnare il loro sostentamento come braccianti.

I Santal generalmente coltivano riso, mais, legumi invernali, certi fagioli, varietà diverse di miglio, leguminose e altri vegetali. Buoi e bufali sono adoperati in operazioni agricole. Sterco di bovini e cenere sono usati come fertilizzanti e dipendono principalmente dalla pioggia naturale per i loro prodotti agricoli. I Santal sono noti come industriosi e lavoratori. Anche se c'è una divisione di lavori sulla base di sesso, uomini e donne prendono parte nelle operazioni agricole.

Raccogliere, cacciare e pescare, anche se meno dell'agricoltura, sono comunque importanti. La raccolta di piante selvatiche, frutta, radici, tuberi, fiori, funghi ecc., non solo sono un'alternativa a quanto coltivato, ma talvolta sono indispensabili in caso di raccolti scarsi o di carestie. La raccolta è fatta soprattutto da donne in gruppi; talvolta anche gli uomini vi partecipano. Archi e frecce, spade e bastoni, reti e trappole sono usati per uccidere animali e uccelli. Amano anche pescare in ruscelli, stagni artificiali e serbatoi di acqua usando canna e lenza, veleno, reti,trappole o addirittura le mani. Mosti Santal lavorano come braccianti e questa è divenuta la loro occupazione principale e mezzo di sussistenza. Alcune famiglie guadagnano il loro sostentamento arando la terra per altri, o impiegandosi come garzoni non specializzati nelle coltivazioni del the e nelle fabbriche. Molto pochi sono quelli che svolgono lavori "moderni".

3.4 Matrimonio e famiglia

Matrimonio e famiglia non sono la stessa cosa, sebbene per consuetudine lo siano. Differiscono in quanto la famiglia, nei più semplici termini è "un gruppo di persone unite dal legame di matrimonio, sangue, o adozione, costituendo una singola unità, interagendo l'un l'altro nelle loro posizioni sociali e rispettive di marito, moglie, madre e genero, figlio e figlia, fratello e sorella etc che condividono e mantengono una cultura comune." Questo gruppo della famiglia spesso è confuso con la famiglia, ma tutte le persone che condividono una residenza comune possono essere incluse in una famiglia (e.g., pensionanti, pigionanti ecc.,). Ci si confonde qualche volta con una parentela a causa delle relazioni di sangue, ma una parentela può essere divisa in molte famiglie. Frequentemente la famiglia è confusa anche colla coppia del matrimonio, ma l'essenza del gruppo della famiglia è la relazione del genitore-bambino che può essere assente da molte coppie di sposi. La famiglia è confusa anche qualche volta nei suoi aspetti istituzionali, con l'istituzione di matrimonio, il complesso di costumi che regolano le relazioni sessuali tra gli adulti che coabitano nel gruppo della famiglia. D'altronde il matrimonio è una relazione permanente che è non solo tra un uomo e una donna destinata alla procreazione, ma anche tra genitori e bambini. Come in qualsiasi altra società tradizionale, i Santal vedono il matrimonio e la vita della famiglia in modo ancora sostanzialmente primitivo. Preservano e mantengono un concetto ereditato e tradizionale di matrimonio e di vita della famiglia.


Il matrimonio

Secondo la conoscenza tradizionale Santal, il matrimonio è un'unione tra un uomo e una donna che viene riconosciuta socialmente, culturalmente e religiosamente permettendo alla coppia di vivere in una famiglia. Nel suo aspetto istituzionale, è il complesso di leggi consuete che regolano la relazione tra i sessi e definiscono le procedure per stabilire e terminare la relazione marito-moglie, le obbligazioni reciproche e le restrizioni accettate. L'istituzione del matrimonio definisce anche le condizioni che sono necessarie per l'esistenza e validità di esso.

In un modo più concreto, noi possiamo descrivere un matrimonio Santal come trasferimento legale di dipendenza, della sposa, dalla famiglia del padre alla famiglia del marito. Con questo trasferimento, la famiglia dello sposo non solo prende in carico la sposa ma anche il controllo su tutti i suoi affari. In altre parole, attraverso il matrimonio la sposa perde l'identità legale paterna e acquisisce l'identità della famiglia dello sposo.

Per quanto riguarda l'origine dell'istituzione del matrimonio, i Santal credono fermamente che il matrimonio è stabilito dal Creatore. Secondo la loro credenza tradizionale, è Thakur Jiu che creò la prima coppia umana, e con ciò istituì l'obbligo del matrimonio. Riguardo alla natura del matrimonio, monogamia, permanenza e sacralità possono essere identificate come caratteristiche principali di un normale matrimonio Santal. Il sesso non è il solo scopo di un matrimonio per il Santal. Oltre a servire alle necessità sessuali, un matrimonio Santal ha anche altri scopi, come compagnia, procreazione di eredi, sicurezza economica, cooperazione nell'impresa della famiglia sicurezza sociale e psicologica, ecc.. Ciò perché il matrimonio è non solo un'unione di due persone, ma piuttosto un'unione di due villaggi e due famiglie. Ci sono due atteggiamenti di base in matrimonio Santal nelle altre parole: il nuovo coinvolgimento sociale della coppia e la coscienza delle loro credenze religiose e pratiche. Soprattutto, deve essere considerato che i Santal hanno un forte senso di identità tribale e di solidarietà. Per preservare questo senso di identità e integrità, loro hanno le leggi di endogamia tribale e esogamia del clan alla base del matrimonio stesso. Per il Santal, il matrimonio è l'unico mezzo per la formazione di una famiglia.


La famiglia

È inutile dire che più tradizioni, leggi, credenze e pratiche sono riconducibili alla famiglia perché è essa l'unità di base primaria di una società. Le interazioni sociali, religiose, economiche, politiche e culturali che sono essenziali per gli esseri umani avvengono nella famiglia. Ci sono generalmente tre tipi di famiglia: famiglia "nucleare", famiglia unita e famiglia estesa.

Sebbene i Santal stiano muovendosi lentamente verso il sistema della famiglia nucleare, la maggioranza ancora vive con il sistema della famiglia unita e tradizionale. Essendo una società patriarcale, le famiglie sono naturalmente patrilocali: la sposa va a risiedere con suo marito nella famiglia del padre di suo marito o nella famiglia neolocale, sono pochi i casi nei quale il genero va a risiedere nella casa del suocero. Il padre normalmente è il capo di una famiglia e tutta l'autorità rimane su lui; lui è il proprietario e amministratore delle proprietà della famiglia. Tutti i membri della famiglia hanno il dovere di obbedire e di rispettarlo. Nell'assenza del padre, il figlio più vecchio prende la sua posizione. Questo perché in una famiglia di Santal, il figlio maggiore è guardato come il rappresentante del padre e sua moglie è vista come una madre.

Per la discendenza e l'eredità della proprietà, i bambini acquisiscono la condizione sociale del clan del padre e solamente i bambini maschi hanno diritto alla proprietà della famiglia. A seguito del sistema della famiglia patriarcale importanza è data al padre, al nonno paterno e allo zio paterno piuttosto che alla madre, al nonno materno e allo zio materno. I ruoli stereotipi di maschio e femmina sono ancora comuni nella famiglia. È dovere del marito provvedere ai membri della sua famiglia cibo, vestiti, asilo, cura della salute ecc.. La moglie è invece responsabile di tutte le attività della famiglia. Lei assiste anche suo marito nell'agricoltura e nella pesca. I figli adulti aiutano il padre, mentre le figlie aiutano la madre nelle sue attività per la famiglia. Sebbene alle donne siano impedite le funzioni religiose e alcune operazioni amministrative, loro hanno una importante condizione sociale ed economica nella famiglia. È evidente dal loro posto e ruolo nella famiglia che godono di un certo ammontare di autorità e indipendenza.

4. Credenze e pratiche religiose

I Santal vedono il mondo abitato da esseri e potenze soprannaturali invisibili di vari generi. I Santal credono che stanno vivendo, muovendosi in questo mondo di entità soprannaturali. In altre parole, "i Santal vivono non solo nella loro società tribale ma in una società più grande che consiste di esseri soprannaturali." Nel corso della loro storia, i Santal gradualmente hanno evoluto così un sistema di credenze e pratiche come per affrontare gli esseri e i poteri soprannaturali e ignoti e poteri. Relativamente alla nozione di esseri soprannaturali V. K. Kochar ha l'opinione seguente:

I Santal hanno nozioni molto vaghe circa le individualità di esseri soprannaturali o bongas. Una delle ragioni principali per questo è che la loro relazione con questi esseri soprannaturali, eccettuato l'essere supremo Thakur, sono avvolti da un sentimento di tabù, mistero, segretezza e paura.

Secondo le tradizioni, i Santal adorava solamente Thakur-Jiu. Cominciarono poi ad adorare Maran Buru e più tardi, loro adottarono Moreko-Turuik, Jaher Era e Gosae Era a Campa, e li misero in un reliquiario nel Jaherthan. Fra i Santal, il termine bonga è usato per varie categorie di esseri soprannaturali,: il creatore, fantasmi, spiriti tutelari e individuali, spiriti di parenti deceduti, streghe ecc., e anche divinità indù. Infatti, qualsiasi genere di essere non-corporale può essere considerato come bonga. L'esperienza dei Santal è che ci sono molti aspetti imprevedibili sui quali si ha poco o nessun controllo. Per questo i Santal credono che i bongas hanno potere su questi eventi naturali e perciò ricorrono a loro attraverso pratiche magiche o religiose. La credenza in esseri e poteri soprannaturali e i modi di entrare in relazione con essi costituisce religione dei Santal. Necessita appena di essere menzionato che la relazione nei riguardi dei bongas è di paura riverenziale, di dipendenza, di sottomissione e di propiziazione.

4.1 Credenze in spiriti e poteri soprannaturali

La leggenda della creazione dei Santal fa risalire l'origine della tribù a un'oca che posò due uova dalle quali derivarono i primi genitori della loro razza. Skrefsrud così traccia nello sfondo della religione Santal una divinità suprema chiamata Thakur-Jiu; alcuni l'identificano con Cando Baba (dio del sole), il che è impreciso. Quello che i Santal hanno in mente quando usano la parola Cando (il sole) è la manifestazione di una attività divina, un segnale del divino in relazione all'uomo e significativa per lui. Per i Santal, Thakur-Jiu è il creatore e rettore dell'universo e un spirito benevolo; loro l'adorano ogni 5° o 10° anno con un sacrificio di capre. Ci sono oltre a Thakur-Jiu, dei bongas principali (gli spiriti) nel "pantheon" dei Santal, che sono considerati come gli spiriti della comunità del villaggio. Essi sono i seguenti:


Maran Buru (Grande Montagna)

Maran Buru letteralmente, la montagna grande, si crede che sia il leader dei bongas con notevoli poteri associati agli spiriti buoni e cattivi. Questo è uno del pochi bongas dei Santal che hanno un sfondo mitico. Ogni qualvolta i Santal bevono la birra di riso o prendono un pasto, spruzzano prima alcune gocce di handi (la birra di riso) o offrono un po' di riso come un'offerta ai loro antenati e a Maran Buru, cosa che esprime l'affinità tra Maran Buru e antenati dei Santal. Allo stesso tempo questo atto è associato col mito dell'origine dei Santal, e ci ricorda che mentre la prima coppia umana stava vagando in Hihiri Pipiri, Maran Buru apparve a loro nel travestimento di Lita Haram e si presentò come loro nonno. Si crede che lui istruì la prima coppia, Pilcu Haram e Pilcu Budhi, nel sesso e insegnò come fabbricare la birra da riso, esortandoli anche ad offrigli della birra ogni volta che avrebbero invocato il suo nome. Così come un nonno Maran Buru è visto come un "buon vecchio" e è presunto essere un bonga benevolo. Il naeke del villaggio o sacerdote adora Maran Buru per conto del villaggio. Offerte sono fatte anche all'adorazione della famiglia nel bhitar khond (luogo di adorazione della famiglia). Esso è l'unico bonga che riceve libagioni da ogni individuo. Infatti, Maran Buru è un bonga sia della comunità del villaggio che della famiglia.


Moreko-Turuiko (Cinque-sei)

Il Moreko-Turuiko, sebbene un gruppo di spiriti, è trattato come un singolo spirito composito. I Santal credono che questo spirito presiede al benessere del villaggio. Ha controllo su pioggia, raccolto e epidemie. A questo spirito è offerto sacrificio a tutte le adorazioni del jaher. La intera comunità del villaggio offre sacrifici collettivi al Moreko-Turuiko, specialmente al tempo di un'epidemia o di una malattia del bestiame. Qualche volta, delle famiglie compiono sacrifici e libagioni in onore di questo spirito nel loro bhitar khond (luogo di adorazione della famiglia) al tempo della semina o delle feste floreali. Sacrifici individuali vengono anche offerti al Moreko-Turuiko. Generalmente l'offerta viene da quelle famiglie che fanno una promessa o un giuramento per guarire da una malattia. Il punto più significativo è che il Moreko-Turuiko è l'unico spirito del jaher che è rivelato nella divinazione dell'ojha ("medicina-uomo") e ritenuto come la causa di crisi personali o generali. Più probabilmente questo spirito è un genere di bahre-bonga di qualche habitat antico dei Santal.


Jaher Era (dea del boschetto sacro)

Jaher Era è detta di essere la sorella del Moreko-Turuiko, e la dea del boschetto sacro che è preservato inviolato in ogni villaggio come la dimora dei bongas del villaggio. Secondo la credenza Santal, lei presiede al boschetto sacro, si prende cura degli altri bongas nel jaherthan e cura gli interessi degli abitanti di un villaggio. I Santal la considerano come un spirito buono che mai fa qualsiasi danno ma si preoccupa principalmente delle loro necessità fisiche. Lei di solito è adorata a tutte le feste per il benessere generale del villaggio, specialmente per ottenere un buon raccolto e per la salute degli abitanti di un villaggio e del loro bestiame.


Gosae Era (spirito Benevolo del Boschetto Sacro)

Molto poco è noto circa questa Gosae Era. Alcuni hanno l'impressione che lei possa essere la sorella di Jaher Era. Lei è rappresentata da un albero di matkom (bassia latifolia) nel boschetto sacro. Come detto per Kolean Haram, al tempo di Baha o festa dei fiori uno dei due altari nel boschetto sacro è per Gosae Era. Anche questo bonga è considerato come un spirito benevolo ed è adorato offrendo un uccello come sacrificio dal sacerdote del villaggio. Di solito, i Santal l'adorano per essere risparmiati da ferite.

I Jaher bongas summenzionati sono comuni per tutti i Santal anche se l'adorazione a jaherthan è fatta solamente per un particolare villaggio. Si crede che Maran Buru, Moreko Turuiko e Jaher Era siano molto da vicino associati l'un l'altro; questo è espresso esplicitamente dai tre alberi del sarjom (shorea robusta) nel boschetto sacro. L'affinità vicina di questi tre spiriti è manifestata più chiaramente nella festa del Baha (il fiore) durante la quale due capannoni o cabine sono erette nel boschetto sacro: una per Maran Buru, Moreko Turuiko e Jaher Era e l'altra per Gosae Era.


Pargana Bonga (spirito del Pargana)

Il Pargana bonga ha grande significato per i Santal in quanto questo spirito, secondo la credenza comune è il capo dei bongas e il padrone di tutte le streghe, una funzione che gli comporta di essere estremamente temuto e rispettato. Si crede che il Pargana bonga abbia un potere speciale sulle streghe e che anche le streghe l'adorino per ottenere destrezza e abilità nell'arte di stregoneria. Devono invocarlo e chiedere permesso e il suo beneplacito per le loro missioni. Il Pargana bonga è rappresentato nel boschetto sacro da uno degli alberi di sarjom e ogni qualvolta c'è una malattia generale nel villaggio, questo spirito è propiziato dall'ojah (il ministro del "bianco magico" e un uomo di medicina) che implora lo spirito di liberare il villaggio dalla malattia e dalla sfortuna.


Manjhi Bonga (Spirito del capovillaggio)

Il Manjhi bonga si suppone sia particolarmente attivo nel frenare gli altri spiriti dal danneggiare gli uomini, è secondo nel comando al Pargana bonga. Si crede che lui sia il fondatore originale del villaggio ed è lo spirito di tutti i capivillaggio, cominciando dal fondatore sino a quello presente. Il Manjhi bonga risiede nel manjhithan che è rappresentato da una pietra alla base del posto centrale di legno. Sacrifici al Manjhithan sono compiuti esclusivamente dal Manjhi in occasione di feste principali. Si crede che questo spirito si comporti come il consulente dei capivillaggio e gli spiriti dei precedenti capivillaggio sono una specie di spiriti tutelari per il capovillaggio attuale che convalida il suo ufficio dalla comunicazione rituale coi suoi predecessori deceduti. Il Manjhi bonga è visto come un spirito benevolo ed è connesso specialmente al benessere generale del villaggio ma, soprattutto, al benessere del capovillaggio e della sa famiglia.


Sima Bongas (spiriti dei confini del villaggio)

I Sima bongas sono gli spiriti di confine di villaggio che sono propiziati dal kudam naeke (assistente del sacerdote) in definite occasioni. Comunque, se loro sono rivelati nelle divinazioni dell'ojha come una fonte di pericoli per una famiglia o il villaggio intero, i gruppi rispettivi offrono sacrifici ad esso attraverso l'ojha. Si considera che questi spiriti siano molto furiosi, e sono propiziati due volte l'anno con sacrifici di uccelli, offerti al confine del villaggio. Sono così furiosi che vengono propiziati anche con sangue umano. Il rituale del sacrificio che è accompagnato da incantesimi, è di mettere del riso asciugato al sole su una foglia di sarjom bagnata con sangue di fronte al particolare albero dedicato al Sima bonga.


Bahre Bongas (spiriti dei dintorni)

I Bahre bongas sono gli spiriti della periferia che vivono nell'area che circonda il villaggio. La credenza tradizionale Santal dice che le dimore dei bahre bongas sono laghetti, fosse, ruscelli, stagni, luoghi deserti ( casa, boschetti, alberi ecc.,), residui di alberi, i vecchi luoghi funebri, buchi nel terreno, collinette, buche, tumuli ecc.. Si considera anche che questi spiriti siano furiosi, e gli abitanti di un villaggio tentano di evitare le dimore dei bahre bongas. Un sacrificio collettivo è offerto dal naeke al tempo dell'adorazione del jaher nella maniera delle adorazioni dei jaher bongas.

Tutti i bongas menzionati sono adorati in pubblico e loro sono considerati come gli spiriti dell'intera tribù e del villaggio. Oltre a questi bongas, ciascuna famiglia ha due bongas ad essa propri: Orak' bonga (dio della famiglia) e Abge bonga (dio segreto). Sacrifici sono offerti una volta l'anno a questi bongas dalla famiglia intera ma solamente gli uomini possono toccare il cibo che è stato posato di fronte all' Abge bonga. H.H. Risley ha registrato che nessun Santal divulgherà il nome del suo dio segreto a nessuno, eccettuato il suo figlio maggiore: Gli uomini sono particolarmente attenti nel tenere nascosta questa conoscenza sacra alle loro mogli per paura affinché non acquisiscano influenza indebita con i bongas, diventino streghe e mangino impunemente la famiglia quando la protezione dei suoi dei è stata rimossa.

Si può tralasciare di menzionare alcuni bongas (ad esempio, divinità indù, jom sim bonga, saket bonga, curin, bhut, rakoos, etc.), ma la discussione sulle credenze e pratiche religiose sarà incompleta senza menzionare gli spiriti ancestrali. Come forma prescritta di pratica religiosa ciascuna famiglia di Santal adora gli spiriti degli antenati chiamati Hapramkoren bonga. Questo è un forte fattore nella società Santal per la solidarietà della famiglia. La ragione dell'adorazione degli antenati è la credenza nella sopravvivenza dell'anima dopo la morte. I Santal credono che l'anima, dopo avere lasciato il corpo, divenga bonga. La frase nitok’ doe hapramena che vuole dire "ora lui è divenuto antenato" esplicitamente esprime la credenza dei Santal negli spiriti ancestrali. Uno diviene solamente comunque, hapram bonga dopo i riti funebri; specialmente attraverso la cerimonia di Bhandan finalmente si congiunge con i suoi antenati. Antenati sono creduti di "vivere" assieme ai viventi e di avere attivo interesse negli affari della famiglia. Si può dire che è dovere degli spiriti ancestrali provvedere al benessere dei loro parenti viventi. Le loro benedizioni sono invocate in ogni cerimonia sociale mentre loro sono venerati e sono adorati. Archer dice: … se è tempo di bere birra di riso, di consumare un pasto, di celebrare una festa, una nascita o un matrimonio o di placare i bongas, al morto di recente deve essere sempre data una piccola offerta. Le credenze e pratiche religiose e tradizionali dei Santal sono evidentemente centrate sull'adorazione di spiriti soprannaturali di vari generi. L'idea che i Santal siano adoratori soltanto degli spiriti malevoli e lo scopo della loro adorazione sia quello di allontanare disastri e calamità è impreciso. Come in altre religioni, nel sistema delle credenze religiose Santal esistono sia bonga benevoli che malevoli.

4.2 Vari riti e feste

Non ci può essere qualsiasi religione senza alcuna manifestazione esterna delle sue credenze. La forma esterna è la condizione per l'esistenza di qualsiasi società o religione. Noi già abbiamo fatto attenzione al fatto che la religione dei Santal è basata sui modi di entrare in relazione con gli spiriti soprannaturali. La comunione con questi spiriti è manifestata esternamente attraverso i vari riti e feste. Secondo J. Troisi:

… il rituale è per definizione una forma estremamente tradizionale di comportamento. Riti pubblici sono codificati, inclusivi di prescrizioni. I vari riti sono celebrati dai Santal perché i loro antenati fecero così. I rituali sono elementi di una realtà sociale e esterna che esercita una costrizione sull'individuo. La partecipazione ai rituali danno all'individuo un senso di solidarietà sociale e sicurezza personale. Mentre il rituale fortifica l'esperienza religiosa, esso incanala anche l'esperienza religiosa in forme controllate e accettabili.

Siccome i Santal credono in spiriti benevoli e malevoli, loro offrono a questi spiriti sacrifici e libagioni per mantenere le loro relazioni, assicurando così la protezione e la prosperità dagli spiriti benevoli e controllando l'influenza dannosa degli spiriti malevoli. I rituali non sono altro che una manifestazione esterna del modo della Santal. I rituali vengono osservati attraverso delle feste che consistono in una forma di adorazione o culti popolari. Dai riti e feste dei Santal, è piuttosto chiaro, che la loro vita economica, organizzazione sociale e spettacoli rituali sono rivolti principalmente all'agricoltura. In altre parole essi sono collegati al ciclo annuale delle operazioni di agricoltura. In quanto agricoltori, l'agricoltura tiene i Santal impegnati per la maggior parte dell'anno. È importante notare che l'agricoltura per i Santal è qualche cosa più che un mezzo di sostentamento. Si può dire che l'attività agricola permea l'intera vita Santal. I Santal sono consapevoli che c'è una varietà di pericoli nelle attività agricole. Sono anche ben consapevoli che una siccità o la distruzione del raccolto porta alla fame per tutti, mentre un buon raccolto vuol dire prosperità. Così i Santal si convincono che gli aspetti di vita materiale devono essere protetti e devono essere protetti da riti adatti e feste. C'è una serie di riti e feste che marcano gli eventi diversi dell'anno agricolo. Di seguito sono riportati quelli più importanti:

Riti Principali, Importanti Feste annuali che mostrano la loro relazione con i lavori agricoli

Oltre ai riti e feste annuali, i Santal hanno altri riti e feste che non sono associati ad attività agricole né sono compiute annualmente. Noi possiamo chiamarli riti e feste occasionali. I più importanti sono Jom Sim, Mak’ More and Karam. Il Jom Sim è una celebrazione del clan nella quale un sacrificio è offerto in onore del Sin' bonga almeno una volta nel tempo di una vita da ogni famiglia. Secondo la tradizione, Mak' More è celebrato ad intervalli di cinque anni nei quali una capra bianca viene sacrificata dal naeke per conto della comunità del villaggio al Moreko-Turuiko in ringraziamento di aver reso il villaggio libero da malattie. Il Karam molto raramente è celebrato ai nostri giorni. Non è una celebrazione collettiva ma individuale; nessuno sacrificio è offerto in questa festa ma sono fatte libagioni di birra di riso ai bongas del Manjhi e del Maran Buru. La tradizione ci dice che giovani dello stesso sesso non sposati entrano in un'alleanza di amicizia per tutta la vita, durante questa festa che ha l'effetto di stabilire l'esogamia del clan. L'alleanza tra ragazzi è chiamata Karmu Dharmu e tra ragazze Karamdar.

Come ultima cosa, ma non meno importante, è da notare che l'aspetto secolare dei riti e delle feste Santal da luogo a divertimento e piacere. La parola raska che vuole dire ' piacere' è sulle labbra dei Santal e è non solo cara ai loro cuori ma è parte della loro vita. Un Santal può essere caratterizzato da un atteggiamento sgombro da preoccupazioni, disinibito e con una mente piena i gioia. E questo anche perché ballare e cantare hanno un ruolo molto importante in ogni occasione festiva.

I Santal sono un popolo estremamente rituale e raramente mettono in dubbio l'efficacia dei loro riti. Credono che se il risultato aspettato non viene realizzato, ciò è dovuto ad una forza ostile oppure al fatto che le prescrizioni rituali non sono state osservate propriamente. Per questo motivo sono molto accurati relativamente al tempo, al luogo, alle persone ed alle prescrizioni di ogni rituale. Soprattutto, l'adorazione religiosa dei Santal attraverso i vari riti e feste è così importante che li porta non solo ad avere un sentimento religioso ma li aiuta a dimenticare le preoccupazioni e gli stress della vita quotidiana. Allo stesso tempo l'adorazione collettiva incentiva la comunità a sentire di essere in contatto coi suoi spiriti, da cui dipende. In questo modo riguadagnano la loro fiducia, speranza e il senso di sicurezza tra le incertezze di vita. Finalmente, il sentimento di comunità viene rinforzato, fortificando in tal modo la solidarietà sociale.

4.3 Cristianesimo fra i Santal

Lo studio delle Tradizioni e Istituzioni Santal sarebbe incompleto senza prendere in considerazione l'influenza dei missionari cristiani. La storia dell'origine della Chiesa cattolica in Bangladesh risale alla seconda metà del sedicesimo secolo. Vi erano cattolici a Hoshenpur nel distretto di Mymensingh e Sripur vicino a Sonargaon, la vecchia capitale del Bengala Orientale. Nel 1606, Mylapore (vicina all'attuale Madras in India) fu eretta come diocesi e le missioni del Bengala furono messe sotto la sua giurisdizione. A quel tempo gli Agostiniani, i primi missionari in Bangladesh, stabilirono due missioni a Nagori (1664) e Tejgaon (1677). Nel 1834 fu creato un Vicariato Apostolico del Bengala sotto la giurisdizione di Propaganda Fide. Nel 1850, fu diviso in due: Vicariato Apostolico del Bengala Orientale e Vicariato Apostolico del Bengala Occidentale. Il Vicariato Apostolico del Bengala Orientale con sede centrale a Dhaka fu affidato alla Congregazione della Santa Croce, di recente fondazione (1852). Il 1° Settembre 1886 fu eretta canonicamente la Diocesi di Dhaka. Il territorio che comprende le Diocesi di Dinajpur e Rajshahi nel Nord Bengala, era stato evangelizzato dai Missionari Carmelitani spagnoli nel diciassettesimo secolo. Questo territorio divenne parte della Missione di Krishnagar (ora Diocesi di Krishnagar nel Bengala occidentale, India) dalla metà del diciannovesimo secolo. I membri della Congregazione del Pontificio Istituto Missioni Estere, generalmente noto come PIME, arrivarono in Bengala nel 1855. La presenza della Chiesa cattolica Romana nel Nord Bengala può datarsi alla fine del 19°. La prima conversione fra il Santal avvenne nel 1909. P. Luigi Pinos, PIME scrive:

…Fu a questo punto che Padre Rocca, in uno dei suoi viaggi in treno, incontrò Fagu Mistri Soren, il capo villaggio di Dhanjuri che si recava al tribunale per una disputa. L' uomo non era un granché di buono, sempre alla ricerca di ..gonnelle. Si diceva che almeno sette donne, tra legittime e non, avevano "mangiato il suo riso" e si doveva recare in tribunale in quanto si vociferava che una di esse fosse morta per cause non naturali. Egli era furbo, tanto da sapere che il Padre, uomo buono e per giunta europeo, era in grado di proteggerlo in tribunale e quindi si presentò dicendo " Saheb, io sono di Dhanjuri, perché non vieni qualche volta a trovarci?"

E fu così che Padre Rocca, accettando l' invito, si presentò a Dhanjuri un giorno del 1906. Il presunto uxoricida, grazie a Dio, non era presente ma c' era il nostro amico Phudhon che interpretò la venuta di Padre Rocca come una risposta alla sua lettera, e con esultanza gli diede ospitalità. Seguirono altre visite e finalmente, il 21 febbraio 1909 Phudhon ed il suo figliolo più grande, Peter, ricevettero il battesimo.

P. Francesco Rocca, PIME può essere chiamato il pioniere e l'apostolo dei Santal nel Bengala. Nei primissimi anni del 20° secolo, questo attivissimo missionario, p. Rocca, risiedeva a Pakuri, a sud del Gange (Diocesi di Krishnagar). Il 29 Gennaio 1902 è il giorno memorabile in quanto per la prima volta p. Rocca visitò il villaggio di Bagunbari nel Nord Bengala (appena tre chilometri a sud dell'attuale parrocchia di Beneedwar). Gabriel Topno era emigrato in quel posto qualche anno prima dal suo villaggio di Chota Nagpur. Egli era un tribale Munda, Cristiano ed anche lebbroso. Era un forte credente e mai aveva nascosto la sua fede: era addirittura riuscito a convertire pochi seguaci ( che prima di incontrarlo erano appartenuti per qualche tempo alla Chiesa Battista). Da notare tra di essi Peter Dinonath che divenne Cattolico fervente ed un buon leader dei Munda.

Finalmente Gabriel ebbe la visita di un Sacerdote. Padre Rocca restò qualche giorno con Gabriel, lo confessò, battezzò i sui cinque bambini e…si guardò intorno. Questa prima visita a Bagunbari era solo l' inizio: in otto anni esistevano già comunità Munda di Cristiani a Bagunbari, di Mahali a Chokjodu e di Santal a Beneedwar, oltre a quelle in molti altri villaggi tutti ad est di Dhanjuri.

Dal 1902 al 1910 Padre Rocca fu l' unico missionario presente nell' intera area che è ora il centro delle attuali diocesi di Dinajpur e Rajshahi.

P. Rocca visitò di nuovo Dhanjuri nel 1906 su richiesta di Soren Mistri e una seconda volta nel 1909 quando battezzò Phudon Mardi e il suo figlio maggiore Pitor. All'inizio del diciannovesimo secolo, un Missionario Straniero e battista prese residenza a un luogo chiamato, con riferimento a lui, Sahebganj, (nella parte più meridionale del distretto di Rangpur) e cominciò a evangelizzare i Santal della zona. Ma dovette abbandonare per una malattia improvvisa. Nel 1911-1912, p. Rocca e il nuovo arrivato p. E. Ferrario cominciarono a viaggiare nei villaggi Santal nell'area di Sahebganj e battezzarono molti Santal. E, dal 1910, fu davvero un tempo di "raccolta" per i Missionari del PIME. Come risultato, nel 1927 la Diocesi di Dinajpur fu eretta canonicamente. Essa includeva tutto il Nord Bengala (Divisione di Rajshahi) e fu affidata ai Missionari del PIME sotto il Mons. Santino Taveggia, il primo vescovo di Dinajpur. L'attività dei missionari cristiani cominciò a fiorire lentamente fra i Santal. C'erano 12.503 Cristiani nella Diocesi di Dinajpur nel 1927, concentrati a Saidpur, Dhanjuri e Beneedwar. Lo stesso anno, il primo libro di letteratura cristiana fu stampato in lingua Santali; due nuove missioni furono aperte a Andharkota e Mariampur. A Dinajpur fu costruito un centro di formazione per catecumeni ed il seminario minore. Nel 1928, Fr. G. Obert (terzo vescovo di Dinajpur) pubblicò il primo Bollettino in Santali, che incentivò molti Santal ad abbracciare il Cristianesimo. Fr. Lambert Mardi fu il primo prete diocesano Santal nella storia di Bangladesh. Durante la II Guerra Mondiale, le attività missionarie furono interrotte pressoché completamente a causa del bando dei Missionari; tuttavia anche se alcuni tornarono alla loro religione tradizionale, la maggioranza rimase fedele, ma era come un gregge senza pastore. La grande carestia nel 1942-1943 aumentò la crisi fra i Santal.

I programmi assistenziali dei Missionari salvarono molti Santal durante questa carestia, e questo incoraggiò un gran numero di essi ad avvicinarsi al Cristianesimo. L'attività evangelizzatrice fra i Santal crebbe notevolmente nel Nord Bengala dopo l'indipendenza del Bangladesh, nel 1971. I dati delle due diocesi, Dinajpur e Rajshahi, mostrano che oltre 35.000 Santal (più del 40% della totalità dei cattolici delle due diocesi) hanno abbracciato il Cristianesimo e c'è una possibilità di una conversione di massa fra il Santal. La Chiesa cattolica in Bangladesh è consapevole della possibilità e coinvolta direttamente e indirettamente nel proclamare il vangelo fra i Santal. C'è un buon numero di ragioni che possono aiutare a spiegare la conversione de Santal al Cristianesimo. Le più influenti fra di esse sono le attività istruttive e filantropiche, cure mediche, un sentimento di sicurezza invece di oppressione e ingiustizia, benessere sociale e economico, sicurezza politica, amore fraterno e cura, buona volontà, rispetto, ecc..

Sfortunatamente, la storia dei Santal può essere descritta come una storia di sfruttamento e di oppressione. In tutta la loro vita, i Santal hanno sperimentato molestie continue, oppressioni e sfruttamento dai proprietari terrieri e dagli usurai. Così una delle ragioni fondamentali della conversione dei Santal è il desiderio di liberarsi dall'oppressione e dalle molestie. L. Knockaert ha ragione quando dice: "Mostra a un Santal un interesse nella sua terra ed hai trovato una strada per il suo cuore". Infatti, molti Santal hanno abbracciato il Cristianesimo come una difesa contro l'estorsione dei padroni di casa e degli usurai. Ci si può chiedere perché, nonostante le opere incessanti della Chiesa, il Cristianesimo non è progredito ancora di più? La migliore risposta a questa domanda è data da J. Troisi:

L'obiezione più profondamente radicata è il fatto che il metodo cristiano di evangelizzazione ha spesso badato a portare i Santal fuori della loro comunità, di conseguenza portando un serio problema di solidarietà tribale che rende insicuri i convertiti.

I Santal del Bangladesh di p. Luigi Pussetto

1. I tribali trapiantati

1.1 Razza, origine, lingua

Stando ai dati antropometrici, i Santal vengono classificati da alcuni Autori come Pre-Dravidici, da altri come Proto-Australoidi. Ma il parere degli Autori al riguardo è molto discorde. Lo stesso si deve dire per quanto riguarda la loro provenienza: mentre alcuni li fanno provenire dall'Austra­lia, altri li ritengono originari del Nord-Ovest. Attualmen­te i Santal sano sparsi, oltre che nel Bangladesh, in vari punti degli stati indiani dell'Orissa, Tripura, Assam e Bengala Occidentale, ma principalmente nel Santal Pargana, distretto dello stato del Bihar.

Il santal è una lingua munda del gruppo kherwar, che fa parte della sottofamiglia munda-mon-kmer o austro-asiatica, appartenente a sua volta alla famiglia delle lingue austriche. Ma anche ciò non è del tutto pacifico.

I Santal stessi ammettono di appartenere al gruppo (dol) kherwar, a cui appartengono, oltre ai Santal, i Munda, i Mahali, i Birhor, i Bhil, i Kurku, gli Ho, i Kharia, i Korawa e altri gruppi etnici minori.

In Bangladesh si trovano i Santal, i Munda e i Mahali. Molte sono le interpretazioni date alla parola santal, or­mai pacificamente accettata dagli stessi interessati. Secondo Skrefsrud è un'alterazione del nome Saontar, e fu da essi usato al tempo in cui si stabilirono vicino a Saout, nel distretto di Midnapur. Secondo il Bodding, deriverebbe da Sant o Sat, o Sar, una plaga così chiamata del distretto di Midnapur. A tale nome vengono attribuite derivazioni varie: secondo Obert, sét vorrebbe dite sette, numero riferentesi ai sette fiumi di una regione: Paese dei sette fiumi. I Santal però preferiscono chiamarsi horko, uomini.

I Santal sono prevalentemente agricoltori. Caccia e pesca sono considerate ormai occupazioni di secondaria importanza. Il seminomadismo, che mezzo secolo fa caratterizzava la vita santal, è un fenomeno che va scomparendo. Il fatto che i Santal del Bangladesh si trovano ancora oggi costantemente sul piede di partenza non può essere motivato soltanto dalla necessità di trovare un pezzo di terreno da dissodare. I principali motivi della loro instabilità vanno ricercati nella instabilità politica del Paese, nella subdola persecuzione privata dei musulmani, nelle razzie, da parte di banditi senza scrupoli, nei villaggi più prosperi.

1.2 Santal in Bangladesh

L'induismo, da quanto si organizzò (1200 a. C.) ad oggi, ha quasi sempre ignorato i popoli aborigeni, cioè quei popoli tribali che si erano stabiliti in India migliaia d'anni prima della venuta degli Ariani. E quando è stato costretto a ricordarli, ha cercato di farlo in modo da metterli in cattiva luce. I popoli aborigeni che si sottomisero agli Ariani, o accettarono in seguito l'Induismo, persero la propria identità, o peggio diventarono schiavi e fuori casta. Quelli, invece, che vollero mantenersi indipendenti furono considerati ribelli, assassini, gente crudele e ignorante, maiali, cannibali o gente priva di religione, cioè bedin: termine che è entrato nel vocabolario cristiano per indicare i non cristiani. Quando si trattò di farseli amici, furono considerati khotriyo, cioè guerrieri, ma decaduti. Questa è ancora la storia di oggi, anche se da parte governativa si cerca di dare maggior risalto alle culture dei singoli popoli aborigeni o adivasi, tanto in India quanto in Bangladesh.

Soltanto con Asoka (272-232 a. C.), il più grande imperatore della dinastia dei Maurya, probabilmente buddhista, i tribali conobbero per un breve periodo un'esistenza di pace. In tutti gli altri periodi i tribali che resistettero all'assorbimento dell'Induismo continuarono ad essere oppressi, disprezzati o ignorati. La storia si ripete da parte musulmana in Bangladesh.

Da quanto tempo i Santal, sparsi un po' ovunque nell'India Centro Orientale, siano approdati nel territorio che oggi costituisce il Bangladesh, non è dato di sapere con precisione.

T. Murmu, basandosi su studi fatti, non esita ad affermare che i Kherwar raggiunsero il Bengala e si spinsero oltre, subito dopo i primi scontri con gli Ariani invasori (2500 a. C.). Con tutta probabilità i Santal approdarono in Bengala dopo avere acquistato la loro attuale identità etnica, non dopo il 1000 a. C. Capita sovente di sentire i Santal parlare delle epiche battaglie sostenute contro gli odiati feroci Turuk, in seguito alle quali i loro antenati si ritirarono nelle foreste dell'attuale Santal Pargana. È probabile che anche i Santal sparsi nel Bengala al tempo dell'invasione musulmana di questa regione, avvenuta negli ultimi decenni del dodicesimo secolo e agli inizi del tredicesimo, si siano ritirati progressivamente verso regioni più tranquille, o dove era più facile difendersi dagli invasori, cioè nelle foreste del Bihar e anche dell'Assam.

Attualmente i primi dati ufficiali reperibili riguardanti i Santal, risalgono al 1881. Stando al censimento di quell'anno, i Santal risultavano presenti nel distretto di Khulna, Jessore, Pabna e Chittagong. È fuori dubbio che anche oggi in quei distretti, come in altri, ad esempio Dhaka, ci sono dei Santal; ma si tratta di entità trascurabili. I distretti in cui attualmente si concentra il maggior numero di Santal sono, dal sud al nord: Rajshahi, Bogra, Rangpur e Dinajpur. Quelli che si trovano nel Sylhet, per motivi di lavoro, vi si sono recentemente trasferiti dai distretti sopraddetti. I Santal dell'attuale Bangladesh sono quasi tutti figli di emigrati dal Santal Pargana, e nulla li distingue da quelli che abitano colà se non forse l'uso di parole bengalesi santalizzate. Stando ad un calcolo suggerito da Sattar, i Santal in Bangladesh dovrebbero essere oggi un milione circa. Ma è difficile fare un calcolo anche approssimativo basandosi su dati del passato, specialmente se questi risalgono al 1941, e tali sono i dati del Sattar, prima cioè della divisione tra India e Pakistan. Infatti parte del distretto di Dinajpur, dove più numerosi erano i Santal, passò all'India. Inoltre nel 1947 numerosi Santal fuggirono in India anche dagli altri distretti. Nel 1964 si verificò un altro esodo dal distretto di Rajshahi. In entrambi i casi non esistono dati circa il numero dei Santal che fecero in seguito ritorno ai villaggi abbandonati dietro la spinta della paura. Dopo il 23 marzo del 1971 centinaia di villaggi furono abbandonati in massa dai Santal del Pakistan Orientale per rifugiarsi in India. Io stesso, nel luglio di quell'anno durante un viaggio in India, incontrai nei campi di raccolta, disseminati nei distretti di Malda e Jalpaiguri, migliaia di Santal e altri aborigeni fuggiti dal Pakistan Orientale. Durante la loro permanenza in India il colera fece numerose vittime, tuttavia i più poterono fare ritorno nel libero Bangladesh, e nei villaggi ricostruiti la vita riprese il suo cammino. Ma non è possibile dire quanti siano oggi realmente i Santal nel Bangladesh.

Sebbene nei miei anni di permanenza nell'allora Pakistan Orientale (1954-1965) e nell'attuale Bangladesh (1972-1976) sia venuto a contatto con numerosi Santal dei quattro distretti già nominati, le ricerche da me svolte riguardano pre­valentemente i Santal dei distretti di Rangpur e di Dinajpur.

1.3 I Santal, popolo animista

Tra i Santal è assai vivo il culto degli spiriti, sebbene non si escluda l'Essere Supremo. Nel culto degli spiriti è compreso, non confuso, il culto per i morti e in particolare per gli Antenati; però non è appariscente e tanto meno presente nella vita quotidiana, come lo è tra gli Oraon. Gli spiriti sono chiamati con il nome generico di bonga, e si possono incontrare ovunque. Parlerò in seguito dei più co­muni. Qui mi interessa accennare al sole, alla luna e alle stelle, divinità mutuate dalla mitologia indù ma che i Santal non chiamano né divinità né spiriti. Essi chiamano con un unico termine, cando, il sole e la luna. Per distinguerli usano dire sin cando e ninda cando, che potremmo tradurre: astro del giorno e astro della notte. Sovente usano dire cando baba e cando ayo, babbo sole e mamma luna. Le stelle sono dette generalmente ipilko e solo poche hanno un nome proprio, come bhurka e sukar che corrispondono rispettivamente alla stella del mattino e alla stella della sera, cioè Venere, ritenuta dai Santal due stelle distinte (i Santal) non sanno fare distinzione tra stelle e pianeti. Soren, e più comune­mente Sorenko, sono le Pleiadi. Parlando con dei Santal della luna e delle stelle, si capisce chiaramente che non le ritengono bonga. Usando la parola bengalese che vuol dire divini­tà, dicono che forse sono debota. E certo che i Santal non offrono alle stelle e alla luna sacrifici cruenti e neppure fanno altre offerte.

Per quanto riguarda il sole le cose cambiano. E certo che Sin cando indica l'Essere Supremo, il Dio creatore, e sosti­tuisce la parola Thakur sempre usata prima per indicare Dio; non solo, ma attualmente molti lo ritengono Dio. Rife­risco in proposito un fatto significante. Un sacerdote santal usa concludere le sue circolari con questa espressione: Cando baba apeye borapema, che nell'intenzione del suddetto vuol dire: Dio Padre vi benedica. Ma tal modo di esprimersi ha suscitato delle polemiche specialmente tra i catechisti meglio istruiti. Uno di loro mi diceva: « Vedi, Padre, tale e­spressione confonde le menti semplici dei nostri cristiani e anche quelle dei nostri fratelli pagani, i quali dicono che noi adoriamo Cando baba come loro. Io ho interrogato personalmente alcuni tra i più istruiti, e mi hanno risposto: « I nostri antenati non ritenevano che il sole fosse Dio, ma poi alcuni cominciarono a pensarlo, vedendolo bello e luminoso, datore di vita, e incominciarono a chiamarlo Cando baba. Ora molti pensano che il sole è veramente Dio ».

Comunque stiano le cose, è fuor di dubbio che la gente, quando parla di Sin cando o Cando baba come Dio, riferisce questo nome al sole che vede e del cui calore beneficia. E a Cando baba i buoni Santal offrono, almeno qualche volta in vita, un sacrificio.

Come si è detto, i Santal nel corso dei secoli resistettero all'assorbimento dell'Induismo, anche se certamente non mancarono delle defezioni. I Santal dei distretti che ci interessano, e probabilmente anche gli altri, fin dal 1920 furono sottoposti a non poche pressioni da parte indù, perche' si liberassero da tutti quegli usi e costumi in aperto contrasto con l'Induismo puro: allevamento di galline, maiali, sacrifici cruenti, bevande alcoliche. Subito dopo la divisione della penisola indiana in India e Pakistan (1947), nei distret­ti dove più numerosi erano i Santal, prese a lavorare attivamente tra di loro un'organizzazione indù detta Setho Sibon (amici di Siva?), che si affiancò ad altri movimenti induisti, i quali erano interessati all'induizzazione di altri popoli abori­geni. A dirigere questi movimenti nei vari distretti sono sempre gli Indù di casta, il più delle volte bramini piuttosto fanatici. E ciò fa pensare che a sostenerli non siano estranei Indù dell'Hindu-Mahasaba e dell'Arya Samaj. Il movimento dell'assorbimento induista sembra abbia avuto una sosta con il costituirsi del Bangladesh. Si sono fatti invece molto attivi alcuni movimenti politici di ispirazione marxista, che fanno di tutto per attirarsi le simpatie dei Santal e degli aborigeni in genere.

Sempre nei distretti di cui ci interessiamo, il passaggio dei Santal al musulmanesimo è praticamente nullo. Pochi individui isolati si fanno musulmani, e per lo più donne. Mentre dai primi anni del secolo ad oggi si è verificato un notevole movimento verso il cristianesimo, con intervalli di stasi causati da particolari situazioni politiche e religiose.

Nonostante queste conversioni all'induismo e al cristiane­simo, i Santal continuano ad essere un popolo nella maggioranza animista, bonga horko.

1.4 Il villaggio Santal

Quando nel giugno del 1954 raggiunsi per la prima volta il villaggio di Dhanjuri nel distretto di Dinajpur, isola verdeggiante che emerge da una zona allagata, una fitta foresta di sal (Shorea robusta) si estendeva tutto intorno. Questa foresta esisteva ancora in gran parte quando lasciai Dhanjuri nel 1965. Era scomparsa al completo quando vi ritornai nell'ottobre del 1972.

Una ventina d'anni fa era cosa comune imbattersi, nel mezzo di una foresta piccola o grande che fosse, in un villaggio santal. In questi ultimi quattro anni ho notato il progressivo scomparire della foresta per dare luogo alla giungla o anche a zone coltivate. Oggi, fatte pochissime eccezioni, quello che era il tipico villaggio della foresta è diventato il villaggio della giungla, seppure giungla è rimasta. Tuttavia il villaggio santal conserva quasi ovunque alcune caratteristiche particolari: una strada che lo attraversa in tutta la sua lunghezza, case generalmente ben ordinate, il manjhi than, simbolo dell'autorità del capo villaggio e allo stesso tempo altare sopra il quale si fanno le offerte allo spirito del capo fondatore del villaggio, e il jaher than, o boschetto sacro dove si fanno le offerte a particolari spiriti.

In questi ultimi anni non ho mai sentito parlare della fondazione di un nuovo villaggio. E neppure mi consta che prima della ricostruzione dei cento e cento villaggi santal avvenuta nei distretti di Rangpur e di Dinajpur, subito dopo la fondazione del Bangladesh, si siano seguite anche per una sola volta le regole d'uso per la fondazione di un villaggio. E ciò è spiegabile, data la situazione di urgenza in cui vennero ricostruiti tali villaggi, quasi sempre nel posto dove si trovavano prima.

Anche oggi qualche villaggio può scomparire, mentre altri si estendono. Normale è lo spostamento di case nell'ambito del villaggio stesso: spostamento giustificato dalla temuta presenza di uno spirito cattivo, dove sorge la casa. Presenza che si manifesta attraverso malattie o morti improvvise, disgrazie a catena. Alcune volte a consigliare lo spostamento in

cerca di un luogo più sicuro sono i ripetuti assalti dei banditi. Nel giugno del 1976 sono andato a visitare un grosso villaggio nel distretto di Rangpur. All'inizio del villaggio notai sei case prive di tetto, con le pareti intatte e le verande sostenute da colonne di terra battuta delicatamente modellate. Fino ad un mese prima quelle case costituivano l'abitazione del capo villaggio. Dopo essere stato derubato e malmenato per due volte, nello spazio di pochi mesi, costui si era ritira­to al centro del villaggio, in attesa di costruirsi una nuova casa in un posto più sicuro. Non è questo un caso isolato. I Santal vivono sempre in gruppo: il villaggio più piccolo è costituito almeno da tre o quattro famiglie, ma si da' il caso di un raggruppamento di sessanta e più famiglie. Se estranei per motivo di lavoro, come Kamar, fabbri, si stabiliscono in villaggio, fanno vita separata dalla comunità.

1.5 La casa

Si tratta naturalmente sempre di una casacapanna. Le case si trovano generalmente disposte in bell'ordine lungo una ampia strada. A volte si tratta di un'unica casa affiancata da un rifugio di fronde per gli animali, per lo più capre. Altre volte a fianco della casa sorge una stalla a tettoia per bovini, che serve anche da ripostiglio per strumenti agricoli. Sovente quattro o più costruzioni delimitano un cortile quadrato o rettangolare: sono le abitazioni delle famiglie congiunte, abbastanza frequenti tra i Santal. Quando il muro delle costruzioni non è sufficiente per delimitare il cortile, a volte, erigono un muro di terra battuta e lo ricoprono di paglia. Se è necessario, vi praticano un'apertura per l'ingresso.

I muri delle capanne sono generalmente di fango battuto, così i pavimenti e le verande e, quando ci sono, gli zoccoli sporgenti a mezzo metro d'altezza tutto intorno alla casa. A volte le pareti della capanna sono costruite con rami d'albero intrecciati e intonacati di fango. Il tetto e la veranda sono tatti di paglia o di una speciale erba cbiamata sauri ghas (Heteropogon contortus). L'uso di una o anche due finestre per casa e' ora abbastanza comune in Bangladesh, contrariamente ad una quarantina d'anni fa. Più volte ebbi occasione di vedere nell'interno di alcune case il soffitto di bambù protetto da un notevole strato di terra, sicura difesa dagli incendi, dal freddo e dal caldo.

Se verso la fine della stagione delle piogge le case santal possono avere un aspetto abbastanza dimesso, zoccoli e muri scrostati in più parti, verande e tetto malconci, con l'inizio della bella stagione (novembre-dicembre) riprendono poco alla volta il loro aspetto civettuolo. Anche se il tetto non può essere subito riparato per la mancanza del materiale adatto, le pareti vengono rinnovate, intonacate, abbellite di decorazioni e disegni vari. Per la festa del Sohrae quasi tutti i villaggi presentano un aspetto decoroso. Nel gennaio del 1976, trovandomi a Pargaon nelle immediate vicinanze di Dinajpur per la festa del Sohrae, trovai le case abitate tutte in ordine, anche se alcune abbandonate deturpavano l'aspetto del villaggio. Quasi tutte le pareti esterne erano decorate e dipinte con disegni semplici, ma graziosi. Su una delle pareti della casa dove ero ospite notai numerose scritte in tre lingue: santal, bengalese e inglese; in un prato, in cui pascolavano capre, buoi e bufali, spiccava una serie di ben sei aeroplani; un pò più discosti c'erano un pavone e altri uccelli tra piante e fiori dipinti con ocra, calce, carbone e altri colori probabilmente ricavati da succhi d'erbe. Era evidente che molte mani avevano cooperato all'opera.

1.6 La strada

Kulhi è detta la strada che attraversa il villaggio. Diritta o con ampie curve, è l'arteria pulsante del villaggio santal. Lungo la strada, sotto una pianta o esposti al sole, vengono legati gli animali al mattino per la pulizia delle stalle, prima che partano per la pastura o il lavoro. Nella strada scorazzano tutto il giorno i bambini quando non sono impegnati nei campi, al pascolo o alla scuola.

In occasione di matrimoni, là dove la strada entra in villaggio vengono ricevuti lo sposo e i suoi accompagnatori, con grandi segni di festa; e sulla strada lo sposo è presentato alla madre della sposa, che gli lava e unge i piedi. Poi lo sposo e il suo paggio vengono portati trionfalmente dalle damigelle d'onore lungo la strada fino alla prima casa del villaggio. Con onori consimili vengono ricevuti sulla strada all'inizio del villaggio personaggi importanti, e poi accompagnati processionalmente lungo tutta la strada, al suono dei tamburi, fino al luogo di destinazione.

È alla fine della strada che viene deposto il morto per l'ultimo saluto da parte di quelli che non l'accompagneranno al luogo della cremazione o della sepoltura.

Da un capo all'altro della strada si svolge la frenetica danza del Sohrae detta appunto kulhi daran, il passeggiare sulla strada. Questa danza dura praticamente, con brevi intervalli di sosta e cambio di danzatori, durante tutte le notti della festa, e a volte si protrae anche lungo il giorno.

Dalla strada prende il nome ogni adunanza tenuta dal Consiglio del villaggio, kulhi durup', che letteralmente vuol dire seduta sulla strada. Infatti, sebbene per vari motivi ciò non possa sempre avvenire, il capo villaggio con i suoi assistenti e i capi famiglia si radunano volentieri in un posto confortevole lungo la strada per discutere questioni riguardanti il villaggio, a volte persino per emettere ed eseguire sentenze. Personalmente, una sola volta ho preso parte ad uno di questi raduni lungo la strada all'ombra di un magnifico fico bengalese, presenti tutti gli uomini del villaggio.

Infine è lungo la strada, davanti alla casa del capo villaggio, che viene eretto il manjhi than, dove durante alcune feste si offrono sacrifici al Manjhi haram, lo spirito del capo fondatore del villaggio secondo alcuni o, secondo altri, lo spirito del primo capo villaggio in senso assoluto.

1.7 Il boschetto sacro

Il boschetto sacro, detto jaher than, fa parte essenziale del villaggio. Dopo ogni fondazione di villaggio si procede all'insediamento degli spiriti, jaher bonga rakap'. Trovato un gruppo d'alberi adatto allo scopo, vengono scelti tre o quattro uomini che dovranno essere impossessati dagli spiriti e agire in loro nome. Sono i rumok' horko o sciamani occasionali. Alla presenza degli abitanti del villaggio il capo versa acqua nelle bacinelle che offre agli uomini prescelti. Costoro si lavano braccia e gambe, poi si spruzzano acqua sulla testa. Sedutisi uno accanto all'altro, viene offerto loro un vaglio di bambù, hatak', con sopra una manciata di adwa caote, riso seccato al sole e pilato senza essere stato bollito. Perché gli spiriti si possano impossessare di loro, sfregano il riso sul vaglio con la mano destra. I maggiorenti si rivolgono con voce sostenuta agli spiriti che dovranno essere insediati nel boschetto sacro e allo spirito del Manjhi haram: O spiriti, Moréko, Jaher era, Pargana, Maran buru, Gosae era e Manjhi haram, noi vi invochiamo. Nel frattempo gli sciamani cominciano a roteare la testa sempre più vorticosamente emettendo un caratteristico suono, segno evidente dell'invasamento (sahak). Segue una serie di domande e risposte rituali tra la gente del villaggio e gli sciamani. Dopo che i maggiorenti hanno domandato agli spiriti dove possono preparare loro la dimora, i posseduti vanno a prendere delle pietre, scelgono a loro piacimento tre alberi di sal disposti in fila e ne depongono una ai piedi di ogni albero, ed esattamente una per Jaher era, un'altra per i Moréko e la terza per Maran buru. Vanno poi a raccogliere altre pietre e ne depongono una ai piedi di un albero di matkom (Bassia latifolia) per Gosde era, un'altra per lo spirito del Pargana ai piedi di un albero qualunque; portano la terza sulla strada del villaggio nel posto dove verrà eretto il manjhi than. Tutti tornano a sedersi dove aveva avuto inizio la cerimonia, e i maggiorenti domandano agli spiriti da quali mani desiderano ricevere i sacrifici e li pregano di scegliersi il naeke, cioè il sacerdote. Viene posto davanti agli sciamani un vaso di bronzo con acqua, si alzano e colui che rappresenta Jaher era prende il vaso d'acqua, si porta in mezzo ai presenti e la versa sul capo di un uomo che sceglie a piacimento. Il novello sacerdote seguito dai presenti va al boschetto sacro a sistemare i sassi sotto ogni pianta: libera un piccolo spazio dalle erbe, lo spalma di sterco bovino diluito con acqua e vi depone in mezzo il sasso dopo averlo unto con il sindur (vermiglione).

Perché gli spiriti possano ritirarsi dagli sciamani, il sacerdote pone nelle loro mani il riso del vaglio. Essi pregano gli Spiriti di lasciarli, ed ad uno ad uno restituiscono il riso al sacerdote. I maggiorenti si uniscono alle loro preghiere e i posseduti possono finalmente tornare al loro stato normale. Si riprendono il riso e con tutti gli altri rientrano nel villaggio; il capo li invita a casa sua e offre loro un modesto banchetto.

Il villaggio ha ora il suo boschetto sacro dove, in occasioni particolari, il sacerdote offrirà dei sacrifici agli spiriti che vi si sono stabiliti.

1.8 Struttura sociale del villaggio

Le autorità del villaggio sono il manjhi e i suoi quattro assistenti: jog manjhi, paranik, jog paranik e godet. Inoltre esiste un consiglio di villaggio detto «i cinque » o anche « i dieci », cioè i mor horko o dos jon.

Manjhi: è il capo villaggio la cui carica è ereditaria. Ma sempre possibile ai suoi sudditi eleggersi un altro capo quando l'attuale o, morto lui, suo figlio non è persona capace oppure non è gradito. Egli è il leader della vita sociale, e può fungere anche da sacerdote occasionale; è pure il presidente dei maggiorenti. Nel caso che per particolari motivi il capo villaggio fosse di un'altra razza, viene eletto ad actum un capo santal detto handi manjhi, che possa svolgere tutte le attività socio-religiose connesse alla carica di capo villaggio, durante le festività e le cerimonie proprie della vita di villaggio. L'elezione del capo villaggio viene sempre notificata alle autorità amministrative locali.

Paranik: è il principale assistente del capo villaggio. Non può agire di propria autorità, ma solo se richiesto dal manjhi stesso durante la sua temporanea assenza. Spetta agli abitanti del villaggio scegliere e dimettere il paranik. Nel caso che il manjhi lasciasse il villaggio o morisse senza successori, il paranik può ereditare la carica.

Jog manjhi: è il tutore della moralità. Spetta a lui vigilare sui giovani e sulle ragazze perché nulla accada di male o di immorale tra loro. Sono lontani i tempi in cui, se veniva meno ai suoi doveri, era severamente punito. Presiede a tutte le cerimonie del janam chatiar (purificazione della nascita) e del caco chatiar (iniziazione) e del matrimonio. E ancora lui che guida i giovani in tutte le cerimonie delle feste e che assiste alle loro danze. Oggigiorno è diventato in pratica un cerimoniere nelle feste civili e religiose, un prestanome privo di autorità.

Jog paranik: è il delegato del jog manjhi e opera con lui o in sua vece, quando questi fosse assente. E suo compito sorvegliare con il jo~ ma n'jhi la gioventù durante la festa del Sohrae.

Godet: è il messaggero del capo villaggio e fa sempre parte dei maggiorenti. E suo compito fare radunare la gente con tempestivi avvisi, raccogliere riso e polli per i sacrifici. Spetta al godet portare lettere o oggetti dal proprio villaggio a quello più vicino.

Moré hor: « i cinque » formano il consiglio del villaggio che deve essere costituito da non meno di cinque capi famiglia. Sovente questo consiglio è detto anche dos o dos jona (jon) o, più semplicemente, dosjon alla bengalese, ma senza riferimento al numero. Noi possiamo benissimo chiamarli « maggiorenti ». Vi fanno parte i capi famiglia e chi ha una certa influenza personale nel villaggio. Il manjhi è sempre il loro « chairman » ossia il loro presidente. Anche nel caso in cui il Consiglio di un altro villaggio dovesse intervenire per delle decisioni, è sempre sotto l'autorità del manjhi del villaggio interessato che si raduna.

Pargana. A livello di confederazione di villaggi esiste un'altra autorità, il pargana; e pargana è anche detta questa confederazione di villaggi, il cui numero varia da posto a posto. Egli è capo di tutti i manjhi della zona a lui affidata. Non esiste in Bangladesh il desmanjhi, l'assistente del pargana, che agisce con lui o in sua vece Così pure è sconosciuto in pratica il dihri, l'autorità suprema civile e religiosa, durante l'annuale grande caccia, il presidente della Corte suprema santal, la cui assemblea si teneva nella foresta, appunto durante la grande caccia annuale . È finita per i Santal del Bangladesh la possibilità della grande caccia, a causa della distruzione delle foreste. Ma neppure in tutto il periodo in cui il Pakistan dominò sul Bengala Orientale si è mai udito che i Santal si fossero radunati per la grande caccia.

Questa, in breve, l'organizzazione sociale santal. Potremmo parlare di unità socio-politica a livello di villaggio, che è molto sentita; tale unità esiste un po' meno a livello di pargana, ed è quasi nulla a livello di distretto. L'unico vincolo che tiene uniti i Santal del Bangladesh tra di loro e con i Santal dell'India è quello culturale. Non esistono per il momento tra i Santal del Bangladesh altri vincoli socio-politici oltre a quelli accennati. Tenendo presente che la tradizione è legge, possiamo dire che il potere legislativo dei capi santal è molto limitato. A livello di villaggio tale potere è in mano al manjhi unitamente al consigilo dei maggiorenti, e può riguardare al massimo l'imposizione di contributi in denaro o in natura e la loro precisa destinazione. La tradizione può essere toccata nelle sue parti non essenziali; ma in questo caso non è più il manjhi di un villaggio e il suo consiglio a legiferare, bensì sono tutti i pargana con i rispettivi manjhi e consiglio a decidere insieme e a proporre la legge che a volte può anche essere respinta per mancanza di approvazione unanime. Caso tipico è la nuova legge sui doni-compenso da scambiarsi in occasione di matrimoni tra le parti dello sposo e della sposa, stabilita circa due anni fa a Dhanjuri, presenti i capi villaggio e i pargana di almeno tre

distretti: Dinajpur, Rangpur, Rajshahi. Sempre a livello di villaggio, il potere giudiziario è in mano al manjhi e al suo consiglio. Il potere esecutivo invece è esercitato dal manjhi e dai suoi assistenti. A livello di più villaggi compete al pargana il solo potere giudiziario, sempre in accordo con i capi villaggio della sua giurisdizione e il loro consiglio. Il parere del pargana però è molte volte determinante circa la sentenza che verrà emanata.

2. I clan

I Santal sono endogamici in quanto popolo, perché non si possono sposare fuori della propria tribù, ma sono exogamici in quanto a clan, perché non si possono sposare tra persone dello stesso clan, che in santal viene detto paris. Secondo il Bodding si fanno due eccezioni, sia pure mal tollerate, circa il matrimonio tra individui dello stesso clan, a patto che non siano dello stesso sotto-clan. Personalmente non conosco casi del genere. Tuttavia anche in Bangladesh ho visto delle eccezioni in cui però la clausola del sotto-clan non ha niente a che fare. Quando per validi motivi il matrimonio fra due giovani dello stesso cIan si rendesse necessario, e consanguineità o affinità non lo impedissero, allora si ricorre ad una finzione giuridica. Una coppia di sposi anziani, avente il nome di un clan particolare, adotta la sposa come figlia, dandole il proprio nome.

Attualmente i clan sono undici , che per comodità riporto in ordine alfabetico: Baske, Besra, Corè, Hasdak, Hembom, Kisku, Marndi, Murmu, Pauria, Soren, Tudu. Il dodicesimo, Bedea, è andato perduto. Secondo la tradizione i membri di questo clan si sarebbero rifiutati di abbandonare la regione di Champa quando Mando Sin, figlio bastardo della figlia di re Kisu, minacciò di infamare tutte le donne santal, se no avessero ceduto alla sua volontà di aver per sposa una ragazza santal. I Bedea, allettati dalle promesse di ricchezza e di potere fatte da Mando Sin, si vendettero a lui, tradendo i fratelli. Bedea restò solo come sotto-clan dei Soren.

2.1 Origine dei clan

Esistono due versioni ben distinte circa l'origine dei clan, una scritta nel Libro delle tradizioni, e l'altra orale. Secondo la prima, i clan furono creati per l'exogamia; secondo l'altra, furono creati per l'unità del popolo santal.

2.1.1 Tradizione scritta

Il Maran buru, detto Lita, un giorno venne a trovare Pilcu Haram e Pilcu Budhi (i progenitori), presentandosi come loro nonno e dicendo di volerli rendere felici. Insegnò loro a fare l'handi, la birra di riso. Quando l'ebbero preparata ne bevvero abbondantemente, si ubriacarono e, mentre erano ubriachi, si unirono sessualmente. Svegliandosi e ricordando ciò che era successo ne provarono gran vergogna e lo dissero a Lita. Costui, ridendo sotto i baffi, rispose che non c'era niente di male e se ne andò. I due per coprirsi si fecero un perizoma con le foglie del fico bengalese. Ebbero sette figli e sette figlie. Il primo figlio fu chiamato Sandra, il secondo Sandbom, il terzo Care, il quarto Mane e il più piccolo Acaredelhu. La prima delle ragazze ebbe nome Chita, la seconda Kapu, la terza Hisi e un'altra Dummi. Il nome degli altri ragazzi e delle altre ragazze si è perduto nel tempo.

Essi crebbero; e mentre il padre badava ai ragazzi, la madre badava alle figlie. Ma un giorno i ragazzi andarono a caccia da soli nella foresta di Khanderae e le ragazze invece andarono a raccogliere erbaggi nella foresta di Surukuc. Di ritorno dalla caccia i ragazzi si incontrarono con le sorelle che stavano dondolandosi appese alle radici aeree di un fico, e cantavano. Presero a danzare tutti insieme, e ad un certo momento il primo dei fratelli si appartò con la sorella maggiore, il più piccolo con la più piccola e così tutti gli altri.

Quando ritornarono a casa, i due vecchi capirono ciò che era successo, e si dissero che bisognava sposarli. Costruirono sette capanne, prepararono la birra di riso, fecero festa, poi invitarono le coppie a prendere dimora nella singole capanne. Ma Pilcu Haram e Pilcu Budhi non erano tranquilli: pensavano al modo di impedire che in seguito fratelli e sorelle si sposassero. Decisero di dare ad ogni figlio un paris, il nome con cui si sarebbero distinti i veri clan, e stabilirono una norma: la ragazza abbia pure un paris qualunque, ma quello del ragazzo sia differente.

Al primo figlio diedero il paris Hasdak, al secondo Murmu, al terzo Kisku, al quarto Hembrom, al quinto Marndi, al sesto Soren, al settimo Tudu. Con il tempo gli uomini si moltiplicarono enormemente, diventarono cattivi e si comportarono come bufali. Thakur si arrabbiò e mandò il diluvio. Si salvò soltanto una coppia di uomini scelta da Thakur stesso. Ebbero figli e figlie e ridiedero loro gli antichi paris. In seguito, ai primi sette se ne aggiunsero altri cinque: Baske, Besra, Pàuria, Coré e Bedea.

Questo in breve il racconto dell'origine dei clan secondo il libro delle tradizioni. La regola stabilita dalla tradizione secondo la quale un ragazzo può sposare una ragazza di un qualsiasi altro clan che non sia il suo, ebbe in seguito delle restrizioni non sancite da nessuna legge, ma sempre messe in pratica fino ad oggi, almeno per quanto riguarda il Bangladesh. Un Tudu, ad esempio, non sposa una Besra e viceversa. Lo stesso avviene tra i Marndi e i Kisku. Neppure i Baske e gli Hembrom si sposano con i Besra. Kochar nel suo libro parla soltanto dei due primi casi, e dice che ciò avviene a causa di una tradizionale rivalità. Per quanto riguarda i Baske e gli Hembrom esiste una credenza, secondo la quale, se un membro di questi clan sposa un Besra, non nasceranno figli, o se nasceranno moriranno bambini.

La rivalità tra i Marndi e i Kisku sembra risalire a moltissimi anni fa. Si narra infatti che una volta il clan dei Marndi venne in disaccordo con il clan dei Kisku a causa di un'altura che i primi avevano abusivamente occupato. Essendo riuscita vana una soluzione pacifica, i Kisku decisero di sloggiare gli intrusi con una battaglia. Si fecero i preparativi di attacco da entrambi le parti. I Kisku che erano accampati al piano videro, nelle acque del torrente, che, precipitoso, scendeva dall'altura, un grandissimo numero di piatti di foglie, i patra, che i santal usano per i loro pasti. Da ciò arguirono quanto grande fosse il numero dei nemici accampati sul monte. Presi da spavento, stavano per darsi alla fuga, convinti che non sarebbero sfuggiti alla distruzione. Ma qualcuno suggerì uno stratagemma. Durante la notte tagliarono numerosi alberi della foresta sottostante l'altura, all'altezza di un uomo, ne ricoprirono la parte superiore con sterpi e stracci, dando ai tronchi il più possibile la forma di fantocci e poi dislocarono tra questi gli arcieri disponibili. Da lontano gli esterrefatti Marndi credettero di vedere un numeroso esercito e, presi da timore, desistettero dall'attacco. Infine, mediante messaggeri, si venne ad un accordo pacifico. Ciononostante rimase tra i due clan una forte rivalità a causa della quale i Kisku si rifiutarono di dare le loro figlie in spose ai Marndi, i quali naturalmente li ricambiarono con ugual moneta. Alcuni dicono che la causa della discordia fu una ragazza dei Kisku rapita da un prepotente Marndi.

2.1.2 Tradizione orale

A Champa (Sind-Punjab) i Kherwar cominciarono a dividersi in vari gruppi. E fu allora che un manjhi di nome Karu, in pensiero per l'unità della sua famiglia, chiamò a raccolta i figli nutum se paris emakoamente, cioè per dare loro un nome o un paris (nome del clan). Fatti venire i suoi dodici figli davanti a sé impose loro un nome che riguardava un fatto oppure una virtù o un difetto dei singoli. Ad uno, ricordando che un giorno, cadendo sulla propria porzione di riso e curry, si era lordato in modo ributtante, lasciandosi essiccare la sporcizia addosso, diede il nome Coré. Ad un altro molto abile nel preparare il paura, la deliziosa grappa distillata dai fiori della Bassia latifolia, e bevitore instancabile, diede il nome di Pauria. Il nome proprio di questi due fratelli era rispettivamente Carhat, e Phagu. Quando si presentò il più anziano dei fratelli, Baruk, il padre, ricordando la sua insuperabile astuzia e innocente faccia tosta, lo chiamò Bedea. Chiamò invece Tudu il figlio Themka, tanto piccolo di statura quanto incorreggibile palpatore di donne. Ma chi lo sa perché lo chiamò così? A Samu, che aveva una spiccata tendenza all'amicizia e che di fatto sapeva farsi amici tutti i fratelli, diede il nome di Soren, come le stelle sorelle che stanno sempre insieme (Pleiadi). Al figlio Bowas, che non aveva nessun ritegno nell'usare parole sconce quando parlava con i fratelli, diede il nome di Besra.

Ce n'era uno, poi, che non aveva misura nel preparare il cibo e avanzava sempre abbondante riso per il giorno dopo; a costui, che si chiamava Boso, aggiunse il nome di Baske. A Manka, il figlio dalla faccia ampia e simpatica, diede il nome di Murmu. Il figlio Harmu, forse meno abile del fratello Phagu nel distillare grappa e niente affatto buongustaio, quando era assetato andava poco per le sottili per estinguere la propria sete e non esitava a bere acqua fangosa. Perciò il padre gli diede il nome di Hasdak. Restavano ancora tre fratelli: Somae, Mihinidi e Karuk. Somae era rimasto a lungo scapolo e un giorno ai piedi di un hesak dare (Ficus religiosa), aveva ucciso un maschio della vacca azzurra. Ricordando questi fatti, il padre lo chiamò Hembrom. Mihinidi, forse per vendicarsi del padre che lo aveva chiamato con il nome di un arbusto (Lausonia alba), ogni giorno gli offriva dei vegetali da mangiare. E il padre gli appioppò il nome di un'erba, chiamandolo Marndi (Ischaemum rugosum). Karuk era un appassionato di uccelli, e si dilettava nell'allevare kisni (Sturnopastor capensis capensis), e insegnava loro a parlare e a cantare. Perciò suo padre gli diede nome Kisku.

Infine egli spiegò loro che aveva dato ad ognuno un nome perché ciò facilitava, riconoscendosi, l'unità familiare. Non dovevano disperdersi come altri avevano fatto e continuavano a fare. Se volevano essere forti contro eventuali nemici, dovevano stare uniti. E volle dare loro un esempio. Si fece portare da ognuno di loro due liane di circa due metri l'una; ne fece deporre una e tenere in mano l'altra. Disse loro di tirare con forza e la liana si spezzò. Fece intrecciare le dodici rimanenti liane e diede ordine a Bedea di spezzare la treccia, ma non riuscì. Disse allora al figlio Kisku di tirare con ambo le mani da una parte, mentre Bedea tirava dall'altra, ma il tentativo di rompere la treccia fu vano. Il padre allora fece unire a Bedea Marndi e Murmu, e diede ordine ad Hasdak e a Hembrom di unirsi a Kisku. Anche questa volta il tentativo fu vano. Infine ne fece mettere sei da una parte e sei dall'altra perché tirassero con tutte le loro forze, ma ogni tentativo di spezzare la treccia di liane fu inutile. Il vecchio Karu fece capire loro che erano come le dodici liane: se fossero rimasti uniti, nessuno avrebbe mai potuto spezzarli, ma li avrebbero facilmente spezzati (ridotti in polvere) se si fossero separati. Per questo rimasero tutti in Campa, e ogni famiglia crebbe, si costruirono dei forti per difendersi dalla pressione dei nemici esterni. E qui rientriamo in ciò che si dice tradizione scritta.

Secondo lo stesso racconto orale, i quattro famosi guru (maestri): Ulum Paika, Julum Paika, Kapi Karam e Baba Bijoe, che avrebbero accompagnato i Santal nella loro fuga da Campa, sotto la pressione di Mando Sin, e poi li avrebbero iniziati al culto degli spiriti, sarebbero figli o, comunque, discendenti di Baruk Bedea. E dal loro ceppo avrebbero avuto origine i Mahali, un gruppo etnico molto affine ai Santal per lingua e costumi, ma fino ad oggi nettamente distinto. Tra questi Bedea sarebbero sorti successivamente i guru che stabilirono leggi e cerimonie socio-religiose ancora oggi vigenti tra i Santal. A stabilire le feste santal del ciclo annuale e del ciclo vitale non sarebbero stati i Santal quindi, ma questi guru mahali del clan Bedea. Poi questo nome detestato poco alla volta andò scomparendo, e i Mahali assunsero i nomi dei clan santal vigenti.

2.1.3 Osservazione sui due racconti

Da quanto detto appare chiaro che tra i due racconti, quello scritto e quello orale, esiste una differenza essenziale: il motivo per cui i clan furono stabiliti, più ancora che il tempo in cui avrebbero avuto origine. Il racconto del libro delle tradizioni mette ben in evidenza il fatto che i clan nacquero per l'exogamia del gruppo; mentre il racconto orale mette in risalto il fatto che i clan sorsero per l'unità del gruppo, senza il minimo accenno all'exogamia. Piuttosto indirettamente pone l'accento sull'endogamia del gruppo. Non si può però dire che questo secondo racconto escluda l'exogamia, del resto accettata e rispettata da tutti i Santal. Ma potrebbe aprire un'incrinatura nella monolitica legge dell'exogamia; e sarebbe tutto a vantaggio dei clan più numerosi, specialmente il clan dei Murmu, i cui membri a volte stentano a trovare la comparte per il matrimonio fuori del proprio clan.

Sempre stando a questo racconto, i Santal avrebbero acquistato la loro vera identità di gruppo soltanto a Campa, mentre prima facevano parte del gruppo più grande dei Kerwar, e niente li distingueva dagli altri. E ciò sarebbe avvenuto all'incirca nel 3000 a. C. Nel primo racconto non si nota la minima preoccupazione di spiegare l'origine del nome del clan o di dargli un significato. Secondo il libro delle tradizioni in seguito ad alcuni nomi di clan se ne aggiunse un altro come apposizione per indicare un ufficio o un mestiere. Ad esempio: Kisku raj, perché sembra che i capi o raja fossero scelti da questo clan; Murmu thakur, perché probabilmente furono i primi naeke o sacerdoti; Hembrom Kuar, perché si ritiene che gli Hembrom fossero principi o notabili alla corte dei Kisku; Marndi kipisar, gente influente per le loro ricchezze; Soren sipahi, cioè soldati; Tudu mandaria, costruttori di tamburi. Oggi alcuni di questi nomi indicano un sotto-clan, come ad esempio Tudu mandaria, che è un sotto-clan dei Tudu. Sebbene si sappia che i Baske erano mercanti, non fu dato loro nessun appellativo. Nel secondo racconto è invece evidente la preoccupazione di motivare ogni singolo nome clanico anche se ad un estraneo può sfuggire il nesso tra avvenimento e nome, doti o difetti e nome. Ma non c'è assolutamente nulla in questi due racconti o nella tradizione santal in genere che possa fare pensare il clan santal come totemico. E gli autori che hanno sostenuto il totemismo dei clan santal, l'hanno sostenuto senza averne una giusta idea , o per provarlo s'arrampicano sui vetri incorrendo in errori notevoli, o l'affermano gratuitamente, senza portare cioè ragioni comprovanti.

Per quanto riguarda i Santal del Bangladesh, attualmente non esiste alcun accenno al totemismo, neppure nei rituali dei sacrifici e delle feste. I numerosi tabù esistenti tra i Santal, sono da essi spiegati senza ricorrere al totem. Tutti i Santal in genere hanno la tendenza a storicizzare l'origine dei clan e dei sotto-clan. Nei più di cento villaggi visitati non vidi mai emblemi distintivi dei clan. Se c'erano in passato, oggi non esistono. Nessuno di coloro che ho interrogato ha ammesso che i loro antenati avessero qualche cosa in comune con l'animale o la pianta (erba) o la cosa di cui portano il nome, se non appunto il nome. Se si obietta ad un Soren che ha venerazione per le Pleiadi (Sorenko), e ciò sta a dimostrare che ha con esse una parentela, risponderà che è vero: ha venerazione e rispetto per le Pleiadi perché sono gororn in, cioè sono sue omonime, e come tali le venera e le rispetta. Dissi una volta ad un Hasdak che lui derivava, come tutto il suo clan, da Has hasin e Has hasil, la coppia di uccelli da cui, secondo la tradizione santal, avrebbero avuto origine i progenitori. Si mise a ridere, e mi disse che allora tutti i Santal, anzi tutti gli uomini dovrebbero chiamarsi Hasdak dal momento che i due uccelli risultano essere i genitori dei progenitori. Mi intrattenni con Suku Hasdak circa questo argomento, lasciando da parte volutamente il suo clan. Rideva di gusto, dicendomi che non esistevano neppure leggende in cui si dicesse che qualcuno di loro avesse come antenato un animale o un vegetale. Portai allora la sua attenzione sui tabù e gli spiegai che potevano appunto derivare dal fatto che, almeno in passato, forse qualcuno considerava quell'animale o quel vegetale un antenato. Ritornò anch'egli sull'argomento del gorom e mi disse: « Prendi ad esempio i Murmu. Essi non possono mangiare la carne della vacca azzurra (jei murum), né il fungo che porta quel nome (ot' murum) e neppure possono ammazzare il serpente hawal murum. Ora dimmi: quale dei tre secondo te è il loro antenato? tohekhan do? allora? ». Non insistetti con lui. Tentai con altri, ma non ebbi per risposta che sorrisi compassionevoli.

Tuttavia mi restava un dubbio: forse non tutti avevano capito ciò che volevo dire. E ricordando più di una volta ciò che era successo al Rivers circa i popoli della Melanesia, dai quali diceva assente il totemismo mentre egli stesso portava documenti che lo provavano, mi restava sempre il dubbio di sbagliarmi circa i Santal. Ma dopo ripetuti tentativi ed osservazioni, dovetti convincermi che attualmente tra i Santal del Bangladesh non esiste l'idea di totemismo. A convincermi fu anche un altro fatto. Tra molti Oraon l'idea del totemismo è ancora oggi chiara, e non si vergognano di parlarne, anche se qualcuno ci scherza sopra. Ora, se esistesse tra i Santal, perché dovrebbero rigettarla con tanta ostinazione o nasconderla, dal momento che sono molto più aperti degli Oraon? Un giorno un giovane Oraon appartenente al clan degli Ekka (tartaruga) mi disse di non mangiare la carne di quell'animale perché « ... il nonno del nonno di mio nonno ... era una tartaruga ». E intanto faceva roteare la mano, come per dire: « ancor più in là ». Rideva, e aggiunse: « Così dicono».

2.2 Storicizzazione dei nomi

Baske: Questa parola significa « stantio » ed è applicata ai cibi e al riso, in particolare, avanzato la sera per il mattino seguente. Già abbiamo visto perché il vecchio Karu abbia dato questo nome al figlio Boso. Ma esistono altre due tradizioni al riguardo. Secondo la prima, in occasione di una grande caccia, durante la quale i Santal decisero di dividersi in dodici clan, alcuni di loro cucinarono tanto riso da avanzarne per il giorno dopo. Avendo essi mangiato tale riso il mattino seguente, furono denominati Baske, e tale nome passò ai loro discendenti. L'altra tradizione dice che i Baske ebbero come antenati due giovani, i quali durante la stessa caccia, girando per la foresta, avrebbero fatto tardi e sarebbero ritornati all'accampamento il giorno dopo. Non avendo altro da offrire ai due affamati, venne dato loro del riso avanzato la sera prima. Di qui il nome di Baske ai loro discendenti. Sengupta, parlando dei Mahali di Midnapur in India (Bengala Occidentale), dice che i clan mahali sono totemici e dieci di essi sono uguali a quelli santal. Volendo ad ogni costo provare quanto afferma, va incontro a più di un abbaglio, oppure forza i significati. Parlando dei Baske, dice che baske o kanti è una specie di verdura. Non ho trovato né tra i Santai né tra i Mahali del Bangladesh nessuno che sapesse spiegarmi la relazione che passa tra Baske e Kanti, nome a loro del tutto sconosciuto. L'unica parola che si avvicini è kantha, Euphorbia granulata, le cui foglie sono commestibili, detta dai Santai kantha harak'.

Besra: I Besra sono considerati inferiori agli altri, e più di una volta ne ho sentito parlare con disprezzo, certo ingiustificato nei riguardi dei presenti Besra. A torto sono ritenuti volgari e licenziosi quanto il loro primo antenato. Alcuni fanno derivare questo nome da besrom che, tra gli altri significati, ha anche quello di licenzioso e impudente. I Besra sono chiamati anche bayar, bufali maschi, sempre in riferimento alla loro licenziosità. Tutti però riconoscono la loro intelligenza; ma anche questo è un giudizio gratuito. Sengupta ritiene che Besra vuol dire falco. In realtà sbaglia. Esistono infatti i Besra kuhi, ma è un sotto-clan, comune anche ai Baske e agli Hasdak'. Kuhi besra è la Spilornis melanotis o aquila crestata indiana, predatrice di serpenti. I Mahali del Bangladesh chiamano i Besra con il nome di Khanger, mentre Sengupta fa di questo nome il tredicesimo clan mahali, e secondo lui vorrebbe dire cornacchia. I Mahali da me consultati negano che Besra e Khanger siano due clan distinti.

Coré: È un clan poco numeroso e poco rispettato. Sono soprannominati cacarhat, che vuol dire sporco, dalla pelle ruvida, bitorzoluta e piena di squame come quella delle lucertole. I Mahali chiamano i Core con il nome di cercetec, che corrisponde al nostro geco. Va perciò vicino al vero S engupta quando dice che Coré vuol dire lucertola.

Hasdak: Letteralmente vuoi dire oca d'acqua; ma tale nome non è mai usato dai Santal per indicare l'oca, che è detta sak. Secondo la tradizione scritta, è il nome assunto dal figlio maggiore della prima coppia umana. Has è anche il nome dell'uccello mitologico da cui ebbe origine la coppia suddetta. Sengupta traduce hasdak con oca selvatica. Come si è visto Karu diede questo nome al figlio Harmu, perché beveva acqua sporca quando aveva sete, senza curarsi di cercare acqua pulita, proprio come fanno le oche.

Hembrom: Ho già fatto notare che gli Hembrom erano principi o fungevano da notabili alla corte del re Kisku, mentre si trovavano a Campa, e venivano chiamati Hembrom kuar. Ma oltre che principe, kuar vuol dire anche scapolo. Ed è alla luce di questa tradizione e di questo secondo significato che si spiega il nome dato dal vecchio Karu al figlio Somae: costui era rimasto molti anni kuar, cioè scapolo; e un giorno aveva ucciso un maschio di una vacca azzurra, una preda degna di un principe. Sengupta ritiene che Hembrom voglia dire noce d'areca. Ma a torto: scambia il clan con un sotto-clan. Esiste infatti il sotto-clan Hembrom 'noce d'areca', Gua Hemhrom (Gua=Areca catechu, noce d'areca).

Kisku: I Kisku furono quelli che a Campa si imposero come capi, raja. Ma ciò non ha nulla a che fare con l'origine del nome. Sengupta fa derivare Kisku da kikir, il martin pescatore. Stiracchiando viene a provare la sua tesi. Ma anche il manjhi Karu dovette forzare un po' il senso chiamando Kisku il figlio Karuk, perché allevava kisni (maina). I Mahali quando parlano tra di loro, invece di Kisku adoperano Kauria.

3. Le feste del ciclo vitale

Premessa

Nella vita sociale dei Santal le feste hanno una grandissima importanza: sono l'espressione viva del sentimento religioso della comunità, caratterizzato dalla paura per gli spiriti, e nello stesso tempo la manifestazione di quel desiderio profondo di gioia che è parte integrante dell'indole santal, e si concretizza particolarmente nel canto e nella danza. i Santal non danno spazio ad individualismi, tuttavia è proprio durante le feste che l'individuo si realizza nella comunità, perché può mettere in risalto le sue doti e le sue capacità di suonatore, danzatore, cantore, giullare, ospite, cacciatore, arciere e, a volte, anche di pacificatore. È durante le feste che può gettare le basi del suo futuro ruolo sociale nella vita della comunità.

Essendo l'espressione del sentimento religioso del popolo, è normale che in tutte le feste si noti uno spiccato carattere sacro, anche se ad originarle sono stati comuni avvenimenti della vita o fatti che si perdono nella nebbia dei tempi e che nulla hanno a che fare con il sacro. È in occasione delle feste che parenti ed amici si ritrovano, individui dello stesso sotto-clan si radunano. A volte le feste riguardano soltanto gli abitanti di un villaggio, altre volte coinvolgono quelli di più villaggi, come avviene generalmente in occasione di matrimoni. Comunque la partecipazione a quasi tutte le feste è unanime. Danza e canto fanno parte essenziale delle feste più importanti, sempre accompagnate da lauti pasti e cospicue bevute. Sacrifici pubblici e privati, a volte accompagnati da semplici offerte, stanno al centro di ogni festa. Le abluzioni e unzioni d'olio, l'uso del vermiglione con cui vengono segnate le vittime, gli uomini e anche le bestie partecipanti alla festa, e del turmerico (Curcuma longa in polvere, una specie di zafferano) sono altri elementi indispensabili.

3.1 Nascita e cerimonie religiose

I Santal non hanno alcuna credenza particolare connessa al concepimento o alla nascita. Ogni villaggio ha la sua dhai budhi, la levatrice di ruolo, che potremmo chiamare levatrice d'obbligo . Essa infatti non solo interviene alla nascita del bambino, ma deve anche presenziare a tutte le cerimonie socio-religiose che seguono. Il suo ruolo è così importante che, ancor oggi, quando una madre dà alla luce un bambino in ospedale o in dispensario, essa deve essere puntualmente pagata, come se avesse assistito la madre durante il parto. Inoltre deve essere invitata a prendere parte alle cerimonie che si svolgeranno, appena possibile, nel villaggio. Questo fatto rende assai restie le donne santal a partorire con l'assistenza di medici o infermiere, dovendo poi corrispondere un doppio onorario.

a) Janam chatiar.

È così chiamata la cerimonia di purificazione rituale che segue la nascita di un bambino. Letteralmente significa « purificazione della nascita ». Quando un bambino nasce, non soltanto la madre, ma la casa ove nasce e il villaggio intero vengono considerati impuri. Di conseguenza a nessuno, all'infuori dei familiari, è per­messo prendere cibo in quella famiglia; e nel villaggio non è permesso offrire sacrifici ai bonga.

La cerimonia del Janam chatiar si compie nel quinto gior­no dalla nascita se il neonato è un maschio; nel terzo giorno se il neonato è una femmina.

A dare l'avvio alla cerimonia è un barbiere, che viene inviato per l'occasione dal padre del neonato. Egli rade per primo i capelli al naeke, poi al kudam naeke, e successivamente ai cinque capi del villaggio; infine a tutti gli uomini presenti e, per ultimo, al padre del bambino.

Terminato il suo lavoro, il barbiere, dalla veranda ove si trova, chiede alla levatrice di portargli il neonato. Ella si presenta sulla soglia della capanna con il bambino in braccio e due piatti, uno per mettervi dell'acqua e l'altro per i capelli del neonato.

A questo punto della cerimonia, stando a quanto scrive l'Obert, dovrebbe avere luogo il taglio dell'ombelico, con la punta di una freccia. Si legge infatti: « Tagliati i capelli e messi sul piatto, subentra un'altra cerimonia, quella del taglio dell'ombelico ... Avvenuto il taglio, la levatrice attacca due fili alla freccia» afferma l'Obert. L'Autore è evidentemente incorso in un errore di tempo: il taglio dell'ombelico, che nel caso nostro avviene con la punta di una freccia, si compie subito dopo la nascita, evidentemente. Ma non bisogna neppure pensare ad una ulteriore recisione della breve appendice che ne resta, dal momento che questa, disseccandosi, cade spontaneamente.

Nel libro sulle tradizioni e istituzioni santal: viene riportato « Dopo di che, alla freccia, con la quale lei al bambino appena nato tagliò l'ombelico, due fili legherà ». Mentre la levatrice si accinge a legare i fili alla freccia, il padre del neonato riempie d'olio una coppa di foglie, poi viene condotto dagli uomini, in gruppo compatto, al luogo bagno. Ritornati gli uomini a casa, la levatrice prende dell'olio, un po' di minio e la freccia, a cui ha legato i due fili, e guida le donne al bagno. Giunte a destinazione, la levatrice getta sull'onda i capelli del neonato con uno dei fili che aveva legato alla freccia. Questa cerimonia dei capelli e del filo, gettati sull'onda « che scorre » (tale è il senso del verbo atu gidi), è come l'augurio di un felice matrimonio: si crede infatti che, se i capelli del bambino o della bambina, giunti in mare con l'acqua del fiume, si incontreranno con i capelli di una bam­bina o di un bambino, da grandi, i due si sposeranno.

Prima di fare il bagno, nel posto esatto dove le donne scenderanno a lavarsi, la levatrice cosparge l'acqua con polvere di minio per ben cinque volte. Tale cerimonia è detta ghat kirin', che vuol dire « compera del ghat », cioè del luogo ove scende a fare il bagno. In realtà si tratta di una purificazione rituale dell'acqua.

Al loro ritorno alla casa della puerpera, la levatrice prende il filo rimasto attaccato alla freccia, lo immerge in una soluzione di acqua e curcuma (la Curcuma longa è lo zafferano indiano) e ne recinge i fianchi del neonato. Allora la madre esce dalla capanna e prende in braccio il

bambino. Sedutasi all'ombra della veranda, lo allatta, tenendo in mano una foglia di atnak, la Terminalia tormentosa, come augurio che il neonato cresca robusto al pari dei bachi da seta (Antherae mylitta) che prosperano sulle foglie di quella pianta.

Mentre la donna allatta il piccolo, la levatrice prepara una mistura di acqua e sterco di vacca e scioglie un po' di farina nell'acqua di un altro vaso; precisamente sono tre coni di farina che scioglie nell'acqua. La mistura, molto diluita, di sterco di vacca è per purificare, mentre la mistura d'acqua e farina è per ottenere prosperità. Il Monfrini dice che è per tenere lontani gli spiriti cattivi, ma non ho trovato nessuna conferma al riguardo.

Dopo che le misture sono state preparate, la puerpera purifica se stessa, intingendo la sinistra nella mistura di sterco bovino, portandola poi alla fronte e alle labbra. Rientra quindi in casa per deporre sul parkom (letto di corde e bambù) il neonato. Allora la levatrice entra a sua volta in casa, e asperge con la mistura di farina i quattro angoli del letto, poi asperge sul petto tutti gli uomini presenti alla cerimonia, cominciando dal sacerdote principale, e infine tutte le donne cominciando dalla moglie del sacerdote principale.

È questo il momento in cui i presenti domandano se il neonato è un bambino o una bambina, usando una formula tutta particolare: « E uno che porta sulla testa o uno che porta sulle spalle? », cioè « è una bambina (che porta sulla testa) o un bambino (che porta sulle spalle)? ».

b) Imposizione del nome

Contrariamente a quanto afferma l'Obert, la cerimonia dell'imposizione del nome non avviene « una settimana dopo la nascita » , ma abitualmente dopo il Janam chatiar. Quando i vecchi della famiglia sono ancora vivi, sono loro che si domandano vicendevolmente: « Come lo chiameremo? ». E scelgono, seduta stante, il nome con cui il neonato sarà chiamato. Se è il primogenito, prende il nome del nonno paterno; trattandosi di una bambina, prende il nome della nonna paterna. Il secondo nato, se è maschio, prende il nome del nonno materno, se è una femmina, quello della nonna materna. Il terzogenito, a seconda del sesso, il nome del fratello minore del padre, o della moglie del fratello minore del padre. Nel caso che nasca un quarto figlio, allora se è un maschio prende il nome del fratello della madre, se è una femmina, della sorella del padre. E così via per gli altri che verranno, sempre seguendo un rigido schema.

Quando la levatrice, uscita sulla veranda, comunicherà il nome ai presenti, lo farà in modo tutto particolare: dopo avere salutato i presenti con l'inchino dovuto ai singoli, trattandosi di un maschio dirà: « Da oggi, quando andrete in­sieme a caccia, lo chiamerete con il nome di... ». Se si tratta di una bambina, dirà: « Da oggi, quando la inviterete ad andare con voi ad attingere acqua, la chiamerete con il nome di...».

Le cerimonia si chiude con l'offerta del nim dak' mandi, acqua di riso con foglie di nim (Melia azadirachta), che sono assai amate, ma hanno anche numerose proprietà medi­cinali. Tutti gli uomini, cominciando dal naeke, ne mangiano un pò, e così le donne, cominciando dalla moglie del naeke. Nel caso che non fosse presente il sacerdote, il primo a ricevere l'offerta del nim dak' mandi è il capo del villaggio, cioè il manjhi.

Per quanto riguarda il nome, si deve notare che ogni Santal possiede due nomi: il cetan nutum o nome esterno, cioè il nome che è conosciuto da tutti e viene usato per chiamare una persona; e il bhitri nutum, cioè il nome nascosto, quello che è conosciuto solo dai parenti stretti, e che verrà rivelato all'interessato più tardi.

Ebbi occasione di interrogare personalmente parecchi ragazzi e giovani santal sul perché di tale nome nascosto, e tutti mi hanno dato la stessa risposta: « I bonga non devono conoscere il mio vero nome, perché così non possono nuocermi ».

Cinque giorni dopo l'imposizione del nome, la levatrice e il barbiere ritornano alla casa del neonato per raderlo una seconda volta; perciò tale cerimonia, che va soggetta a delle varianti, a secondo dei posti, è detta da alcuni hoyoruar, che letteralmente vuole dire «tornare a radere ». E la gente del villaggio, con a capo il manjhi, viene invitata a bere «la birra del nuovo taglio dei capelli ». Si tratta della comune birra di riso che le donne preparano per l'occasione. Barbiere e levatrice ricevono per primi due tazze di birra che bevono allegramente, poi distribuiscono la bevanda a tutti i presenti, attingendo alla giara con coppe di foglie.

A proposito di questa bevuta di birra, nulla si dice nel­'Horkoren mare Hapramko reak' Katha ; ho attinto la notizia dal manoscritto del Pitor Mardi. Che questa bevuta avvenga tra i Santal del Bengala, e che abbia importanza comunitaria, come ogni altra bevuta connessa a

particolari cerimonie socio-religiose, è cosa nota a tutti coloro che vivono tra quella popolazione. Ma questo silenzio nel libro dello Skrefsrud fa supporre che non sia d'obbligo come in altre circostanze.

È in questa occasione che la levatrice riceve l'onorario sancito dalla consuetudine, che permane ovunque, sebbene in questi ultimi anni, per mutamento di situazioni, sia andata variando sensibilmente. La regola stabilita è la seguente: trattandosi di un bambino, la levatrice ha diritto a ricevere tre cubiti di stoffa, un muri (all'incirca 30 chilogrammi) di risone e un braccialetto, che le è dovuto per il taglio dell'ombelico. Trattandosi di una bambina, riceve tre cubiti di stoffa, all'incirca 20 chilogrammi di risone e un braccialetto.

Mentre mi trovavo nel villaggio di Dhanjuri del distretto di Dinajpur in Bengala, seppi che la levatrice si accontentava della stoffa, di due rupie, più il braccialetto. Esigeva almeno le due rupie se non assisteva al parto.

Per il barbiere non sembra ci sia una paga fissa stabilita dalla consuetudine. Riceve tuttavia sufficiente vitto, in compenso del suo lavoro, che consuma sul posto; inoltre un quantitativo non stabilito di riso, lenticchie e olio. Ma gli resterà da compiere un ultimo servizio ai presenti, prima di andarsene con il compenso: versare acqua sulle loro mani e sui loro piedi e ungerli d'olio.

c) Caco chatiar.

L'Obert esclude l'idea di purificazione dalla cerimonia del caco chatiar. Dopo avere spiegato che caco vuol dire «fare i primi passi », aggiunge: « Se la parola chatiar significa purificazione nella parola janam chatiar, unita a caco essa significa solo che il bambino passa dall'incoscienza dell'in­fanzia al primo uso della ragione »

A parte il fatto che l'Autore è in contraddizione con quanto afferma poco dopo: « La purificazione della cremazione....... non è applicata a chi aspetta ancora la purificazione del caco chatiar », non è difficile dimostrare che anche questa cerimonia porta con sé l'idea di purificazione. La parola chatiar in lingua santal non ha alcun altro significato ol­tre quello di « purificazione cerimoniale ». Del resto, parlano chiaramente di purificazione, da tutto il contesto, le parole finali della lunga « preghiera » conclusiva della cerimonia. Sono parole che l'incaricato rivolge alle autorità del villaggio a nome di colui o di coloro che, mediante il caco chatiar, entrano a fare parte della famiglia santal: « Vi preghiamo, pacjon (i maggiorenti del villaggio), noi eravamo neri come corvi, ora siamo diventati bianchi come l'airone, siatene te­stimoni ».

Non si capisce come l'Obert abbia potuto mettere queste parole in relazione all'augurio che il bambino, diventato grande, porti un contributo di progresso alla comunità santal.

Né l'Obert, né il Monfrini e neppure il Campbell sembrano avere colto il senso profondo di questa cerimonia o, per lo meno, non completamente. Tutti sono d'accordo nell'ammettere che il caco chatiar introduce il bambino o l'adolescente di ambo i sessi a fare effettivamente parte della comunità santal, e gli dà il diritto a tutti i privilegi dovuti allo stato di membro della comunità. Sono anche concordi nell'ammettere che senza il caco chatiar non è possibile il matrimonio e chi muore prima di passare attraverso questa cerimonia non potrà essere cremato, né le sue ceneri essere buttate nel Damuda o altro corso d'acqua sostitutivo. Ma tutti sembrano ignorare che lo scopo finale, ben più importante, del caco chatiar è un altro. Il Pitor Mardi, nel suo manoscritto, là dove tratta del caco chatiar, inizia l'argomento con queste precise parole: « Motlop -jemon ana purire enga apa taluc'ko napam ». Questa frase tradotta letteralmente vuol dire: « Fine (del caco chatiar): affinché nell'Aldilà s'incontrino con i propri genitori ». Da queste parole appare chiaro che tale cerimonia non solo è indispensabile agli effetti civili e religiosi della comunità, ma principalmente per potere, dopo morte, entrare a fare parte della comunità degli Antenati. Soltanto così si spiega la grandissima importanza che i Santal annettono a questa cerimonia, anche se all'occhio di un inesperto essa non presenta nulla di rilevante.

Il caco chatiar, come indica la parola, dovrebbe essere compiuto quando il bambino incomincia a camminare; di fatto non c'è tempo fisso per tale cerimonia, ma deve farsi prima del matrimonio. Quando un padre ha molti figli successivamente attende per alcuni anni prima di compiere la cerimonia, per purificare più figli insieme e ridurre così le spese della festa ad essa connesse.

Ogni padre di famiglia, quando intende compiere la cerimonia, prepara birra di riso, curcuma e olio per ungere la gente del villaggio. Spetterà alle ragazze del villaggio ungere uomini e

donne, dando loro il benvenuto, quando si presenteranno alla casa dove si compie il caco chatiar.

La mattina del giorno stabilito per la cerimonia, il manjhi e il paranik si presentano alla casa del purificando (o dei purificandi), ove viene loro offerta della birra. Ricevutala, domandano al capo famiglia: « Che birra è quella che ci dai da bere? ». L'interpellato risponde: « È la birra d'invito a presiedere alla cerimonia del caco chatiar che desidero compiere »

Bevuta la birra, mandano il godet a chiamare tutti quelli del villaggio, i quali si affrettano ad accorrere alla casa della cerimonia. È a questo punto che le ragazze, seguendo un rigido ordine di precedenza, cominciano ad ungere con olio e curcuma il primo sacerdote, sua moglie e poi tutti gli altri in ordine di autorità e censo. Segue l'offerta della birra, ma in questo caso hanno la precedenza il manjhi e il paranik. Dopo che tutti ne hanno bevuto una coppa, viene domandato al padre quanti sono i figli per cui compie il caco chatiar; e vengono date ad ognuno dei presenti quattro coppe di birra tante volte quanti sono i bambini o i ragazzi per cui si compie la cerimonia. Mentre si svolge la distribuzione, viene domandato al padre, metaforicamente, quante e quali spighe di miglio gli sono maturate nel campo, per indicare quanti maschi e quante femmine sono venute ad allietare la famiglia. Avutane risposta, tutti si congratulano con il fortunato padre.

Si arriva così all'ultima domanda di rito: « Qual è il loro luogo di origine? ». Tale domanda appare più che altro un pretesto per bersi ancora una coppa di birra. Infatti, dopo che il padre ha fatto il nome del villaggio dei nonni (naturalmente può essere lo stesso in cui avviene la cerimonia), i presenti richiedono loro della birra. Essi allora portano fuori della capanna una giara della bevanda richiesta, che si chiama punto « birra dei nonni », e ne distribuiscono prima alle cinque autorità del villaggio. Costoro, dopo avere bevuto, intonano un canto, durante il quale il resto della birra viene distribuita a tutti i presenti.

Scelta infine una persona adatta allo scopo, la si invita a dare l'avvio alla lunga preghiera che conclude la cerimonia. La preghiera di conclusione è più che altro un « memoriale », durante il quale si richiama il fatto della creazione e di tutte le peregrinazioni volontarie e forzate del popolo santal dai tempi delle origini fino al tempo storicamente verificabile; del loro stabilirsi e crescere in determinati luoghi e tempi. È nello stesso tempo un memoriale dei benefici ricevuti dall'Essere Supremo, Thakur. Ed è infine un riassunto delle norme da seguirsi nelle varie circostanze della vita, tramandate dagli Antenati. Motivo, esplicitamente affermato della recita di tale memoriale, è perché i giovani non dimentichino tutte queste cose.

Ad un certo punto, non sempre fisso, della recita di questa preghiera-memoriale, appare evidente un altro scopo assai importante: portare gli iniziandi, attraverso il richiamo dei fatti e delle norme, alla purificazione, a cui arrivarono gli Antenati, peregrinando sulla terra.

d) Sikha

Letteralmente la parola sikha vuol dire moneta, e di moneta ha la forma la cicatrice o le cicatrici che si trovano sull'avambraccio sinistro di ogni giovane santal. La sikha è il risultato di una scottatura prodotta con uno straccio acceso, arrotolato a mo di sigaro, che viene applicato sul braccio del giovane. Il numero delle cicatrici varia da uno a sette, ma sono sempre di numero dispari. Ciò è dovuto al fatto che, al momento di ogni applicazione dello straccio infuocato, si pronunciano le parole jion (vita) e moron (morte) e quindi avere un numero pari di cicatrice vorrebbe dire avere l'ultima infaustamente collegata alla morte.

Si discute circa il valore della sikha. L'Obert definisce la cerimonia, durante la quale si applicano le scottature, un atto di coraggio in cui il fanciullo santal si affaccia alle soglie dell'adolescenza, dimostrando a se stesso e agli altri che è un hor, vale a dire « un vero uomo », di fatto e non solo di diritto, quale era stato dichiarato con il caco chatiar. Il Campbell, invece, dice che si tratta di un semplice costume senza alcun significato religioso o tribale. Il Monfrini connette tale uso alla credenza secondo la quale se un Santal morisse senza il segno della sikha, nell'Aldilà verrebbe roso da vermi grossi come pali. Ed è per tale motivo che, secondo lo Skrefsrud, i ragazzi santal sopportano con stoica fortezza il dolore delle scottature.

Da quanto detto non si può negare che in questo uso ci sia un certo significato religioso, anche perché è legato ad una credenza che si connette con la tradizione degli Antenati. E pure vero che il sottostare a tale tortura, può alle volte essere una manifestazione di coraggio, come dice l'Obert; ma il più delle volte i ragazzi vengono sottoposti con la forza a tale cerimonia da parte di ragazzi più grandi di loro. Noto infine che, sebbene si possa parlare di cerimonia, in quanto è accompagnata da norme particolari, non ha mai il carattere dell'ufficialità. Viene solitamente compiuta in aperta campagna, durante il pascolo, da un gruppo ristretto di ragazzi o di giovani. Non tiene conto del caco chatiar, in quanto, in alcuni casi, lo può precedere.

Ho conosciuto dei ragazzi che si sono sottratti a tale tortura, scappando ogni qualvolta qualcuno tentava di sottoporveli; altre volte difendendosi con i piedi, le mani e i denti. Fattisi poi cristiani, sono stati lasciati in pace. Si dà però anche il caso che ragazzi cristiani vi vengano sottoposti con la forza. Avendo domandato a coloro che si erano sottratti alla cerimonia se non avessero paura di essere divorati dai vermi nell'altra vita, mi risposero di non credere a quelle cose.

L'uso non ha certo un significato strettamente tribale, in quanto è praticato anche dai Mahali, Munda, Craon Kole, Gunju ed altri ancora. Domandai un giorno ad un Oraon perché portasse sull'avambraccio sinistro i sette segni della « sikha » . Mi rispose che «i più grandi » l'avevano preso a forza e gli avevano praticato le scottature.

Un altro Oraon presente, che portava sul braccio tre vistose cicatrici, commentò il fatto con parole quasi identiche a quelle che avevo udito pronunciare da un alpino circa gli scherzi di caserma: « Che ti dirò, padre! La vita è come una ruota: oggi io sono sotto, domani sarò sopra ... quello che oggi gli altri fanno a me, domani io lo farò agli altri ». Confesso che restai male a tale affermazione, avendo sempre odiato la ruota come simbolo della vita, ma in quell'istante ebbi la netta impressione che quell'Oraon equiparasse ad uno scherzo di cattivo gusto il fatto di portare sul braccio tre grosse cicatrici. Noto che i due Oraon non erano né cristiani né indù, tuttavia forse avevano cercato di eludere la mia domanda, parlandomi di causa invece che di motivo: la domanda da me posta in bengalese poteva prestarsi al gioco. Ma, quello che portava le tre cicatrici ad un tratto mi disse: « I Santal dicono che nell'Aldilà vengono mangiati dai vermi se non hanno le sika " sul braccio ». Ne approfittai per domandargli che cosa pensassero lui e il suo compagno e gli altro Oraon in genere. Questa volta non poteva sfuggire alla mia precisa domanda. Mi rispose: « Kicchui nai », cioè « niente del tutto ». Mi sembrò sincero, e forse lo era; ma allora io ignoravo ancora ciò che i vecchi Oraon realmente pensavano della « sikha ». Era credenza comune, anche se forse attualmente va scomparendo specialmente tra gli emigrati, che la « sikha » fosse indispensabile per assicurarsi suc­cesso nella vita e l'entrata nel regno degli Antenati.

e) Khoda.

Le donne santal non praticano la sikha, ma per sfuggire al pericolo di essere divorate dai vermi giungendo nell'Aldilà, si fanno tatuare il petto. Ma in questo caso, più che il timore di essere divorate dai vermi, ha buon gioco la vanità della donna, come assicura lo stesso Kolean. Egli infatti dice che il khoda non è paragonabile alla sikha, perché le donne lo praticano, per lo più, soltanto per fare bella figura. È certo tuttavia che il tatuaggio è causa di dolori assai acuti, e tale operazione è seguita a volte da febbre altissima. Ho visto donne santal non solo tatuate sul torace ma anche sulla schiena, sul volto, sulle braccia e sulle gambe; i tatuaggi erano assai complicati, ma puramente or­namentali. C'è anche tra i Santal chi afferma che il tatuaggio servirà alle donne per essere riconosciute dai rispettivi mariti nel mondo di là.

Nascita di un bambino fuori del matrimonio.

Quando una ragazza non sposata si trova incinta, il padre e il fratello maggiore (Il fratello maggiore o dada è il primo maschio della famiglia) Anche se è di parecchi anni minore della sorella sarà sempre il dada che deve essere rispettato e ubbidito) hanno l'obbligo di avvisare il manjhi e il paranik, i quali fanno radunare gli uomini del villaggio. Alla presenza di tutti la ragazza deve dire chi è il padre del bambino che porta in seno. Fatto il nome, l'indiziato viene afferrato da cinque uomini, perché non abbia possibilità di svignarsela. Non è sufficiente che neghi il fatto per salvarsi dall'accusa. D'altra parte gli sarà praticamente impossibile portare prove circa l'accaduto, che lo scagionino, senza possi­bilità di dubbio.

L'unica possibilità di scampo sarà di affermare categoricamente che altri uomini sono stati con la ragazza, nel qual caso resterà il dubbio circa la paternità del nascituro, che verrà ritenuto bastardo.

Nel caso che la ragazza possa provare con certezza chi è il padre, questi deve prendersela in moglie (Posto che non ci siano impedimenti di parentela o, peggio, di tribù o casta). Quando si riu­scisse a provare che due o più uomini sono stati con lei, essi sono obbligati a pagare una multa, e la responsabilità di allevare il nascituro verrà lasciata al jog manjhi, del cui clan il piccolo farà parte, liberandosi così dalla taccia di bastardo. Nel caso che il jog manjhi sia parente della ragazza, la responsabilità della cura del bambino verrà lasciata al jog paranik o a uno qualunque del villaggio. I soldi della multa pagata dai dichiarati colpevoli verranno dati parte alla ragazza madre, parte a chi prende la responsabilità del bambino, parte verranno devoluti al mantenimento del bambino, che da piccolo può essere affidato alle cure materne. I soldi che restano saranno distribuiti fra i cinque responsabili del villaggio.

Quando invece la ragazza non riesce a provare chi è il padre del bambino, e a nessuno viene rivolta la precisa accusa di avere frequentato la ragazza, il padre e il fratello di lei devono « comperarle il marito », altrimenti il bambino è destinato ad essere per sempre un bastardo. Nel caso che qualcuno accetti di « essere comperato », deve prendersi la responsabilità del bambino e dargli il nome del proprio clan. In compenso riceve 20 rupie. Tale prezzo è stato mante­nuto fino ad oggi nonostante la svalutazione molto forte della rupia.

In teoria si danno casi in cui un bambino nasce bastardo e resta tale; in pratica ciò non succede quasi mai, a meno che il padre appartenga ad un altro gruppo etnico. Infatti si troverà sempre un manjhi, un jog manjhi o un jog paranik, o magari qualcuno del villaggio che, per buon cuore o per l'onore del villaggio stesso, si assuma la responsabilità di allevare il bambino e di dargli il suo nome. In tale caso, il padre e il fratello maggiore della ragazza dovranno corrispondere una somma da pattuirsi a chi dà il nome al bambino. Posso, a questo proposito, portare un caso addirittura sconcertante, se si tiene conto della estrema rigidezza santal per tutto quanto riguarda la purezza della razza. Il manjhi del villaggio ove io abitavo, non avendo figli propri, si prese in casa successivamente due piccoli bastardi: una femmina e un maschio. Era certo che i rispettivi padri, dei quali ignorava i nomi, non erano santal. Il manjhi sapeva che così facendo, sfidava la suscettibilità della comunità santal e la responsabi­lità che si assumeva era assai grave. Finché gli abitanti del villaggio restarono all'oscuro della realtà, tutto andò liscio. Niente di male se il loro capo, non avendo figli, provvedeva alla successione, prendendoli dove erano. Ma, quando vennero a sapere che i due adottati non erano di puro sangue santal, il guai incominciarono per il manjhi. Nacque dapprima un'opposizione sorda, poi sempre più aperta fino a chiedere che si dimettesse dal suo ufficio. Divenne così esacerbato che un giorno si decise a dare pubblicamente le dimissioni. Ma successe un fatto imprevedibile: nessuno si sentiva di succedergli nel comando. Fu pregato di restare nel suo ufficio finché non si trovasse chi lo potesse sostituire. Le acque da molto tempo si sono calmate: due anni fa la figlia adottiva si è sposata con un giovane santal. E probabile che anche il figlio farà lo stesso; meno probabile che riesca a prendere il posto del padre, ma intanto sarà da tutti considerato un santal, un «uomo vero ».

Infanticidio e aborto volontario.

In nessuno dei testi citati nella bibliografia, e neppure in diversi altri da me consultati, si parla di infanticidio tra i Santal. Eppure l'infanticidio è praticato regolarmente, se non intervengono impedimenti d'ordine esterno al gruppo, almeno in una circostanza e con il tacito consenso di tutti. Esiste tra i Santal una legge non scritta, e neppure tramandata apertamente, ma che tutti conoscono, secondo la quale, se un bambino nasce segnato dal dubbio, deve morire. Questo avveniva e avviene regolarmente quando chi, a rigor di termini, dovrebbe essere il padre del bambino, fa circolare la voce che non è suo.

Più d'una volta domandai a chi faceva previsioni sulla morte, apparentemente normale, di un neonato: « Che cosa te lo fa pensare? », e ricevetti la solita laconica risposta: « Digdha menak'a », cioè « si dubita ». Questa risposta suonava condanna, e poche furono le volte che il condannato al dubbio sopravvisse; praticamente questo si verificò solo quando la pressione morale di qualche persona esterna al gruppo santal intervenne sulla decisa volontà dell'uomo che si sentiva tradito, o, meglio ancora, intervenne a frenare la smania che le vecchie della famiglia avevano di fare sparire la povera creatura.

A volte il dubbio circa la legittimità del bambino può essere fondata, perché ci sono prove dell'infedeltà della moglie; ma molte volte il dubbio nasce dalla cieca fiducia che il marito ha nella sua capacità di controllo anticoncettivo, per cui non ammette di potere fare errori nelle sue relazioni con la moglie. Naturalmente, se la moglie concepisce un figlio in quel periodo, il marito non vorrà riconoscerlo come suo. E, nel caso venga alla luce, quasi certamente non sopravviverà fino al janam chatiar. Tale uso resta radicato anche tra i convertiti al cristianesimo; trattandosi di cattolici, procurano di fare battezzare il « condannato a morte ».

J. H. Hutton riporta un caso di infanticidio avvenuto nel 1931, ma per motivi del tutto differenti. Parla del caso di un Santal che uccise il proprio figlio allo scopo di curare una malattia che lo aveva colpito. Si tratta certamente di un caso isolato o, al più, di casi isolati, in cui interviene l'idea di sacrificio come mezzo di salute e prosperità in connessione con la magia.

Sebbene molti missionari non lo vogliano ammettere, l'aborto volontario è cosa abbastanza comune tra i Santal; essi hanno a disposizione erbe e medicine con cui procurare un aborto nei primi mesi dopo il concepimento, senza troppi inconvenienti. Se il feto è già in stato avanzato, la cosa diventa più difficile, ma si troverà sempre una vecchia compiacente che si presta all'opera, anche se troppo sovente la donna morirà per dissanguamento o per setticemia.

Le cause dell'aborto volontario possono essere varie. Interviene a volte la malizia della ragazza « farfalla » o la leggerezza della donna, con la scusa che non voleva il bambino. Ma sono casi abbastanza rari, e del resto comuni in tutto il mondo. Il più delle volte, la donna, sovraccarica di lavoro, butta via « la cosa » che le è di impedimento a lavorare assiduamente. A volte, la donna, piuttosto che vedersi uccidere il bambino dopo la nascita, per i motivi sopra esposti, preferisce liberarsene prima. Altre volte, sia trattandosi di donne sposate che nubili, può intervenire il motivo dell'onore: se c'è di mezzo la fama di un capo o di una persona in vista, allora la ragazza o la donna sono obbligate ad abortire. Rari sono i casi, in tali circostanze, che il bambino venga alla luce e poi sia soppresso. Se c'è di mezzo un consanguineo o una persona affine, l'unica via seguita è quella dell'aborto, perché in tal caso né il matrimonio può avvenire, ne c'è possibilità di riparazione. I due verrebbero dichiarati bitia ha, cioè scomunicati, e automaticamente messi fuori casta, e sarebbero costretti a vivere ai margini della società, cosa insopportabile per la maggioranza dei Santal.

3.2 Il matrimonio Santal

Bapla: è il matrimonio. Quello comune, kirin bahu bapla, preceduto dalle visite che i parenti dello sposo e della sposa promessa si scambiano, durante le quali la birra scorre abbondantemente, culmina con l'atto del sindradan, la cerimonia in cui lo sposo per cinque volte segna con il vermiglione la fronte della sposa, cospargendone poi tutto il capo. Ma ancora prima e dopo è tutto un susseguirsi di cerimonie simboliche e religiose, bevute e mangiate di vari gruppi separatamente oltre al lauto banchetto finale. Musica, canto e danza accompagnano lo svolgimento della festa.

Accenno solo brevemente agli altri tipi di matrimonio:

1) tunki dipil bapla: è il matrimonio dei poveri, e prende il nome dal cesto di bambù che la sposa porta sulla testa;

2) randi bapla: il matrimonio di un vedovo o di una vedova;

3) chadwi (chandwa) bapla: matrimonio di persone sepa­rate;

4) jawae kirin' bapla: matrimonio di una ragazza madre che compera lo sposo tramite il padre o il fratello maggiore. Obert lo chiama cupi bapla;

5) n'ir bolok' bapla: quando una ragazza entra in casa del ragazzo per vivere come marito e moglie. Generalmente segue un matrimonio regolare, ma senza le cerimonie precedenti;

6) itut' bapla: è l'applicazione irregolare del vermiglione sulla fronte della ragazza. Molte volte avviene contro la volontà dell'interessata, che tuttavia diventa moglie dell'uomo che l'ha segnata;

7) angir bapla: matrimonio con una donna rubata al primo marito;

8) hirom cetan bapla: matrimonio con una seconda don­na vivente la prima moglie. Ohert lo chiama chukti bapla;

9) golaeti bapla: potremmo chiamarlo intermatrimonio, quando, per un parto antecedente, un giovane della famiglia A sposa una ragazza della famiglia B, e un giovane della famiglia B sposa una ragazza della famiglia A.

Il divorzio è ammesso tra i Santal per un duplice motivo: adulterio e stregoneria, a cui attualmente se ne aggiunge un terzo, cioè incompatibilità di carattere.

3.3 Morte e riti funebri

Si direbbe che il Santal non ha paura della morte. Tuttavia, c'è una specie di morte particolare che egli teme: quella che si aspetta per una maledizione. Ma in tal caso, a rendere triste e preoccupato un Santal è la snervante attesa della morte più che la morte stessa.

Qui entra in gioco il fattore psicologico: tutto l'essere si ribella all'ingiustizia di quella morte, a cui, tuttavia, è convinto di non potersi sottrarre. Difficilmente un Santal ha la forza di reagire al sentimento che l'invade: un insieme di angoscia, di rabbia e di scoramento, e finisce di morire davvero.

Un giorno si presentò a me un giovane santal sposato, con un bambino. Era stravolto. Sapevo che era minato dalla tisi e pensai che il male stesse per finirlo. Quando gli chiesi se volesse medicine, mi rispose di no: era venuto a dirmi che sua madre l'aveva maledetto « per la morte », insieme a suo fratello maggiore. La donna li odiava entrambi, perché, avendo abbandonato il tetto familiare per unirsi ad un altro uomo dopo la morte del marito, non riusciva a sottrarre ai figli il loro patrimonio, come era suo ardente desiderio. Non so se quella donna fosse più pazza che malvagia. Il fatto è che un pomeriggio fece ritorno a casa, e alla presenza di tutti i familiari maledisse i figli. Quando quel poveretto venne da me, tentai invano di consolarlo e di rassicurarlo. Lo esortai a confidare nell'aiuto dell'Altissimo, di suo padre che dall'Aldilà vegliava su di lui e sul fratello, ma egli scuoteva la testa singhiozzando e mi diceva: « Non c'è nulla da fare, devo morire e sono giovane ancora. Ma perché, perché mia madre mi ha maledetto? ». Gli domandai come facesse a credere in simili cose, ed egli mi rispose che non c'era bisogno di credere: era così!

Passarono alcuni giorni e seppi che era fuggito dal villaggio insieme al fratello, lasciando mogli e figli. Se ne erano andati entrambi lontano centinaia di chilometri, per curarsi, dicevano, dalla loro malattia. In realtà era un tentativo di sfuggire alla maledizione della madre. Il più giovane morì dopo quindici giorni. L'altro lo fece seppellire, poi fece ritorno al villaggio della moglie. L'ultima volta che lo vidi era ridotto agli estremi; di vivo aveva solo gli occhi, duri come una lama d'acciaio. Con me fu garbato, ma freddo. « Ha tanto odio in cuore », mi dissero. Morì poco dopo.

Il Santal, se in genere non teme la morte, ha però una terribile paura dei morti. Considera segno di malaugurio incontrare sulla sua strada un funerale, mentre va al lavoro o sta viaggiando. Tutti i Santal hanno paura dei morti deceduti in situazioni anomale, come, ad esempio, delle donne morte con il bambino in seno. Ho conosciuto dei giovani santal aitanti i quali rabbrividivano al solo pensiero che di notte qualche morto venisse a solleticarli sotto la pianta dei piedi o a tirare loro i lobi delle orecchie.


a) Annuncio della malattia grave

Quando qualcuno del villaggio è gravemente ammalato, il capofamiglia, o chi ne fa le veci, si reca dal capo del villaggio e gli manifesta le sue apprensioni per l'aggravarsi della malattia, nonostante tutti i tentativi di cura.

Il manjhi, mediante il godet, fa radunare a casa sua tutti gli uomini e li informa che c'è in villaggio un ammalato grave, il quale, nonostante le medicine, continua a peggiorare. Tutti si trovano d'accordo che si debba ricorrere all' ojha o mago-indovino per conoscere la causa della malattia. Il manjhi si fa portare l'olio e le foglie di sal (Shorea robusta) occorrenti, e poi si reca, insieme ai convenuti, dall'ojha per diagnosticare la malattia.

Sebbene la causa del male, che affligge l'infermo, possa essere varia (es.: veleno, uno spirito della casa, qualche altro spirito, una disgrazia fortuita), il più delle volte sarà iden­tificata con una dan o strega. Una volta che l'ojha ha pro­clamato che la causa della malattia è una dan, spetterà al jan guru scoprire chi è veramente la dan, causa della ma­lattia.

Il janguru, il cui compito principale, almeno in teoria, è di scoprire le streghe, non farà mai il nome della persona colpevole della malattia, ma si esprimerà con tali e tanti particolari, per cui sarà impossibile sbagliarsi sull'identità della persona accusata. La dan è sempre una donna, sen­za distinzione d'età. Una volta scoperta, le viene inflitta una multa ed è severamente ammonita perché smetta di « mangiare » l'ammalato. Se dopo la multa e l'ammonizione l'ammalato muore, come sovente succede in casi di malattia grave, l'accusata potrà ritenersi fortunata se sarà soltanto costretta ad abbandonare il villaggio. Il più delle volte viene sottoposta a tali e tante torture fisiche e morali che muore o si suicida. Non è facile capire come i Santal, generalmente miti d'animo, possano diventare così crudeli, anche se si tratta di una familiare.

Sarebbe cosa assai interessante fare uno studio sulla ricer­ca delle streghe da parte del janguru, ma ciò ci porterebbe assai lontano dall'argomento trattato. Noto soltanto che mentre tra molti altri popoli primitivi si va alla caccia delle streghe e degli stregoni a morte avvenuta, tra i Santal, come tra i Munda, si ricercano le streghe durante la malattia. inoltre tra i Santal la dan è la causa prima, immediata ed efficiente della malattia e della conseguente morte di un individuo. Infatti, la dan fa ammalare e poi morire la sua vittima «mangiandola». Non è una semplice causa strumen­tale o secondaria della malattia e della morte; e neppure soltanto la causa prima che si serve di altre cause per di­struggere la sua vittima. Presso altri popoli la strega o lo stregone sono soltanto la causa efficiente della morte di un individuo e, in ultima analisi, a volere la morte sono gli Antenati oppure qualche spirito offeso.

I Santal, dicendo che la strega mangia gli uomini, non intendono parlare in modo figurato, ma in modo reale: essa si servirebbe di un'erba particolare detta katkon carec (Rott­boellia perforata) per asportare il fegato, i polmoni e il cuore della vittima, che fa cuocere e mangia. Ella farebbe ciò non in una sola volta, ma più volte successivamente, in uno spazio di tempo che può variare.

b) Annuncio della morte

Quando la morte sopravviene, le donne danno inizio alle lamentazioni: piangono disperatamente, lanciando alte grida di lamento e battendosi il petto. Arrivano, a volte, a sbattere la testa contro oggetti duri. Interrompono di tanto in tanto i lamenti per esaltare con nenie le virtù dell'estinto, la sua bellezza, la sua giovinezza, le sue doti di lavoratore e di cacciatore.

Colui che funge da capofamiglia ne dà l'avviso al manjhi e al paranik, i quali, a loro volta, mediante il godet, avvisano la gente del villaggio, invitando tutti gli uomini a racco­gliersi davanti alla casa del morto.

Mentre gli uomini attendono in piedi, impugnando la scure che servirà a tagliare la legna della pira, le donne macinano della curcuma e fanno abbrustolire dei semi di cotone e del risone.

Alcuni uomini acchiappano un pollo che servirà per gli esorcismi, accendono una grossa corda di paglia e fanno un fastello d'erba tolta dal tetto della veranda, ponendo il tutto con i semi di cotone e il risone abbrustolito su di un vecchio vaglio. Su di un parkom, diverso da quello sopra il quale è sistemato il cadavere, vengono disposti in bell'ordine tutti gli oggetti che si suppone il defunto voglia portare con se: vestito, soldi anche in spiccioli, l'ascia, che una volta era quella di guerra e ora da lavoro, l'arco, le frecce, il bastone, il flauto e altri suoi strumenti. Ciò fatto, quattro uomini entrano in casa e, afferrato per le quattro gambe il parkom, su cui sta il morto, lo portano fuori e se lo caricano sulle spalle, portandolo fino all'estremità del villaggio, là do­ve la strada si biforca.

Dopo che gli uomini hanno deposto accuratamente il parkom al centro della biforcazione, le donne si accingono ad ungere il cadavere con olio e curcuma, e gli fanno sulla fronte un cerchietto con pasta di minio. Terminata l'operazione, dai quattro angoli del letto spargono tutto attorno i semi di cotone e di risone abbrustolito. È questo un atto di scongiuro per impedire agli spiriti di impossessarsi dell'anima del defunto.

A questo punto l'ojha gira tre volte attorno al cada­vere. Noto per inciso che l'azione compiuta tre o cinque volte, non solo nelle cerimonie funebri, ma in tutte le ceri­monie socio-religiose santal, è un richiamo ai tre spiriti maggiori: Maran buru, Jaer era e Gosae era, ed ai cinque spiriti fratelli, detti Moréko. Ma se, come in questo caso, si domandasse ai Santal qual è il motivo per cui l'ojha gira per tre volte attorno al cadavere, risponderebbero: « Baie badaea », cioè « Non sappiamo ».

Dopo che hanno unto il corpo del defunto e sparso i semi, le donne fanno ritorno al villaggio, mentre gli uomini si avviano al luogo della cremazione.

c) La cremazione

Generalmente i Santal cremano i morti, tuttavia si sa dalla loro stessa Tradizione che nei tempi antichi li seppellivano. L'uso di cremare i morti fu preso dai popoli in mezzo ai quali essi peregrinarono per lunghi anni. I Santal stessi affermano di avere preso l'uso della cremazione dagli Indù. E certo comunque che tale uso risale a tempi assai lontani.

Oggi non mancano Santal, a parte i cristiani, che seppel­liscono i loro morti. Non è tuttavia certo se tali sepolture avvengano in caso di persone decedute di morte normale o di morte cattiva: i grandi non parlano, e i bambini o ragazzi interrogati rispondono: « Che cosa ne sappiamo noi? ». Lo stesso Pitor Mardì, nel suo manoscritto, non fa alcuna distin­zione. Dice semplicemente che il cadavere viene portato al luogo della cremazione o al luogo della sepoltura: « Kobor se rapak' jaegare seterkatekko ...

Se il defunto possedeva del terreno con uno stagno, viene portato colà per la cremazione, altrimenti presso il fiume più vicino. La pira deve essere disposta in direzione nord-sud; e per dare ad essa stabilità, vengono infissi ai quattro angoli altrettanti pali detti « trombe della pira » (torre).

I parenti più stretti, ad uno ad uno, lavano le mani e i piedi del loro estinto, e gli versano in bocca un po’ dell'acqua rimasta. A volte, l'acqua che rimane viene versata dietro la testa del cadavere; altre volte invece la versano su di una rupia di metallo, che avevano tenuto in mano durante la lavanda, a mo' di unzione.

Dopo avere portato il morto per tre o cinque volte attorno alla pira, ve lo dispongono sopra con la testa rivolta al sud. Ora il cadavere viene spogliato di tutto ciò che porta indosso: vestito, collana, anelli, orecchini, la cordicella che ogni Santal porta ai fianchi e qualunque altro ornamento; infine gli si pone sulle membra un ramoscello. Per tenere rigido il cadavere sulla pira, lo assicurano con quattro robusti pali: uno viene posto sul petto, un altro sull'addome, un terzo lungo i fianchi e un quarto lungo le gambe. Questi pali sono detti « pali di copertura » (danapal katko).

Sistemato il cadavere sulla pira, tutti gli uomini del vil­laggio vi si dispongono attorno; ma quelli che hanno le mogli incinte se ne stanno alquanto in disparte. Nessuna spiegazione è data a questo atteggiamento, come non e' data spiegazione al fatto che le donne non prendono parte né alla cremazione, né alla sepoltura. Soltanto negli ultimi anni della mia permanenza a Dhanjuri, un discreto numero di donne incominciava a prendere parte ai funerali cristiani. Uomini e donne interrogate sul fatto, per noi abbastanza strano, si trinceravano dietro la scusa che era uso santal. I primi anni alcune donne assistevano al seppellimento nascoste dietro gli alberi della foresta, in mezzo alla quale c'è il cimitero cristiano.

Le prime due donne che presero parte ai funerali furono la moglie del manjhi e una nubile che viveva in convento con le Suore. Sembrò, dapprima, che il loro esempio non attirasse le altre. E il motivo apparve poi abbastanza chiaro: la prima era sterile e la seconda non si sarebbe mai sposata. Andando con prudenza in fondo alla questione, si venne a sapere che le donne santal si astenevano dall'assistere alla cremazione e al seppellimento per paura che lo spirito del morto potesse nuocere non solo ai bambini già concepiti, ma anche ai concepibili in un prossimo futuro. Ciò può far pensare che gli uomini, i quali hanno in casa una donna incinta, temano che lo spirito del morto possa nuocere, tramite loro, al nascituro, perciò se ne stanno alquanto in disparte. Ma si tratta soltanto di una mia supposizione. Ho saputo in seguito che, se una donna prende parte alla cre­mazione o alla sepoltura, può essere ritenuta la strega che ha causato la morte del defunto.

Quando tutti sono disposti in ordine, l'ojha generalmente, ma qualche volta uno scelto tra i presenti, compie un esorcismo nel seguente modo: tenendo in alto con la mano sinistra il pollo procurato appositamente, gira per tre volte, da destra a sinistra, attorno alla pira, dopo di che infigge il pollo ad uno qualsiasi dei quattro pali che sostengono la pira. Poi, fatto a pezzi il parkom, se ne va. Allora l'erede del defunto, che può essere il figlio maggiore, oppure un fratello o qualche altro parente, si fa avanti con in mano un fuscello di carice (Cyperus tegetum), attorno a cui è avviluppato un filo di stoffa, tolto dall'orlo del vestito del defunto, lo accen­de e lo infila nella bocca del morto, volgendo la faccia dall'altra parte. Tale atto è detto, con parola certamente non di lingua santal, ag mukh.

A questo punto si ha la conferma di quanto i Santal temano i morti. Mentre i parenti prossimi prima, poi tutti gli altri uomini presenti buttano legna sulla pira, rivolgono al morto una breve preghiera con cui lo esortano ad andarsene via « con la velocità del vento ».

Appiccato il fuoco tutt'intorno alla pira, si siedono in gruppetti ad una certa distanza e stanno a guardare in silen­zio finché le fiamme si spengono; poi spruzzano un po' d'ac­qua sui carboni ardenti. L'erede raccoglie i frammenti di ossa rimasti, li lava accuratamente con acqua, e infine vi versa sopra una miscela di latte e curcuma.

Anticamente le ossa e le ceneri venivano portate al fiume Damuda, detto dai Santal Nai. Attualmente, per la distan­za che li separa dal fiume, che rende praticamente impos­sibile il trasporto delle ossa e delle ceneri, il tutto viene buttato in uno stagno o in un fiume qualunque, ad eccezione di tre pezzettini del cranio e delle vertebre del collo. Queste ossa vengono poste in un piccolo recipiente di argilla, chiuso con un coperchio che viene sigillato accuratamente con pasta di curcuma. Al centro del coperchio viene lasciato un piccolo foro, perché il morto possa respirare. Non solo, ma nel foro vengono introdotti degli steli di Rottboellia perforata, in modo che il morto « possa uscire ed entrare comodamente »

Ciò fa pensare che, nonostante la preghiera rivolta al morto di non ritardare ad andarsene, ma di partire veloce come il vento, egli preferisca restare ancora tra i vivi, e a ciò i Santal credono fermamente.

A volte, secondo un uso tutt'ora conservato, le ossa, di cui si è detto sopra, vengono conservate entro una piccola scopa che, avvolta in un pezzo di stoffa nuova, viene appesa al soffitto della capanna, finché l'erede non entra in possesso dei beni del defunto. Vengono poi portati al fiume, come in seguito vedremo.

Raccolte le ossa, viene posto un vaglio al centro del luogo ove è avvenuta la cremazione. Dopo averlo calpestato per bene, i presenti girano attorno all'uomo che porta le ossa del morto, zappettando; l'ultimo a compiere tale azione sminuzza il vaglio con la zappa. Uno dei presenti mescola dello sterco di vacca in un recipiente d'acqua e asperge tutti gli altri, poi tutti insieme spargono sul luogo della cremazione i rimanenti semi di cotone e di risone abbrustoliti, mentre dicono al morto di convincersi ormai che il mondo gli è stato precluso e che lo purificano perché possa andarsene in pace.

Se le ossa sono state poste nel vaso di terra, tre uomini vanno a seppellirle nella jungla ai confini del villaggio. Scava­ta una buca, vi depongono il vaso sopra il quale dispongono una pietra, quando è possibile averla, o qualche altro oggetto piatto, e ricoprono tutto di terra. Terminato il lavoro, vanno tutti insieme a fare il bagno. Di ritorno, si fermano al limitare del villaggio in attesa che uno di loro porti del fuoco, su cui gettano della resina d'incenso, e si purificano, attirando con le mani il fumo al petto. Una volta purificati, se ne tornano ognuno a casa propria. In alcuni casi segue un'ulteriore purificazione individuale sulla soglia della capanna: stando in piedi, l'uomo attende che la donna gli dia dell'acqua e se la spruzza sulla testa prima di entrare in casa.

Lo stesso giorno, tempo permettendo, tutti gli oggetti, che erano stati posti sul parkom per il defunto, vengono venduti, e con il ricavato si compera una capra che verrà mangiata dai cinque capi del villaggio e dagli altri uomini, esclusi quelli della casa del defunto.

Alla sera, gli anziani del villaggio si recano alla casa del defunto per consolare i parenti. Sono parole semplici e, allo stesso tempo sagge, quelle che rivolgono a quei poveri afflitti. Ecco un saggio di quanto viene detto in simile circostanza: « Non continuate ad essere tristi; egli se ne è andato: ora e felice. Anche noi un giorno dovremo andarcene. Ma adesso continuando a piangere, la salute ne risente e il lavoro viene inutilmente rimandato. Ci sono capi da servire, usurai da soddisfare, parenti da aiutare. Voi stessi avete uno stomaco a cui pensare e una vita da sostenere. Per tutto il tempo che vivrete, dovrete pure mangiare e bere, perciò non potete fare a meno di lavorare. Da oggi siate indifferenti come roccia. Continuando a piangere, i trapassati si burlerebbero di lui, picchiandogli sulla testa come ad un giovane bufalo, e gli direbbero: - Suvvia, danza, perché stanno cantando per te! Non spandete i vostri lamenti per ogni dove, altrimenti essi lo affliggeranno assai » .

d) Tel nahan

Così è chiamata la cerimonia che si compie cinque giorni dopo la morte. In quella circostanza le persone del villaggio si radunano nuovamente alla casa del defunto. Gli uomini che non si sono ancora fatti radere si sottopongono al taglio dei capelli, mentre le donne preparano tre schiacciate di riso dette taben. Procuratisi un pezzo di terra saponosa (narka hasa), alcuni pezzi di residui di senape risultanti dalla torchiatura, un po' d'olio, tre fuscelli per pulirsi i denti e alcune foglie, gli uomini si recano insieme al bagno. Le donne se ne vanno per conto loro.

Prima di fare il bagno, ognuno dispone sopra tre foglie un pezzetto di terra saponosa, alcuni residui di senape compressi, un fuscello per la pulizia dei denti; prendendo poi con la mano sinistra la zolletta di terra, ne fanno l'offerta rispet­tivamente al morto, ai progenitori, e al Maran buru, o capo degli spiriti.

Facendo l'offerta al morto pregano: « O tu che sei mor­to, in occasione del tel nahan, noi facciamo il bagno e ci laviamo i capelli; anche tu fa il bagno e lavati i capelli ».

Poi fanno l'offerta ai progenitori dicendo: « O Pilcu haram e Pilcu budhi, ... e prendete anche quel tal morto con voi affettuosamente, guidatelo per mano; non ponetelo sotto la veranda e tanto meno dietro la casa di uno straniero ».

Infine, facendo l'offerta al Maran buru, oltre la solita preghiera, aggiungono la seguente invocazione: «E bada di prenderti cura affettuosa di quel tal morto e di guidarlo per mano accuratamente ».

Dopo il bagno uomini e donne ritornano al villaggio e vanno alle proprie case. La vedova del defunto, prima di andare a casa, si reca al luogo ove è stato seppellito il vaso con le ossa del marito e vi strizza sopra i vestiti impregnati d'acqua.

Terminata la refezione, che ognuno consuma a casa pro­pria, tornano tutti a radunarsi presso la casa del defunto, ove si svolgerà la parte più caratteristica del tel nahan, cioè il rumok'.

Rumok', letteralmente, vuoi dire « essere posseduti da uno spirito ». Nella cerimonia del rumok' avviene una specie di rappresentazione, in cui tre individui si identificano rispettivamente con il morto, con lo spirito Porodhol e con il Maran buru.

Dopo che i tre sono stati invasati dallo spirito, il che appare evidente dallo scuotere ritmico della testa, i presenti domandano: « O spiriti, manifestateci subito chi è colui con il quale vi siete identificati, perché lo possiamo venerare con il dovuto rispetto, quale si deve ad uno spirito ». Allora due dei tre invasati, dopo avere emesso l'esclamazione rituale « sahak », si presentano dicendo rispettivamente: «Io sono Porodhol, io sono Maran buru»

Siccome il terzo tace, uno dei presenti gli spruzza acqua sul volto e lo colpisce leggermente sulle guance e sulla schiena. Soltanto allora egli emette l'esclamazione rituale:« sàhàk' ». E i presenti gli domandano: « Chi sei tu che arrivi adesso? Diccelo in fretta ». Ed egli risponde: « Sono colui che è morto ».

Dopo avere offerto del riso ai tre spiriti, i presenti intrecciano con loro un breve dialogo. Tra l'altro, rivolgendosi al Porodhol e al Maran buru, domandano: « Come mai costui è morto? Per un po' di tempo furono fatti dei sacrifici per la sua malattia ». Senza attendere risposta si rivolgono all'interessato e gli domandano: «Dicci tu, o spirito, tu che sei morto, come mai te ne sei andato? ». Il morto può dare risposte differenti, a seconda dei casi. Può dire semplicemente: « Mi sono esaurito da solo ». Oppure: « Non c'era posto per me nell'occhio di una certa persona, perciò me ne sono andato ». E questa un'evidente accusa contro una strega, e le sue parole vogliono significare: « Sono morto per l'invidia di una strega ».

A questo punto viene fatta un'offerta di acqua e di birra al morto e agli altri due spiriti, seguita da un breve discorso. Qualcuno si rivolge ai due primi spiriti dicendo: « Noi porteremo costui al fiume, perché in nessun posto lungo il sentiero della foresta insorga e si sviluppi in noi il mal di pancia o il mal di testa ». Risponde il morto stesso dicendo: « Ragazzi miei, non importa! Andate come il vento e come il vento ritornate ». Sembra che non si voglia compromettere con delle promesse, ma è evidentemente interessato che gli altri facciano in fretta il loro dovere nei suoi riguardi affinché possa presto entrare nel regno degli Antenati.

Terminato questo discorso, gli spiriti abbandonano lenta­mente e silenziosamente i tre, che ritornano alla normalità.

Un incaricato prepara un pacchetto con un po' di taben, tre pezzetti di pane e un po' di riso, che racchiude in una borsetta fatta con la stoffa di un vestito usato del defunto, poi tutti escono dal villaggio fermandosi là dove le strade si biforcano. Tre uomini si staccano dal gruppo e vanno a prendere il vaso con le ossa del morto. Dissotterrato il vaso, accendono nella fossa un fuocherello, dicendo a mo' di scongiuro: « La casa della vecchia brucia ». E come un invito indiretto al morto di non volere ritornare in quel posto. Se ne vanno poi direttamente verso il gruppo di quelli che aspettano, senza voltarsi indietro.

Preparati tre bastoni di ebano, alquanto corti, li legano insieme, e vi depongono sopra il vaso con le ossa, che ven­gono immediatamente estratte e consegnare all'operazione delle donne. Alcune incaricate vi versano sopra dell'acqua, le cospargono di curcuma e infine le spruzzano di latte. Dopo che sono state riposte nel sacchetto dell'erede, gli uomini si scostano dal luogo ove era stato deposto il vaso sui tre bastoni di ebano, lasciando soli i tre che erano andati a ritirarle dalla fossa. Essi, afferrato ognuno un bastone di ebano, girano per tre volte attorno al vaso vuoto e lo colpiscono con la sinistra armata di bastone, frantumandolo.

Noto come pali e fronde di ebano sono usate anche tra i LoDagaa dell'Africa Occidentale, durante i loro riti funebri; ma il Goody, che lo fa notare ripetutamente , non motiva l'uso di tale legno a preferenza di un altro, come non lo motiva l'Horkoren mare Hapramko reak' Katha.

I tre uomini incaricati delle ossa, avuto il sacchetto che le contiene, se ne vanno fino al confine di un altro villaggio seguendo un sentiero fuori mano. Colà giunti, mangiano la schiacciata di riso e il pane, poi fanno ritorno al proprio villaggio riportando le ossa. Alla casa del morto

hanno intan­to preparato per loro il parkom e gli scranni affinché si riposino; la gente di casa li riceve cerimoniosamente lavando loro piedi e mani con acqua e porgendo loro il saluto con­venzionale. Entrati nella capanna, depongono le ossa in un vaso di terra nuovo, che viene appeso accuratamente al soffitto della casa. Rifocillatisi con tutti gli altri che già erano in attesa, ognuno ritorna a casa propria.

Fattasi sera, dei pesci e una gallina vengono portati alla casa del defunto e cucinati senza sale. Una zampa e un'ala della gallina vengono però messi da parte e legati ad un bastoncino. Dopo avere bevuto un po' di birra, tre uomini si recano alla solita biforcazione portando altri bastoncini, della paglia tolta dal tetto della veranda, e del fuoco. Uno di loro si trascina dietro il bastoncino con l'ala e la zampa di gallina. Giunti all'incrocio, vi costruiscono una finta capanna, ponendovi sopra la paglia portata. Vi gettano dentro la zampa e l'ala e vi appiccano il fuoco, ripetendo lo scongiuro fatto prima sulla fossa ove era stato posto il vaso con le ossa. Andandosene senza voltarsi indietro gridano: « La capanna della vecchia brucia! ».

Una cerimonia simile, ma assai più complicata, per allontanare definitivamente l'anima del morto dal villaggio, viene eseguita dalle donne oraon nel distretto di Ranchi, mentre in Bengala viene eseguita da uomini.

Arrivati alla porta che dà nel cortile della casa del morto, i tre si assicurano che sia stato preparato un grande vaso di legno con dell'acqua (nel caso contrario dovrebbero aspetta­re), e se l'acqua è pronta, vi immergono la gamba sinistra prima di entrare nel cortile. L'ultimo ad immergere la gamba, colpisce il vaso con il piede, rovesciandolo.

Ora sono tutti radunati, per il pasto finale: seduti l'uno vicino all'altro, si apprestano a mangiare. Due uomini della casa del morto mangiano il loro riso su foglie di karam (Adina cordifolia), mentre tutti gli altri mangiano su piatti di foglie di sal, fatti solo a metà. Terminato il pasto, una tazza di curry, una di riso e una d'acqua vengono poste in un cestello: quelli della famiglia fingono di mangiarne il conte­nuto usando la mano sinistra, mentre alcuni presenti li spruzzano d'acqua con radici di sirom (Anfropogon muricatus), per spazzar via da loro ogni impurità; tale azione è detta bak' roa daka. Il cestello viene poi appeso ad un piolo per il defunto.

Il giorno dopo, tirano giù tutto per vedere se il morto ha mangiato il riso. Nel caso abbia mangiato, si dovrà notare dello sporco in fondo alla tazza dell'acqua, usata dal morto per pulirsi la mano con cui ha mangiato.

Le tazze messe da parte per il defunto e tutti i piatti usati la sera avanti per l'ultimo pasto vengono posti in un vecchio cesto di bambù e abbandonati con il cesto stesso nella giungla vicino alla biforcazione della strada.

e) Bhandantet

Il bhandan è l'ultima cerimonia che si compie in onore del defunto. Anticamente si compiva subito dopo il ritorno degli uomini dal Damuda, ove erano andati a gettare le ceneri e le rimanenti ossa del morto.

Attualmente tale cerimonia, trattandosi di una famiglia ricca, si compie entro due o tre mesi dalla morte del congiunto. Trattandosi di una famiglia povera, entro un anno o due.

La spesa non è da poco, dovendo dare da mangiare e da bere, oltre che ai parenti, anche a tutti gli abitanti del villaggio. E non si tratta di una semplice refezione, ma di un pasto in piena regola. E indispensabile perciò preparare una sufficiente quantità di riso, di birra e di tutto l'occorrente per il curry. I parenti aiutano la famiglia del defunto portando riso, galline, capre, maiali e quanto è nelle loro possibilità.

Spetta all'erede stabilire il giorno del bhandan e darne notizia al manjhi, il quale a sua volta farà avvertire la gente mediante il godet.

Nel giorno prescelto, la gente si raduna alla casa del defunto, gli uomini si fanno radere i capelli e fanno il bagno. A sera il morto viene invocato e con lui gli Antenati e il Maran buru: si rinnova il rumok'. Rivolgendosi al Po­rodhol e al Maran buru, fanno loro notare che in questa occasione viene dato al morto ciò che gli spetta; aprano bene gli occhi e le orecchie per vedere e sentire quanto avviene. E i due rispondono che va bene così. Poi si rivolgono al morto,dicendogli che gli pongono in mano la parte che gli spetta, l'accetti dunque e la prenda con gioia. E anch'egli risponde che tutto va bene.

Si dà inizio ad una bevuta di birra, al termine della quale i tre invasati ritornano lentamente alla normalità.

Quando ancora si portavano le ossa nel Damuda, quanto descritto sopra avveniva subito prima del bhandan vero e proprio. Allora alcuni portavano le ossa del defunto al luogo definitivo un mese o cinque mesi dopo la cremazione; altri più lontani attendevano magari due o tre anni, scegliendo di preferenza il mese di aghar (novembre-dicembre, cioè l'ottavo mese dell'anno).

Attualmente, nota nel suo manoscritto il Pitor Mardi, per quanto riguarda i Santal del Bengala e del Bihar, il trasporto delle ossa, che erano state sospese al soffitto, avviene subito dopo la bevuta sopraddetta.

Vengono scelti allo scopo tre o quattro uomini ai quali sono affidate le ossa, lavate e unte d'olio e di curcuma. Molte volte, durante tale ufficio, si rinnovano le lamentazioni. Gli incaricati vengono forniti di riso, di alcune schiacciate, sempre di riso, di riso soffiato e di un po' di danaro. Arrivati al fiume, prima di abbandonare le ossa alla corrente fanno delle offerte al morto, al Porodhol e ai progenitori. Appena ritornati al villaggio, hanno inizio le cerimonie del sacrificio fina­le, quello che costituisce l'essenza del bhandan.

Nel cortile della casa viene piantato un ramo di sal. E nota il Pitor Mardi, i Santal non sanno per quale motivo ciò sia fatto, ma è richiesto dall'uso. Tutto attorno alla fronda viene spalmato sterco di vacca diluito con acqua, e sul posto, così purificato, sono disposti i piatti di foglie che serviranno per il pasto.

Ha ora inizio il sacrificio delle vittime. Il principale offerente del bhandan, cioè colui che offre la vittima principale, si appresta ad abbatterla per primo. Nell'atto di colpirla con una mazzata, si rivolge al defunto pregandolo di accettarla e dicendogli che ne dovrebbe essere soddisfatto.

Durante la cerimonia, che si può protrarre abbastanza a lungo, colui o coloro che si rivolgono al morto usano un'e­spressione particolare: « bapu Thakurtin' », oppure « bap cilion ». Quest'ultima espressione è semplicemente una espres­sione di tenero affetto, rivolta a persone anziane o a superio­ri. Non condivido per nulla l'interpretazione, datagli dall'Obert, di « caro tesoro ». La prima espressione, invece, può assumere vari significati: « O Dio, mio padre », oppure « O Spirito, mio padre », o potrebbe semplicemente indicare una espressione di rispettoso affetto. Una cosa è certa, che i Santal stessi a questo punto si domandano se con tale e­spressione intendano o no compiere un atto di venerazione diretta al morto, come ad un qualunque altro spirito (bonga). Di fatto, da questo momento ha inizio la processione di tutti gli offerenti, prima i parenti dell'estinto e poi tutti quelli del villaggio, che presentano le offerte e sacrificano una ad una tutte le altre vittime in nome del defunto.

Nessuna vittima viene offerta ad altri bonga. Terminata l'offerta delle vittime, versano per terra della birra ancora nel nome del defunto, augurandosi che egli sia contento e che non pretenda altro. La stessa cosa fanno, rivolgendosi al Porodhol e al Maran buru.

Compiuti i sacrifici e le libazioni, il capofamiglia divide una ad una le vittime immolate, invocando tutti i defunti senza distinzione. Interessante la preghiera che in questa occasione rivolge ai defunti, e che il Pitor Mardi riporta nel suo manoscritto: « O voi tutti che siete morti, venite a prendere queste vittime e fatele moltiplicare nell'altro mondo; e fate si che noi possiamo stare bene di qua, perciò che nessuna malattia, nessun dolore e nessuna paura ci assalga ».

Segue ora l'offerta a tutti gli antenati di cui si ricorda ancora il nome, cominciando dal defunto per cui si compie il bhandan. Il capofamiglia suddivide il fegato delle vittime, previamente messo da parte, su piccoli piatti di foglie, vicino alle vittime immolate e fatte a pezzi. Prepara tante parti quanti sono gli antenati a cui vuole fare l'offerta, e nel nome di ognuno butta per terra un pezzetto di fegato, pronunciando una preghiera d'offerta, che termina con queste parole: « Anche noi ne mangeremo, ne mangeremo un poco; che non ci assalga né mal di testa né mal di pancia »

Al termine di questa offerta, si procede alla preparazione del pasto in comune, durante il quale grandi e piccoli man­giano insieme. Durante questo pasto non si beve birra, né i giovani danzano dopo il banchetto, come abitualmente si fa nelle altre circostanze. Il mattino dopo verrà offerta della birra a tutti i partecipanti al bhandan.

Fino a quando il bhandan non è compiuto, tutta la famiglia conserva nel villaggio una certa impurità legale, per cui nessun membro di essa può compiere offerte o fare libazioni agli spiriti, adornarsi con il minio o sposarsi. Terminato il bhandan, tornano ad inserirsi completamente nella vita sociale della comunità.

3.4 L’Aldilà nella concezione dei Santal

Per i Santal la vita dell'Aldilà è la continuazione della vita che si conduce in questo mondo, anche se con varianti discrete: c'è un villaggio, ci sono dei capi, si fanno feste con danze e bevute di birra; ci sono stalle e pollai pieni di animali domestici. E comune credenza che quanto più numerose sono le vittime offerte al defunto durante il bhandan, tanto più numerosi saranno i capi di bestiame piccolo e grande, che l'Antenato si godrà nell'altro mondo.

a) Premio e castigo

I Santal parlano più di castigo per i cattivi, che non di premio per i buoni. E in questo i Santal si distinguono nettamente dagli Oraon, i quali sono perfettamente convinti che nell'aldilà tutti quelli i quali sono ammessi tra gli antenati si trovano a condurre la stessa vita, indipendentemente dalla condotta tenuta in questo mondo.

Secondo la credenza santal, l'Essere Supremo manda gli uomini su questa terra per un determinato periodo, finito il quale devono fare ritorno nell'aldilà. C'è chi parla di un certo Jom raja, l'angelo della morte, alla cui chiamata nessuno può sfuggire. Ma questo essere sovrumano che fa coppia con un altro angelo della morte, Jom hudar, è tolto dal mito induista.

Giunti nell'altro mondo, tutti vengono giudicati secondo le loro opere buone e cattive. Naturalmente buono e cattivo, bene e male devono essere intesi come conformità o non conformità alle leggi e ai costumi della comunità santal.

I buoni sono portati in un luogo buono e i cattivi in un luogo cattivo. Mentre i primi saranno completamente indipendenti dagli spiriti e insieme a Dio, i secondi si trovano completamente abbandonati al loro dominio, e verranno da essi terribilmente torturati.

Il luogo dove stanno i cattivi è rappresentato come una prigione, detta narak, che letteralmente vuol dire «luogo degli escrementi ». Una volta entrati, le porte si chiudono ermeticamente. La prigione è grande come tutta una nazione, e vi si trovano i vari luoghi di pena. Nell'interno c'è, tra l'altro, una fossa a mo' di trincea, lunga e larga come il letto di un fiume asciutto. In questa fossa il fuoco arde in continuazione, ed è pieno di uomini che con le mani e i piedi cercano di arrampicarsi sulla sponda, ma inutilmente, perché il Maran buru, con un grosso arpione di ferro, li aggancia e li rigetta dentro, sottoponendoli a maggior tormento.

Quando un condannato entra in tale luogo di pena vorrebbe fuggire, ma la cosa è impossibile, perché non solo le porte sono chiuse, ma ad ognuna di esse vi è una guardia che vigila costantemente.

In molti casi gli stessi peccati commessi sono la radice delle pene sofferte dal condannato. Essi infatti vorrebbero ottenere ciò che ottenevano in questo mondo peccando, ma essendo questo impossibile, in quel luogo di pena, ne soffrono terribilmente. I golosi, ad esempio, si trovano davanti ad abbondante carne, da cui emana un fetore ributtante, e non possono perciò saziarsene. Speciale tormento è riservato a coloro che non hanno soddisfatto ai loro debiti prima di morire: viene loro strappata la pelle dalla schiena, e la piaga viene cosparsa di sale. Appena la piaga guarisce, il martirio riprende.

Questo è quanto descrisse il vecchio Jugia ma la tradizione popolare parla di altri castighi, come, ad esempio, una pesante macina da portare al collo, il fare girare senza interruzione la macina dell'olio; e già si è accennato ai vermi grossi come pali che divorano il corpo degli uomini sul cui avambraccio sinistro non c'è il segno della sikha, o delle donne che non portano il tatuaggio.

b) Gli Antenati

Non sembra facile conciliare quanto detto sopra con l'esistenza degli antenati, quali sono intesi dai popoli illetterati, cioè membri trapassati di una famiglia o di un clan, che vivono nell'Aldilà una vita che è la continuazione della presente, e che possono ancora intervenire nelle faccende dei propri congiunti vivi. Il problema s'impone soprattutto per coloro che, nel mondo di là, sono legati a luoghi di pena. Eppure una soluzione c'è: le pene, per quanto dure e lunghe, non sono eterne. Le offerte fatte al fiume, subito dopo la cremazione, ai progenitori, Pilchu Haram e Pilchu Budhi, antenati comuni di tutti i Santal, e al Maran huru, come quelle fatte loro al fiume, prima di buttare nella corrente le ossa del defunto, sembrano proprio indirizzate a diminuire il periodo di pena del morto, caso mai ce ne fosse bisogno. Lo fanno pensare le insistenti preghiere rivolte ai progenitori e al Maran buru di prendere cura affettuosa del morto, di guidarlo con mano sicura ad un luogo sicuro, di non abban­donarlo dietro la casa di un estraneo. Il tono è piuttosto perentorio quando la preghiera è rivolta al Maran buru.

Un altro argomento può essere quello delle vittime sacrificate durante il bhandan: sono offerte a tutti i morti indistintamente, esclusi solo quelli che sono diventati spiriti cattivi, ai quali accenneremo. Lo scopo dell'offerta è evidentemente propiziatorio, ma è credenza comune che tali vittime portate dai morti nell'Aldilà si moltiplicheranno prodigiosamente in favore di coloro ai quali sono state offerte. Esiste quindi la credenza che tutti i defunti buoni e cattivi usufruiscano di tali offerte. Nell'offerta delle vittime si ha particolare riguardo per il parente defunto: è a lui per primo che si fa l'offerta, anche quando questa vien fatta a tutti i morti senza tener conto se in vita fu o no un buon Santal. L'importante è che non muoia fuori della comunità.

Dopo il bhandan e in forza del bhandan, il morto acquista un corpo adatto per passare nell'Aldilà: vada egli al luogo di pena o al luogo di vita serena, ad ogni discendente che morirà, egli sarà invocato per la salute e la prosperità della famiglia, e gli saranno fatte particolari offerte finché il suo nome scomparirà dalla mente dei vivi. Ma anche allora, entrato a far parte degli antenati comuni , sarà invocato con tutti gli altri defunti e gli saranno rivolte offerte.

Da quanto detto appare che il trovarsi nel mondo di là in un luogo di pena non impedisce ad un parente defunto di diventare antenato e di esercitare le funzioni di antenato. La stessa questione del resto potrebbe sollevarsi per i LoDagaa del Blake Volta River, studiati dal Goody. L'inferno dei LoDagaa non è meno terribile di quello dei Santal e dura assai più a lungo, eppure l'influsso degli antenati nella vita socio-religiosa di quella popolazione è di una profondità e evidenza innegabile.

Concludendo, penso di potere affermare che anche tra i Santal esiste realmente non solo il culto dei morti, ma anche il culto degli antenati, ciò che nega invece l'Obert nel suo libro. All'occhio di un osservatore superficiale o prevenuto può sfuggire l'esistenza del culto degli antenati o essere confusa con il culto dei morti, ma non può sfuggire a chi si sforza di penetrare l'anima santal con vivo desiderio di scoprire la realtà. Del resto, oltre le cerimonie già descritte, in cui è evidente un culto rivolto agli antenati, esiste una festa in loro onore, detta Kutam dangra, cioè la festa del bue abbattuto con una mazzata . Tale festa si ripete ogni qualvolta un individuo vuole onorare i propri antenati; è sempre uno solo ad offrire la vittima, ma tutti prendono parte al banchetto che segue. La vittima deve essere abbattuta senza spargimento di sangue; tuttavia, per non eccitare la suscettibilità dei vicini Indù, la cerimonia dell'abbattimento del bue avviene quasi sempre di notte, e fuori villaggio, ai piedi di un albero di atnak' (Terminalia tomentosa). Durante la cerimonia un altro bue viene scannato in onore degli Orak' bonga e un terzo in onore del Maran buru, però sotto un albero di sal.

La cerimonia del Kutam dangra assume un tono ufficiale per il fatto che i primi ad usufruire della carne della vittima sono i tre principali capi del villaggio: il manjhi, che riceve la parte di mezzo d'una coscia; il paranik, che riceve la parte inferiore della stessa; e il godet, che ne riceve la parte superiore. La testa, i polmoni e il fegato sono fatti cuocere sul posto e mangiati dagli uomini che prendono parte alla cerimonia; tutto il resto delle vittime è portato al villaggio e consumato dalle donne e dai bambini.

c) Gli esclusi dalla comunità degli Antenati

Sono escluse dalla comunità degli Antenati le donne che muoiono incinte, le quali diventano spiriti detti curin. Inol­tre sono esclusi i bambini che muoiono nel seno della madre, e tutti quelli che muoiono prima del janam chatiar. Gli appartenenti a queste due categorie vengono annoverati tra i bhut, spiritelli maligni.

I curin hanno una testa simile ad un fuso e sembrano degli stecchi, tanto sono magri. Sono affamati di uomini alla cui caccia si buttano con accanimento, e quando ne sorprendono uno solo lo succhiano fino a farlo morire. I bhut invece sono piccoli e neri, ma possono apparire sotto svariate forme, e vanno matti nel fare spavento ai vivi, ai quali però non possono nuocere in altro modo.

Nulla è detto a proposito di coloro che muoiono senza il caco chatiar. Si sa soltanto che nell'Aldilà non potranno incontrarsi con i loro Antenati, ma non si dice affatto che essi diventino degli spiriti cattivi.

Con quanto esposto, la materia trattata non è certo stata esaurita. Ho omesso, ad esempio, la descrizione di alcuni particolari banchetti funebri, che non sono da tutti osservati, certe cerimonie di purificazione riguardanti donne e bambini, da compiersi in seguito alla morte di un congiunto, sulle quali non ho dati sicuri. Tuttavia penso di avere esposto scrupolosamente le parti essenziali riguardanti i riti funebri e le credenze circa l'Aldilà.

4. Le feste del ciclo annuale


Premessa

Nel libro della tradizione santal si trova una descrizione abbastanza completa delle feste annuali, ma non si accenna alla loro origine . Obert descrive fedelmente la festa del Sohrae e del Baha, facendo le sue meste riflessioni e dando le sue interpretazioni non sempre esatte. Orans ha brevi accenni alla festa del Sakrat e del Karam, per dire che sono derivate da feste indiane; parla anche del Sohrae e del Baha, notando come tali feste sono ridotte al minimo tra i Santal dell'India che si sono urbanizzati. Archer descrive il Pata porob, la festa indù del nuoto con l'uncino in onore di Mohaeb osservata dagli Indù di bassa casta e praticata da molti Santal in India, ma quasi sconosciuta da noi in Bangladesh. Descrive pure il Chata Porob, che egli traduce con « festa dell'ombrello », ma che, come vedremo in Bangladesh assume un altro significato. Inoltre si dilunga sul Sohrae, Baha e Karam. Per quanto riguarda il Sohrae egli riporta una storia che sarebbe alla base della festa, alquanto contraria alla storia narrata nel libro della tradizio­ne. Riporta inoltre due sto­rie che starebbero all'origine del Baha, e una terza con la quale si spiega, sia pure con qualche incongruenza, l'origine degli spiriti che si onorano durante la festa. Infine descrive a lungo la festa e l'origine del Karam, che però tra i Santal del Bangladesh non pare abbia molta importanza. Non si tratta del resto di una festa annuale, dal momento che si celebra soltanto in determinate occasioni. Non mi sono interessato direttamente di questa festa, sebbene abbia raccolto un po' di materiale al riguardo mentre mi impegnavo sull'argomento della parentela e dei clan.

Nessuno mette in dubbio che diverse feste santal risentono della loro origine indù; e tutte attualmente contengono degli elementi derivanti dall'induismo. È del resto, pacifico che i Santal, essendo dovuti vivere per lunghissimo tempo a contatto con gli Ariani invasori, ad un certo punto decisero di accettare molti dei loro usi e costumi. Furono influenzati particolarmente dagli Indù di bassa casta, con i quali si trovarono più frequentemente a contatto, ciò vale soprattutto per l'uso di cremare i morti, anche se la cremazione tra i Santal ha caratteristiche tutte proprie, fondate sulla particolare credenza del mondo degli spiriti. Così l'uso di offrire agli spiriti, durante la puja, un particolare cibo che poi viene diviso coi presenti dal sacerdote ufficiante a mo' di comunione. Questo cibo viene detto prosad. Noto come i cristiani chiamino 'la Comunione Kristho prosad'. L'uso del vermiglione per consacrare le offerte e le vittime agli spiriti e la lingua corrotta delle preghiere e dei canti sono di evidente derivazione indù.

Ma, come vedremo, alcune feste ebbero origine tra i Santal stessi, anche se gli inventori di queste feste furono dei Mahali, e ciò per affermazione degli stessi interessati. Il Pitor Marndi, ad esempio, dice che, in una zona imprecisata dell'India, nei tempi antichi dominavano numerosi Bedea Mahali. Tutti i Santal della zona si attenevano ai loro consigli e alle loro regole per quanto riguardava qualsiasi festa. Per loro suggerimento I Santal crearono il naeke e il kudam naeke, i due sacerdoti del villaggio, perché si interessassero dei riti riguardanti la venerazione degli spiriti maggiori e minori. Dello stesso parere è Suku Hasdak, come si vedrà parlando del Baha e del Sohrae.

Comincerò con il descrivere l'origine e lo svolgimento delle due principali feste santal sopraddette, che sono anche le più antiche secondo quanto affermano i Santal stessi.

4.1 Baha porob (festa dei fiori)

È la festa dei fiori in onore dei principali bonga o spiriti: Maran buru, Moréko-Turuiko, Jaer era, Gosae era e Manjhi haram. Viene celebrata nell'ultimo quarto della luna del mese di phagun (febbraio-marzo). Può però essere rimandata per giusti motivi. Io nel 1976 assistetti alla festa il 6 aprile.

I Santal dicono: « Baha do dosar maran porobtale »: «la festa dei fiori è la nostra seconda grande festa ». Ma secondo la tradizione fu la prima ad essere stabilita. È una festa di capodanno. Implicitamente è osservata per promuovere la prosperità della famiglia, specialmente per quanto riguarda la prole. Bisogna sapere che all'origine di questa festa sta una famiglia completamente distrutta. È importante propiziarsi gli spiriti, perché questo non si ripeta, quegli stessi spiriti cioè che furono già le anime dei membri della famiglia distrutta. In fondo i Santal sono convinti che a dare i figli è Thakur jiu, il Creatore, ma sono pure del pari convinti che gli spiriti possono opporsi alla nascita dei figli oppure farli morire.

Origine del Baha

Così narra una tradizione orale: un capo villaggio di nome Phudan aveva cinque figli e una figlia. Essendo molto ricco e possedendo molto bestiame, aveva preso in casa come vaccaro un ragazzo indù dei Goala (Indù di bassa casta). Secondo alcuni il ragazzo era un bramino che, derubato e spogliato di tutto durante una razzia di briganti, aveva trova­to scampo in casa di un ricco santal. Il ragazzo si chiamava Sudhir Condro.

La figlia di Phudan, Lupsi, cresceva bella e prosperosa, ed era ormai arrivato per lei il tempo di sposarsi, ma nessun giovanotto si presentava a chiederla in sposa. Un giorno i cinque fratelli: Etwar, Somae, Mangru, Budrae e Lukhiram andarono a caccia nella foresta di Uruni. Sudhir Condro e Lupsi approfittarono di quell'occasione per scappare di casa. Quando a sera i fratelli, ritornando carichi di preda, appresero dal padre, furente e addolorato, che i due se l'erano squagliata, rimasero costernati, ma dietro consiglio del padre decisero di rintracciare i fuggitivi. Il vecchio disse loro di riportarli a casa con le buone o le cattive. E si dichiarò disposto ad umiliarsi davanti al guruji mahali, un discendente di Kapi Karam Bedea, e a pagare qualunque prezzo per la colpa di cui la figlia si era macchiata scappando con il ragazzo indù. La mattina dopo i cinque fratelli, rifornitisi di cereali abbrustoliti dalla madre Kapra, se ne partirono armati di scure e di arco e frecce alla ricerca dei fuggitivi. Li cercarono a lungo nella foresta senza trovarli. Etwar, il maggiore, in preda al furore dichiarò che, se li avesse trovati, avrebbe tagliato loro la testa o li avrebbe trafitti con le frecce. Il giovane Lukhiram cercò invano di calmare il fratello. Finalmente scorsero i fuggitivi seduti sotto un albero in un posto ameno, rigoglioso di arbusti in fiore, il tipico rakhak (luogo protetto), cioè quella parte della foresta dove è proibito tagliare le piante. Etwar, senza esitare, trafisse mortalmente il ragazzo indù. Invano la sorella, atterrita, chiese pietà all'in­furiato fratello che uccise pure lei. Poi, rivolto ai fratelli, disse loro: « Ora ritorniamo da nostro padre, dal guruji e dalla gente del villaggio perché decidano quel che a loro parrà bene ».

Nascosto tra le fronde di un albero, un birhor aveva assistito pieno di terrore a tutta la scena. I cinque fratelli si avviarono verso casa, ma lungo la via si fermarono sulla sponde di uno stagno, detto Chapar, per rifocillarsi. Lukhiram, con la scusa di doversi appartare per un poco, ritornò sui suoi passi piangendo disperatamente la sorella morta e, giunto sul posto del delitto, tolse la corda dall'arco e si impiccò ad un albero. Gli altri fratelli, quasi presagendo quanto era successo, visto che il più giovane non tornava, si diressero al rakhak e, disperati alla vista del fratello e della sorella morta, si impiccarono anche loro.

Intanto il birhor, impietrito dallo spavento, se ne stava ancora al suo posto di osservazione. A casa i due vecchi attendevano con ansia il ritorno dei figli. Il mattino dopo, esortato dalla moglie, il vecchio Phudan si mise alla ricerca dei figli. Seguendo le tracce da loro lasciate, arrivò facilmente al posto della tragedia dove si rese conto di quanto era successo. Con la morte in cuore tornò a casa per darne notizia alla moglie. Ma di fronte alla vecchia perse ogni coraggio e preferì mentire dicendo di non avere trovato i figli. La donna partì a sua volta, raggiunse il rakhak' e, visti i figli morti, morì di crepacuore sul posto stesso. Phudan, dopo aver atteso a lungo la moglie, comprese che anche lei era morta e si uccise spaccandosi la testa con la pietra che usava a triturare le spezie (gurgu dhiri).

La gente del villaggio non tardò a scoprire il corpo del manjhi immerso nel suo sangue e si chiese cosa mai fosse successo. Mentre stavano discutendo, arrivò il birhor che, mugolando e gesticolando, fece capire loro di seguirlo. Quel giorno la tragedia divenne chiara per tutti. Seppellirono la vecchia, i figli e il ragazzo indù nel rakhak', poi, di ritorno a casa, scavarono la fossa per il vecchio Phudan nello spazio libero davanti alla casa, lungo la strada. Terminato il mesto dovere della sepoltura, restava il problema di chi avrebbe adempiuto ai doveri funebri verso i morti, e in che modo, dal momento che tutta la famiglia era stata distrutta. Si rivolsero allora al guruji mahali, che li consigliò di rimandare la questione per cinque giorni, durante i quali avrebbero preparato birra di riso. Al quinto giorno il guruji si presentò puntualmente in villaggio, fece riempire di birra una zucca e preparare nove tazze, poi invitò tutti a recarsi presso le tombe nel rakhak. Colà giunti, versò su ogni tomba una tazza di birra a mo' di libazione, poi bevve insieme ai pre­senti.

Erano i giorni della luna piena del mese di phagun e gli alberi della foresta erano tutti in fiore. Si fece portare le guaine di bambù spinosi e, unendole con delle spine, ne fece un vassoio che riempì di fiori: fiori di sal (Shorea robusta), fiori di kod (Eugenia jambolana), ed altri ancora. Riempì la zucca con acqua di stagno (chapar) e disse ai presenti di precederlo al villaggio. Egli li avrebbe seguiti accompagnandosi ad un ragazzo e portando con sé i morti. Giunto al villaggio, la gente avrebbe dovuto lavare i piedi a lui e al suo accolito, e sarebbe stato lo stesso che lavarli ai morti.

Dopo che la gente se ne fu andata, il guruji consegnò la zucca con l'acqua dell'accolito, e si caricò di fiori. Arrivati al villaggio, iniziarono il giro delle case. Ad ogni donna che lavava loro le gambe e faceva il dobo, cioè il saluto d'uso, il guruji metteva nella cocca del vestito una manciata di fiori, dicendo di appenderli agli stipiti delle porte, perché entrando ed uscendo potessero vederli e ricordarsi di coloro che li avevano così tragicamente lasciati.

Terminata la cerimonia, si recarono tutti sulla tomba del manjhi, sopra la quale era stato messo il sasso con cui Phudan si era ucciso, e infisso il bastone della vecchia Kapra. Per questo ancora oggi sul manjhi than si pone un sasso e si pianta un bastone. Dopo che il guruji ebbe versato sulla tomba una tazza di birra in libagione, bevvero ancora tutti insieme; poi rivoltosi ai presenti egli disse: « Ponete mente a quanto ho fatto, perché possiate ripeterlo. Non rattristatevi per quanto è successo. Oggi infatti i morti sono stati resi splendidi come una cavigliera. Li abbiamo posti all'ombra della nostra casa. Li ricorderemo ogni anno per sempre: li ricorderemo facendo la festa dei fiori, mangiando e bevendo, perché dopo che la nostra mente fu piena di tristezza, essa deve diventare pura come un fiore, e voi dovete essere pieni di gioia e di serenità. I cinque fratelli sono ora i Moréko, il gosae (il ragazzo indù) è diventato Turuiko, la sorella Gosae era, la vecchia Jaher era e il vecchio Manjhi haram ». Così termina la storia sull'origine del Baha porob.

Si dice che in seguito il guruji stabilì che si scegliesse vicino al villaggio un posto che ricordasse il rakhak, dove gli alberi non potessero essere tagliati, e gli diede il nome di jaher o jaher than, il boschetto sacro agli spiriti. E li che sotto tre piante di sal allineate si installano Jaher era, Moréko e Maran buru, che, come capo degli spiriti, non può mai mancare. Poco discosto viene installato lo spirito Gosae era, e in un posto qualunque lo spirito del Pargana. Mentre lo spirito del capo villaggio, con il nome di Manjhi haram, prende stabile dimora nel manjhi than, davanti alla casa appunto del capo villaggio.

Quanto detto potrebbe portare ad una lunga riflessione sull'animo santal, ma mi limiterò a fare alcune brevi osserva­zioni.

A noi può sembrare per lo meno strano cambiare una tragedia in festa. Eppure è un modo molto efficace per vince­re la paura e riportare la pace nella mente turbata. Del resto il Santal è convinto che vincere la paura è il modo più sicuro per tenere lontana una possibile disgrazia, quale l'avere tra i membri della propria famiglia uno « scomunicato » per avere violato la più rigida delle leggi santal: il convivere con un individuo di altro jat (casta, tribù, popolo). Così pure è una grave disgrazia la morte violenta (esclusa quella in combattimento) di un membro della famiglia. E proprio per questi due motivi che la famiglia del vecchio Phudan scomparve dalla faccia della terra, e i suoi membri divennero potenzial­mente spiriti malefici. I Santal ritengono malefici tutti gli spiriti, ma particolarmente le anime dei morti di morte « cattiva ». Essi sono spiriti permalosi, invidiosi, sempre pronti a nuocere agli uomini, per sottrarre loro quella felicità che essi non posseggono e non potranno mai possedere. Qui qualcuno potrebbe osservare che la madre Kapra non morì di morte violenta, stando al racconto riportato. Ma ne esiste un altro narratomi dal Pitor Marndi, in cui si dice che è stata la vecchia ad uccidersi con il sasso, mentre Phudan si sarebbe spaccata la testa con il bastone del vaccaro. Nel dubbio circa la versione dei fatti, ecco perché sul manjhi than a volte viene infisso un bastone e vengono poste due pietre, non una soltanto. Alcuni Autori, tra cui il Monfrini, propendono a credere che bastone e pietre siano un simbolo fallico, ma nessun Santal accenna minimamente a pensarlo.

Riprendendo l'argomento, mi pare di potere dire che il tramutare la tragedia in festa è conforme all'animo santal. Essi riportano la mente turbata sull'unica cosa bella che ci fu in quella tragedia: la foresta in fiore; e nello stesso tempo colgono l'occasione per propiziarsi gli spiriti e li distolgono, « sfamandoli », dal nuocere alle famiglie prospere di figli.

A questo punto è bene riportare quanto dice Archer circa l'origine del Baha, per poi fare alcuni commenti. Archer, secondo quanto appreso dai suoi informatori, narra tre versioni che interessano l'origine del Baha.

Narra una tradizione che nei tempi antichi i Tudu erano fabbri e andavano ogni giorno nella foresta a fare carbone. Ora nei grandi alberi della foresta abitavano gli spiriti. Un giorno due fratelli Tudu, mentre stavano preparando carbone, videro avvicinarsi degli spiriti; fuggirono spaventati e si nascosero in un'ampia cavità di un albero di atnak (Terminalia tomentosa). Gli spiriti si misero a danzare proprio da­vanti all'albero, e i due fratelli pensarono che, avendoli visti, non c'era più scampo per loro, perciò decisero che prima di morire si sarebbero divertiti danzando con essi. Presero dei fiori e, in atto di offrirli, avanzarono verso gli spiriti che erano completamente nudi. Le ragazze-spirito, provando ver­gogna a causa della loro nudità, presero a danzare inchinate. I due giovani si divertirono a lungo con loro e furono istruiti su tutto ciò che riguarda la danza e il modo di onorarli. Infine gli spiriti manifestarono ad essi il proprio nome: Jaher era, Maran buru, Moréko-turuiko, Gosae era, Pargana bonga, Marijhi haram; e le ragazze-spirito: Hisi, Dumni, Chita Kapra. Così i due ragazzi divennero guru o maestri di danza, di canto e di cerimonie, dando inizio alla festa del Baha che da quel giorno tutti i Santal osservano.

Come si vede, questo racconto non ha nulla in comune con quello da me riportato. Inoltre fa due spiriti di uno: Jaher era - Kapra. Faccio notare che è contrario alla men­talità santal chiamare con nomi propri gli spiriti.

Una seconda tradizione direbbe che due fratelli Tudu, anch'essi fabbri, un giorno si attardarono nella foresta fino a notte. In quella foresta, chiamata Urmi, c'erano gli spiriti e i due fratelli, rincasando, videro davanti a sé tre ragazze-spirito che danzavano di fronte ai Moréko-turuiko, i quali suo­navano rudimentali strumenti. I due giovani si rifugiarono nel tronco di un fico, ma gli spiriti vennero a danzare intorno all'albero. Convinti di dovere morire, decisero che tanto valeva divertirsi un poco con gli spiriti stessi. Danzarono fino al mattino, ma non morirono; anzi le ragazze-spirito li invitarono a stabilire una festa in loro onore da chiamarsi festa dei fiori, avendo danzato con i capelli adorni di fiori. Tornati al villaggio, ne parlarono con gli altri, ma nessuno volle dare loro ascolto. A sera, nella casa del naeke, un corno di bufalo prese a suonare e un tamburo a rimbombare, senza che nes­suno li toccasse. Un uomo fu invasato dagli spiriti del Baha e corse nella foresta, dove si mise a pulire il terreno ai piedi di alcuni alberi. Il prete lo seguì con un vaso d'acqua e là crearono il primo jaher than. Il mattino dopo deposero i sassi per i Moréko-turuiko. Vennero anche le ragazze e dan­zarono inchinate, come avevano fatto con i due fratelli le ragazze-spirito. Così fecero ogni anno per cinque anni consecutivi. Poi un uomo fu invasato dagli spiriti del Baha, che fecero sapere di volere in onore dei Moréko-turuiko un vitello nero in sacrificio, ogni cinque anni. Inoltre ordinarono per la festa del Baha un vestito nuovo, una scopa nuova, una cesta nuova, dei campanelli, una giara nuova, arco e frecce, una scure, una catena di ferro: tutti oggetti da portare al boschetto sacro. Così si fa ancora attualmente.

In questo racconto riappare il nome della foresta in cui i cinque figli di Phudan andarono a caccia: la foresta Urmi. Sono definiti gli strumenti attualmente usati nella puja. Gli spiriti sono nominati, in modo generico, Baha bonga. Si parla del sacrificio quinquennale ai Moréko-turuiko. In tutti e due i racconti gli spiriti preesistevano.

Stando ad un terzo racconto, narrato ad Archer da un certo Sangram Hembrom, al tempo dei primi antenati cinque fratelli vivevano in una foresta con la loro madre. Essi cac­ciavano e la madre cucinava tante porzioni quanti erano gli archi che i figli presentavano la sera tornando da caccia. Un giorno incontrarono una bellissima ragazza kamar e il più giovane se ne innamorò. Chiesto consiglio ai fratelli, la portò a casa con sé. Quella sera il fratello maggiore consegnò alla madre sei archi invece di cinque. La vecchia ne domandò il motivo, e il giovane le parlò della ragazza kamar. La madre non volle saperne di riceverla in casa, essendo essa di un altro jat, e i fratelli quella sera le fecero parte del proprio vitto. Il giorno dopo le costruirono una capanna poco lonta­no da quella della madre, e presero a vivere con lei, lascian­do sola la vecchia. Secondo questa storia, la madre è Jaher era, i fratelli sono i Mòréko-turuiko e la ragazza kamar Gosàe era, che, non essendo stata ricevuta dalla madre, è posta da parte anche nel boschetto sacro.

A parte il fatto di quest'ultima spiegazione, il racconto dice assai poco. Non è detto come e perché queste persone diventassero spiriti. Si parla di cinque fratelli chiamati Mòréko-turuiko, cioè i Cinque-sei. Non si capisce quale connessione esista con la festa del Baha, a parte il nome degli spiriti, che sono anche quelli del Sohrae.

La tradizione da me riportata, che è di dominio comune tra i Santal del distretto di Dinajpur e di Rangpur, mi pare la più completa e la più attinente alla festa del Baha. Oltre la netta descrizione dell'origine degli spiriti, a cui inizialmente la festa fu dedicata, compaiono in essa i primi elementi rituali, ad eccezione delle vittime che, con tutta probabilità, solo molto più tardi furono introdotte per iniziativa dei sacerdoti. Compaiono infatti l'arco e le frecce; la scure che è semplice oggetto di presenza mai usato durante la puja; la zucca piena d'acqua, oggi sostituita dalla giara; il vassoio, o cesto, fatto di guaine di bambù unite con le spine del bambù stesso, sostituito oggi dal cesto di bambù, come si dirà parlando dell'origine del Sohrae; l'abbondanza di birra e di fiori, che ancora oggi caratterizzano la festa del Baha, là dove i fiori di sal e di matkom sono reperibili. Non compare ancora il naeke o sacerdote, che però verrà creato in sostituzione del guruji mahali, quando con l'andar del tempo il gruppo dei guru mahali si ritireranno lasciando lo svolgimento delle feste alla discrezione dei Santal, non prima però di averli ben istruiti circa le cerimonie dei riti da eseguirsi.

Descrizione del Baha Porob

Dice il vecchio Koelan: «Il Baha è la nostra seconda grande festa. Cade alla fine della luna piena del mese di phagun. E la festa del ritorno dell'anno. La pianta del sarjom (sai) in quel periodo fiorisce, fiorisce anche il bianco fiore della giungla (icak, Woodfordia fructuosa) e la fiamma della foresta (murup, Butea superba). Prima del Baha non succhia­no né il fiore della giungla né la fiamma della foresta; non si adornano con il fiore del sarjom e non mangiano il fiore del matkom. Se qualcuno succhia o mangia tali fiori prima della festa, non avrà la visita del prete e non gli sarà dato da bere e da mangiare se non a festa finita. Il Baha, a differenza del Sohrae che contiene elementi religiosi e sensuali è una festa eminentemente religiosa. Giunto il giorno stabilito, i ragazzi vanno a preparare due tettoie nel boschetto sacro, una per Jaher era, i Moreko e il Maran buru, un'altra per Gosae era. Il sacerdote spalma di sterco bovino i singoli posti riservati agli spiriti, poi tutti insieme si recano a fare il bagno. Dopo vanno alla casa del sacerdote che dà loro birra di riso e un pasto di curry e riso. Terminato di mangiare, si danno appuntamento per andare a caccia nella foresta del villaggio (oggi nella giungla o nelle vicinanze del villaggio). Mentre giovani e uomini si preparano ad andare a caccia, nel villaggio si odono i vecchi e le donne cantare:

O marito, un cucciolo di cane abbiamo allevato,

l'abbiamo messo nel seno di Ghurci rici.

Andiamo a caccia, inseguiamo la preda.

In quale foresta cacceremo? in quale foresta inseguiremo la preda?

In quale foresta, vigilanti, cacceremo?

Nella foresta del Sin cacceremo, inseguiremo la preda.

Nella foresta del Sin, vigilanti cacceremo.

Qui potremmo chiederci perché gli uomini vadano a caccia all'inizio della festa. La tradizione dice che è secondo l'insegnamento del guriji mahali, il quale, ricordando agli abitanti del villaggio i cinque fratelli che erano ritornati dalla caccia con un cerbiatto, delle lepri e dei francolini e non avevano potuto mangiarli, li invitò ad andare a caccia e insegnò loro la canzone sopra riportata.

Mentre gli uomini sono a caccia, il sacerdote prepara tutto ciò che occorre per la puja: il vaglio di bambù, che deve essere nuovo, un ampio cesto pure di bambù, arco e freccia, una scopa, i braccialetti degli spiriti, una catenella, le campanelle e la trombetta di corno di bufalo. Lava tutti questi oggetti con acqua e li unge con olio in cui sono mescolate polveri di spezie profumate; lo stesso fa con una giara e una materassa di filo. Verso sera gli uomini tornano dalla caccia e cantano:

La preda in quale foresta inseguisti, dove, o marito, battuta facesti?

In qual foresta vigile cercasti?

Del Sin nel bosco la preda ho cercato,

nella libera foresta ho cacciato,

nel bosco, o moglie, vigile ho cercato.

Dov'è di lepre la carne, o marito?

Della starna dov'e, o marito, l'ala?

Di lepre, o donna, la carne ho portato,

o donna, l'ala di starna ho portato.

Di lepre, o uomo, la carne tagliamo,

di starna l'ala, o marito, spezziamo.

Di lepre, o donna, la carne ho tagliato,

e l'ala, o donna, di starna ho spezzato.

Cucina, o donna, la carne di lepre,

fa cuocere l'ala di starna nell'acqua.

Ho cucinato la carne di lepre,

l'ala di starna nell'acqua ho bollito.

Portami, o donna, la carne di lepre,

portami, o donna, della starna l'ala.

Della lepre la carne s'è bruciata,

di starna l'ala in acqua è consumata.

Tu sei, o donna, cattiva cuciniera,

non sai badare, o donna, alla cucina.

Perciò la vita in Piriri, o marito,

in Piriri la vita passerò.

Nel frattempo il godet porta al sacerdote tre galline che sono dette appunto « galline del sacerdote ». Poco prima che si faccia sera, alla casa del sacerdote battono il tamak o tamburo semisferico e suonano il corno. Udito il suono, i rumok'ko, sciamani occasionali, si avviano verso la casa con tutta la gente del villaggio. Il sacerdote porta fuori l'occorrente per gli sciamani che sono abitualmente tre: uno sarà posseduto da Jaher era, un altro dai Mòréko e il terzo dal Maran buru. Jaher era, agendo come in trance, si infilerà i braccialetti e la catenella, si metterà in testa il cesto e per ultimo afferrerà la scopa; i Mòréko prendono arco e frecce, e il Maran buru si mette sulla spalla la scure. Si dirigono al jaher than con movimenti da esaltati, seguiti da tutta la gente del villaggio. Colà giunti, Jaher era scopa il luogo riservato agli spiriti, mentre gli altri stanno a guardare. Cio' fatto, ritornano tutti al villaggio e il sacerdote richiede agli sciamani gli strumenti consegnati prima a loro, facendo il saluto d'uso. Glieli restituiscono. Siedono poi su di una stuoia ed egli dà loro un pugno di riso in segno di benvenuto; essi incominciano a pregare come quando si installano gli spiriti in un nuovo villaggio. Dopo avere loro domandato notizie varie, il sacerdote si fa ridare il riso e lo pone sopra un vaglio, poi rivolge loro vaghe domande a cui fanno segui­to vaghe risposte. In alcuni casi li prega di tenere lontano ogni male, ed essi rispondono che mali non avverranno. Infine il sacerdote lava le gambe prima a Jaher era, poi ai Moréko e per ultimo al Maran buru; versa su di loro l'acqua rimasta ed essi emettono un urlo altissimo. Adesso è Jaher era che lava le gambe ai Mòréko, al Maran buru, al sacerdote e a sua moglie, al capo villaggio e al paranik, infine ai suonatori di tamburo e di corno, e versa l'acqua avanzata sulle loro teste. Il sacerdote si fa restituire il vaso e fa sedere tutti come prima. Per fare ritornare gli sciamani alla normalità, rivolge loro la parola, mentre rullano i tamburi e suona il corno. Ritornati in sé, ricevono una tazza di birra e del riso; così pure tutti i presenti. Dopo avere mangiato e bevuto, danno inizio ai canti.

Sulla cima del pioppo

canta, o Gosa'e, lo scricciolo;

del fico sui pendenti rami

chiama, o Gosae, il picchio.

È al suo volger l'anno:

canta, o Gosae, lo scricciolo.

È di ritorno l'anno:

chiama, o Gosae, il picchio.

Volgendo volge l'anno:

canta, o Gosae, lo scricciolo. Tornando torna l'anno:

chiama, o Gosae, il picchio.

Secondo l'uso, o madre,

avendo posto al dito l'anello.

Secondo l'uso, o madre,

la cavigliera al piede portavo.

Dov'è, sorella, al tuo dito l'anello?

Dov'è, sorella, la cavigliera al piede?

Nella sorgente m'è caduto

l'anello che al dito portavo,

nello stagno è sprofondata

del piede la mia cavigliera.

L'amico mio si e preso

l'anello che al dito portavo,

l'amante mio ha trovato

del piede la mia cavigliera.

Di restituirmi ditegli l'anello

che al dito portavo,

di ritornarmi ditegli

del piede la mia cavigliera.

L'amico tuo non ha

l'anello che al dito portavi,

l'amante tuo non ha

del piede la tua cavigliera.

Danzano tutta la notte fino all'alba e cantano canti appropriati senza nulla di lascivo. Il sacerdote e sua moglie, secondo l'uso stabilito, dormono per terra. All'alba la donna, dopo avere fatto il bagno, prepara la farina. Il godet passa di casa in casa a prendere una gallina, il riso messo da parte per l'occorrenza (curuc caole), sale e turmerico. Il sacerdote raduna tutto il materiale necessario per l'offerta agli spiriti, un cesto nuovo e un cestello in cui ripone il riso seccato al sole (adwa caole), poi vi pone con cura l'olio, il vermiglione profumato; nel vaglio mette la farina e l'accetta. Nel cesto pone la catenella, i braccialetti, le scope. Un giovane non sposato si carica dell'arco e delle frecce, della trombetta di corno di bufalo e di un vaso nuovo per l'acqua. Questo vaso è detto «vaso del buon augurio » (sagun thili). I ragazzi e le ragazze seguono il sacerdote cantando:

Sulla veranda liscia e alta,

sulla stuoia disteso,

solo ha dormito il sacerdote,

steso sul suolo in continenza.

È il canto che richiama l'uso rituale secondo cui il sacer­dote deve mantenersi continente la notte prima della puja. Poi continuano:

Di villaggio in villaggio

le generazioni sbocciano,

crescono di campo in campo

senapa e lenticchie.

Chi le generazioni ha stabilito?

Chi prende senape e lenticchie?

I Cinque le generazioni hanno stabilito;

Jaher era prende senape e lenticchie.

Lungo il tragitto dal villaggio al jaher than seguono ancora altri canti, uno dei quali è un richiamo alla felice fondazione del villaggio, ancora oggi prospero.

Nella boscosa contrada

felici presagi avemmo,

girando e rigirando

il villaggio fondammo.

Ci sono adesso

nere vacche e vitelli;

ci sono adesso

grigie chiocce novelle.

Giunti al boschetto sacro, ancora una volta il sacerdote spalma di sterco bovino diluito il posto degli spiriti. Gli sciamani tornano ad essere impossessati, ed ognuno di loro prende gli strumenti che gli spettano, poi s'inoltrano tra gli alberi, mentre i giovani li seguono da vicino. Adocchiata una pianta di sarjom ricca di fiori, i Mòreko vi scagliano una freccia e il Maran buru sale sulla pianta, stacca i fiori e li lascia cadere. Jaher era li raccoglie ponendoli nel cesto grande. Dopo che il Maran buru ha raccolto anche fiori di mat­kom, portano tutto al jaher.

Il sacerdote riceve dalle loro mani i fiori e gli strumenti con grande atteggiamento di umiltà, cioè con una gamcha avvolta attorno al collo (la gamcha è un pezzo di stoffa che in India e in Bagladesh gli uomini usano portare attorno ai fianchi). Fatti sedere i presenti su di una stuoia sotto la tettoia, inizia, anche lui seduto, i sacrifici agli spiriti. La preghiera che rivolge loro è la stessa che ricorre in tutti i sacrifici, ma usa la formula baha nutumte, cioè quello della festa dei fiori o facendo la festa dei fiori ... Riporto un esempio di preghiera che, pur essendo tipico, non è unico: « Vi saluto, Jaher era, Gosàe era, Moréko-turuiko! Per la festa dei fiori vi facciamo le nostre offerte: ricevetele a piene mani, volentieri, e siatene contenti. Siamo venuti tutti, vicini e lontani, presso di voi ... (si nominano tutti i parenti venuti o che si presume siano venuti). Che nessun male ci colpisca ai piedi e alle mani, alla testa e al ventre; che non sveniamo per strada. Possiamo godere invece buona salute. Bevendo e mangiando a volontà e spolpando ossa non ci prenda mal di pancia o mal di testa. Non si venga a diverbio e che nessuno sveli le nostre scappatelle vicendevoli, che non si faccia baruffa. Possiamo divertirci serenamente danzando e suonando. Salute a voi, o venerati e amati spiriti ».

Ebbi occasione di sentire preghiere molto più sublimi in cui si invocava la grazia del Creatore, la pace e l'aiuto del cielo, ma la finale, rivolta non agli spiriti né a Cando baba, bensì ai presenti, mi fece restare molto perplesso: « Ricordate e comprendete bene: tutte queste cose sono per il corpo e non per l'anima».

Terminati i sacrifici e la preghiera, il sacerdote depone sul posto di ogni spirito un grappolo di fiori di sarjom e un fiore di matkom. La gente riprende a cantare:

I Cinque sono cinque fratelli,

i Sei sono sei fratelli.

Scroscia la pioggia violenta col vento,

e l'acqua chiara fine fine scende.

Con che cosa spalmeranno?

Con che cosa lisceranno?

Con il latte spalmeranno,

con ricotta lisceranno

Olio accettate, prego, e vermiglione,

col sandalo gradite il nero fumo.

Ricevete con l'olio il vermiglione,

ricevete sandalo e nero fumo.

Il sacerdote si rivolge allora agli sciamani e dice loro: « Guardate, prendete », ed emette il sospiro d'offerta (sahak'), ed essi bevono il sangue delle vittime. Il sacerdote lava loro ancora una volta le gambe, ricambiato da Jaher era, poi si buttano vicendevolmente acqua addosso. Ed infine il sacerdote li fa ritornare in sé. Le ragazze che danzavano chiedono fiori al sacerdote, cantando:

Chiediamo, o sorella,

noi chiediamo ai Cinque

i fiori di sal.

Ragazzi e ragazze uno ad uno ricevono i fiori, facendo il saluto d'uso, e riprendono a cantare mentre danzano:

Le giovenche selvatiche, le giovenche selvatiche

corrono uscendo, corrono entrando,

bellissime sono le giovenche selvatiche.

Le bufale selvagge, le bufale selvagge

corrono uscendo, corrono entrando,

bellissime sono le bufale selvagge.

Insieme fanno ritorno al villaggio e cantano:

Il cieco bufalo

è sprofondato

dei bel nel lago.

Dei bel il lago,

o mie ragazze,

è un grande lago.

Queste parole, che i giovani dei due sessi si rimandano, sono di un evidente simbolismo sessuale: i bel o sinjo sono i frutti rotondi e sodi dell'Aegel marmelos e simboleggiano i seni; il lago o stagno l'organo femminile. Il bufalo cieco è il giovane cieco per la passione.

Mentre il sacerdote fa cuocere con riso e acqua la gallina sacrificata dalla piume color marrone, che mangerà insieme alla moglie, alcuni uomini del villaggio fanno cuocere a parte, sempre con riso, le altre gallinelle che consumeranno con gli altri uomini. Poi, lasciato il sacerdote solo nel boschetto, essi ritornano alle proprie case per sacrificare agli spiriti porci e galline da mangiarsi con i membri della propria famiglia e gli invitati.

Verso le tre del pomeriggio, alcuni vanno verso il jaher than battendo i tamburi e suonando i corni per annunciare che il sacerdote sta facendo ritorno al villaggio. Si passano la voce e tutti gli vanno incontro; egli, disposti per bene i fiori nel cesto, li consegna all'accolito che l'accompagna. Si mette alcuni rami fioriti ed il vaglio sotto il braccio, prende il vaso metallico dell'acqua, tenendolo sospeso con le dita, ma fa mettere il vaso d'acqua, detto del buon augurio, sulle spalle dell'accolito. Tutti gli altri oggetti, usati per la puja, possono essere portati via da persone qualsiasi.

Le ragazze intanto sul chatka, lo spazio libro davanti alla casa, che non è mai il cortile quando la casa è circondata da mura, hanno preparato tutto l'occorrente per ricevere il sacerdote e il suo accolito: il vaso dell'acqua, il piccolo sgabello e il vasetto dell'olio. Quando costui arriva alla prima casa, una ragazza gli si fa incontro, nel posto sopraddetto, gli lava i piedi, prima il sinistro poi il destro; lui le consegna una manciata di fiori, mettendoli nella cocca del vestito. La ragazza gli rivolge il saluto e si versano vicendevolmente acqua sul capo o sul corpo; così la ragazza fa con l'accolito che, se è più giovane di lei, le si inchinerà davanti profondamente. In questo modo continuano di casa in casa, compresa la propria. Il sacerdote prima di entrare in casa sua versa sul tetto l'acqua contenuta nel vaso metallico (lota). Entrano con lui anche quelli che l'avessero accompagnato e offre loro due tazze di birra. Per le strade del villaggio, intanto, ragazzi e ragazze fanno gazzarra, buttandosi acqua addosso; lo stesso fanno uomini e donne che non sono impediti dall'obbligo dell'evitazione parentale. Riprendono la danza nel cortile del sacerdote e cantano:

Nel cortile di chi, o ragazza,

lo splendido cavallo?

Nella strada di chi, o ragazza,

la splendida cavalla verde?

Nel cortile del sacerdote, o ragazza,

è lo splendido cavallo bianco.

Nella strada del sacerdote, o ragazza

è la splendida cavalla verde.

Dondola avanti e indietro, o ragazza

lo splendido cavallo bianco,

saltella lievemente, o ragazza

la splendida cavalla verde.

Ti metta il jhumka

lo splendido cavallo bianco.

Ti metta l'urmal

la splendida cavalla verde.

Anche qui è evidente che il cavallo è un ragazzo e la cavalla una ragazza. Il jhumka e l'urmal sono due ornamenti a sonagliera che, secondo alcuni vecchi santal di Pargaun, sarebbero simboli dei sessi; l'ultima strofa quindi sarebbe un invito all'unione sessuale.

Danzano e bevono birra di riso; cantano i canti del Baha nel cortile del sacerdote fino a che il sole è tramontato. Al tramonto del sole, vanno davanti alla casa del capo villaggio e danzano il lagre. Quando sono stanchi di danzare, ognuno se ne torna a casa propria.

Il lagre è una delle più comuni danze santal, e anche una delle più eccitanti per i movimenti del corpo volutamente sensuali. Sono soltanto tre i ragazzi che con i tamburi suonano davanti alle ragazze unite in semicerchio; naturalmente si danno i turni. È negli intervalli che i giovani si appartano per giochi amorosi.

Come si vede, anche la festa del Baha, sebbene non paragonabile al Sohrae, nonostante la protesta di morigeratezza del vecchio Koelan e a quanto affermano alcuni missionari, è una buona occasione per i giovani santal di dare sfogo all'ardore dei loro sensi, come dicono essi stessi: kuri kora netar matao akante lagreko eneca manjhi chatkare (oggi-giorno ragazzi e ragazze, essendo selvaggiamente in amore, danzano il lagre davanti alla casa del capo villaggio). L'affer­mazione in bocca a vecchi santal è senza dubbio esagerata, e palesa la solita tendenza a lodare i vecchi tempi come migliori. Tuttavia non è neppure il caso di chiudere gli occhi alla realtà. Resto comunque del parere che il popolo santal è uno dei più sani di tutti gli aborigeni, non solo del Bangladesh, ma di tutta l'India.

Il giorno dopo il kudam naeke o secondo sacerdote, insieme al godet, si reca nella giungla, si produce delle ferite con delle spine nelle cosce o sul petto e offre riso, bagnato del proprio sangue, allo spirito del Pargana, e così fa con tutti gli spiriti minori, detti bahre bonga, e infine a tutti gli altri spiriti. In questo modo si conclude il Baha porob.

Come ho visto il Baha

Quando il 6 aprile 1976 mi recai a Subra, un piccolo villaggio lungo la strada che va da Dinajpur a Thakurgaon, a circa tre miglia dalla città, era già trascorso il tempo normale della festa dei fiori. Nella foresta il sarjom aveva già perduto le sue profumate fioriture. Ma a questo neppure pensavano gli abitanti di Subra, perché da lungo tempo nelle vicinanze del villaggio non esistono piante di sarjom; un altro motivo aveva consigliato, forse, a ritardare la festa: il sacerdote Baburam Baske era ammalato. Vi andai in compagnia di Suku Hasdak e, appena giunto sotto gli ombrosi mango che circondano le case, fui invitato a recarmi presso il boschetto sacro, trecento metri circa fuori del villaggio. Non esiste foresta in quel posto: solo alcune macchie di bambù, arbusti da giungla e qualche albero. E proprio vicino ad alcuni alberi era stato preparato il than per la puja. Sul luogo erano presenti alcuni uomini e ragazzi, uno dei quali avrebbe fatto da accolito. Ad est notai subito una sola capanna in miniatu­ra, costruita con alcuni pezzi di bambù e sauri (Heteropogon contortus) ai piedi di un ome (Miliusia velutina), posto riservato ai Moréko e al Maran buru. Ad ovest, vicino a tre piante da giungla erano installati i Turuiko e lo spirito del Pargana. In quanto ai Turuiko sono rimasto un po' sorpreso; me li aspettavo infatti uniti ai Moréko; tanto meno pensavo che avrebbero sacrificato anche a loro, avendo ripetutamente sentito dire che si offrono loro offerte, non sacrifici. A nord c'era il than per Jaher era e Gosae era; a sud invece, non essendoci niente, mi posi io per osservare lo svolgimento della puja. A nord del khond per Jaher era e Gosàe era furono piantate due sottili canne di bambù, che sostituivano le frec­ce legate con tre giri di filo bianco. Oltre ancora erano state deposte delle banane, e sopra un vaglio c'era tutto l'occorren­te per preparare la prosad, l'olio e il vermiglione.

Essendo ammalato, il sacerdote Baburam Baske venne sostituito da un fratello maggiore che è capo villaggio. Questi preparò i singoli khònd per gli spiriti e, sedutosi, diede inizio ai sacrifici. Segnò le vittime con il vermiglione solo sulla testa. Sacrificò una colombella a Gosae era e una gallinella per ognuno degli altri spiriti. Offerse due gallinelle a Gosàe era e a Jaher era senza ucciderle; le consegnò invece all'acco­lito presente, il quale le portò in villaggio per sacrificarle sul manjhi than, e riportò indietro le sole teste che gettò vicino al khònd del Pargana e dei Turuiko. Questo sacrificio, mi dissero, avrebbe dovuto farlo il sacerdote. Durante i sacrifici, di tanto in tanto il manjhi-sacerdote poneva dell'incenso su un fuocherello di sterco secco di bue davanti ai khònd di Jaher era e Gosàe era.

Terminati i sacrifici, egli preparò la prosad: spappolò alcune banane, vi unì dei murkhi (piccoli dolci), della batasa (specie di zucchero soffiato); la offrì soltanto a Gosàe era e a Jalaer era, poi la distribuì a tutti i bambini e le bambine presenti e ad alcuni giovani.

Poco distante dal luogo della puja spennarono e abbrustolirono lievemente al fuoco le vittime e le fecero a pezzi per preparare il sure daka, cioè una minestra di riso e carne, che fecero cuocere in un recipiente preparato al momento con canne di bambù, ad est del than del Maran huru e dei Moréko. Nel frattempo mi recai al villaggio dove uomini e donne avevano iniziato la danza al suono dei tamburi e canti. Precedendoli, arrivai al jaber than dove mi raggiunsero poco dopo suonando e danzando freneticamente. Come strumenti musicali avevano solo due dhol e un tamak (i primi sono tamburi lunghi e ovali, il secondo è un tamburo semisferico), alcuni sonagli e un corno. Uomini e donne erano vestiti a festa: le prime indossavano sari sgargianti e fiori nei capelli; i secondi dhuti nuovi e maglietta bianca o camicia di colore, cosa abbastanza insolita per i poveri Santal. Quando uomini e donne, dopo avere danzato e suonato a lungo vicino al jaher than, fecero ritorno al villaggio accompagnati da uno stuolo di bambini e sempre a passo di danza, li seguii mentre ancora il sacerdote e alcuni uomini stavano cucinando il sure daka.

Se si esclude la preparazione del jaher than, la festa si svolse in un solo giorno. Mi dissero che ciò succedeva, come già avevo sentito dire per il sohrai, a causa della carestia. Non potei assistere alla lavanda dei piedi e all'offerta dei fiori, fatte dal sacerdote, perché si era fatto troppo tardi. Seppi in seguito che tutto si era svolto normalmente con un lauto pasto, abbondante bevuta di birra, canti e danze. Ciò fa pensare che, nonostante la carestia, i Santal non rinunciano alle loro feste tradizionali. Ma una cosa tuttavia è certa, che tra i Santal del Bangladesh, come tra gli altri aborigeni, le feste hanno perso molto del loro fascino. Questo è vero non solo per quelli che si trovano vicino alle città, ma anche per tutti gli altri. Ciò è dovuto alle nuove condizioni ambientali venutesi a formare in questi ultimi trenta anni. La scomparsa della foresta, ad esempio, ha influito moltissimo, insieme all'esplosione demografica dei musulmani, al ridimensionamento delle feste. Questi ultimi infatti hanno costretto i Santal a ritirarsi in ambienti sempre più ristretti, e non hanno esitato a fare piazza pulita delle poche piante che ancora crescevano nelle vicinanze dei villaggi santal.

Nella festa del Baha, ad esempio, la caccia o viene omessa o si riduce ad una scorribanda di alcune ore tra la sterpaglia dei campi vicini al villaggio, per snidare una lepre o una pernice. In molti posti a stento si riesce a racimolare un po' di fiori per ornarsi e per compiere la cerimonia finale e non sono certo gli alberi del boschetto sacro a fornirli. Nel jaher than di Subra non esiste una sola pianta di sal, né un albero di matkom. Quando vi andai, pochi corimbi di fiori stavano sbocciando sulla pianta di ome. Quelli che le donne portavano nei capelli erano forse stati colti da qualche alberello del villaggio, ed erano per lo più fiori di arbusti che crescono nei giardini. Gli abiti sgargianti non potevano certo supplire alla penuria di fiori. Ricordo il commento del capo villaggio quando accennai alla mancanza degli alberi di sal: « Chi può pensare ancora ai fiori di sal là dove tutto è stato distrutto? Oggigiorno dobbiamo accontentarci di quello che c'è ». Il che vuol dire rinunciare a gran parte delle cerimonie durante la festa, ridurla al minimo, senza lasciarla scomparire, perché il Santal sente il bisogno delle feste, di vincere con l'allegria la paura degli spiriti.

A Subra non comparvero neppure gli sciamani, la presenza dei quali, per mancanza di alberi fioriti, si sarebbe ridotta a pura comparsa. Ciò che resta in queste feste, oltre i sacrifici agli spiriti, sono il canto e la danza, la birra che ogni famiglia santal si procura anche a costo di sacrificare i pasti. Molte volte ho visto persone ridurre il già frugale pasto giornaliero per mettere da parte un po' di riso con il quale fare la birra indispensabile durante le feste. Anche gli strumenti musicali sembrano in diminuzione; resistono solo i tamburi di varia forma e grandezza, il flauto, rari strumenti a corda, l'armonio con mantice a mano, i piatti.

4.2 Festa del Sohrae


La festa del Sohrae, secondo il Bodding, deriva il suo nome dal mese omonimo, chiamato oggi comunemente kartik, corrispondente alla fine di ottobre e alla prima metà di novembre. Non si sa di preciso perché venisse chiamato Sohrae dai Santal. Il Campbell non fa nessun cenno in proposito. Sempre secondo il Bodding, si tratta di una festa molto simile a quella del raccolto. Infatti egli spiega che i Santal anticamente coltivavano granaglie di giungla e facevano il raccolto durante il mese di kartik, detto da essi sohrae, e osservavano tale festa durante questo mese. Poi, quando venne introdotta la coltivazione del riso, ritardando il raccolto, la festa fu trasferita alla fine del mese di pus che va da metà dicembre a metà gennaio. Egli sembra ignorare completamente la tradizione orale relativa all'origine della festa. Stando a quella tradizione, non sembra che il Sohrae possa considerarsi una festa di capodanno, neppure oggi, sebbene il Bodding dica che i Santal considerano il mese pus l'ultimo dell'anno. Ciò sembra invece doversi attribuire al Baha, e sono i canti stessi a confermarlo. Neppure penso che si possa considerare una festa di ringraziamento per l'avvenuto raccolto. L'orgia sessuale che l'accompagna potrebbe fare pensare ad una festa di inaugurazione stagionale, ma in questa festa la stagione non c'entra per niente. Archer dice che è una festa dell'ultimo raccolto, e siccome il raccolto del riso dipende dall'aratura, è principalmente una festa del bestiame e della fertilità. Effettivamente il rito del camaura, che viene ripetuto tre volte durante il Sohrae, è compiuto per la fertilità e prosperità dei bovini. Anche il Campbell definisce il Sohrae una festa del raccolto. Noto comunque che la festa ricorre un bel po' dopo il raccolto, per quanto riguarda il Bangladesh, e non c'è alcun cenno al ringraziamento neppure nelle pre­ghiere. Passiamo ora alla tradizione orale circa l'origine della festa.

Origine del Sohrae

Fu un guruji mahali del clan Bedea a stabilire tra i Santal la festa del Sohrae. Al tempo del primo Baha i Mahali facevano vagli con le guaine del bambù spinoso, ma a poco a poco capirono che era molto più conveniente adoperare il bambù stesso per un tale genere di confezioni. Così incomin­ciarono ad intrecciare cesti piccoli e grandi, e vagli con stecchetti e lamelle di bambù. L'hatak o vaglio, molto utile per ripulire i grani della giungla, era destinato ad assumere un ruolo importante in quasi tutte le feste santal, ma particolarmente durante la festa del Sohrae. Anche per l'uso famigliare il vaglio si diffuse assai rapidamente, e i Mahali per ognuno di questi ricevevano una coppa di gascaole o riso d'erba che alcuni studiosi identificano con i grani del sama ghas o Panicum colonum.

Con l'andar del tempo, i guruji mahali, totalmente assor­biti nel commercio dei loro oggetti di bambù, cominciarono a trascurare le feste per quanto concerneva la puja agli spiriti. E anche il popolo santal minacciava di cadere nell'indifferenza. Fu allora che un guruji mahali di nome Carlu pensò di ricorrere ai ripari dividendo i territori abitati dai Santal in tante zone, affidandone una per ogni guru mahali. Nella zona di sua giurisdizione il guru aveva il diritto di vendere la sua mercanzia, ma allo stesso tempo aveva il dovere di eseguire tutti i riti e le cerimonie proprie della puja agli spiriti. Ma anche questo provvedimento non raggiunse lo scopo, perché il desiderio di guadagno superava la devozione agli spiriti. E le cose minacciavano di ritornare come prima. Dopo alcuni anni un altro guruji mahali, sempre del clan Bedea, dicendosi inviato degli spiriti, mise mano alla questione. Questo tale di nome Kurdha un giorno comparve in mezzo alla gente con in mano un ramo di hesak', sul quale restavano solo cinque foglie. Passando di villaggio in villaggio spiegava che era un inviato del Maran buru, e diceva: « Io sono il ramo e le cinque foglie rappresentano cinque giorni, dopo i quali dovrete venire a me che vi istruirò sul modo di onorare gli spiriti. Come queste foglie si muovono al vento e si voltano su e giù, così deve essere dei riti riguardanti la puja. Essi dovranno essere cambiati secondo il volere degli spiriti. Quell'azione simbolica o parwana venne chiamata cali neo dhar­wak'. Il sesto giorno la gente si radunò in gran numero e interrogarono il guruji sul motivo per cui li aveva chiamati a raccolta. Egli rispose che un giorno, di ritorno da una puja, il Maran buru si era degnato di comparirgli e gli aveva detto che non poteva continuare da solo il suo ufficio di cerimoniere. Perciò doveva insegnare alla gente il modo di venerare gli spiriti e stabilire tra loro gli incaricati per la puja. Mentre parlavano, disse, molti altri spiriti si erano uniti a loro e tutti insistettero perché insegnasse alla gente il modo di acconten­tarli. La gente radunata rispose di essere completamente ignorante in materia e lo pregò di istruirli. Kurdha allora si rivolse a tutti i guru mahali e disse loro di recarsi nei loro mahal, cioè cioè nelle loro zone, e di stabilire i loro posti di vendita in un luogo adatto lungo la strada. Lì dovevano fare i mantar, jharni, ran rehet, tutto ciò che concerneva la venerazione degli spiriti, e che lo insegnassero a persone adatte, le quali avrebbero dovuto continuare il loro lavoro. Poi dovevano insegnare loro tutte le cerimonie riguardanti la puja. I presenti approvarono e chiamarono la fine del raduno baisi uthau. Tre giorni dopo tutti i guru andarono nelle rispettive zone, mangiarono presso la gente e stabilirono il posto adatto per radunarsi.

Era il pas conio, cioè il mese di pus, quando fissarono quello che in seguito fo chiamato cela durup' akhra, cioè il luogo dove dovevano insegnare ai discepoli tutto ciò che sapevano riguardo a scongiuri, esorcismi e medicina oltre alle cerimonie per onorare agli spiriti.

Un anno, dorante il cela durup akhra nel villaggio di Uldiha, successe il seguente fatto. Finito il raduno, la gente se ne ritornò a casa. Ma alcuni giovani rimasero in villaggio allo scopo di prendere una ragazza. Costei si chiamava Lokhi ed era figlia del paranik. I giovani si chiamavano Sorai, Samiel, Samu e Ramu.

A notte fonda, mentre tutti dormivano, i quattro giovani entrarono in casa del paranik, il vecchio Bajun, per violentare la giovane Lokhi, ma la ragazza si mise a strillare e il vecchio e la moglie Karmi Marneli si alzarono dalla veranda dove dormivano e accesero il fuoco illuminando la casa. Sorai si nascose all'ombra della porta, mentre Samiel, Ramu e Samu si ritirarono sulla strada davanti alla casa. Era la luna nuova di pus, perciò era molto scuro. Non vedendo alcuno, i vecchi si rimisero a dormire; ma poco dopo Surai Besra ritornò per prendere la ragazza. Essa si mise a strillare più di prima, e i suoi genitori riaccesero la luce e entrarono in casa. Mentre il giovane fuggiva, il vecchio tentò di colpirlo con una lunga lancia. Il colpo andò a vuoto, però il vecchio vide dove il giovane si era rifugiato; scagliò per una seconda volta la lancia ferendo il giovane alla coscia. Quegli riuscì tuttavia a fuggire dove si trovavano ancora nascosti i suoi amici. Spaventati, si accorsero che la lancia era profondamente penetrata nelle carni del giovane, e gli pendeva dalla gamba. Tentarono di estrarla, ma inutilmente perché le alette della punta impedivano di farla uscire. Decisero di portarlo a casa di uno di loro. Per estrarre la lancia dovettero incidere la coscia, e la perdita di sangue fu tale che il giovane morì.

Il mattino dopo il paranik riferì l'accaduto al capo del villaggio. Egli stabilì di discutere la cosa il giorno dopo. Intanto si era sparsa la notizia che Surai era morto. Durante il consiglio del villaggio il giovane risultò colpevole e i mag­giorenti ordinarono alla gente di seppellirlo senza piangerlo, poi si rivolsero al guru del villaggio per chiedergli consiglio. Era costui un Mahali del clan dei Bedea. Egli si recò dal godet e gli disse di andare di casa in casa a chiedere mezzo chilo di riso e di preparare con esso la birra. Dopo cinque giorni, quando la birra fu pronta, se ne fece dare un'olla e fece radunare tutta la gente del villaggio richiedendo ed ottenendo da ogni famiglia un mezzo chilo di riso e una gallina. Fece portare ogni cosa sul grande spazio ove si faceva la puja. Tutta la gente si radunò colà. Il guru, dopo avere fatto il bagno, preparò un than per la puja, vi disegnò il rettangolo magico e vi cosparse sopra il vermiglione, Surai nutumte, cioè in nome di Surai. Preso un uovo, lo ruppe e lo versò in una tazza di foglie, poi lo fece cuocere nelle ceneri di un fuocherello preparato prima e se lo mangiò. Gli uomini fecero a pezzi le galline e insieme ad altri ingredienti, riso e acqua, le cucinarono entro una sola olla su fuoco di sterpi preparato al momento. Questa minestra di riso e carne è d'obbligo in tutte le puja maggiori, ed è mangiata dai soli uomini del villaggio. Bevvero la birra che era stata preparata dal godet con il riso questuato nel villaggio. Dopo suonarono, cantarono e danzarono per ordine del guru, il quale infine li fece sedere e tenne il seguente discorsetto: « Avete visto e ascoltato, mangiato e bevuto, fatto il bagno, abbiamo reso Surai splendente come una cavigliera, domani faremo la puja nelle nostre case; in nome di tutti i morti che possiamo ricordare offriremo riso cotto, birra e focacce, affinché facciano amicizia con Surai e l'accolgano bene. Dopodomani, cucinato riso e curry, mangeremo con gli invitati, e ci divertiremo suonando e danzando. Quel giorno faremo divertire anche gli animali da stalla. Il giorno susseguente si divertiranno tutti, giovani e vecchi. E infine al quinto giorno, partendo da oggi, puliremo tutte le stoviglie mettendo fine ai divertimenti. Questa festa sarà grande, e durante i cinque giorni i vecchi si ottureranno le orecchie con il cotone e si benderanno gli occhi, come si fa con il bue che gira la macina, per non vedere e non sentire quello che i giovani fanno. Essi saranno liberi di fare ciò che vogliono e non saranno giudicati per il loro operato. Voi ragazzi prendete ragazze vergini, e voi ragazze prendete ragazzi non sposati. In questi giorni ragazzi e ragazze stiano presso il jog manjhi, perché i quattro amici andarono dal paranik Bajun per divertirsi, ma il vecchio trafisse Surai prima che potesse soddisfare il suo desiderio. E nel nome di Surai trafitto (Surai sohoradete) celebreremo questi giorni di festa e li chiameremo Sohrae.

Descrizione del Sohrae

Nel libro della tradizione si dice che il Sohrae è la grande festa santal celebrata nel mese di pus, dopo che si è finito di mietere il riso. Non c'è pero un giorno fisso. Quando in un villaggio intervenisse qualche impurità legale dovuta a nascita o morte, la festa si può tramandare. A volte i capi villaggio di una zona si mettono d'accordo per festeggiare in giorni diversi, in modo da prolungare il più possibile il periodo della festa. Ricordo che un anno, mentre ero a Dhanjuri, il Sohrae nei villaggi circonvicini durò quasi due mesi.

Dice Koelan che, con il nuovo raccolto, si rimpinzano anche gli spiriti e si onorano parenti ed amici con l'ospitalità. Spetta al capo villaggio con il consiglio dei maggiorenti stabilire il giorno d'apertura della festa, Ed è il capo villaggio a ordinare al godet di provvedere al got handi, cioè alla birra estratta dal riso raccolto tra i membri della comunità e che verrà bevuta dopo la got puja, cioè la puja pubblica del Sohrae. A quest'ultimo spetterà avvisare ogni famiglia perché provveda alla birra per il proprio consumo e il consumo degli ospiti. Il dì precedente la festa è ancora il godet che dovrà provvedere tre galline, una dalle penne color marrone e due bianche, per il sacerdote. Secondo l'uso, quella notte il sacerdote non dormirà sul letto, né avvicinerà la moglie, ma dovrà dormire, solo, sulla stuoia sotto la veranda. Il giorno seguente il godet passa di casa in casa per questuare una gallina e circa mezzo chilo di riso con sale e turmerico. Con una parte del riso raccolto, la moglie del sacerdote prepara la farina che userà il marito per la puja. Verso le dieci del mattino egli va a fare il bagno per poi dare inizio al rito. Nel luogo scelto prepara con la farina un khond rettangolare da nord a sud dopo aver pulito e lisciato con sterco di vacca il terreno. Suddivide il rettangolo magico in tante caselle quanti sono gli spiriti a cui farà i sacrifici. In ognuna di esse mette un pizzico di riso, e vicino a questo tre presette di vermiglione. Asperge con acqua soltanto la gallina dalla piume color marrone, e le pone il vermiglione sulla testa, sulle ali e sulle zampe. Poi santifica l'uovo posto sopra il riso raccolto nel villaggio dal godet, segnandolo con il vermiglione. Mentre getta del riso alla gallina, recita una preghiera simile a quella riportata parlando del Baha. Terminata la preghiera, sacrifica la gallina sopraddetta. Koelan non dice a quale spirito. Così procede con tutte le altre vittime. La carne degli animali sacrificati verrà tagliata e cotta con riso e spezie varie nell'acqua e suddivisa tra gli uomini del villaggio, i quali berranno sul posto della puja anche il got handi, di cui si è parlato sopra.

Dopo essersi assicurato che tutti sono in buona salute e contenti, il capo villaggio assicura che per grazia di Thakur, il Signore, tutti avranno bene. Essendo ormai giunto il tempo del Sohrae, si divertano e gioiscano durante i cinque giorni, non facciano baruffa e non portino invidia agli altri; se de­vono dare sfogo alle proprie passioni scelgano pure la donna che vogliono, ma non quelle con cui è vietato unirsi. I maggiorenti allora dicono che si chiuderanno le orecchie con il cotone per non sentire e si benderanno gli occhi per non vedere. E danno il via ai canti:

Chi ha creato la terra?

Chi ha creato la vacca?

La vacca chi l'ha creata?

Tahkur la terra ha creato,

Thakur la vacca ha creato,

Creato ha la vacca Thakur.

Anche Tirmuti ha creato;

Karmu, il vaccaro ha creato.

Andate sono le vacche a levante,

A levante sono andate le vacche.

Il flauto dove perdesti, o ragazzo,

il flauto che appeso al fianco portavi?

Dove, o ragazzo, perdesti le vacche?

Tu le vacche in qual posto perdesti?

Nel cortile perdetti il mio flauto,

il flauto che appeso al fianco portavo.

Tra folte macchie le vacche smarrii,

smarrii le vacche tra macchie di bosco.

Faccio notare che nel libro della tradizione sono riportati canti molto semplici. Ma sono numerosi i canti del Sohrae e tutt'altro che pudichi. Ma sarebbe troppo lungo riprodurre anche solo quelli che ho sotto mano.

Il Tirmuti della canzone è un uccello che, secondo una tradizione, portò via di mano al sacerdote la gallina che stava sacrificando durante la prima puja del Sohrae. Karmu, il vaccaro, dicono, è ancora Surai, in onore del quale si fa la festa. Le vacche si dirigono ad oriente, perché è di là che arriva Thakur, il loro creatore. Il resto della canzone è un pretesto per invitare tutti i vaccari a raccogliere i propri bovini e portarli al luogo della puja per una singolare gara: gli animali vengono spinti là dove sta l'uovo consacrato dal sacerdote all'inizio della puja. Sarà premiato il vaccaro il cui animale riuscirà a pestare o ad annusare per primo l'uovo posto sul luogo della cerimonia. Ma prima che gli animali vengano sospinti verso il khònd, il sacerdote si fa dare tutti i bastoni che i vaccari usano al pascolo, li unge con vermiglione mescolato ad olio e li depone presso il rettangolo magico. L'animale, che per primo calpesta o annusa l'uovo consacrato, viene preso, gli lavano le gambe, gli ungono d'olio le corna e lo segnano con il vermiglione. Il vaccaro del fortuna­to animale è portato in trionfo fino alla casa del capo villaggio che viene riverito dal ragazzo e, dopo di lui, tutti gli anziani presenti. Quando i tamburi cominciano a rullare, la gente si reca prima alla casa del sacerdote e poi a quella del capo villaggio per avere birra. Terminato di bere, quest'ultimo si rivolge al jog manjhi e al paranik affidando loro ragazzi e ragazze per tutto il tempo della festa. Poi ognuno si ritira nella propria casa per mangiare e bere. Fattasi notte i vecchi e le vecchie vanno a dormire mentre i giovani gaiko jagaokoa, cioè benedicono le vacche perché siano fertili. Si portano davanti alla stalla del capo villaggio, suonano il flauto, battono i tamburi, gridano e cantano:

Nella foresta di Siribinda

a la pastura la giovenca è andata.

La bufala è andata al di là del Gange,

al di là del Gange per pascolare.

È ritornata a sera la giovenca.

Nel mezzo della notte è ritornata,

è tornata la bufala, è tornata.

Col vermiglione qual corno ungerò?

Oltre qual dorso il riso scaglierò?

Oltre qual dorso gramigna porrò?

Siribinda è detta la foresta della fortuna: è luogo di pellegrinaggio presso Mathura sul Jamuna, dove i Santal si recano per avere prosperità. Attraversare il Gange e fare il bagno nelle sue acque, per le donne santal sta ad indicare la cessazione della mestruazione, segno di fecondazione. L'ultima strofa del canto si riferisce al cumaura che eseguiranno subito dopo le ragazze. Sebbene benedicano tutti i bovini, ne nominano di preferenza alcuni oltre la cui schiena scagliano riso e gramigna come segno di benedizione per ottenere loro la fecondità.

I giovani, cantando, battendo i tamburi e suonando il flauto, passano lungo la strada, si soffermano ad ogni stalla e gridano espressioni oscene, ma nessuno vi dà importanza. Terminato il giro dei ragazzi, le ragazze gaiko cumaurakoa, cioè benedicono a loro volta i bovini. Anch'esse incominciano dalla stalla del capo villaggio, passando poi di stalla in stalla. Portano con sé riso comune mescolato a riso seccato al sole (adwa caole), gramigna (dhubi ghas, Cynodon dactylon), il tutto su di un vaglio, e un lumino a petrolio. Recitano una preghiera a mo' di filastrocca, nominando alcuni animali e chiedendo per loro la fecondità, poi lanciano riso e gramigna verso di essi. Passando lungo la strada cantano:

Con le movenze di svelta tortora

e saltellando come nero corvo

del capo villaggio uscirà il garzone,

del paranik l'ancella fuor verrà.

Davanti alle stalle dove si trovano delle bufale usano cantare il seguente canto:

Di chi sono le belle vacche bianche?

Di chi le bufale dal nero dorso?

Del tal sono le belle vacche bianche,

del tal le bufale dal nero dorso.

Delle bufale forti son le gambe,

del piccione sottili son le gambe.

Nella foresta di Sin sono andate

di Manegor nel bosco sono andate.

Di grazia, falle ritornar, ti prego!

Fa che ritornino sane alla stalla.

Di Sin nella foresta vive il lupo,

La tigre figlia a Manegor nel bosco.

Terminata la benedizione, ragazzi e ragazze si mettono a danzare lungo la strada (khulhi daran). I ragazzi battono i tamburi e suonano il flauto, mentre le ragazze suonano i cembali e danzano facendo un fracasso orgiastico. Fattosi mattina ripetono i riti della sera presso ogni stalla. I ragazzi cantano:

Il gallo canta, la notte è passata,

ragazzo, alzati, svegliati, ragazzo.

Non svegliarmi, babbo, non farmi alzare,

ubriaco di sonno sono, o babbo.

Prendi il bastone ed i sandali calza,

e andar alfin potrai del tutto sveglio.

Ho tradotto con « bastone » la parola tainia: non si tratta di un bastone normale, ma di una canna alquanto lunga che usavano un tempo per accompagnare la danza, battendolo per terra e facendone vibrare la sommità a cui erano attaccati tre anelli intrecciati. Dopo i ragazzi, le ragazze eseguono il seguente canto:

Il gallo canta, s'è fatto mattino,

o figlio, alzati, su svegliati, o figlio.

Non svegliarmi, o mamma, non farmi alzare

ubriaco sono di sonno, o mamma,

Prendi il bastone ed i sandali calza,

e le vacche al pascolo porterai.

Con un bastone d'oro, o madre mia,

al pascolo le vacche condurrò,

e con d'argento un flauto, o madre mia,

suonando, a casa le riporterò.

Terminato il giro delle stalle, i vaccari lasciano libere le bestie, e le ragazze smettono di danzare per incominciare i lavori in casa. I giovanotti invece, davanti alla casa del capo villaggio, danzano il danta, una danza molto semplice eseguita da soli uomini con particolari movimenti delle mani e del corpo, e cantano:

Andiamo, pescatori,

andiamo su a pescare!

Il pesce ha abboccato,

scendiam nella palude.

Chi dice: il vecchio è morto;

chi dice: il vecchio vive.

Stan facendo esorcismi,

spalmando terra rossa

e il vecchio si lamenta,

si lamenta il vecchio.

Non saprei dire il perché di questa canzone, dalle parole apparentemente chiare e strofe sconnesse. Se ne chiedi il motivo ai vecchi, ti rispondono: « Così per spasso ».

Mentre i giovani cantano e danzano, le donne in casa scopano, passano lo sterco di bue, preparando la farina per le focacce. Terminato di danzare, i giovani gadoeako, cioè pas­sano da un capo all'altro del villaggio battendo gli stecconati per tenere lontano i golosi, dicono. Arrivati davanti alla casa del godet, chatka duarreko sin esedea godet: lo rinchiudono nel recinto di casa sua, e non gli permettono di uscire finché non abbia dato loro una tazza di birra. Dopo avere bevuto, lo lasciano libero e continuano a battere gli stecconati fino in fondo al villaggio. Colà giunti costruiscono dei fantocci di paglia che portano davanti alla casa del capo villaggio, dove li fanno ballare a mo' di marionette, mentre alcuni si fingono venditori ambulanti o santoni mendicanti. Il manjhi consegna loro del riso, ed essi allora vanno di casa in casa per questuarne altro. Terminata la questua, lo consegnano al jog manjhi. Questo riso verrà cotto più tardi con altro e mangiato da tutti gli abitanti del villaggio.

È giunto il momento del bagno. Tutti gli uomini, preso giogo, accetta e coltello, si recano allo stagno o al fiume per lavarsi, poi di ritorno danno inizio ai sacrifici delle galline e dei maiali. Fanno la puja al Maran buru, agli spiriti della casa, e agli Antenati sacrificano un animale abbattendolo con un colpo alla testa. A fare i sacrifici è colui che funge da capo famiglia. Prepara il khònd con la farina, vi mette den­tro un pizzico di riso e cinque presette di vermiglione; asperge con acqua le vittime e mette il vermiglione sulla testa, sulle scapole e sulle zampe. Dà il via alla solita preghiera mentre fa mangiare il riso del khònd alle vittime destinate agli spiriti. La vittima riservata agli Antenati mangia invece il riso da un vassoio di foglie; poi viene uccisa con un colpo sulla testa. Al Maran buru e agli Antenati viene anche fatta una libagione di birra.

Terminati i sacrifici, viene preparato il curry con la carne delle vittime. Ma la carne della vittima offerta agli Antenati viene cucinata a parte e, dopo cotta, qualche pezzetto con un po' di riso è buttato per terra a mo' di offerta, mentre gli interessati vengono pregati di accettare ed accontentarsi di ciò che è stato loro offerto. Segue un canto:

Piccolo il pollo, piccolo il maiale,

ed i parenti numerosi sono;

con il curry il riso cucinerò

con voi, o Padri, divider non potrò.

Terminato il pasto, sempre accompagnato da birra, si va ad ornare la stalla. Qualcuno disegna ornamenti sulla porta servendosi di un liquido ricavato dalle foglie di atnak (terminalia tomentosa, simbolo di prosperità) mescolato con farina di riso. La pastetta così ottenuta serve anche a spruzzare tutti i pali della stalla. Lo stesso si farà con il palo al quale si legheranno gli animali con il dhaoa di cui parleremo in seguito. I pali vengono segnati anche con vermiglione. I vecchi e le vecchie si ritirano a bere birra nelle case, mentre i giovani tornano a danzare lungo la strada del villaggio. Se i vecchi si recano a bere birra in casa d'altri, allora cantano:

Sedete, amici, oppure state in piedi;

da bere e da mangiare non abbiamo,

è dolce però negli occhi guardarci.

In penuria siamo, amici,

ma voi in abbondanza siete.

I semi, amici, non abbiam avuto,

i figli tutti stan soffrendo fame.

Com'è evidente il canto è una scusa per scroccare birra agli amici.

Il mattino dopo alla casa del capo villaggio suonano i tamburi per radunare la gente. Accorrono per primi i capi famiglia e il manjhi domanda loro se stanno tutti bene, compresi i poveri, orfani e vedove. Ricevuta risposta affermativa, dà loro birra a volontà. Dopo s'informa se i sacrifici agli Antenati sono stati fatti secondo le regole in tutte le case e, naturalmente, ha risposta affermativa. Ordina al jog manjhi di fare preparare le buche davanti a casa sua e alla casa dei suoi quattro ufficiali per piantarvi i pali per il kuntau o legamento degli animali durante il gioco del dhaoa. Il vice capo passa l'ordine ai giovani che ricevono in compenso da lui riso, curry e birra; ma, terminato di mangiare, devono prestarsi a travasare la prima birra, spappolare il riso macerato e aggiungere acqua per la seconda birra, poi vengono congedati. Tutti gli altri abitanti del villaggio piantano il palo davanti a casa propria.

Dopo mezzogiorno i vaccari vanno a prendere le vacche nei campi, le conducono in stalla, dove le ungono d'olio. La padrona di casa o un'altra donna fa fare il bagno al vaccaro sulla porta della stalla, lo unge d'olio e, condottolo in casa, gli offre focacce e riso soffiato. Il jog manjhi dà l'ordine ai ragazzi di iniziare il gai jagao* e di preparare i dhaoa. *(Letteralmente: tenere svegli i buoi. È una serenata a suon di tamburi e pifferi, fatta ai bovini del villaggio.)

Si tratta di preparare rustiche ghirlande da mettere al collo o tra le corna dei bovini in modo che le spighe del riso venga­no a trovarsi sulla fronte tra gli occhi dell'animale. Da un covone di riso tolgono due fascetti di steli e li dispongono in modo che le spighe dell'uno combacino con la parte recisa dell'altro, poi legano il manipolo così ottenuto nel mezzo mediante steli di paglia del manipolo stesso. Cominciando dalla casa del capo villaggio iniziano il gai jagao, terminato il quale fanno uscire dalle stalle tutti gli animali a cui è stato messo il dhaoa, e li legano ai pali precedentemente preparati. Ciò fatto, cercano di irritarli perché diano cornate e facciano cadere gli steli di riso. Allo scopo di irritarli, lungo tutta la strada, battono per tre volte i tamburi e suonano i flauti a brevi intervalli. Il riso caduto dal capo o dal collo degli animali viene preso dagli uomini e portato con i covoni che hanno in casa, ritenendo ciò un portafortuna. Slegati gli animali, si radunano tutti alla casa del capo villaggio, compresi gli invitati e quelli che sono venuti ad assistere alla festa. Questi ultimi vengono fatti sedere su letti, sgabelli e sgabellini, e il jog manjhi dà ordine ai giovani del villaggio di offrire loro della birra: due tazze della prima birra e due della seconda, raccolta questa durante l'ultima benedizione agli animali, e un pugno di riso abbrustolito e di riso soffiato per ognuno. Nel frattempo cantano:

Udite il batter di denti;

amici nostri essi sono.

D'oro sul letto sedete,

da mangiare poco abbiamo,

ma vedere gli amici è dolce.

Di tabacco solo un poco

per fumar prendete amici,

di gran stima sarà segno.

D'acqua una tazza bevete,

e gran gioia amici avrete.

L'espressione « batter di denti », dudu dudu, non è per indicare uno che ha freddo o paura, ma che in attesa di mangiare batte i denti a vuoto, o mastica a vuoto. Tabacco e birra, qui detta acqua come sempre quando s'invita uno a bere, sono segni di rispetto insostituibili per amici e invitati. Ed è proprio dell'uso santal dire agli ospiti di non avere niente da offrire, di non sapere che cosa offrire, per poi dare tutto ciò che l'ospitalità richiede. Gli ospiti cantano:

Di birra una coppa piena cari amici, abbiam bevuto,

di carne un piatto mangiato,

dal lavoro riposato.

È dolce vedere gli amici..

Mentre gli ospiti sono intrattenuti a bere e mangiare, i giovani del villaggio e anche quelli venuti dagli altri villaggi danzano il pak o danza della spada e dei bastoni, sulla strada davanti alla casa del manjhi. Terminata la danza, tutti quelli che erano venuti a godersi la festa tornano ai propri villaggi, mentre ragazzi e ragazze del luogo si apprestano a danzare ancora una notte lungo la strada. Alcuni di loro però spiano il momento propizio per portare via di casa taro, melanzane, fagioli e ignami e ne fanno due mazzetti legandoli con sottili corde di paglia; altri si mettono da parte anche un po' di cibo per la notte. Presi i mazzetti, ne sospendono uno alla porta di casa del capo villaggio e l'altro alla porta del paranik e cantano:

Adagio adagio, o manjhi, vieni fuori,

contro taro ed ignami sbatterai.

Donaci, o manjhi, di cenere un'olla;

taro ed ignami cotti mangeremo.

In realtà anche questo canto è un pretesto per avere un'olla di birra. Infatti il capo villaggio offre loro la birra, imitato dal paranik, ed insieme ragazzi e ragazze se la bevono nel cortile del primo. Danzano tutta la notte. Il mattino dopo, per ordine del jog manjhi, due ragazzi tolgono i pali piantati il giorno prima, mentre gli altri, passando di casa in casa, questuano un uovo, usando questo stratagemma: un uomo si finge morto, lo portano in casa, e lo esorcizzano, cantando un canto magico:

Piccolo sopra,

grande di sotto,

esorcizzando sii esorcizzato,

di cero*se no nel campo *(un'erba: l'Imperata arandinacea.)

ad arare me ne vado.

Questo canto è di difficile interpretazione, come ogni altro canto dei mantar o scongiuri ed incantesimi per allontanare il male. Tanto più che in questo caso c'entra lo scherzo.

Ottenuto un uovo e una manciata di riso, il morto risorge.

A sera le vecchie, ragazze e ragazzi jaleako, cioè fanno l'ultima questua e la danza finale di casa in casa. Cantano canti del Sohrae e danzano la danza del jale detta anche danza del Sohrae. Entrando nel cortile del capo villaggio cantano:

Dodici anni chiede il mendicante,

un giorno solo l'inesperto giovane,

un giorno solo.

Non chiedon molto,

non chiedon poco:

solo un vaglio di riso

e un vaso di buona birra.

A tenere una via di mezzo nel chiedere sono evidentemente i danzatori che non solo ricevono birra e riso, ma anche lenticchie e sale. Mentre danzano, cantano invettive vicendevoli. Terminata la questua, consegnano ogni cosa al jog manjhi. Giunti all'ultima casa si rimettono a danzare e le donne danzano il dabar, una danza loro propria. Una persona di quella casa offre loro un'olla di birra, dodici tortelli di farina e all'incirca due chili di riso abbrustolito mescolato a quello soffiato, che mangiano e bevono insieme. Questa birra è detta sisir bandi o birra della rugiada, per significare che coloro i quali la ricevono sono stati esposti alla rugiada della notte per suonare e cantare. Finito di danzare, ragazzi e ragazze vanno alla casa del jog manjhi per dormire.

Il mattino dopo le ragazze ripuliscono la casa dell'ospite, danno il lepon, cioè spalmano di sterco di bue il pavimento della casa, poi procurano l'acqua. I ragazzi vanno a raccogliere tutti i covoni da cui era stato tolto il necessario per il dhaoa, ad ogni covone ne aggiungono un altro intatto e por­tano il tutto alla casa del vice capo; trebbiano il riso, lo uniscono a quello raccolto durante il jale. Lo consegnano al jog manjhi che lo pesa e lo distribuisce alle ragazze perché lo pilino. Terminato il lavoro, dà la colazione a tutti, poi li riaccompagna alle proprie case riconsegnandoli ai loro genitori. Così finisce il Sohrae.

Dieci giorni dopo si compie un'ultima cerimonia: tutto il villaggio si raduna alla casa del jog manjhi che offre a ragazzi e ragazze un pasto di riso e curry e la birra ottenuta dal riso che le ragazze avevano pilato l'ultimo giorno del Sohrae. Questa birra è detta kora kuri chatiar handi, cioè la birra della purificazione dei ragazzi e delle ragazze. Con questo simposio la libertà sessuale dei giovani finisce e gli abitanti del villaggio riaprono gli occhi e le orecchie.

Le magagne della festa non tardano ad apparire. A parte gli odii e le gelosie familiari, nascono altre conseguenze, specialmente quando i giovani per la troppa bevuta si sono dimenticati delle leggi imposte dall'evitazione cerimoniale. In questo caso l'eventuale gravidanza viene interrotta, oppure il neonato sarà soppresso entro due o tre giorni dalla sua nascita. Allo stesso modo succederebbe se ci fosse di mezzo il clan.

Mi diceva un vecchio durante la mia permanenza a Pargaon: « Vedi, padre, durante il Sohrae c'è chi scherza e chi si bastona, c'è chi ride e chi piange per la troppa birra bevuta; le conseguenze si pagheranno dopo ».

Come ho visto il Sohrae

Arrivai ad Handutola di Pargaon, cinque miglia a nord di Dinajpur, la sera del 19 gennaio 1976. In quella para, (sezione di villaggio) come nell'altra detta Parganatola, si era al penultimo giorno del Sohrae, ma a Pargaon sarebbe incominciato il giorno dopo. Passando per quel villaggio, Suku Hasdak ed io ci eravamo informati circa l'ora in cui avrebbe avuto inizio la festa il mattino dopo; e ci avevano detto di essere presenti per le nove circa. Al mattino arrivammo puntuali al villaggio con un gruppo di ragazzi e di uomini; andammo direttamente alla casa del sacerdote. Stava dormendo sulla stuoia sotto la veranda, e la moglie, con un po' di vergogna, ci disse che stava ancora smaltendo la sbornia del giorno prima. Niente da fare! I due giovani incaricati erano appena partiti per il villaggio cristiano di Suihari allo scopo di comperare il vaglio nuovo e i cesti di bambù indispensabili per la puja. Fino al pomeriggio ci dissero che non avrebbe avuto luogo nessuna cerimonia. Ritornammo ad Handutola dove i giovani e i ragazzi che mi accompagnavano fecero in tempo a prendere parte al pasto che precedeva la partenza per la caccia del Sakrat, di cui parlerò in seguito.

Nel pomeriggio arrivammo alla casa del sacerdote Som Tudu quando questi aveva già fatto il bagno rituale e, vestito di bianco, rasato e pettinato, era in piena forma, pronto a partire per il luogo della puja. Precedette il gruppo dei partecipanti recando sotto il braccio sinistro un vaglio nuovo con parte dell'occorrente per la cerimonia, banane, vermiglione entro due tazze di foglie, farina, spezie profumate, il riso seccato al sole e altri ingredienti per la prosad. Sulla palma della mano destra portava un vaso metallico con acqua. Se­guiva un accolito con la gabbia delle pollastrelle, tra le quali c'erano pure due colombelle. Dietro i due veniva il vecchio godet portante il cesto del riso raccolto in villaggio con sopra un uovo. Con noi, oltre un nutrito gruppo di bambini e di ragazzi, c'era il capo villaggio, il paranik, il jog manjhi, il jog paranik e il kudam naeke o secondo sacerdote.

Giunti al got tandi, cioè allo spazio scelto per la puja del Sohrae, il sacerdote strappò con le mani le stoppie del riso da un tratto di terreno, lo spalmò con sterco diluito di bue, poi con la farina di riso disegnò il khònd a forma rettangolare, facendolo terminare con un semicerchio. Ciò gli attirò le critiche di alcuni dei miei accompagnatori, i quali si premurarono di dirmi che aveva sbagliato perché egli era nuovo come sacerdote; il vecchio era stato dimesso non essendo gradito. Il khond doveva terminare a triangolo rovesciato. Il kudam naeke da quel momento si mise a fargli da cerimoniere, guidandolo quando dimostrava incertezza. Suddivise, sempre con la farina, il rettangolo in dieci piccoli khònd, compreso quello formato dal semicerchio. Nel primo pose un'abbondante manciata di farina, sistemandovi sopra l'uovo portato dal godet insieme al riso. In tutti gli altri mise un pizzico di riso e alcune prese di vermiglione vicino a quello. Sorsero nuove critiche, perché secondo alcuni avrebbe dovuto mettere le prese di vermiglione fuori del khònd. In seguito egli pose nei singoli khònd anche un po' di prosad, già descritta parlando del Baha, distribuendo poi il resto ai presenti. Sacrificò per prima una colombella, non una gallina dalle penne marrone, come descritto nel libro della tradizione. La spruzzò d'acqua, la segnò con il vermiglione sulla testa, sulle ali e sulle cosce, poi dopo aver tentato di farle mangiare un po' di riso, la sgozzò senza però reciderle la testa, che invece dispose sotto l'ala sinistra, e così sistemata, la gettò al di là del khònd.

Stando a quanto appresi a Pargaon, la prima casella magica con la farina e l'uovo ricorda il passaggio del Pond buru (monte bianco identificato con l'Himalaia e molte volte inteso come spirito) e dell'Hende buru (simboleggiante lo spirito del Maran buru). Tutto il khònd nella sua lunghezza rappresente­rebbe la catena dell'Himalaia.

L'offerta della prima vittima è fatta al Pond buru, all'Hende buru in nome di Surai. Il sacerdote prega: « Salve, o amato Signore (dicono sia il Maran buru): questa vittima qui presente che sta per esservi offerta e sta venendo a voi accettate volentieri e favorevolmente; voi pure, o Pond buru, spirito che stai seduto, e tu che stai disteso qui, o Maran buru, in ricordo di Surai nella festa del Sohrae ricevete questa vittima che sta per raggiungervi ». A questo punto tutti si inchinano tre volte e dicono: Johar johar, johar (Sal­ve,...).

Offrendo la seconda vittima, questa volta soltanto al Maran buru, dopo averla consacrata con il vermiglione e averle fatto mangiare un po' di riso, il sacerdote recitò la seguente preghiera: « Salute a te dunque, Maran buru; come Kapi Karam e Balwa Bijoe, sacerdoti, ti facevano offerte, così noi te le facciamo. Che anche noi possiamo stare bene! E tutti coloro che sono stati invitati, parenti ed amici non inciampino lungo la strada scabrosa. Così sia facendoti noi offerta nella celebrazione del Sohrae. Johar, johar, johar! ».

Alla vittima, che anche in questo caso era una colombel­la, il sacerdote recise la testa, la dispose nella casella magica e buttò il corpo al di là del khònd. Così fece per tutti gli altri spiriti fino alla nona casella, sacrificando le gallinelle, dopo avere recitato la solita preghiera, usando però i nomi degli spiriti a cui la vittima veniva offerta. Dopo il Maran buru fu la volta del Porodhol, uno spirito circa il quale c'è molta incertezza. Nel nostro caso, mi dissero trattarsi dello spirito dei due guru o sacerdoti sopra nominati; altri dicono trattarsi dello spirito di Pilcu haram e Pilcu budhi, i progenitori; altri ancora di un Antenato sconosciuto. Poi sacrificò al Manjhi haram, lo spirito del vecchio Phudan; ai Mòréko, i cinque figli del sopraddetto; ai Turuiko, lo spirito del ragazzo indù ucciso dai precedenti; a Jaher era, la vecchia Kapra; a Gosàe era, la figlia Lupsi; alla Maran dai o Sundri mai, cioè Lukhi, la figlia del paranik Bajun.

Davanti all'ultima casella magica fece l'offerta sacrificale ai Birren bongako e a Baghut bonga, cioè agli spiriti della foresta e allo spirito tigre. Sacrificò una gallinella nera a cui non staccò la testa, ma l'uccise comportandosi come con la prima colombella. Mi dissero che, mentre il primo animale sacrificato spetta al sacerdote principale, l'ultimo spetta al kudam naeke. Queste vittime devono essere mangiate senza spezzar loro le ossa. Sam Tudu però si fece dare le due colombelle, mentre le sette gallinelle furono spennate dai bambini presenti, passate sulla fiamma, fatte a pezzi e messe a cuocere con riso in una capace olla su di un fuoco preparato al momento, ma questa volta per nulla difeso da rami di bambù, come successe invece al Baha. Comunque qualcuno mi pregò di non avvicinarmi al fuoco, e nessuno di quelli che erano con me si avvicinò o toccò le vittime, sebbene fossero tutti pagani ad eccezione di Suku Hàsdak. Feci notare co­me la giara del got handi fosse molto grande, e uno di loro mi disse che questo era appena l'inizio. Voleva dire che di birra ce ne sarebbe bevuta assai di più in seguito. Sapendo che la nostra presenza non sarebbe stata gradita durante il pasto del sure daka, ci avviammo verso Handutola con il proposito di ritornare a vedere quando i bovini sarebbero stati portati sul posto per calpestare o annusare l'uovo. Ave­vo intenzione di scattare qualche fotografia, ma purtroppo quando arrivai gli animali stavano già facendo ritorno a casa.

Suku Hasdak mi sconsigliò di assistere al jagao e al cumaura quella sera. Mi disse che avremmo potuto assistere il mattino dopo a tutte le cerimonie, ma quando arrivammo sul posto era già tutto finito. Potei assistere all'offerta fatta sul manjhi than, una cerimonia molto semplice durante la quale venne fatta una libagione di birra e offerto un po' di riso. Quel giorno e il giorno successivo assistetti alla danza lungo la strada, kulhi daran, e alcune varie altre danze, eseguite da soli uomini, altre da sole donne, e altre ancora da uomini e donne. Mi ritiravo prudentemente ogni volta che la molta birra rendeva la persone troppo suscettibili o troppo espansi­ve. Anche ad Handutola, sebbene la festa fosse finita, le cose stentavano a normalizzarsi: alcuni parenti restavano in villaggio o arrivavano puntualmente al mattino; nei cortili si cantava e si suonava ancora bevendo abbondante birra, anche se i giovani erano più calmi. Partii da Handutola la sera del quarto giorno, quando ormai anche a Pargaon la festa ridotta del Sohrae era alla fine.

Avrei assistito volentieri ai sacrifici svoltisi nelle singole case, per stabilire il ruolo dei partecipanti. Ma, mentre i Santal ammettono tutti ai sacrifici pubblici, stentano invece ad ammettere estranei ai sacrifici di famiglia.

4.3 Festa del Sakrat


Come già dissi, la mattina del 20 gennaio 1976 ritornammo da Pargaon ad Handutola mentre gli uomini stavano questuando riso e curry per il pasto che precede la caccia del Sakrat. Poco dopo il nostro arrivo, un nutrito gruppo di uomini e bambini si presentò nel cortile della casa dove ero ospite, con un piatto in mano. Li guidava un uomo che domandò se erano disposti a dare loro qualche cosa, altrimenti si sarebbero rivolti altrove. Li fecero sedere, ed alcune donne portarono loro riso e curry di carne e di pesce preso il giorno prima. Ai bambini fu dato anche riso abbrustolito e riso soffiato. Prima ancora di finire di mangiare quello che avevano nel piatto, si diressero in gruppo verso un'altra casa. Mi dissero che quello era come un pasto di addio per gli uomini che stavano per avviarsi verso i pericoli del­la caccia. Almeno così era inteso una volta, perché attualmente veri pericoli durante la caccia non si incontrano. All'incirca un'ora dopo vidi il gruppo dei giovani e alcuni uomini armati di arco, frecce e bastoni attraversare i campi. I bambini naturalmente, pur avendo approfittato del pasto, non li seguirono. Si avviarono verso Parganatola per unirsi agli uomini di quella para e andare tutti insieme a caccia. Li avrei seguiti volentieri, ma mi astenni dovendo fare ritorno a Pargaon. Domandai come si sarebbe svolta la caccia, e mi dissero che si sarebbero radunati tutti al di là del villaggio per la puja al Rongo Ruji, lo spirito protettore dei cacciatori. Il kudam naeke prende con sé dell'adwa caole, e si reca con tutti i cacciatori al luogo stabilito per la puja. Preparato il khond, vi pone in mezzo il riso entro una tazza di foglie; si punge le cosce con una spina e fa cadere sul riso gocce di sangue. Allora tutti i presen­ti depongono archi e frecce vicino al khònd e il sacerdote prega lo spirito di concedere loro buona caccia, che non permetta cattivi incontri con animali pericolosi, faccia evitare le spine ai piedi e allontani eventuali discordie. Terminata la preghiera, tutti s'inchinano verso il khònd pronunciando per tre volte johar, ed erompono in urla e parole oscene. Raccolti in ordine gli archi e le frecce, passano sopra il khond dirigendosi alla caccia.

A tarda sera vidi alcuni cacciatori ritornare e mi informai circa l'esito della caccia. Seppi che avevano preso uccelli, pernici, lepri, una delle quali era stata uccisa dal giovane figlio del mio ospite. Mi dissero che avrebbe avuto la sua parte di preda come tutti gli altri dopo il bersaglio alle focacce, che doveva svolgersi vicino a Parganatola. Le orecchie, le gambe e parte del posteriore delle prede dovevano però servire per preparare il sendra sure, cioè la minestra di riso e carne destinata al pasto comune che si sarebbe svolto nella casa del kudam naek.

Origine del Sakrat

Secondo Pitor Marndi, la festa del Sakrat avrebbe avuto origine da un delitto, come la festa del Sohrae, ma questa volta ad essere uccisa sarebbe stata una ragazza. Si narra che sette fratelli avevano una sorella ormai in età da matrimonio. Un giorno essi si accorsero che la sorella era incinta. La ragazza non volle svelare il nome dell'uomo che era stato con lei, e i fratelli, dubitando che si trattasse di un giovane non santal, la uccisero trafiggendola con le frecce. Così facendo pensavano di cancellare l'onta dalla famiglia ed evitare i castighi che le leggi prevedono in simili casi. Per ricordare questo fatto, il guru mahali dispose che ogni anno si facessero offerte al Maran buru e agli Antenati e si allestisse la gara d'arco, scagliando le frecce contro una pianta di banana o di ricino, previamente divelta e piantata in un luogo adatto alla gara. Sempre secondo Pitor Marndi, questa pianta rappresenterebbe la ragazza frecciata, l'hudin' dai, cioè la sorella minore. E Hudin' dai in Bangladesh è anche chiamata la festa del Sakrat. Né il ·Bodding né il Campbell accennano a questo fatto.

Lo stesso Pitor Marndi avanza l'ipotesi che il Sakrat è detto Hudin dai perché segue la festa del Sohrae, detto anche Maran dai. Si è già visto che, stando a quanto appresi a Pargaon, Marari dai non sarebbe altro che il nome dello spirito di Lukhi, la figlia di Bajun. Ma secondo una tradizio­ne riportata da Archer si tratterebbe della figlia maggiore dei Progenitori, il cui nome proprio sarebbe stato Sohrae. Riporto il racconto in breve.

I Progenitori ebbero otto figlie e sette figli. Il giorno nel quale essi si incontrarono sotto il fico bengalese, tutte le ragazze erano salite sull'albero e la maggiore stava in cima. I fratelli, arrivando, si presero ognuno una sorella e la primogenita restò sola, perciò si mise a piangere disperatamente. I fratelli e le sorelle, vedendola così addolorata, le promisero che l'avrebbero ricordata ogni anno offrendole « a virgin thing ». Per questo ogni anno, alla festa del Sohrae, sul khond della puja viene offerto un uovo, e il Sohrae venne detto anche « elder sister », Maran dai .

Descrizione del Sakrat

Attualmente, tra i Santal del distretto di Rangpur e di Dinajpur, la festa del Sakrat è diventata un'appendice del Sohrae. Ma da sempre, anche in India, questa festa si celebrava alla fine del mese di pus. Non si spiega perciò il motivo per cui Obert e il Campbell la collochino verso la metà di aprile, e ne facciano implicitamente una festa di capodanno. Forse l'hanno confusa con la festa omonima degli Indù. Ma, pur ammettendo che i Santal abbiano mutuato da loro il Sakrat, non è spiegabile un simile cambiamento di data. Un'altra inesattezza di Obert riguarda l'oggetto dell'offerta al Maran buru e agli Antenati. Secondo lui si offrirebbero loro i pesci catturati il giorno prima, mentre tutti gli altri Autori sono d'accordo nell'affermare che l'offerta consiste in riso schiacciato a mo' di coriandoli (taben), tortelle di riso e una libagione di birra. Eccezion fatta per l'oggetto che fa da centro sulla pianta di banana o di ricino, sono tutti d'accordo per quanto riguarda la descrizione della festa.

Il giorno prima della festa tutti gli uomini vanno a pescare e a cacciare granchi. Il giorno della festa si alzano al canto del gallo e in ogni casa uccidono una gallina, che dovrà servire per il curry del pasto, come i pesci e i granchi presi il giorno avanti. Fatto il bagno, mangiano; poi vanno a caccia, come ho già descritto. Dov'è possibile, ritornando a casa, portano con sé foglie di sal, entro le quali depongono il riso schiacciato e le focaccine per l'offerta. Rivolgendosi agli Antenati e al Maran buru, usano la solita formula e fanno anche, come già detto, una libagione di birra. Terminata l'offerta, i soli uomini mangiano il riso e le focacce.

Nel frattempo il jog manjhi fa piantare in un posto adatto una pianta di banana o di ricino, poi fa chiamare gli uomini a raccolta per la gara di tiro a segno. Secondo il Bodding, il bersaglio e' una focaccia di sterco bovino secco. Obert parla solo di pianta. Ma tutti quelli da me interrogati sono d'accordo nel dire che il bersaglio è costituito da più focacce di riso. Pitor Marndi parla di cinque. Ad Handutola mi dissero che potevano essere anche di più, e che tutti coloro i quali ne colpiscono una, anche dopo colui che ha fatto il primo centro, hanno diritto a mangiarsela. E però solo il primo che fa centro ad essere portato in trionfo. La gara si svolge nel seguente modo: radunatisi gli uomini, il sacerdote per primo scaglia la sua freccia, poi via via tutti gli uomini presenti finché uno fa centro. Il jog manjhi si carica a cavalcioni il tiratore e scorrazza davanti ai presenti. I giovani eseguono la danza della spada e fanno giochi vari. Il tronco viene abbattuto con una scure dal jog manjhi e portato a spalle da due robusti giovani alla casa del capo villaggio, come se si trattasse di un animale ucciso durante la caccia. Egli si congratula con i presenti per la loro abilità nel tirare d'arco, e dice di essere ben fortunato ad avere tiratori così scelti, altrimenti qualche animale feroce l'avrebbe già sbrana­to, o sarebbe caduto vittima di nemici.

Tagliano un pezzo del tronco e glielo offrono come una porzione che gli spetta, e ricevono in cambio birra, riso schiacciato e riso soffiato. Dopo aver mangiato e bevuto passano alla casa del paranik, degli altri ufficiali e delle famiglie benestanti, da cui ricevono in dono cibo e birra. Terminato il giro, i giovani danzano il lagré davanti alla casa del capo villaggio. Si divertono fino a quando il sonno consiglia loro di ritirarsi nelle proprie case.

4.4 Altre feste

Chata Porob

Tutti gli Autori da me consultati, compresi il Bodding e il Campbell, sono d'accordo nel dire che il Chata è una festa Indù. A stabilirla sarebbero stati i Kamar o fabbri, aborigeni induizzati ma è osservata anche da altri Indù di bassa casta come i Sundis, fabbricatori di birra, oltre che da una parte di Santal. La chiamavano festa dell'ombrello, infatti chata in bindi e in bengalese vuol dire ombrello, dal sanscrito chatra (bengali chatra).

La festa ha luogo l'ultimo giorno del mese di bhador (agosto-settembre), verso la fine delle piogge. È anche questa una festa nella quale i giovani di ambo i sessi hanno occasione di nuovi contatti. Archer, rifacendosi al Man, dice che negli ultimi cento anni questa festa ha allargato la sua finalita', ed alcuni riti sono andati soggetti a mutamenti. Prima solo gli Hasdak e i Kamar osservavano questa festa. Sebbene abbia uno svolgimento iniziale analogo a tutte le altre feste, è difficile scoprire il significato del rito finale. Stando a quanto ho potuto sapere, la cosa invece sembra molto semplice, come vedremo in seguito. Archer parla anche di vittime offerte agli spiriti del Chata: piccione, pollo, capra, che non vengono consumati sul luogo della puja ma nelle proprie case. Il Bodding dice invece che durante la festa si « sacrifica » una zucca o una qualunque cucurbitacea tagliandola con il coltello dalla parte del gambo. Pitor Marndi è esplicito al riguardo, nominando varie cucurbitacee (Cu­curbita lagenaria, Cucurbita moscheta, Cucumis sativus), e dice: « mayam dàré do ban lagaok'a», non ci vogliono vittime con spargimento di sangue. Dello stesso parere è Suku Hasdak, il quale però aggiunge che vengono offerti anche latte, zucchero soffiato, banane: il tutto consacrato con il vermiglione.

Tra i Santal di cui ci interessiamo esistono due versioni circa l'origine di questa festa, con poche varianti che ora esporrò, seguendo il racconto di Pitor Marndi.

Una volta, quando i Santal si trovavano nella regione di Sàt, cinque fratelli andarono a caccia. Entrati nella foresta, videro sotto una pianta di fico bengalese un magnifico cervo, e sopra i rami uno splendido pavone. Il primogenito scagliò una freccia ed uccise il cervo, e il secondogenito il pavone. Ma la freccia di quest'ultimo, prima di colpire l'uccello, passò attraverso un grosso favo sospeso ad un ramo dell'albero. Il miele cominciò a colare sulla fronte del giovane e gli scese in bocca. Sentendo che era dolce, chiamò i fratelli perché venissero ad assaggiare quel nettare delizioso. Dopo averlo assaggiato, presero a tempestare di colpi il favo per impadronirsi dell'altro miele. Lanciandogli contro rami e tutto ciò che avevano a portata di mano, lo fecero cadere riducendolo a pezzi; poi si misero a succhiare i pezzetti di favo noncuranti delle numerose api che li ferivano con i loro pungiglioni.

Ritornati a casa sazi di miele e gonfi di punzecchiature, si recarono dal guru mahali per narrargli il fatto. Egli, portatosi sul posto con i giovani e resosi conto di che si trattava, disse loro che questo era successo per volontà degli spiriti perché stabilissero in ricordo dell'avvenimento una festa da traman­darsi di generazione in generazione. E stabilì su due piedi il modo di procedere per la festa: piantare due pali, legarne un altro trasversalmente all'altezza di un uomo in modo da for­mare come una grande H, poi legare una lunga pertica di bambù sul palo trasversale con un legame solido, ma non stretto, in modo da poter muovere la pertica da una parte all'altra e in su e in giù. Sulla cima della pertica, non potendovi attaccare un favo, appendere un facsimile costruito con il midollo di sol, una pianta acquatica perenne (Aeschynomene aspera), dipingendovi sopra il pavone. La gente, disse il guru, doveva essere invitata alla festa con il sistema del dharwak, cioè del ramo d'albero portato attraverso i vari bazar proclamando il giorno stabilito per la festa.

I giovani eseguirono l'ordine del guru, e il giorno stabilito numerosa folla accorse. Si radunarono uomini e donne con tamburi e sonagliere, al primo sorgere del sole. Secondo l'ordine del guru, non furono offerte vittime cruente agli spiriti del Chata, ma solo cucurbitacee. Si diede il via alla danza e ai canti al suono dei tamburi. Di tanto in tanto, intercalavano ai canti urla, invettive velenose, lazzi mordaci e lascivi. Suonando il sogoe, un rudimentale flauto di Pan, con moven­ze lascive uomini e donne si rivolgevano equivoci inviti. Al tramontar del sole, mentre la danza furoreggiava, i presenti incominciarono a lanciare ogni sorta di oggetti contro il finto favo, facendolo cadere a pezzetti, com'era successo per il vero favo nella foresta. Al calar della notte tutti ritornarono a casa propria.

La seconda versione circa l'origine del Chata porob, rac­colta e riportatami da Suku Hàsdak, è essenzialmente identica circa il ritrovamento del favo da parte di un cacciatore, che chiamò gli amici, con i quali lanciò oggetti di vario genere contro il favo per farlo cadere e succhiarne il miele. Ma in questa versione le api irritate scesero sugli intrusi mordendoli ferocemente, di modo che uno di loro ricevette così tante punture da soccombere. Gli amici, tutti gonfi per le punture, portarono a casa il disgraziato e narrarono alla gente del villaggio ciò che era successo. Molti ritornarono inferociti al luogo del favo e lo distrussero facendolo a pez­zetti. Durante la cerimonia finale di buon augurio al morto, prossimo a congiungersi agli antenati, gli abitanti del villag­gio decisero di tramandare la memoria del fatto fino alla fine dei tempi, stabilendo, d'accordo con il guru mahali, la festa del Chata. Faccio notare che la morte di un uomo per le punture di uno sciame d'api irritate non è una cosa straordinaria; è un caso che succede ancora oggi.

Attualmente tutti i Santal prendono parte alla festa del Chata porob, anche se non ha luogo in tutti i villaggi. E, almeno tra quelli dei due distretti più volte citati, essa assume il significato della festa del favo. Infatti chata in santal vuol dire favo e non ombrello come in hindi e in bengalese.

Dal momento che tanto il Bodding quanto il Campbell, come altri Autori, sembrano ignorare completamente l'origine della festa sopra descritta, può darsi benissimo che si tratti di una interpretazione locale, e che il fatto sopra riportato nella duplice versione sia opera tardiva di qualche sacerdote o, meglio, di qualche guru santal, nel tentativo di santalizzare una festa di provenienza indù. La questione resta da appura­re. Ma ancora una volta c'è da notare che ogni occasione per placare gli spiriti e divertirsi, allo stesso tempo, e' sempre accolta favorevolmente dai Santal. Musica, canto, danza e birra sono lo scopo di ogni festa. Chiamare il Chata un piccolo Sohrae, data la licenza da cui è caratterizzato, sarebbe un errore, perché, più che di fatti, si tratta di parole, e tutto si svolge alla luce del sole. Ma certo anche questa è una circostanza durante la quale i ragazzi e le ragazze santal hanno modo di incontrarsi e conoscersi un po' più liberamente, e dà loro la possibilità di indirizzare i genitori verso la direzione voluta per contrarre il matrimonio. Se la festa sia occasione di brutte conseguenze o di successivi felici matri­moni non è facile dire.

Abge Bonga Porob

Una tradizione orale dice che la festa degli Abge bonga, che si potrebbero chiamare gli spiriti protettori dei maschi di un sotto-clan, più ancora che di una famiglia, venne istituita quando i Santal stavano per attraversare il fiume Badakar, nella valle delle termiti.

Il passaggio del fiume presentava notevoli difficoltà a causa della grande quantità d'acqua, perciò si accamparono a lungo sulla sponda in attesa che l'acqua calasse. Mentre si trovavano colà, venne alla luce un bambino e gli diedero nome Abge. Tale nome gli fu dato per un banale incidente. Durante il giorno gli uomini erano andati chi di qua chi di là in cerca di cibo, e la sera, ritornando all'accampamento, appresero che era nato un bambino. Si radunarono presso il padre e, dopo i soliti convenevoli, gli domandarono se il neonato era uno che porta sulla testa o uno che porta sulle spalle (dipii se bharia), cioè una bambina o un bambino. Il padre rispose: « Abge! », invece di aboge, intendendo dire « come uno di noi », cioè un maschio. Perciò chiamarono il bambino Abge.

Cinque giorni dopo, mentre tutti gli uomini erano in cerca di cibo, la madre scese al fiume per pulire degli ignami selvatici e, ritornata sulla sponda, li fece bollire per poi friggerli. Versata l'acqua dalla pentola, andò in cerca del bambino per farlo poppare, ma non riuscì a trovano. Dopo un po', disperata, si sedette e si mise a piangere. Accorse della gente e le domandarono che cosa fosse successo, e lei rispose che non riusciva a trovare il bambino. Qualcuno espresse il dubbio che forse qualche animale feroce lo aveva portato via per mangiarlo. Poi si fecero indicare dove l'aveva messo a dormire e finirono per trovare gli stracci con cui era avvolto, mezzo interrati; tirandoli, venne fuori lo scheletro del bambino che era stato divorato dalle termiti.

Fatti i riti funebri, decisero di ricordarlo di anno in anno per tenere lontano simili disgrazie, offrendo sacrifici agli spiriti che vennero chiamati Abge bonga. Appartenendo il bambino al clan dei Kisku, essi diedero per primi il via alla puja annuale degli Abge. Cercato un posto adatto vicino ad un termitaio, prepararono il khònd e sacrificarono agli spiriti un agnello che venne mangiato da soli uomini. Quell'anno anche i Marndi fecero la puja e sacrificarono un maiale. Poco alla volta tutti i clan, in sotto-clan separati, presero ad osservare la festa degli Abge bonga. Il motivo per il quale gli uomini dei singoli sotto-clan fanno la puja separatamente è dedotto dal nome Agbe, derivato da agobe, cioè noi stessi, proprio noi. E con questo vengon esclusi tutti gli altri dalla partecipazione al sacrificio ed al banchetto sacrificale. Così sentii concludere il racconto sull'origine degli Abge bonga.


Descrizione della festa

Il giorno stabilito per la festa, che può essere durante il periodo del trapianto, cioè del mese di asar (giugno-luglio), o del raccolto nel mese di aghar (novembre-dicembre), i soli maschi, con il capo famiglia, si recano presso un termitaio, ripuliscono il posto e scavano una piccola buca quadrangolare e lì sacrificano agli Abge una gallina, o un maiale, o una pecora, dopo aver invocato anche il Maran buru, il Baghut e gli spiriti della foresta e dei monti. Possono mangiare le carni della vittima i soli uomini, compresi gli invitati dello stesso sotto-clan. Se avanzano carne, non possono né portarla in casa né darne a persone di altro dan, ma la devono seppellire nel termitaio.

È assai importante che le donne non vengano a conoscenza dei nomi degli Abge perché, dicono, non ci sarebbe scam­po per gli uomini; infatti qualche strega non solo rendereb­be vana la protezione degli spiriti, ma compirebbe malefici a danno degli uomini protetti. Essi vengono invocati partico­larmente per ottenere benedizioni e per tenere lontano le disgrazie.

Monfrini li paragona ai Penati dei Romani e ne riporta alcuni nomi: Dhara San da, Abge dei Nij Hasdak; Katkom Kudra, Abge degli Hàsdak'; Garr sinka, Abge degli Hembrom e di alcuni sotto-clan dei Besra; Dhan Ghara, Abge dei Marndi e dei Tudu; Kudray, Abge dei Murmu, così pure Kudra candi, mentre Bahata è Abge di un sotto-clan dei Murmu .

Solo sul letto di morte il padre può svelare al figlio maggiore il nome degli Abge. Nel caso morisse senza poterlo fare, spetta ai figli andare dal janguru, il ricercatore di stre­ghe, perché sveli loro il nome degli Abge, essendo supposto che costui conosca tutti i nomi degli spiriti.

La festa degli Abge bonga dura un giorno solo e, a parte il mangiare e il bere, non comporta altri segni di festa; tuttavia è ritenuta assai importante dagli uomini.

Erok' Sim

Letteralmente vuol dire la « gallina della semina » (erok' seminare; sim gallina). È la festa della semina, la prima dell'anno santal, dopo il Baba, festa di capodanno. Si fa nel mese di asar (giugno-luglio), perché la semina sia propizia e dia un buon raccolto. Viene questuata una gallina ad ogni casa, ed ogni spirito del Jaher than avrà la sua vittima dalle mani del sacerdote; il Manjhi haram avrà l'offerta sacrificale sul manjhi than; una gallina nera verrà offerta agli spiriti dei confini del jaher, e una qualsiasi agli spiriti dei confini del villaggio. Le rimanenti galline verranno uccise mediante torcimento di collo. Le due sacrificate a Jaher era e al Maran buru sono mangiate dal sacerdote; tutte le altre dagli uomini del villaggio, seguendo il solito metodo del sure cotto sul luogo della puja.

Ad ogni sacrificio viene recitata una preghiera in cui si chiede abbondanza d'acqua, e si prega lo spirito di tenere lontano ogni disgrazia e ogni peccato (violazione della tradi­zione) dal villaggio. Si compie anche una libagione di latte.

Tre o quattro giorni dopo ogni famiglia, a secondo dell'uso dei singoli sotto-clan, sacrificherà galline, montoni o maiali agli spiriti della casa (orak bonga), agli Abge, agli Antenati e al Maran buru. A sera i giovani danzano il lagré, e natu­ralmente la birra scorre.

Hariar Sim

La festa della gallina verde (hariar) è così detta perché si sacrifica a tutti gli spiriti del villaggio e a quelli dei confini una gallina, seguendo le solite regole, al tempo in cui tutto il riso è stato trapiantato e la campagna è verdeggiante. In questa festa non si fanno sacrifici agli Abge e agli spiriti della casa. Un'unica leggenda, con tutta certezza ricavata dalla mitologia indù, e rielaborata secondo la mentalità santal, parla delle origini delle due feste sopraddette.

Dopo che Thakur, il Creatore, ebbe creato l'uomo, vide che la terra era spoglia di tutto e si domandò come avrebbe potuto l'uomo sopravvivere se non si provvedeva a lui in qualche modo. Si rivolse allora alla Terra pregandola di provvedere il necessario alle nuove creature. La Terra accettò e, come soffrendo le doglie del parto, si spaccò alla superficie e fece germogliare erbe e piante, le quali fiorirono e portarono frutto, e l'uomo ebbe così di che nutrirsi. Da quel giorno Thakur o Babbo Sole e Mamma Terra divennero amici, ed egli le promise che non le avrebbe lasciato mancare la luce e il calore per aiutarla a rinnovarsi ad ogni giro di stagione, in modo da potere fornire agli uomini il necessario alla vita. E i Santal dicono che per ricordare questo fatto si fermano dal loro lavoro e fanno festa all'Erok' sim e all'Hariar sim ogni qual volta la terra verdeggia delle nuove messi.

Iri Gundli Nawai

È la festa del ringraziamento per il raccolto del nuovo miglio, che si esprime con l'offerta di alcune spighe del prezioso cereale a tutti gli spiriti del villaggio. Prima di fare l'offerta il sacerdote ripulisce il than degli spiriti, poi lo spalma con sterco di bue diluito in acqua e vi depone le spighe pronunciando la preghiera di offerta e spruzzandole di latte.

Quelle che avanzano verranno consumate dallo stesso sacerdote. Solo allora gli abitanti del villaggio andranno nei campi a tagliare altre spighe e, dopo averle spruzzate con acqua, le offriranno agli spiriti della casa. Questa festa senza sacrifici di vittime animali ha luogo nel mese di bhador (agosto-settem­bre), quando il miglio iri (Panicum crusgalli) e gundhli (Pani­cum colonum) arrivano a maturazione. Nawai vuol dire offer­ta dei primi frutti; si tratta quindi dell'offerta dei primi frutti dell'iri e del gundhli. Nessuno si può permettere di mangiare o anche semplicemente tagliare questi cereali prima dell'offerta.

Janthar Porob

Anche questa festa, celebrata nel mese di aghar (novembre-dicembre) in connessione con il taglio del primo riso prodotto nei terreni bassi (bahiar horo), è senza dubbio di ringraziamento per il nuovo raccolto. Infatti è anche detta Bahiar horo nawai, cioè offerta del primo riso dei terreni bassi. L'offerta è fatta come al solito dal sacerdote agli spiriti del Jaher than e poi al Manjhi haram sul manjhi than, imitato in seguito dagli abitanti del villaggio nelle singole case. La preghiera che accompagna l'offerta, da me raccolta, è implicitamente di ringraziamento, anche se finisce con le solite domande: « Salve a voi, o amati e venerati spiriti ... Noi abbiamo ricevuto dalla vostra bontà questo nuovo riso; fate che mangiandolo non ci colga mal di pancia, mal di testa, ma possiamo stare sempre bene ... ». Segue l'offerta delle solite vittime, le galline, con il solito rituale. Ma siccome è questa l'occasione in cui si sciolgono i voti, può capitare che si sacrifichino anche maiali o montoni. Per questo la festa del Janthar è detta anche Janthar puja. E la preghiera che accompagna l'offerta sacrificale mette in risalto l'azione dell'uomo per accontentare gli spiriti, senza alcun cenno di rico­noscenza o ringraziamento: « Nella festa del Janthar, o Signore, noi ti offriamo questa vittima che abbiamo allevato per offrire a te, ...

Obert dipende dal libro della tradizione nel descrivere il Janthar, e parla dell'offerta di un maiale, fatta allo spirito del pargana . Il Bodding però è esplicito nel parlare delle solite vittime oltre che delle vittime offerte per voto. Tutti quelli interrogati da me non sono stati meno espliciti al riguardo. La presenza di sacrifici, contrariamente a quanto succede nell'Iri gundli nàwài, fa pensare a due feste distinte che con il tempo sono andate fondendosi, formando un'unica festa. Ciò si può dedurre dal doppio nome della festa, come gia' visto, ma soprattutto dalla tradizione circa l'origine del Janthar, che non ha nulla a che fare con l'offerta del nuovo riso.

Narra una tradizione: un certo Sakla Pà una un giorno ven­ne a contesa con un indù a causa dei frutti di un albero del pane (Artocarpus integrifolia), e fu ucciso. La moglie, Karamsul Besra, e i due figli Cedra e Cunda, seguendo il consiglio del guru mahali, che li aveva seguiti nella loro fuga da Champa, chiamarono a raccolta gli abitanti del villaggio, li condussero fuori e sacrificarono al Maran buru una gallina nera e una grigia, invocando tutti i morti che ricordavano e particolarmente il proprio padre; poi mangiarono con gli altri le vittime offerte. Tutti d'accordo con il figlio maggiore dell'ucciso, stabilirono che avrebbero ricordato ogni anno l'avvenimento. L'anno seguente mangiarono tutti insieme frutti dell'albero del pane, compreso l'involucro interno che contiene i frutti, una specie di finto pericarpo detto ganthar, che quando il frutto è maturo diventa immangiabile. Ma lo mangiarono quasi a protesta per l'uccisione di Sakla, avvenuta per una contesa dei frutti sopraddetti. Seguì il sacrificio e il pasto con la carne delle vittime. Nella puja successiva il ganthar non fu mangiato, tuttavia venne dato alla festa il nome di Gantharjom porob, cioè la fesa della mangiata di ganthar. Con l'andar del tempo, dicono, il nome venne cambiato in Janthar porob.

Quanto di vero ci sia in questa tradizione, non è facile dirlo; ma una cosa è certa, che nessuno sa il significato di Janthar, e potrebbe essere benissimo una corruzione di ganthar. Mi permisi più di una volta, anche con studenti, di fare osservare che cambiavano certe parole e mi sentii rispondere: « Dokhol korlam », ce ne siamo impossessati. Con questo intendevano dire che con l'uso avevano trasformato una parola in un'altra.

Mag Sim

È chiamata Mag sim, cioè gallina di mag, la festa che si fa prima del taglio del sauri, un'erba usata per il tetto delle case, durante il mese di mag (gennaio-febbraio). Questuano da ogni casa un chilo circa di riso e di sorgo (bajra, Sor­ghum vulgare) e lo consegnano al godet che ne fa della birra. In questa occasione anche il padrone dell'animale, che durante il Sohrae ha calpestato l'uovo, è tenuto a preparare per la gente un'olla di birra. In ogni casa preparano altra birra per la festa. Il godet passa ancora di casa in casa per ritirare mezzo chilo di riso, sale e turmerico. Il giorno stabilito per la puja guida tutta la gente al luogo dove il sacerdote esegui­rà i sacrifici, generalmente vicino all'acqua, e porta con sé la birra da lui preparata e quella data dal padrone dell'animale, di cui è stato detto sopra. Il sacerdote, fatto il bagno, prepara il khond e si appresta al sacrificio per i soliti spiriti. Terminato il rito, il capo villaggio, i suoi quattro ufficiali, i due sacerdoti, coloro che taglieranno il sauri e guideranno i carri, quelli che copriranno i tetti o li rinnoveranno, coloro che procurano la legna, che fanno bollire l'acqua e quelli che cucinano il riso per il sure, se lo divideranno in parti uguali. Tutti riceveranno una parte della birra, ma i due sacerdoti ne otterranno il doppio.

Terminato il pasto, il capo villaggio si rivolge a tutti i suoi sudditi e tiene un discorsetto che suona così: « Miei cari amici, siamo alla fine del mese di mag. C'è un mese di mag per tutti: per i ladri (che non trovano più niente né nei campi né nei cortili), per il capo villaggio e i suoi ufficiali, per i garzoni e le ancelle, per i coltivatori; tutti abbiamo avuto un mese di mag. Ora se qualcuno desidera diventare capo villaggio, si faccia avanti. Io rassegno le dimissioni ».

I quattro ufficiali e i due sacerdoti si dicono propensi anche loro a dimettersi, e tutti i capifamiglia si dicono disposti a rinunciare ai campi, rimettendoli nelle mani del capo villaggio e accontentandosi di una semplice tettoia sotto cui ripararsi.

Salutatisi, ognuno fa ritorno alla propria casa portando con sé un fascio di sauri e alcune stecche di bambù. Ma poco dopo vanno alla casa del sacerdote per farsi offrire birra, poi alla casa degli ufficiali e di alcuni amici per bere allegramente.

Cinque o sei giorni dopo, ritornano tutti alla casa del capo villaggio, che dà loro due tazze di birra. Seguono dei discorsi di prammatica, alla fine dei quali il capo villaggio dice di avere riveduto la sua decisione circa le dimissioni e che pensa bene di restare al suo posto se i maggiorenti non hanno nulla in contrario. Tutti approvano contenti, e da quel momento la birra scorre a non finire. Il giorno dopo lo stesso succede nella casa del paranik, e poi ancora ogni gior­no nella casa di tutti coloro che avevano rassegnato le dimissioni.

I Santal stessi commentano: « Sono questi i giorni in cui si ha l'opportunità di bere birra a sazietà, e bisogna saperne approfittare ».

Parlando della finta rassegna delle dimissioni da parte del capo villaggio, Obert dice che ciò è dovuto al fatto delle cattive condizioni in cui si trova il villaggio prima del riordi­namento delle

case. Non posso condividere la sua opinione per vari motivi. Prima di tutto si sofferma a considerare solo l'atto del capo villaggio, trascurando il comportamento di tutti gli altri; in secondo luogo ciò che dice del villaggio non è vero in tutti i casi, perché, secondo quanto ho già fatto notare, generalmente le case per il Sohrae presentano già un aspetto decente, anche se in parecchi casi il tetto dovrà ancora essere ritoccato o rinnovato. In terzo luogo Obert non tiene conto di un'antica usanza secondo la quale il capo villaggio e gli altri ufficiali davano veramente le dimissioni una volta all'anno, e tutti i sudditi restituivano i terreni, in attesa di una nuova distribuzione affidata al Paranik. È quindi molto più vicino al vero pensare che questa cerimonia della finta rassegna delle dimissioni e della consegna dei campi sia un ricordo di quei tempi.

Jom Sim

L'origine di questo nome non è conosciuta: Jom vuol dire « mangiare » e sim vuol dire « gallina », come già si è detto altrove; ma in questa festa non vengono sacrificate galline, se non durante quel particolare Jom sim che prende il nome di Buru beret, di cui si è parlato trattando dei sotto-clan.

Non si tratta di una festa annuale. Ogni buon Santal dovrebbe celebrarla almeno una volta in vita se povero, cinque o sei volte se ricco. Si celebra in onore di Sin Cando, il sole. Si dice che anticamente, durante questa festa, si sacrificava soltanto in onore di Babbo Sole, ma attualmente si sono aggiunti numerosi spiriti chiamati globalmente Jom sim bonga, dei quali si conoscono anche alcuni nomi: Aban, Badha Aban, Baran baran, Anhar, Panhar, Boerangi, Seoani.

È una festa familiare alla quale sono invitati tutti i maschi consanguinei, ma possono essere invitate anche le sorelle con i mariti e i figli, le figlie con mariti e prole. In questa festa molti particolari delle cerimonie variano a seconda dei sotto-clan. È molto costosa, dovendo provvedere abbondanza di vitto e di birra per gli invitati. Un particolare è dato dal fatto che se una donna invitata è incinta le vengono offerti due piatti, uno per lei e uno per il nascituro. Gli animali di vario genere, escluse le galline, vengono sacrificati sempre in coppia subito dopo il sorgere del sole o quando il sole è già a metà del suo corso. Gli uomini partecipanti, usciti dal bagno, restano coperti del solo bhagwa, lo straccetto che copre i fianchi.

Secondo il libro della tradizione si sacrifica una capra allo spirito del giorno, cioè al Sole, e una capra o un montone allo spirito del Jom sim che può essere diverso.

Karam

Questa festa, di chiara provenienza indù, è stata accettata da altri adibasi, tra i quali gli Oraon che ne hanno fatta la principale festa dell'anno.

I Santal hanno ben cinque feste che portano questo no­me: guru (o cela) karam, manjhi karam, mora karam, upas karam e mak more karam. Il nome deriva dall'albero karam (Adina cordifolia), i cui rami si adoperano durante la festa. Dicono i Santal: Il karam è l'albero più venerato, perché è nato nel mare dai capelli di Mamma Luna. Babbo Sole un giorno ravviò i capelli a Mamma Luna e ne lasciò cadere alcuni in mare dal pettine che teneva in mano. Fu allora che dal mare crebbe l'albero del Karam. E su questo albero stettero Hàs hàsil e Hàs hàsin, gli uccelli da cui nacquero i Progenitori, prima fosse creata la terra. Quando la terra fu creata, una pianta del Karam vi venne trasportata, e sotto di essa trovarono rifugio i primi uomini. Perciò è molto venerata.

Tra i Santal del distretto di Dinajpur esiste una leggenda in cui si narra della necessità di venerare il Karam per non essere abbandonati dalla buona fortuna (fato favorevole) e per essere uomini secondo il cuore di Thakur o Cando baba.

Karmu e Dharmu erano due fratelli poveri che per vivere dovevano andare ogni giorno a lavorare da un ricco Marndi. Karmu pensava solo al lavoro, mentre Dharmu era molto pio e aveva piantato davanti a casa un albero di karam che innaffiava ogni mattina prima di andare al lavoro. Siccome ogni giorno ritardava ad arrivare nei campi, il fratello maggiore volle rendersi ragione del perché ritardasse tanto, mentr'egli doveva fare doppio lavoro. Una mattina si nascose nelle vicinanze della casa dopo avere finto di partire, e vide con quanta cura il fratello si fermasse ad innaffiare l'albero. Ne provò una forte rabbia e, all'insaputa del fratello, prese ogni giorno a versare acqua bollente ai piedi dell'albero, che in poco tempo secco. Dharmu capì ciò che il fratello aveva fatto e lo rimproverò dicendogli che Thakur jiu, il Creatore, era moltissimo addolorato per quanto aveva fatto. Aggiunse che il Karam era il segno della loro giustizia, ed era anche la loro fortuna; ora il Creatore li avrebbe maledetti. In breve tempo infatti furo­no ridotti all'estrema miseria: tutti gli animali domestici mo­rirono e i frutti vennero invasi da insetti e marcirono o divennero immangiabili. Allora Thakur jiu disse loro: « Siete ridotti in questo stato per colpa vostra, avendo fatto morire il Karam; persuadete la buona fortuna a ritornare se ne siete capaci, e riavrete i vostri beni con qualcosa di più».

Karmu, sentendosi colpevole di quanto era successo, si rivolse a un guru mahali domandandogli in che modo avreb­be potuto persuadere la buona fortuna a ritornare, secondo il consiglio del Creatore. Egli rispose che per persuadere la buona fortuna a ritornare doveva recarsi in mezzo al mare dove avrebbe trovato una pianta di karam e portarla a casa per sostituire quella che aveva fatto morire. (Qui il mito assume forma di puerile leggenda, ma ciò non turba i Santal i quali tutt'al più si domandano: «Noa katha do sari se nase kana, okoe badaea »: Ciò è vero o no, chi lo sa. E non impedisce loro di prendere parte con entusiasmo ai numerosi ritornelli cantati da tutti durante la narrazione, sempre in canto, fatta dal guru o menestrello impegnato allo scopo).

Karmu, rifornitosi di cereali abbrustoliti, secondo il consiglio del guru, iniziò il lungo cammino. Durante la strada s'imbatté successivamente in un albero di fico, in una pianta di prugne selvatiche e in una palma di tale (Borasus flabelliformis). Ad ogni albero chiese dei frutti, ma i frutti erano immangiabili, perché pieni d'insetti. Saputo dove stava andando, lo pregarono che riportasse anche ad essi la buona fortuna. Più avanti incontrò una vacca e una bufala. Chiese ad esse del latte, ma il latte era come sangue e neppure i vitelli lo poppavano. Anch'esse lo pregarono di portare in dietro la loro buona fortuna, ed egli promise. Arrivò al mare ancora digiuno e si fermò vicino all'acqua meditabondo. Stava riflettendo come avrebbe potuto raggiungere la pianta di karam in mezzo al mare, quando arrivò un coccodrillo quatto quatto e gli disse improvvisamente: « Bene! sono dodici anni che digiuno. Adesso ti mangerò e finalmente potrò rimpinzarmi ». Ma Karmu, per nulla spaventato, gli rispose: « Solo dodici anni? Io sono tredici anni che digiuno, perciò mangerò te ». Il coccodrillo, debole per il digiuno, si lasciò impaurire, e lo pregò di avere pietà di lui. Era disposto ad aiutarlo purché lo lasciasse vivere. Karmu allora gli disse che se voleva ottenere pietà doveva trasportarlo in mezzo al mare per prendere la pianta di karam e poi riportarlo a riva. Così poté avere l'albero cercato e con l'albero la buona fortuna. Di ritorno lasciò la buona fortuna anche alla vacca e alla bufala che riebbero latte buono, e alle tre piante che portarono di nuovo frutti saporiti. Da ogni animale e da ogni pianta ebbe un compenso. Portò a casa il karam e lo piantò. Da allora i due fratelli riacquistarono la giustizia e la buona fortuna, e tutti seppero quanto il Karam fosse prezioso e degno di venerazione.

Questa è una delle tante leggende che il guru o il menestrello cantano insieme al racconto della creazione del mondo e altre cose ancora, dopo che i rami dell'albero sono stati piantati nel luogo scelto.

Durante il guru (o cela) karam, che riguarda particolar­mente il medico-mago e i suoi allievi che per ben tre mesi, sotto la sua guida, hanno studiato medicina, scongiuri e i canti connessi, i rami di karam vengono piantati davanti alla casa di costui detto ojha guru, maestro di medicina. Invece durante il manjhi (o jiwet) karam vengono piantati davanti alla casa del capo villaggio. Al mora (o goc) karam, che si celebra in connessione con il bhandan, l'ultima cerimonia funebre in onore del defunto, i rami vengono piantati davan­ti alla casa di chi compie la cerimonia, generalmente l'erede. Quando si celebra l'upas karam, è la stessa pianta, nata sul tetto del fortunato padrone di casa, che viene piantata davanti all'abitazione, e ivi lasciata, oppure trapiantata con grande cura in un altro posto, ma non portata nell'acqua come invece succede per i rami alla fine della festa. Durante il mak moré karam, essendo la gente del villaggio che scioglie un voto fatto in occasione di carestia o pestilenza, i rami vengono ancora piantati davanti alla casa del capo villaggio. Questa festa si accompagna sempre a quella del Mak moré, durante la quale si fanno sacrifici di animali votati al gruppo degli spiriti Mòre, che non si è certi trattarsi dei Mòréko-Turuiko di cui si è sovente parlato. Però tali sacrifici ai Mòré posso­no essere fatti anche senza previo voto, e ciò si fa quando si teme imminente una catastrofe.

Eccezione fatta per il mora (o goé) karam che si svolge in onore di un defunto, e anche il canto del menestrello è una rievocazione delle gesta del defunto, tutti gli altri karam porob si svolgono con danze e canti a suon di tamburi con abbondanti bevute di birra.

Delle cinque feste del karam una sola si può dire festa del ciclo annuale, il guru (o cela) karam, che si svolge ogni anno là dove l'ojha guru raccoglie i giovani per insegnare loro tutto

ciò che concerne la medicina e gli incantesimi. Le altre, pur non potendosi chiamare feste del ciclo vitale, non sono annuali. Si svolgono infatti in circostanze particolari: alla morte di un uomo, ma non di ogni uomo (mora karam); all'elezione di un nuovo capo villaggio (man'jhi karam); quando una pianta di karam germoglia sul tetto di una casa (upas karam); in occasione dello scioglimento di un voto fatto in caso di epidemie o di carestia (mak moré karam).

Con il karam porob termino la descrizione delle feste santal. Non ho detto tutto, ma ho detto qualche cosa di nuovo, come l'origine delle feste, di alcuni spiriti o gruppi di spiriti, il tentativo di santalizzare feste di chiara provenienza indù. Non ritengo conclusa la ricerca circa le feste santal, essendo fuor di dubbio che molti fatti e particolari circa lo svolgimento delle feste possono ancora scaturire da una ricer­ca più approfondita.

Le feste del ciclo vitale sarebbero un ottimo campo di lavoro non solo dal punto di vista etnologico, ma anche in relazione alla creazione di una Liturgia più confacente all'indole santal. Si potrebbe rivedere certo simbolismo di gusto puramente latino, e avere il coraggio di sostituirlo con un altro che parlasse veramente all'anima santal.

5. Conclusione

I Santal hanno una spiccata tendenza a sacralizzare gli avvenimenti di una certa importanza. Ma questa tendenza si manifesta anche in numerosi atti della loro vita: atti abituali o atti occasionali come il dormire in una posizione piuttosto che in un'altra, il sognare, lo svenire, sempre segno dell'azione di uno spirito cattivo. Lo stormire improvviso dei rami di un albero o di un cespuglio, due occhi che brillano nella notte, un'ombra che si muove nell'incerta luce del mattino, un bagliore improvviso, il rifrangersi d'un raggio di sole sull'onda mossa di uno stagno, un vortice di polvere e di foglie diventano un motivo per localizzare uno spirito, perciò il loro ambiente è sovente costellato di piccoli santuari difesi da particolari tabù. Un albero, un cespuglio, il guado di un fiume, il passaggio di una forra, una sorgente, uno stagno, un crocevia possono diventare luoghi venerati e temuti. E questo perché vedono spiriti sbucare da ogni parte. Sono almeno cento gli spiriti che il solo ojha guru invoca nell'esercizio delle sue funzioni . Ma gli spiriti per i Santal sono senza numero, e vago è il loro nome che molte volte sta ad indica­re un gruppo di spiriti.

È ancora la paura degli spiriti che spiega certi loro atteg­giamenti: una donna incinta non uscirà di casa quando c'è il vento, altrimenti gli spiriti le uccidono il bimbo in seno. Gli sposi novelli unti di olio e turmerico non escono di casa se non con in mano una scatoletta di metallo per riporvi cosmetici, detta kajraoti, perché gli spiriti cattivi non si avvicinino a loro per farli morire. Tramontato il sole, nessuno lascerà i vestiti distesi fuori casa, perché qualche spirito o strega potrebbe estrarne dei fili e servirsene per fare morire il proprietario. Di altri comportamenti e tabù per timore degli spiriti si è già parlato trattando l'argomento dei sotto-clan.

I sacrifici e le offerte che si fanno agli spiriti durante le feste hanno lo scopo di placarli sfamandoli, come anche tutti i sacrifici e le offerte che si fanno in privato per ordine del jan-guru, il ricercatore di streghe. Le preghiere stesse che si rivolgono loro sono fatte in forma negativa: che non ci colga mal di pancia o mal di testa; che i venuti da lontano non inciampino lungo la strada, ... che nessuno sveli le scappatelle degli altri.

Tuttavia durante le feste l'ottimismo santal ha sempre il sopravvento, e la paura degli spiriti viene allontanata o di­menticata nella musica, nella danza e nel canto, ma soprattut­to nella birra. Ed è qui il caso di soffermarsi un poco a parlare di questo elemento che assume tanta importanza nella vita sociale santal.

Birra o handi

La birra, detta handi, può essere preparata con il riso, il miglio e altri cereali e con il fiore di matkom, da non confondersi però con la grappa o paura estratta dallo stesso fiore. Questa bevanda è per ogni Santal un segno di ospitalità, di rispetto e di amicizia. Ad un estraneo non si offrirà mai la birra. E il non darla o il non accettarla tra parenti e amici è un atto che non verrà facilmente dimenticato.

Che la birra abbia grande importanza nella vita socio-religiosa santal lo si può dedurre anche dai numerosi nomi che essa assume. Ne cito alcuni:

Abge handi,, bevuta quando si sacrifica agli Abge.

Ada handi, aot handi, kuri kora chatiar handi, sohrae handi, bevuta rispettivamente il primo giorno della festa, dopo la puja, alla fine e durante la festa.

Baha handi, bevuta durante il Baha porob.

Bapla handi, bevuta durante il matrimonio.

Baria handi, offerta quando gli amici dello sposo partono verso la casa della sposa.

Budhi handi, offerta dalla nonna materna della sposa.

Cadi handi, che viene data quando durante il matrimonio si offre una capra.

Gira handi, si beve quando si fissa la data del matrimonio.

Idi agu ruar handi, offerta alla partenza dopo le nozze.

Hoyon handi, hoyon ruar handi, si beve al primo e secondo taglio dei capelli alla cerimonia della purificazione per la nascita.

Chatiar handi, gorom handi, la birra della purificazione e la birra del nonno bevuta durante l'iniziazione.

Jana jani bandi è la birra che si beve all'inizio di qualsiasi festa.

Questi sono alcuni nomi, ma ne esistono almeno una ventina d'altri. Questa dovizia di nomi non può lasciare indifferenti. La birra ha la sua importanza socio-religiosa anche se è causa di tanti guai; e volere chiudere gli occhi davanti a questa realtà sarebbe ridicolo. Ricordo un sacerdote aborigeno che diceva: « So che voi combattete la birra e volete distruggerne l'uso, ma voi non capirete mai niente al riguardo. Sono perfettamente d'accordo circa l'uso e l'abuso che se ne fa dalla mia gente, ma togliere la birra dalle feste è come togliere il rispetto ai parenti e agli amici. Anche quelli che dicono di essere d'accordo con voi bevono alle vostre spalle e se la ridono. No! non è la proibizione assoluta dell'uso della birra che risolverà il problema. Bisogna affrontarlo in un altro modo ...

Personalmente sono d'accordo con questo sacerdote: bisogna affrontare il problema dell'abuso in modo diverso. Né l'imposizione, né le multe, né i castighi indiscriminati d'altro genere verranno ad estinguere l'abuso della birra. La pazienza e la perseveranza nell'esortare alla moderazione è quello che occorre. È soprattutto importante l'educazione dei giovani e il non avere paura di parlare delle conseguenze disastrose a cui si può arrivare abusando di questa bevanda. Portarli gra­datamente all'uso moderato della birra sarebbe l'ideale, un ideale raggiungibile solo attraverso un lungo e costante lavoro di persuasione. Non sono da escludersi neppure moderati castighi là dove l'abuso può rovinare una famiglia o una comunità. Ma che non si tratti di castighi abusivi o che provengano dall'iniziativa privata del missionario. Riaffermare la declinante autorità del capo villaggio e dei suoi ufficiali sarebbe già un passo avanti in questo campo. Ma siccome molte volte il cattivo esempio viene proprio dall'alto, ecco nascere la necessità di formare una élite tra i giovani, che possa lanciare le basi di una società rinnovata con leaders che non siano dei despoti, ma modelli di condotta. E ciò va inteso non soltanto tra i Santal cristiani, ma fra tutti i Santal.

Incenso e acqua lustrale

Questi elementi compaiono molto sovente nelle feste del ciclo annuale, ma particolarmente in quelle del ciclo vitale. Hanno il loro simbolismo e la loro importanza, perciò non si capisce perché siano stati poco alla volta eliminati quasi del tutto dalla Liturgia. Ciò riguarda le comunità da me conosciute. È un punto questo da rivedersi con serenità, disposti magari a rinunciare al nostro personale punto di vista, pur di non privare la Liturgia di elementi che, sia pur secondari, hanno la loro importanza simbolica nella vita del popolo santal. La scusa comunemente portata per giustificare la gra­duale soppressione dell'incenso e dell'acqua lustrale, che cioè si vive in un paese musulmano, non regge affatto. In questo paese musulmano ci sono delle minoranze che hanno diritto ai loro usi e costumi e noi siamo tenuti a rispettarli.

Olio, turmerico e vermiglione

L'olio ha fatto la fine dell'incenso, eppure non manca mai nelle cerimonie delle feste santal. Che l'olio consacrato si deteriori facilmente è fuor di dubbio, ma penso non sia impossibile trovare il modo di conservarlo o rinnovarlo se necessario.

Il turmerico è sempre stato ignorato nella liturgia cattolica, e il vermiglione combattuto come un elemento satanico, essendo simbolo della consacrazione delle vittime e delle offerte agli

spiriti. Penso che teologi e liturgisti potrebbero sistemare la questione senza causare turbamenti d animo o crisi di fede ai puritani e ai tradizionalisti. Ma è mai possibile che elementi così importanti nella vita socio-religiosa dei Santal e degli altri popoli aborigeni del Bangladesh, debbano continuare ad essere ignorati o rigettati nella Liturgia cristiana?

Canto, musica e danza

Per quanto riguarda il canto e la musica se ne fa già buon uso nella Liturgia della Messa, ma dovrebbero avere un incremento nella Liturgia del battesimo, cresima e matrimonio.

La danza finora è esclusa dalla Liturgia, ma a mio parere potrebbe, anzi dovrebbe essere introdotta almeno nella Liturgia offertoriale della Messa. Tra le danze santal si tratta di sapere scegliere quella più adatta.

Canto, musica e danza possono diventare un efficace mezzo di proclamazione del kerigma. Non sarebbe il primo esperimento in Bengala per quanto riguarda il canto e la musica. Già furono usati efficacemente questi mezzi agli inizi della missione nel Bengala Centrale. Si tratterebbe di preparare in sintesi una Storia della Salvezza partendo dai primi libri della Bibbia fino alla morte e resurrezione di Cristo. La preparazione del testo non presenta difficoltà insormontabili. Più difficile la preparazione di un gruppo ben affiatato di cantori e suonatori e la scelta della musica e della danza adatta ai singoli argomenti trattati. E questa una stupenda possibilità che potrebbe aprire una nuova strada al messaggio di Cristo tra i Santal e gli altri popoli aborigeni.

Le feste

Conoscendo l'origine delle varie feste santal del ciclo annuale, penso che nessuno possa ancora sperare di poterle « cristianizzare ». Le due principali, il Sohrae e il Baba, sono già egregiamente sostituite dal Natale e dalla Pasqua. Ma è assai importante vigilare che tanto i non cristiani, quanto i cristiani non confondano le due feste cristiane con le due della loro tradizione.

Sembra che finora nessuno abbia pensato di identificare la Pasqua con il Baba, mentre in molti posti il Natale è stato identificato al Sohrae, e più volte ebbi occasione di sentirlo chiamare Sohrae cristiano. Lo stesso Archer ha paragonato l'atmosfera del Sohrae a quella del Natale. Ma questa confusione deve evitarsi nel modo più assoluto, perché il Natale non ha nulla a che fare con il Sohrae, né per la festa in sé né per l'atmosfera che l'avvolge. Per amare esperienza so che nei villaggi dove questo avvicinamento è stato fatto, a scapitarne è sempre stato il Natale, che è sceso al disastroso livello del Sohrae, specialmente per quanto riguarda le sbornie solenni.

Sono comunque del parere che il Natale debba essere solennizzato non soltanto liturgicamente, ma anche con un apparato festivo esterno, che assecondi il desiderio di gioia del temperamento santal. Musica, canto, danze e giochi di abilità, a cui i giovani e anche i non tanto giovani si sentono portati, dovrebbero caratterizzare la parte esteriore di questa festa.

Quanto detto per il Natale vale anche per la Pasqua. Una festa del Ringraziamento, seconda solo alla Pasqua e al Natale, dovrebbe entrare a fare parte dell'anno liturgico. Questa festa, da stabilirsi alla fine di ottobre o ai primi di novembre, sostituirebbe molto bene quella dell'Iri ghundli nàwai e quella del Babiar boro nàwai. Per solennizzarla sarebbe quanto mai opportuno farla precedere da un triduo liturgico con Messa e catechesi appropriata, partendo da testi scritturistici.

Esiste già una festa del Ringraziamento, fissata anno per anno dai maggiorenti dei villaggi cristiani, alla quale però in questi ultimi anni si è data troppa poca importanza, e che corre il rischio di perdersi nel nulla se non si cerca di ravvivarla con una liturgia adatta. Ma pur imperniandola sull'elemento liturgico, questa festa deve essere celebrata in un'atmosfera di serenità e fraternità, caratterizzata perciò, oltre che da danze canti e musica, anche da un pasto in comune con i frutti del nuovo raccolto.

Durante la Messa l'offerta del nuovo riso e di altri cereali dovrebbe assumere una solennità tutta particolare con suono, canto e danza. Il ricavato potrebbe servire per il pasto in comune e per un'equa distribuzione tra le famiglie povere della comunità.

Sarebbe anche da studiarsi lo stabilirsi di una festa che sostituisca l'Erok' sim e l'Hariar sim, preceduta da una catechesi sul lavoro e la speranza cristiana. Forse in questo periodo, fine maggio-giugno, un banchetto comune non e con­sigliabile, ma un po' di festa esterna con danze, musica e canto non sarebbe certo fuori di luogo.

Queste due feste dovrebbero essere celebrate e adeguatamente preparate non solo al centro della missione, ma contemporaneamente o in domeniche successive in altri posti per determinati gruppi di villaggi. Potrebbero essere una buona occasione per l'esecuzione in canto della Storia della Salvezza, alla quale assisterebbero senza dubbio molti non cristiani.

Comunque l'importante sarebbe puntare su di una Litur­gia propria per ogni festa, ricca di testi liturgici e di simboli, tutta da studiarsi.

In questi ultimi anni sono state abolite alcune festività intersettimanali per le esigenze socio-politiche del Paese e sono state praticamente tolte le possibilità d'incontro tra i cristiani dei vari villaggi e delle varie missioni. Ciò ha ridotto di molto i contatti umani. Ora mi pare che feste liturgi­camente e folcloristicamente rinnovate o «inventate», pur attenendoci ai giorni di domenica, potrebbero favorire questi contatti che sviluppano e fortificano le comunità. Soprattutto dovrebbero favorire i contatti tra i giovani anche dei due sessi. Si è visto infatti che alcune feste santal in particolare sono un mezzo d'incontro tra i giovani. Ma se questi incontri, invece di avvenire in un clima di sguaiatezza e di permissività sessuale, avvenissero in un clima di sereno divertimento, sarebbe tutto di guadagnato per le nostre comunità. E i giovani questo lo comprendono molto bene, e non nascon­dono che, se un sano divertimento è negato loro in un am­biente cristiano, vanno a procurarselo dove possono e come possono in un ambiente non cristiano. E noi non possiamo chiudere gli occhi a queste realtà per un puritanesimo ipocrita o per un angelismo fuori della realtà. Del resto è risaputo che molte volte l'angelismo è sbandierato proprio da coloro che agli Angeli non credono più. Una sana pastorale che riguardi la palese reciproca conoscenza dei giovani dei due sessi eviterà tanti incontri furtivi, che tra i giovani santal sono piuttosto frequenti. E purtroppo l'amico o l'amica dei giochi amorosi prematrimoniali sarà causa di guai anche a matrimonio avvenuto, e molte volte si verificheranno rotture insanabili. Se tra i non cristiani il ritorno al proprio amico (gaie) è cosa ampiamente tollerata, specialmente durante la festa del Sohrae, non può esserlo certo tra i cristiani. È perciò cosa importante l'evitare il formarsi di queste segrete amicizie, favorendo palesi incontri tra i giovani, che li indirizzino a buoni matrimoni.

Nessun missionario, per quanto riguarda la sessualità, dovrebbe ignorare che la parentela giocosa ha profonde radici anche tra i cristiani, specialmente tra i neo convertiti che, per mancanza di tempo o per ignoranza o falso pudore di chi li ha istruiti, non hanno ricevuto un'istruzione sufficiente.

Ricordo le escandescenze di un ottimo Padre per la candida affermazione di un uomo da poco sposato, sorpreso in tenerezze con la sorella minore della propria moglie: « Io non ho fatto nulla contro le usanze della mia tribù ». Ciò dimostra che troppe volte i missionari ignorano gli usi e costumi del loro popolo e i fedeli ignorano che cosa comporta l'essere cristiani. Da ambe le parti manca quel grano di sapienza che permette il formarsi di solide cristianità.

Queste note finali e anche tutto il lavoro svolto saranno condannati a completa sterilità se non interviene l'opera di qualche Teologo o di qualche Liturgista, che renda possibile l'attuazione di una pastorale e di una liturgia più confacente all'indole santal.

L'esperienza insegna che non sono sufficienti discussioni e programmi per attuare un lavoro di rinnovamento, che si rende sempre più indispensabile per lo stabilirsi di una Chiesa locale efficiente. Alla competenza si deve unire la buona volontà e la cooperazione di tutti quelli che sono interessati a questo rinnovamento.

Per quanto riguarda il Bangladesh, negli anni del dopo Concilio la Teologia missionaria è rimasta una maestosa pianta ricca di foglie e di fiori, ma priva di frutti. Una pianta conosciuta da tutti, anche se molti ne ignorano il nome, alla cui ombra si sono formulati numerosi piani pastorali, rimasti tutti allo stato di buone intenzioni. Si è parlato ripetutamente di catecumenato, di kerigma, di catechesi, e si è fatto di tutto un minestrone risultato immangiabile.

La Liturgia, a parte i testi liturgici tradotti o creati ex novo in lingua bengalese e santal, ha fatto solo timidi passi in alcuni centri di missione. Ma, spogliata quasi ovunque dello sfarzo esterno, è rimasta nuda, in attesa che qualcuno la rivesta di abiti nuovi.

Un argomento trattato molto sovente è stato quello dell'adattamento missionario, frainteso da alcuni, contrastato in pratica da altri. I primi sono caduti in una pedante imitazio­ne esteriore del popolo tra cui vivono, i secondi hanno continuato sulla strada percorsa da sempre. Pochi si sono sforzati di penetrare a fondo l'animo della gente.

Si è parlato di Chiesa locale, di indigenizzazione della Chiesa, pensando erroneamente che per renderla indigena era necessario che si allontanassero tutti gli allogeni, neppure immaginando che così si decadrebbe in una Chiesa razzista. Quello che conta è in realtà un adattamento intelligente basato sulla conoscenza amorosa degli usi e costumi e dell'ani­mo del popolo tra cui si vive. Ma, forse senza volerlo, si continua ad imporre i propri punti di vista in ogni campo.

Nonostante i punti negativi sopra accennati, si deve dire che in Bangladesh, anche in questi ultimi anni, i missionari hanno lavorato alacremente per il Regno di Cristo. Ma quello che conta è fidarci di Lui, unificare gli sforzi e lavorare in umiltà.

Il linguaggio dei Santal di don Renato Rosso

Note sulla lingua santali

Il Santali è la più importante di tutte le lingue Munda. Circa il 75 percento di tutti i Mundas la parlano, il numero totale di chi la parla è stimato in circa 1.75 milione di persone.


Nome della Lingua.

Santali letteralmente è ' la lingua dei Santals. ' ' Santal' è il nome applicato dagli stranieri alla tribù che ha dato il suo nome ai Sonthal Parganas. Santal è, secondo Skrefsrud, una corruzione di Saotal o Saotar, il nome comune della tribù usato dai Bengalesi. La forma Santal e Sontal sono usati solamente da nativi che sono entrati in contatto con europei. Lui deduce il nome da Saot in Midnapore dove la tribù è supposta essersi stabilita per molte generazioni. Il ' Soontarrs' sono menzionati già nel 1798 come una tribù selvatica e illetterata. Santals chiamano loro stessi uomini harko o har hapan, "bambino dell'uomo". Se richiesti sul loro nome e sulla casta loro di solito applicano il titolo Manjhi (capo). La loro lingua è stata riportata perciò qualche volta con vari nomi come Har, Har Har cioè la lingua degli Hars, Manjhi e così avanti. Si trova spesso anche l'uso Pharsi o Parsi come una denominazione di questa lingua. In Murshidabad la lingua è localmente nota come Jangali, ' lingua della foresta, ' o Paharia, 'lingua della montagna.' In Bankura e Morbhanj essa è riportata come Thar, ' il linguaggio straniero, e in Bankura alcuni furono catalogati come Khera o Kara. È, comunque, ora chiaro che nessun dialetto simile esiste nel distretto. Il Khara Khara dei Sonthal Parganas sono riferiti agli Jadopatias. Loro sono aborigeni semiinduizzati. Tutti questi nomi secondari sono basati su malintesi o su considerazioni che niente hanno a che fare con lingua. Non saranno perciò considerati e ci riferiremo esclusivamente alla lingua Santali.


Residenza originale.

In accordo alle tradizioni Santal, la tribù fu unita una volta con quello che ora sono i Mundaris, gli Hos, ed altre tribù piccole. Asseriscono che nei tempi antichi si chiamavano Kherwars. Le storie tradizionali contengono allusioni ad antiche migrazioni e vagabondaggi dall'ovest. Questi vagabondaggi sono successi probabilmente in tempi relativamente moderni. Secondo Risley, è chiaro, che una grande e importante colonia di Santal fu stabilita una volta nelle parganas Chai e Champa in Hazaribagh. Lo stesso autore commenta: ' Una tradizione è riportata dal Colonnello Dalton circa un vecchio forte in Chai occupato da uno Jaura, un Santal Raja che distrusse lui e la sua famiglia quando ebbe notizie dell'approccio di un esercito di Muhammadan sotto Sayyid Ibrahim Ali alias malik Baya, un generale di Muhammad Tughlak che morì nel 1353. Questa tradizione, che si riferisce all'esistenza di un forte Santal in Chai Champa, è in un certo senso confermata dal seguente passaggio dalle leggende dei Santals Meridionali raccolte dal Rev. J. Phillips, e pubblicato in appendice agli Annals of Rural Bengal, ed. 1868: "Fermandosi là (in Chai Champa) si moltiplicarono grandemente. C'erano due cancelli, Ahin e Bahini controllano, al forte di Chai Champa". Si presume inoltre che la data della conquista di questo forte da Ibrahim Ali sia stata circa il 1340 A.D., ed allora le migrazioni susseguenti riempirebbero il periodo che intercorre tra la partenza del Santals da Chai Champa e la loro sistemazione nel Santal Parganas presente. Generalmente parlando, queste migrazioni recenti sono state verso l'est, che è la direzione che ci sarebbe aspettata. Le prime sistemazioni delle quali la tradizione Santal parla, quelle in Ahiri Pipri e Chai Champa, sono sulla frontiera nordoccidentale della pianura di Hazaribagh e nella stessa direzione di numerosi immigranti indù dal Behar. Che l'afflusso di indù ha infatti spinto i Santals verso est è certo, ed in linea con quanto riportato nelle leggende tribali. Da Hazaribagh i Santals hanno peregrinato nel Monbhum, e nelle Sonthal Parganas. Questo chiarimento delle leggende tradizionali si trova d'accordo col fatto che sistemazioni sparse di Santals sono state trovate nell'Hazaribagh. Skrefsrud, è vero, pensa che questi viaggi siano avvenuti in un passato molto remoto. Secondo lui essi implicano una vecchia immigrazione in India dal nord-ovest mentre Dalton si riferisce ad antichi viaggi dall'Assam. Molti sono le leggende che si riferiscono a un

tempo precedente al soggiorno a Chae Champa. Tutti i luoghi in cui sono supposti avere vissuto, da Hihiri Hipiri alla loro attuale residenza, sono menzionati, e anche alcuni nomi della più remota antichità. Essi sono sempre ripetuti nella cerimonia del chacho chhatiar, la cerimonia d quando una persona è ammessa come membro della comunità. Mi sembra corretto che Risley rifiuti di datare dall' antichità le tradizioni santal. Esse sono apparentemente influenzate da varie fonti.

Residenza attuale.

Il Santali è parlato su una parte del paese che si estende per circa 300 miglia dal Ganges nel nord al Baitarani nel sud. Comprende il sud di Bhagalpur e Monghyr; l'ovest di Birbhum e Burdwan; pressocché l'intero di Bankura; l'angolo occidentale di Midnapore; la porzione più grande di Morbhanj e Nilgiri; il nord-ovest di Balasore; il nord-est di Keonjhar; Dalbhum; Sarai Kala; Kharsawan; Manbhum; il Sonthal Parganas, e l'est di Hazaribagh. Ci sono sistemazioni sparse e più lontano nel sud-ovest di Murshidabad, nelle parti centrali dei 24-Parganas, nelle giungle nel sud di Dinajpur e i tratti adiacenti di Malda, Rajshahi, e Bogra e nel sud-ovest di Rangpur. Immigranti non-residenti hanno più lontano portato la lingua a Jalpaiguri e in Assam, dove i Santals sono occupati come operai nelle coltivazioni del the. Il Santali non è in nessun luogo l'unica lingua, e solamente nel Sonthal Parganas essa è la principale. Dialetti minori Munda sono stati trovati a fianco del Santali, e tribù ariane hanno, generalmente parlando, occupò le pianure, come gli stessi Santals hanno cacciato precedentemente la tribù di Malto dai bassopiani e dalle valli e li ha confinati nelle terre più alte e nelle colline.


Dialetti.

Il Santali è notevolmente una lingua uniforme. Ci sono solamente due dialetti, e anche questi non differiscono molto dalla forma standard. Essi sono il Karmali, parlato dalla tribù di Kalha nei Sonthal Parganas, Manbhum e Hazaribagh, e il dialetto del Mahles nella porzione centrale e meridionale dei Sonthal Parganas e le parti adiacenti di Birbhum e Manbhum. Il Santali è stato influenzato dalle lingue ariane delle vicinanze. Questa influenza è, comunque, principalmente confinata al vocabolario, sebbene noi possiamo vedere anche come suffissi e sintassi ariane stanno prendendo piede, e qualche postposizione è ariana. La struttura e il carattere generale della lingua sono rimasti comunque, parlando in generale, immutati. Il Bihari è la lingua ariana che ha influenzato più grandemente il Santali. Nell'est la lingua ora ha cominciato a venire influenzata dal Bengalese, e nel sud è rintracciabile l'influenza Orya. Le fonti diverse dalle quali le parole sono state prese in prestito influenzano in un certo modo il loro utilizzo. Così la a breve è soppressa in parole prese in prestito da Bihari ma è pronunciata come an in caso di parole bengalesi. Così si è prodotta una differenza tra il Santali dei distretti bengalesi e quello parlato in luoghi dove il Bihari è la lingua principale. L'influenza bengalese è relativamente recente, ma va via via sempre più diffondendosi. Questa differenza tra Bengali-Santali e Bihari-Santali che solamente esiste in una parte limitata del vocabolario, non può essere vista negli esempi che seguono, ma sarebbe necessario avere a disposizione più materiale. La perdita non è, comunque, grande, la vera lingua è la stessa in entrambi i casi. Il Santali più puro è parlato nel nord, specialmente nel Sonthal Parganas e in Manbhum. Il dialetto parlato in Midnapore, Balasore, Singbhum, e Orissa è mescolato di più mostra una graduale influenza dei linguaggi ariani.

Dati numerici.

Il numero stabilito in quei distretti dove il Santali è parlato è stato valutato come segue per lo scopo di questo esame:

Burdwan 21,368

Birbhum 41,700

Bankura 96,911

Midnapore 118,062

Murshidabad 7,795

Monghyr 7,000

Bhagalpur 50,063

Sonthal Parganas 626,254

Balasore 893

Hazaribagh 72,535

Manbhum 144,820

Singbhum 59,212

Keonjhar 11,730

Morbhanj 154,806

Nilgiri 1,865

Sarai Kala 17,815

Kharsawan 2,957

Bonai 39

Totale 1,435,825


Secondo valutazioni il Santali era parlato al di fuori dell'India nei distretti seguenti:

Bengal Presidency-24

Parganas 18,868

Rajshahi 5,652

Dinajpur 28,148

Jalpaiguri 3,275

Rangpur 905

Bogra 4,910

Malda 25,000

Sarguja 16

Assam-Cachar Plains 2,162

Sylhet 3,950

Goalpara 1,000

Kamrup 140

Darrang 1,900

Nowgong 1,100

Sibsagar 4,250

Lakhimpur 4,700

Totale 105,976

Aggiungendo queste figure noi arriviamo al seguente totale :

Santali parlato a casa 1,435,825

Santali parlato all'estero 105,976

Totale 1,541,801

Cultura, discriminazione e perdita delle terre

Traduzione tratta da: Silent Forests Di Tone Bleie with Logen Kisku

Culture, environmental degradation and

poverty among the Santals of Bangladesh

Chr. Michelsen Institute

Introduzione

Durante il nostro esame preliminare nel 1996 il problema della perdita delle terre, ancora in corso e già avvenuto, ci apparve come una probabile causa dell'impoverimento della comunità Santal. Comprendemmo anche che dovevamo prestare più attenzione ai collegamenti tra discriminazione di una minoranza etnica e la perdita della terra. Ci siamo quindi focalizzati su alcune importanti domande:

È possibile valutare la perdita delle terre dei Santal, dal periodo britannico fino ad oggi? Quali sono le cause principali della perdita delle terre, sono esse cambiate negli

ultimi 50 anni? È possibile valutare l'ammontare delle vendite legali e quello delle appropriazioni illegali? Sono davvero sempre i Santal le vittime e i Bangladesi i colpevoli? C'è qualche differenza nella perdita della terra fra i Santal cristiani e quelli non cristiani? Quanta terra si può evitare di vendere a persone non-Santal e come?

Il periodo 1947-1971


Nel 1947 i Santal, come altri adibasi (tribali), avevano varie forme di diritti sui terreni degli Zamindar che erano i proprietari. Le aree abitate dagli adibasi avevano sistemi feudali con Zamindar e sub-zamindars che, a loro volta, subaffittavano la terra ai ryots con diritto di occupazione e che dovevano pagare l'affitto al sub-zamindaro direttamente allo stato.

C'erano altri possessori dei terreni, gli jotadars, che spesso non potevano reclamare tutto il raccolto in quanto parte della tassa governativa sui terreni veniva pagata dagli stessi zamindar. Quando lo Zamindary Act fu abolito nel 1952, molti Santal e altri adibasi non ottennero la conversione dei loro diritti in proprietà legale della terra. Ci sono molte ragioni per questo, in particolare dovute sia alla complicazione delle leggi che all'analfabetismo dei tribali, che li rendeva incapaci non solo di leggere i complicati documenti, ma anche di capirne il significato che veniva loro indicato da chi era in grado di leggerli. Vi erano addirittura significative differenze di legislazione tra villaggio e villaggio. Tragicamente molti tribali, che avevano il controllo su una larga proprietà, ne avevano persa la maggior parte o addirittura tutta nel corso degli ultimi 45 anni.

Non possiamo purtroppo fornire nemmeno un'indicazione su quanta parte delle terre era posseduta a pieno titolo o quanta era stata data in affitto in quanto, per quel periodo, mancano le relative registrazioni. Sembra che molti Santal avessero la convinzione di poter mantenere i propri diritti di possesso, anche in compartecipazione con altri, in modo da assicurare la propria sopravvivenza.

Invece di coltivare la terra, la subaffittarono per ottenere in anticipo il pagamento che serviva a loro volta a pagare il contratto d'affitto. Anche i ryots subaffittavano i terreni ai korfa-ryots, con differenti diritti. Una categoria poteva avere dei diritti e non poteva essere facilmente cacciata, un'altra poteva invece avere dei diritti meno validi e poteva esser mandata via più facilmente. Un altro tipo di coltivatori erano gli adhi-ryots, mezzadri che dovevano dare una considerevole porzione del raccolto ai possidenti. Nei primi anni del 1940, nell'area di Rajshahi, vi fu una rivolta, e molti Santal furono spietatamente uccisi dalla polizia armata.

Nei primi anni 1950 vi furono altre perdite di controllo della terra, in conseguenza della partizione del Bengala del 1947. Molti indù sentirono le proprie vite direttamente minacciate, nel nuovo stato musulmano del Pakistanorientale. Vendettero in fretta tutti i loro beni immobili o semplicemente fuggirono, lasciando le loro case e le loro terre affidate agli adibasi, a cui avevano offerto precedentemente qualche forma di aiuto. Ma quando gli adibasi osservarono che i loro propri padroni stavano andando via, si sentirono ancora più insicuri, in una situazione di per sé già turbolenta. Le loro paure non erano infondate.

I Bangladesi musulmani erano naturalmente a conoscenza di queste relazioni privilegiate tra indù ed adibasi ed avevano osservato anche l'induizzazione di alcune pratiche religiose tribali. Seguirono violenze (anche stupri) ed intimidazioni di vario genere che costrinsero molti Santal ad abbandonare i propri villaggi e a sistemarsi in rifugi che le varie missioni avevano creato o, addirittura, ad emigrare in Bengala occidentale o in Assam, entrambi in India. Alcuni dei rifugiati si stabilirono definitivamente in India, mentre molti altri ritornarono nel Pakistan orientale dopo un paio di mesi e trovarono che la loro terra era già stata occupata. Molti di essi non furono in grado di chiederne la restituzione.

Le ingiustizie commesse contro gli adibasi nel Bengala occidentale, dopo la divisione del 1947, sono state investigate e documentate ma uno studio completo sulle atrocità commesse e sull'impatto relativo alla perdita delle terre non è ancora stato compiuto. Siamo riusciti a trovare le cause principali della perdita della terra? È possibile fare una stima di essa, relativa al periodo tra il 1952 e il 1971? Le nostre informazioni sono purtroppo incomplete e non del tutto affidabili, ma possiamo comunque trarre qualche conclusione.

Negli anni 1950 e 1960 molti Santal che avevano perso la terra nel 1952, o che non avevano chiesto il riconoscimento dei propri diritti sulla proprietà, continuarono a coltivare la terra dei ricchi proprietari bangladesi, musulmani, che l'avevano acquistata dai precedenti proprietari indù. Ma, anche se non siamo in grado di quantificarli, vi erano anche dei ricchi Santal. Avvennero degli scontri negli anni 1956, 1957, 1962 e successivamente durante la guerra indo-pakistana del 1965. I Santal si resero ancora una volta conto della propria vulnerabilità nei riguardi dei musulmani.

Il nostro esame indica un numero molto limitato (12 famiglie su 399) di ipoteche in questo periodo. Probabilmente la nostra indicazione è sottostimata, ma riteniamo non eccessivamente, in quanto all'epoca le ipoteche erano meno frequenti, in paragone a quello successivo alla guerra di indipendenza del Bangladesh.

Nello stesso periodo abbiamo registrato 22 esempi (su 399) di "altra perdita della terra" a favore di Bangladesi, con vari mezzi illegali e ci siamo resi conto che l'occupazione spesso era preceduta da vari generi di minacce fisiche e assalti diretti. Alcune volte i dati venivano falsificati e quasi tutte le cause promosse in tribunale dai Santal avevano il risultato di dar ragione ai musulmani e torto ai Santal, anche per mancanza di un adeguato supporto legale.

Nello stesso periodo abbiamo anche registrato 10 casi di perdita della terra in favore di altri Santal. In 3 di questi casi i trasferimenti della terra sono risultati illegali, con l'uso di minacce e l'occupazione forzata della terra. Negli altri casi le ragioni si possono sempre identificare in un bisogno impellente di soldi (debiti, spese mediche ecc.) In sintesi ci risulta che circa 207 acri (83 ettari) andarono a Bangladesi e 22 acri (9 ettari) a Santal, con un rapporto quasi di 10 ad 1.

L' "East Bengal State Acquisition and Tenancy Act" (EBSATA) del 1950 avrebbe dovuto limitare i trasferimenti di terra degli adibasi ai non-adibasi. Permise invece la vendita in caso di "ragioni serie" che dovevano essere certificate dal Commissario del Distretto. Nel nostro esame noi abbiamo registrato 26 casi di trasferimenti resi, in tal modo, legali e i beneficiari non furono mai adibasi ma Bangladesi musulmani. La maggior parte di questa terra non fu venduta a privati ma fu espropriata dal governo per la formazione di fattorie statali. Dei 124 acri (50 ettari) venduti in base all' EBSATA, l'85% fu espropriato dal governo, con compensi irrisori.

La maggior parte dei dati in nostro possesso deriva dal Distretto di Galbanda ed abbiamo appreso che tutta la fertile terra coltivata a canna da zucchero dello zuccherificio di Mahimaganj (Rangpur Zila) era precedentemente posseduto ecoltivato da adibasi locali. I loro discendenti sono attualmente dei poveri salariati giornalieri, che lavorano la terra una volta posseduta dai loro genitori e nonni. La base giuridica per questa appropriazione del governo dovrebbe, a nostro avviso, essere riesaminata.

Abbiamo registrato 4 esempi di Santals la cui terra era stata dichiarata "terra khas statale". Anche in questo caso dobbiamo pensare ad una sottostima; certamente viene osservato che in alcuni casi si trattava di tasse non pagate ed in altri di adibasi che non avevano legalmente documentato i propri diritti.

Il periodo 1972-1997


Nei primi anni dopo la guerra di liberazione i Santal delle famiglie che hanno fatto parte del nostro studio possedevano 137.593 decimals (551 ettari) di terra e dobbiamo ritenere che anche questo valore è sottostimato, in quanto abbiamo notato una tendenza a sottovalutare il terreno posseduto da oltre dieci anni. Se comunque paragoniamo questo dato a quello in nostro possesso per il 1997 (83.454 decimals o 334 ettari) possiamo avere un'indicazione abbastanza attendibile della terra persa, circa il 40%.

La domanda-chiave che ne deriva è: attraverso quali meccanismi questa terra è stata persa? E, ci sono significative differenze relative alla posizione economica, all'affiliazione religiosa, ai vari distretti ecc.? Pensiamo di avere sufficiente evidenza, sia dalle informazioni ricevute che dalle successive interviste, che spesso l'ipoteca è il primo atto che porta, irreversibilmente, alla perdita della terra. Possiamo infatti indicare che, dei 16.361 decimals (66 ettari) ipotecati soltanto il 15% è stato riscattato nello stesso periodo (1972-1997) e che, senz'altro, l'ammontare della terra ipotecata è stato maggiormente sottovalutato rispetto a quello della terra riscattata.

Avremmo potuto chiedere maggiori dettagli, ma abbiamo preferito di non farlo per evitare di rendere troppo sospettose le famiglie intervistate e distruggere quella fiducia che eravamo riusciti a creare. Dei casi riportati nel periodo 1972-1997, 19 accaddero negli anni 1970, 23 negli 1980 e ben 119 nei 1990. È evidente che, quanto più si va indietro con il tempo, tanto più si rischia di avere dei dati parziali ed inaffidabili ma è comunque fuor di dubbio che la percentuale della terra riscattata, rispetto a quella ipotecata, è probabilmente addirittura inferiore al 10%. Abbiamo anche forti indicazioni che molta della terra riportata come ipotecata durante gli anni 1970 e 1980 fu venduta, più o meno legalmente. Questa terra, prima indicata come ipotecata, riappare così nei nostri dati come "terra venduta legalmente" e come "altra perdita della terra".

Abbiamo calcolato che circa l'11% delle terre possedute nel 1972 fu ipotecato durante il periodo 1972-1997, il 3% a Santal e l'8% a Bangladesi. La cosa importante che abbiamo trovato è che, anche se una parte di questa terra è andata persa, un'altra è ancora affittata ( e controllata dai Santal) e, con opportuni programmi ed azioni legali, potrebbe essere restituita alla comunità.

Prima di procedere nella nostra discussione sul ruolo delle ipoteche nella perdita della terra e su un possibile riscatto, esaminiamo le varie categorie di trasferimenti, che abbiamo catalogato come: terra del nemico, terra forestale, terra kash, terra venduta con l'EBSAT Act e, infine, altra perdita della terra (illegalmente o senza appropriati documenti).

Mentre l'ammontare totale indicato come terra del nemico è esiguo (il 3% della terra totale posseduta nel 1972), è importante notare che tale confisca accadde in un numero limitato di piccoli villaggi (13 su 60) negli anni 1970 e nei primi anni 1980. Probabilmente anche questo numero è sottostimato, riteniamo al 50%. Le ipoteche sono risultate stabili negli anni 1970 e 1980 e sono poi notevolmente cresciute negli anni 1990. Un'altra difficoltà deriva dal fatto che lo stesso terreno può essere stato ipotecato più di una volta.

Molte confische, 15 sui 19 casi registrati avvennero negli anni 70; 3 negli anni 1980 ed una, a Dhanjuri, nel 1995. La maggior parte avvenne nel periodo immediatamente successivo alla guerra di indipendenza quando, come già detto, molti Santal si rifugiarono in India e, al loro ritorno, trovarono la loro terra occupata dai Bangladesi. Ci sono anche casi di Santals che non andarono via ma persero la terra illegalmente, con documenti falsificati o dopo minacce.

Abbiamo registrato un singolo caso (da Phoolbanda) di confisca come zona forestale protetta. Meno del 3% della terra posseduta nel 1972 fu persa così. La ragione più frequente fu il mancato pagamento delle tasse. "Altra perdita della terra" è una categoria eterogenea di trasferimenti legali o illegali, che è stata valutata al 27% della terra persa. Di questa porzione il 45% è andato a Santal ed il 55% a Bangladesi. Abbiamo informazioni considerevoli sulle circostanze e sulle illegalità di questi trasferimenti ed in particolare i trasferimenti ai Bangladesi furono illegali e non sottoposti, come dovevano, all'EBSAT su menzionato. Su 61 trasferimenti a Bangladesi, 25 sono chiaramente illegali, con documenti falsificati od occupazione forzata.

Per altri 20, sempre illegali, non si ha indicazione di occupazione forzata o di violenze. Molto spesso i Santal avevano ottenuto dei prestiti (necessari per l'acquisto di bestiame, malattie, spese matrimoniali etc) ad alto interesse e non erano poi stati in grado di restituirli. Alcune vendite illegali ad altri Santal sono anche state documentate, ma la loro percentuale è molto bassa.

Una importante domanda comunque resta: quali sono i principali motivi per questo massiccio trasferimento di terra agricola? Abbiamo tentato, nel nostro studio, di esaminare i motivi di ogni singolo trasferimento. Per esempio, fattori come "povertà" sono molto generali, mentre "spese per malattia", "copertura di spese del matrimonio", "soldi per acquisto di altra terra", "raccolto perso (spesso per siccità)" o "acquisto di attrezzature o di bestiame" indicano concretamente i principali motivi del debito. Molti di questi motivi sono stati i principali fattori "causa-effetto" in un ciclo di povertà che ha intrappolato molti Santal, e lo fa ancora oggi per quelli che possiedono della terra.

Altri fattori sono più nascosti e, generalmente, non sono indicati. Chiaramente nessuno dirà che ha perso la terra a seguito di uno smodato uso di alcool, che è un altro fattore della tragica catena "causa-effetto" dell'impoverimento, che arriva alla perdita della terra dopo che sono state disattese le più basilari esigenze della famiglia e della coltivazione dei campi.

I rapporti indicano un impoverimento riferito a diversi fattori (reddito basso, mancanza di accesso a risorse della proprietà comuni, leggi dell'eredità), fattori culturali ( divertimenti, vita comunitaria, in cui il bere è una parte importante), e discriminazione sociale dovuta al fatto di appartenere ad una minoranza. La discriminazione sociale è evidente in quanto bisogna sempre rivolgersi ad intermediari bangladesi, in quanto nessun Santal occupa una posizione di prestigio, soprattutto nel settore governativo. E, approfittando della debolezza e dello stato di inferiorità dei Santal, sono stati (e lo sono tuttora) parecchi i Bangladesi che hanno usato ogni mezzo, lecito o meno, per privarli della loro terra.

Anche il ruolo dei leader dei Santal nell'approvazione e nella certificazione delle vendite della terra sotto l'ESAST Act merita un esame più attento. Abbiamo acquisito evidenza che è stato comune per essi accettare doni e tangenti per certificare un trasferimento (al Commissario del Distretto), pur sapendo che l'acquirente era un Bangladese e non un Santal, come riportato sugli atti ufficiali.

È in conclusione l'insieme di tutti questi fattori che nella maggior parte dei casi ha portato alla perdita della terra.

Consideriamo l'esempio di ricchi Santal che, 25-40 anni fa, possedevano terra in abbondanza.

È importante capire che la nozione culturale di abbondanza e ricchezza copre, per loro, sia il fabbisogno giornaliero che la necessità sociale di spartire con altri quello che la terra produce, oltre il necessario, e così si distribuisce birra e cibo per il sacro dovere di ospitalità. Non si pensa mai alle future esigenze della famiglia, vivendo quasi alla giornata o, per meglio dire, sino al prossimo raccolto. Si arriva quindi a non sfruttare appieno la terra e, al limite, a subaffittarla o a non utilizzarla del tutto.

Oltre alla frammentazione del terreno dovuta alle eredità, in effetti non molto dannosa, si può avere il caso che parte della terra sia ipotecata e così soltanto parte di essa, spesso il 20/30%, viene effettivamente coltivata.

La situazione dei Santal cristiani è migliore di quella dei Santal non cristiani?

Distribuzione delle famiglie per possesso di terra

* Bangladesh. Statistical Pocket Book, Agii-Census, 1994

1 acro corrisponde a 0,4046 ettari

Nella tabella abbiamo indicato il risultato del nostro studio (PSS Survey 1997), quello del BNELC (1997) e l'Agri-censimento Nazionale (1994). Un paragone tra i dati del BNELC con quelli dell'Agri-censimento nazionale mostra che la media dei Santal cristiani e luterani (membri del BNELQ) generalmente è peggiore di quella del Bangladese medio. Particolarmente preoccupante è la maggiore proporzione di coltivatori marginali, possessori piccoli che possiedono tra 0,1 e 0,5 acri (tra 400 e 2000 mq), (57% contro 38%).

I nostri risultati possono essere comparati agli altri due studi solo con cautela, in quanto noi abbiamo incluso la terra delle case coloniche. Mentre qualsiasi paragone esatto è così impossibile, un paragone approssimato è tuttavia di un certo interesse. I nostri dati mostrano che l'8% delle famiglie non ha terra, il 27% ne possiede tra 0,1 e 0,5 acri e un altro 14% tra 0,5 e 1,0 acri (2000-4000 mq). Una porzione significativa di questi possessori marginali e piccoli sono da considerare senza terra agricola. Riteniamo fermamente che il numero reale dei Santal "senza terra" agricola sia una via di mezzo tra il 53% dei membri del BNELC ed il 27% dei Bangladesi. Non si deve dimenticare che stiamo qui parlando di diritti di proprietà formali. Abbiamo trovato che una porzione piuttosto grande delle famiglie ha ipotecato la maggior parte o tutta la loro terra agricola.

L'elevata porzione di famiglie che possiedono più 1.0 acro (0,4 ettari) o più di terra (se paragonata agli altri due studi) deve essere similmente aggiustata, visto che noi abbiamo incluso anche la terra delle case coloniche. Se vogliamo fare un paragone, riteniamo giustificato assumere che la proporzione delle famiglie da noi esaminate, che possiede più di un acro, sia vicina alla media nazionale del 39%, ben al di sopra del dato del BNELC (25%).

Questa differenza è abbastanza significativa e merita un commento, in quanto risulta che i Santal luterani e cristiani per qualche ragione sono più poveri, in termini di possesso della terra, e apparentemente hanno, nel passato, perso più terra della media.

Tale asserzione è però contraria a quanto ci si potrebbe aspettare, per due ragioni. In primo luogo i Santal luterani hanno una maggiore percentuale di persone istruite, rispetto alla media. In secondo luogo, i Santal luterani sono membri di un'istituzione della chiesa moderna e possiamo presumere che il BNELC stia assistendo i suoi membri con appoggio politico e giuridico, in casi di dispute sulla terra. La prima asserzione porta a considerare che, generalmente, le persone istruite siano maggiormente capaci di far fruttare la propria terra e più preparati nelle dispute legali. La seconda asserzione presume che la Chiesa intervenga con efficacia sia per lo sviluppo che per le dispute sociali, a favore dei suoi membri. Ma evidentemente entrambe queste promesse non hanno dato i frutti sperati.

A giudicare dalla nostra evidenza potrebbe non esserci una chiara e diretta relazione causa-effetto tra alfabetismo e dimensione della terra posseduta. Le famiglie con alcuni membri istruiti sono anche maggiormente portate ad usare la terra come mezzo per ottenere eventuali prestiti e, in caso di minacce, non sembrano reagire in maniera differente dalle altre.

Abbiamo inoltre visto che, in realtà, il BNELC non è stato particolarmente attivo nel difendere legalmente i diritti dei propri membri e che anche la sua sezione, che in particolare è coinvolta nello sviluppo, ha posto poca enfasi sia sulla ricerca delle terre ipotecate che sul loro riscatto.

Fra i casi raccolti che documentano la perdita della terra fra i membri del BNELC il seguente, indicatoci nel villaggio di Rameshorpur (Adampur) ci può dare un'indicazione:

D.M. Murmu era un coltivatore di classe media che, insieme a molti abitanti del suo villaggio, divenne cristiano luterano e membro del BNELC. Divenne anche il leader della nuova comunità. Alcuni dei suoi figli ottennero istruzione e furono assunti più tardi dalla BNELC-DF. Successivamente si trovò a far fronte a molestie e minacce da parte di un suo vicino bangladese e buona parte della sua terra fu occupata. I suoi raccolti furono distrutti da vacche e capre lasciate libere dal musulmano; è chiaro che la religione sia un fattore significativo e quindi abbiamo disaggregato (Tra Santal Cristiani e non Cristiani (Adi Santals)) i nostri dati relativi alle ipoteche del periodo 1972-1997.

Abbiamo trovato che la percentuale di quelli che non hanno terra, o ne hanno una piccola quantità (400-2000 mq) è, per gli Adi Santal dell'11,2% e del 28,9% rispettivamente, paragonata a quella dei Santal Cristiani che è del 5,2% e del 25,5%. Nella categoria successiva (2000-4000 mq) le percentuali sono simili: 13,2 % per gli Adi Santal e 14,4% per i Santal Cristiani. Nella categoria seguente (piccoli coltivatori) la situazione è leggermente invertita:

19,8% e 14,4%. Nelle categorie superiori vi è poca differenza: rispettivamente 18,7% e 19,3% ed infine 10,4% e 10,2%.

Se poi consideriamo le proporzioni percentuali di ciascuna categoria la situazione diventa ancora più favorevole ai Santal Cristiani, ed abbiamo allora cercato di scoprire l'impatto della religione in questa situazione.

Tutti i coltivatori ricchi da noi registrati sono dei distretti di Dinajpur o Thakurgaon. Dei 17 coltivatori ricchi registrati 14 sono Cristiani e 4 sono ADI Santal. Tra i 14 Cristiani, 10 sono Cattolici, 3 luterani e 2 appartengono alle altre chiese. Questo predominio dei Cattolici può indicare che loro hanno avuto maggiore accesso alle varie forme di assistenza legale, che si è dimostrata molto importante in quanto gran parte della terra è stata persa a seguito di minacce o di falsificazioni di documenti. più grande a consiglio legale e l'altro sostegno posteriore istituzionale. Anche 5 (tra i su menzionati 14) avevano subito forti pressioni e 10 avevano venduto legalmente parte della terra, nel periodo 1971-1997. La maggior parte delle famiglie ha affermato come motivi della vendita acquisto di animali, pagamento di tasse, mancato raccolto, spese scolastiche e mediche. Questo dimostra che, anche per i Santal relativamente agiati, vi sono piccole opportunità di accedere ad altre forme di credito istituzionale, oltre ad una certa sfiducia nelle stesse istituzioni ed è perciò normale vendere la terra. Quanto sopra è importante per formulare strategie relative alla gestione della terra.

La scoperta che gli Adi Santals sono maggiormente rappresentati nelle categorie dei "senza terra" o dei coltivatori indicherebbe nell'istruzione una delle cause, ma bisogna considerare che i Cristiani hanno anche avuto migliore accesso ad altre forme di lavoro (non agricolo) che può aver prevenuto la vendita della terra.

Dobbiamo infine ricordare che i nostri dati si riferiscono alla terra giuridicamente posseduta e non a quella di fatto controllata. I nostri dati indicano che il 15-20% di essa è attualmente ipotecata. Questa terra ha un alto rischio di essere venduta, legalmente o illegalmente, a meno che non si faccia uno sforzo collettivo per evitarlo.

Conclusioni


Ci sono indicazioni sul fatto che le cause principali della perdita della terra sono cambiate negli ultimi 50 anni. Nel Periodo Pakistano i fattori principali erano l'uso della terra che veniva fatto dai Santal ed in aggiunta la loro poca conoscenza delle leggi. Nel periodo post-indipendenza la terra è invece stata considerata come una possibilità di ottenere facilmente dei presiti, necessari per l'aumento del costo della vita. Ne è risultato un forte aumento del numero delle ipoteche. Elevato consumo di alcool, occupazioni o vendite forzate, assenza di servizi legali e fallimento dell'EBSAT (che doveva invece prevenire le vendite ai non tribali) sono gli altri motivi per un continuo aumento della perdita della terra e per un incremento dell'impoverimento.

Vi è stato un considerevole trasferimento di terra a Bangladesi, con approvazioni ingiustificate in base all'EBSAT Act o con altre forme illegali. -

Il ruolo dei leader Santal nell'approvare le vendite della terra in base all'EBSAT da luogo a molti sospetti di illegalità e corruzioni. -

Circa il 15% della terra ipotecata è stato riscattato, nel periodo 1972-1997.

Circa 1/3 di questa terra fu ipotecato a Santal e 2/3 a Bangladesi.

C'è un ammontare notevole (15 - 20%) di terra attualmente ipotecata a Bangladesi e Santal. Questa terra si potrebbe riscattare se verranno poste in re strategie.

C'è una certa differenza nel possesso della terra, tra i Santal cristiani e quelli non-cristiani. Abbiamo in particolare notato che la percentuale dei "senza terra" o dei coltivatori marginali (ma anche in quella dei ricchi) è maggiore per i Santal cristiani rispetto ai non cristiani.

Santal in un mondo senza foreste


Traduzione e adattamento tratti da:

Silent Forests.

Di Tone Bleie with Logen Kisku

Culture, environmental degradation and poverty among the Santal of Bangladesh

Chr. Michelsen Institute

Introduzione

La presente assenza di una continua area forestale nel nord-ovest del Bangladesh (il Bangladesh è uno dei paesi al mondo con una piccola copertura forestale) rende difficile immaginare la massiccia opera di deforestazione a cui si è assistito nei tempi passati. Forse è addirittura più difficile capire che quanto rimane della foresta originale possa ancora avere un significato culturale ed economico per degli abitanti rurali.

Il nostro studio mostra che il colpo di grazia al sistema di adattamento agricoltura-foresta sia avvenuto inizialmente nell'allora Pakistan orientale e poi nei primi anni del nuovo stato del Bangladesh. Le risorse della foresta, principalmente come approvvigionamento di cibo, erbe mediche, pascolo ed anche aree di svago, avevano una grande importanza per tutti i Santal. Le foreste sono completamente svanite in molte delle zone in cui i Santal vivono oggi. Qualche foresta è ancora rimasta a Nawabgonj, in parte per i molti Santal che vi vivono e che la curano ed in parte per la relativa abbondanza di terreno coltivabile. Questa assenza di estrema pressione (che esiste quasi dappertutto in Bangladesh) per ottenere sempre più terra coltivabile ha reso possibile di evitare che quella foresta fosse convertita, come tante altre, in terreno agricolo.

La Riserva forestale di Sarsha è attualmente la più grande foresta rimasta. Questa foresta ha continuato a giocare un ruolo importante, sebbene in rapido declino, per l'approvvigionamento di cibo e di erbe medicinali per i Santal che vivono là...

Descriveremo il significativo passaggio da un'economia mista agricolo-forestale ad un sistema di produzione intensiva di riso, e le sue implicazioni per il sostentamento, cultura, identità e benessere dei Santal.

La biodiversità di questa foresta è stata seriamente ridotta durante gli ultimi 20 - 25 anni. Le investigazioni dei nostri Ricercatori nei vari villaggi hanno mostrato che molte specie di alberi, arbusti, piante, bacche, tuberi, uccelli, roditori, carnivori sono già completamente scomparsi. Malgrado quanto sopra resta ancora una discreta porzione di flora e di fauna usata per scopi alimentari, che sono comunque una risorsa per i Santal più poveri. Il cibo tratto dalla foresta gioca un ruolo importante durante la critica "stagione della fame" che va da ottobre a dicembre, quando il nuovo riso non è ancora maturo e le famiglie più povere hanno scarsa possibilità di comprare il cibo.

Prima di esaminare questi cambiamenti è opportuno fare un accenno alla storia dei Santal.

I Santal come abitanti indigeni della foresta

I Santal hanno soltanto una tradizione orale. Così dobbiamo attingere a varie fonti orali se vogliamo capire l'importanza delle foreste per loro, sin da un passato preistorico. I racconti circa lo stile di vita seminomadico dei Santal nella foresta rappresentano una importante fonte. Queste storie non dipingono un romanzesco passato, ma danno evidenza storica della antica presenza dei Santal nelle vastissime foreste del Nord del continente indiano. Le storie indicano chiaramente la tendenza dei Santal ad emigrare in nuove aree forestali, quando venivano ad essere in contatto ed in competizione con altri popoli. Queste storie indicano una coesione tra gruppi numerosi di persone, che oggi potremmo chiamare clan, oppure gruppi etnici.

Altre informazioni ci derivano dalla conoscenza medica, notevolmente sofisticata, dei Santal. La Medicina dei Santal ha attirato l'interesse scientifico di pionieri come Bodding (1925), ma anche di studiosi più recenti (Carrin-Bouez, 1990). La particolareggiata conoscenza di erbe medicinali, di sistemi di preparazione etc indicano un'accumulazione di conoscenza indigena avvenuta in moltissime generazioni.

Un'altra fonte di evidenza della coesistenza dei Santal con un ambiente forestale è rappresentato dalle loro canzoni e dai loro balli. La foresta con tutte sue forme di vita è un tema ricorrente in tutte le forme della cultura Santal.

Le foreste dominate dall'albero del Sal hanno, per moltissime generazioni, fornito ai Santal abbondanza di cibi selvatici e rimedi medici e fornivano anche l'alimentazione per gli animali domestici e persino.. luoghi appartati per innamorati. Allo stesso tempo le foreste non potevano essere un dominio completamente ospitale.

Le foreste con i loro animali e le piante selvatiche implicarono naturalmente numerosi rischi ai primi esploratori e suscitarono sempre timore riverenziale, paura e, allo stesso tempo, fascino. Furono inoltre fonti di inspirazione e motivazione per espressioni culturali collettive nella vita religiosa e sociale dei Santal.

L'esperienza religiosa di questa imprevedibile e ancora potenzialmente estremamente generosa natura ha trovato la sua espressione nel fatto che i Santal la vedano abitata da esigenti divinità, che i cacciatori devono propiziare durante la festa della caccia annuale.

Il Festival Baha

Dovendo vivere e dipendere nell'habitat naturale della foresta, era naturale per i Santal considerare gli alberi come dimore di divinità e di spiriti. Questi spiriti avevano bisogno di rispetto e di propiziazioni. Ogni villaggio, nel periodo coloniale e pre-coloniale, nacque in un oceano di foreste. Quando le foreste venivano eliminate, i Santal si assicuravano sempre che restassero almeno i sacri alberi originali di Sal e Mahu, per formare il Jaher, boschetto sacro. L'essenza della cosmologia Santali - l'interdipendenza organica tra fertilità umana e prosperità e il risveglio della natura a marzo di ogni anno, è rivelato nel Festival Baha. In questa festa, la coesistenza antica e quella della vita di ogni giorno con la foresta è decretata in vari miti e riti. Nel primo giorno della festa dei rami di Sal ed erba sono collocati sugli alberi del boschetto sacro, uno per Maran Buru uno per Jaher Era e Moreko Turuiko (i cinque-sei) e uno per Gosde Era. Gli uomini vanno per la caccia Baha che decreta il mito antico della prima esistenza dei Santal nella enorme foresta. Il giorno finisce con un canto devozionale notturno dove alcuni sono posseduti dagli spiriti. Nel secondo giorno del festival la foresta fiorita è celebrata con fiori gettati nei grembiuli delle donne.

Quando gli alberi del Sal sono fioriti

sulla montagna

Come sono belli

Ricchezza nella casa

Una porta nella via d'accesso

Ma senza un bambino

Non c'è bellezza

Questa canzone esprime il "cuore" della festa, per propiziare così i bonga in modo che possano benedire la nascita di nuove generazioni e con ciò assicurare la prosperità della società Santal.

Gli antenati de Santal sembrano avere combinato agricoltura e allevamento degli animali (in aperte foreste di Sal) con la raccolta e la caccia, sin da quando si stabilirono negli altopiani del Bihar ed Orissa, migliaia di anni fa.

Dopo molti secoli di relazioni prevalentemente pacifiche e non espansionistiche con gli altri gruppi etnici del Bengala, i Santal e gli altri tribali di quell'area furono costretti a subire l'espansione di una compagnia mercantile britannica, la Compagnia dell'India orientale. L'arrivo dei commercianti britannici, che furono seguiti prima da amministratori coloniali della Corona britannica e più tardi da missionari, produsse riforme della terra e nuove leggi che condussero all'abolizione del sistema di proprietà della terra della comunità tribale e poi a un processo molto rapido di alienazione della terra tribale.

Il numero crescente di "senza terra" è stato il risultato di cambiamenti nei sistemi di gestione della terra, leggi sul reddito, istituzioni di comunità indebolite e immigrazione rapida di usurai stranieri, commercianti e altri coloni non-tribali, tutti affamati di terra. Molti di quelli che si trovarono così stessi deprivati della loro terra e socialmente disorientati decisero di cercare fortuna altrove. Molti adibasi lasciarono le loro case ancestrali in Bihar e Orissa nella speranza di una vita migliore, lontano dagli stranieri intrusi. Ironicamente molti di essi furono costretti poi a lavorare, come salariati, nelle piantagioni di tè del Darjeeling, Assam e Sylhet e nella costruzione della ferrovia. Altri tribali si stabilirono nel Bengala, allora ancora pieno di foreste, nei terreni degli zamindar e fornirono la maggior parte del lavoro necessario alla eliminazione di foreste per avere terreno agricolo, destinato alla monocultura del riso.

È quindi errato sostenere che l'impoverimento è un fenomeno nuovo, sperimentato soltanto dalla attuale generazione di Santal. Gli antenati dei Santal che ora vivono in Bangladesh furono le vittime dello spietato capitalismo, a partire dalla fine del diciassettesimo secolo. Lo smantellamento del sistema di vita tribale e le fatiche estreme a cui erano sottoposti portarono alla formazione di movimenti tribali e di lotte, verso il 1820.

L'assenza di guerre fra i Mundari (Santal, Ho, Munda) non implica che le relazioni all'interno delle tribù Mundari e quelle tra loro e le tribù non-Mundari in Chota Nagpur non fossero gerarchiche. C'è evidenza che anche i Santal praticavano sacrifici umani come parte del loro sacrificio annuale per la pioggia, e che la vittima doveva essere un ragazzo Kaharia (Carrin-Bouez, p. 36, 1990).

I primi sforzi di evangelizzazione fra i Santal da parte di singoli missionari durante le prime decadi del diciannovesimo secolo non produssero il formarsi di nessuna missione nel (o vicino al) Rajmahal, dove molti Santal vivevano. William Carey che arrivò alla colonia norvegese-danese di Serampur (vicino a Calcutta), si era sporadicamente incontrato con i Santal, ma non riuscì a motivare nessun altro a stabilirsi nella loro terra natia (Nyhagen p. 49, 1990 ). La Freewill Baptist Mission Society (dagli Stati Uniti) aveva stabilito una missione in Orissa nel 1830. Uno dei loro primi giovani missionari, Jeremiah Phillips, sviluppò l'alfabeto Santali (con lettere latine) e stampò il primo piccolo trattato in Santali. Skrefsrud successivamente migliorò l'alfabeto sviluppato da Phillips (Nyhagen..).

Contro il loro assorbimento nel sistema di casta e come resistenza contro gli oppressivi proprietari terrieri, la seconda ondata di ribellioni, cominciò con la Ribellione dei Santal (1855-1857) e seguì più tardi con la Ribellione dei Kherwar ne 1870, esprimendo un forte risentimento contro tutti oppressori non-tribali (dikiis), britannici e locali.

Con la loro esperienza nella giungla, i Santal e gli altri adibasi erano ideali per disboscare la giungla e farla diventare terreno agricolo. Le autorità coloniali li usarono spietatamente per il loro espansionismo commerciale ed in particolare per il legname necessario alla costruzione dei binari e alla conversione di foreste in terreno agricolo.

I Santal che attualmente vivono nella parte nord-occidentale del Bangladesh sono dispersi in molti villaggi, in predominanza lungo la ferrovia costruita dai loro antenati. Molti di essi possiedono terre alte con un suolo prevalentemente rosso, considerato meno fertile dai coltivatori di riso bangladesi. Quando i Santal si stabilirono in quest'area, la terra alta era completamente coperta da foreste. Il rapido diboscamento cambiò l'umidità del suolo e le condizioni di luminosità. I residui della giungla, un ottimo concime organico, scomparvero. Tutti queste condizioni hanno negativamente influito sulla microecologia e sulla fertilità delle terre alte.

Queste sistemazioni si possono spiegare in due modi distinti e non necessariamente contraddittori: preferenza e arrivo tardivo. Quale di questi due sia più importante richiede poi una ulteriore analisi. La prima ipotesi (preferenza) indica che i Santal preferivano terra con qualità del suolo ed altezza appropriate alle pratiche di coltivazione che avevano sviluppato precedentemente. In Bihar e in Santal Parganas la loro agricoltura era basata sulla combinazione di tre categorie: agricoltura colonica (barge), coltivazione su terre alte (goda), e campi di riso (keth). Mentre il bassopiano era soprattutto dedicato al riso, le terre vicine alle case erano coltivate a mais ed altre varietà e quelle alte con varietà indigene di sorgo, che era uno dei cereali più antichi coltivati dal Santal, unitamente a varietà coltivate e selvatiche di miglio. Questi cereali permettevano di avere qualche fonte di alimentazione nei lunghi mesi in cui il riso non era disponibile.

La seconda ipotesi (arrivo dopo altri insediamenti) riflette invece il fatto che i Santal, arrivati dopo altri, non furono in grado di stabilirsi nei terreni migliori che erano già stati occupati.

Uno studio sull'utilizzo della Foresta a Nawabganj

Durante i primi giorni della nostra ricerca venimmo a conoscenza che Nawabganj era una delle poche thane (uno o più villaggi dove vi è un ufficio di polizia) dove i Santal, malgrado forti pressioni, conservavano dei diritti sulla foresta, abbastanza grande, di Sal (Sohrea Robusta).

La situazione attuale in questa thana può, in qualche modo darci un'idea della pressione e della degradazione ambientale subita dai Santal e dagli altri adibasi 20-30 anni fa. La nostra ricerca nei 13 piccoli villaggi di Nawabganj si è focalizzata su sostentamento, fonti del cibo e stagionalità, proprietà e perdita della terra, tradizioni culturali. Gradualmente siamo venuti a conoscenza dell'importanza della foresta per la salute, nutrizione, identità culturale e benessere della popolazione Santal e quindi abbiamo deciso di esaminare questa situazione in dettaglio, nei mesi di aprile-maggio 1998.

La Riserva forestale di Sarsa, che noi avevamo selezionato per questa approfondita indagine, consiste in 1284 acri (519 ettari) di foresta continua ed include una fitta foresta di 170,75 acri (69 ettari). È localizzata ad ovest della ferrovia Birampur-Phulbari, a nord della strada Birampur-Nawabganj ed a ovest della strada Nawabganj-Kushdaha. Il lato settentrionale della foresta arriva al Lago di Asura.

Il lago era utilizzato per la pesca dai pescatori indù (che vivevano nelle vicinanze) e dall'altra popolazione residente. Il libero accesso al lago è stato recentemente proibito, in quanto una Organizzazione Non Governativa nazionale ne ha acquisito i diritti, per svilupparvi una pesca commerciale. Il lago è circondato, da tutte le parti, da insediamenti umani.

La nostra squadra identificò 51 piccoli insediamenti con residenti che, irregolarmente o regolarmente, utilizzavano le risorse della foresta. In tutti questi 51 piccoli villaggi abbiamo così potuto trovare degli utenti secondari o primari. Abbiamo trovato, dopo indagini ed incontri vari, che nella zona vi sono 685 insediamenti familiari Santal (definiti tali in quanto cucinano assieme), 64 indù e 834 bangladesi musulmani.

La nostra squadra ha poi selezionato 5 di questi piccoli villaggi, di cui tre essenzialmente Santal, uno indù ed un altro musulmano. Tutti sono vicini alla foresta.

Tutta la foresta è, dalla fine del periodo coloniale, sotto la giurisdizione del Dipartimento Forestale (FD). Alcune parti sono tuttora possedute dai discendenti di Zamindar e da qualche Santal. A seguito dell'Atto di Abolizione degli Zamindar, il Dipartimento Forestale ha acquisito il diritto sulla foresta per un periodo di 99 anni. Alcuni dei proprietari privati sono coinvolti in un rimboschimento. I proprietari non possono tagliare alberi in una parte della foresta senza il permesso del FD (Forest Department). Abbiamo appreso che altri Santal, che vivevano in zone coltivate dell'area classificata come Foresta, non erano riusciti, nei primi anni 1950, a veder riconosciuti giuridicamente i propri diritti. Non erano probabilmente a conoscenza che coloro che potevano dimostrare che la propria famiglia aveva vissuto in un luogo per 60 o più anni ne potevano avere legalmente la proprietà.

La Riserva forestale di Sarsa è ancora dominata da alberi di Sal. Ci sono però alberi e cespugli di Sirish, Turu, Tindu, Jam, Nim, Ghora Nim, Simul, Indrojol e Kodom. Parte della foresta è stata ripiantata con Eucalipti, Akasamuni, Minjuri, Segun, Mogano, Shisu, Belgium, Ipil e Raintree.

Noi non abbiamo potuto ottenere un'adeguata assistenza da parte di esperti botanici, per il riconoscimento delle varie specie e riteniamo che sia necessario un successivo studio proprio da parte di essi.

Movimenti di popolazione

Vecchi Santal ci hanno detto che, al più tardi, i Santal erano arrivati nell'area nell'ultima parte del diciannovesimo secolo. Queste asserzioni non sono condivise dalla popolazione bangladese locale. Nel diciannovesimo secolo i grandi territori ora localizzati nella thana di Nawabganj erano costituiti da una continua foresta di Sal posseduta da ricchi Zamindar che vivevano altrove e che subaffittavano alcune parti ai tribali. Tutta l'area di Nawabganj-Ghoraghat aveva una concentrazione abbastanza forte di adibasi, che man mano migrarono verso la foresta "vergine". Dopo la divisione della Grande India, nel 1947, un numero considerevole di musulmani del Bengala occidentale e del Bihar si stabilirono in quest'area ed acquistarono della terra. Questa migrazione è continuata in tutta la seconda parte del 1900, accentuata nell'ultima decade del secolo dalle tensioni tra Hindu e Musulmani. Molte famiglie delle zone di Gaibandha e Rangpur, più soggette ad inondazioni, si sono successivamente spostate in quest'area. La pressione della popolazione in aumento, esacerbata dall'immigrazione e dal tasso di fertilità elevato dei musulmani, ha portato ad una esasperata richiesta di nuove terre. Il nostro studio ha accertato che molti Santal hanno perso o venduto le loro terre e sono migrati altrove. Solo nell'ultima decade circa 190 famiglie sono emigrate da vari insediamenti vicino alla foresta (Sarsa, Kantao, Tuskuta, Mondopcand, Horipur, Buri Mondop, Lokhipur e Patnicand), ma non abbiamo potuto acquisire in dettaglio i motivi di quanto sopra. Ma, in varie discussioni con gli abitanti dei villaggi, sono emersi problemi quali minacce, prestiti ad interesse esorbitanti, deterioramento delle condizioni di vita, inganni, falsificazioni di documenti etc. Nella loro religione quando avvengono calamità di questo tipo, che coinvolgono l'intera comunità, vengono consultate le divinità e spesso è proprio da loro che arriva un messaggio che viene spesso interpretato come la necessita di andar via, qualora non si possa restaurare un'armonia con gli spiriti superiori. Le partenze di alcune delle famiglie spesso hanno anche avuto un "effetto domino" nelle comunità, indebolite e soggette a continue pressioni.

La maggioranza delle 68 famiglie che abbiamo intervistato ha, negli ultimi 25 anni, perso la terra per ragioni come ipoteche, falsificazioni, molestie, violenze ed occupazioni forzate da parte dei Bangladesi.

Diritti dei Santal sulle foreste

I Santal, fino ad oggi, hanno mantenuto i seguenti diritti:

- Raccolta di legna da ardere (rami essiccati) per proprio consumo

- Raccolta di fiori freschi per feste religiose

Il nostro dati sulla condizione sociale di proprietà terriera in queste 68 famiglie sembra contraddire quanto detto: 7 senza nessuna terra; 8 con 0,1-0,5 acri (400-2000 mq), 9 con 0,51-1,0 acro (2000-4000 mq), 10 con 1,1-2,0 acri (4000-8000 mq), 18 con 2,1-4,0 acri (0,8-1,6 ettari), 12 con 4,1-8,0 acri (1,6-3,2 ettari) ed infine 4 con 8,1 o più acri (3,2 ettari o più).

La maggioranza di queste famiglie ha perso un notevole ammontare di terra. In altre parole: i Santal di questa località hanno una situazione paragonabile alla media nazionale e di gran lunga migliore di quella di Santal di altre aree. Dobbiamo però considerare che molte delle famiglie più povere sono già emigrate in altre aree.

La foresta viene utilizzata per:

Raccolta di radici commestibili e tubero

Raccolta di funghi commestibili

Raccolta di miele

Raccolta di rampicanti commestibili

Raccolta di frutti e bacche

Raccolta di erbe medicinali

Pescando nelle paludi alla periferia della foresta e nel lago

Pascolo

Indicheremo successivamente le varie limitazioni. I Bangladesi, d'altro canto, ammettono senz'altro che gli adibasi conoscono bene la giungla e ne traggano sostentamento, ma questo viene visto anche come prova del loro stato primitivo.

Recentemente anche i poveri Bangladesi, in particolare donne e bambini, vanno nella foresta di Sarsa per raccogliere legna da ardere ed anche foglie secche, che vengono poi vendute nei bazar. I Santal utilizzano invece soltanto i rami ed asseriscono che privare il terreno del proprio nutrimento (ad esempio le foglie cadute) ha causato la scomparsa di funghi, tuberi ed altri prodotti commestibili. Recentemente anche i Santal più poveri hanno seguito l'esempio dei Bangladesi, competendo con loro per la raccolta e non avendo alcuna possibilità di far valere i loro diritti precedentemente acquisiti.

Secondo il Dipartimento Forestale (FD) il valore dei residui forestali venduti nel 1997 è stato di 300.000 Tk (3750 euro).

I Bangladesi più poveri hanno cominciato recentemente a competere con i Santal e gli altri adibasi come utenti di residui organici forestali (ottimo concime), che stanno diventando sempre più rari.

Le ragioni principali sono:

- Abbattimento di altre foreste vicine, negli ultimi 25 anni, col conseguente incremento degli utenti della Riserva forestale di Sarsa.

- Taglio illegale di alberi di alto fusto

- Diminuzione della biodiversità, dovuta anche alle tecniche silvo culturali usate dalle guardie forestali

- Raccolta massiccia di residui organici con effetto negativo sulla crescita di cespugli, piante rampicante, alberi e funghi.

- Raccolta indiscriminata di erbe medicinali, soprattutto da parte dei guaritori tradizionali Santal (kobiraji e ojhas) a causa della diminuita disponibilità delle stesse e della maggiore richiesta.

Tendenze nei diritti di uso della foresta

Sebbene la dimensione della foresta non sia diminuita, a partire dal periodo britannico, si è avuto un degrado della biodiversità, per le ragioni su elencate.

Secondo i Santal locali tutte le attività di rimboschimento, attuate dal Dipartimento Forestale, hanno avuto un effetto negativo su molte specie vegetali, in particolare funghi, cespugli, tuberi ed erbe medicinali. Il tutto è poi aggravato dai tagli illegali di alberi ed arbusti. Molte specie sono già estinte; molte altre sono in via di estinzione.

Questo rende ancor più critica la sopravvivenza nel "mesi della fame" in cui vi è mancanza di riso, in attesa del nuovo raccolto.

Anche il taglio illegale, che spesso avviene con la connivenza delle guardie forestali, ha un effetto negativo. Spesso gli alberi vengono abbattuti ed il terreno ripulito così bene che soltanto un occhio esperto se ne può rendere conto.


Basandoci sui dati raccolti abbiamo disegnato la tabella qui a fianco sul cambiamento avvenuto:

Non crediamo siano necessari ulteriori commenti alla tabella, che mostra come la situazione sia cambiata nell'ultima decade.

I cambi drammatici nel habitat della foresta durante il tempo dell'attuale generazione dei Santal ci furono spiegati da un leader locale che accompagnò la nostra squadra alla foresta.

Utilizzo da parte dei Santal dei prodotti della foresta

I Santal, sin dai tempi antichi, hanno osservato una dieta molto varia, basata su vegetali ed animali, raccolti o cacciati nelle foreste e nelle paludi. Fiori, frutta, rampicanti, radici, funghi e miele erano raccolti dalla foresta. Pesci e molluschi negli stagni, uccelli ed altri animali erano cacciati nella foresta, con arco e freccia. Nelle Santal Parganas e in altre aree di Bihar il cibo della foresta era disponibile in abbondanza ed in particolare le molte varietà di patate selvatiche potevano sostituire un raccolto andato a male, oltre che essere un ottimo nutrimento nei "mesi della fame".

Oggi la varietà di cibo della foresta disponibile ai Santal è molto limitato. Miele selvatico e fiori commestibili non sono più disponibili. I funghi sono, come già detto, divenuti una rarità per la degradazione della foresta. I giochi e le manifestazioni, tanto importanti per la cultura Santal, stanno diventando dappertutto rari. La fonte del cibo principale disponibile è qualche varietà di patate selvatiche: San, Damru, Arha, Bayang e Kolo. Oggi, con due ore di lavoro, si raccolgono 2-5 chili. Qualche decade fa, nello stesso tempo, la quantità raccolta era, in media, dieci volte superiore. Ci è stato detto che, in media, si raccolgono 2-5 chili solo due o tre volte, durante i mesi di settembre-dicembre.

Il Damru viene sbucciato, tagliato in piccoli e bollito una prima volta, poi lasciato in acqua (per perdere sostanze velenose) e poi ricucinato. Sembra che sia utile in varie malattie, aumenta i globuli rossi, aiuta la digestione, facilita la visione notturna, è utile per la gonorrea.

Anche il Kolo richiede un processo similmente lungo il processo e da esso si estraggono sostanze medicinali o inebrianti.

L' Arha richiede minor tempo, simile a quello delle patate coltivate.

Oltre ai San (Phaselous mungo/radiatus) (fagioli selvatici) i Santal ne coltivano diverse varietà. Per un'analisi più approfondita rimandiamo ad un articolo di Bodding: How the Santals Live, Mem. Royal Asiatic Society, Bengal Vol. 10, No. 3, 1925.

Molti della più giovane generazione odierna hanno assaggiato solamente irregolarmente queste patate selvatiche, altre erano già scomparse. È nostra impressione che questi giovani avrebbero piacere di sentire il gusto di quegli alimenti selvatici di cui parlano i loro genitori, anche se sono completamente all'oscuro del loro valore nutritivo e/o medicinale. Questo è stato anche visto in una Fiera che il Santal Education Center ha organizzato nel febbraio del 1998.

Perché non si esperimenta la coltivazione di prodotti della foresta?

In vista di quanto sopra ci saremmo aspettati qualche tentativo di coltivazione di questi prodotti, ma abbiamo osservato che ben poco è stato fatto. Nel vicino Nepal, ad esempio, per far fronte alla mancanza di legname, derivante da precedenti deforestazioni, alcuni hanno piantato degli alberi nelle loro proprietà. Dei programmi sociali di selvicoltura sono stati fatti e si è trovato un autentico interesse, non solo economico, degli agricoltori.

Perché ben poco si è fatto tra i Santal?

A dispetto della crisi alimentare sperimentata dalla attuale generazione riteniamo che migliaia di anni di abbondanza dei prodotti della natura abbiano implicitamente instillato nei Santal questa nozione di abbondanza, prevenendoli dal sostituire i prodotti attualmente coltivati con quelli selvatici. Il problema si scontra anche con la mentalità dei Santal, che è quella di lavorare, anche molto intensamente, ma con un risultato immediato. La difficoltà inerenti a questi nuovi esperimenti (piantare a tempo debito, coprire le giovani pianticelle, continuare a curarle e proteggerle dai maiali, anch'essi ghiotti di tuberi) e soprattutto il tempo di attesa (da quattro a sei mesi per i vegetali ed addirittura da 10 a 15 anni per gli alberi di alto fusto) probabilmente hanno dissuaso i Santal dall'imbarcarsi in una simile "avventura". E poi bisogna anche resistere alla tentazione, quando si è in disperato bisogno di soldi, di tagliare gli alberi prima del tempo…! Ma questa nostra supposizione non è sufficiente a spiegare la loro inerzia.

Attualmente anche i Boschetti Sacri (Sarna Dhorom) in molti villaggi Santal sono senza la linea di alberi di Sal e di Mahua che dovrebbero essere dedicati alle divinità maggiori (la Montagna grande e la Signora del Boschetto). In molti villaggi alberi così sacri sono stati abbattuti dopo animate discussioni.

Dobbiamo però dire che abbiamo trovato qualche famiglia che coltiva San e Damru. Ci resta comunque oscuro come mai quest'attività, che è anche fonte di notevole reddito, non sia seguita da altri.

Hanno i Santal delle pratiche per la protezione della foresta?

A prima vista l'attuale situazione sembra implicare che sia i Santal che i Bangladesi siano i responsabili del degrado della foresta ma, nel caso della Riserva forestale di Sarsa, le responsabilità vanno anche agli organi preposti alla sua conservazione. Dobbiamo anzitutto ricordare che i diritti dei Santal non sono stati considerati e che nuove regole sono state imposte. La presenza dei Santal nella foresta è a volte tollerata, a volte no, dalle guardie forestali.

Tradizionalmente i Santal hanno sempre fatto in modo di conservare la fonte del loro sostentamento e le guardie spesso compiono i loro lavori di manutenzione distruggendo ulteriormente le risorse e la biodiversità, invece di salvarle; ed in particolare non danno nessuna importanza a prodotti quali tuberi, bacche, rampicanti, erbe medicinali.

Le guardie forestali ci hanno anche detto che, generalmente, i Santal sono più rispettosi dei Bangladesi nel rispetto delle regolamentazioni della foresta. Forse ciò è anche dovuto al fatto che le multe sono salatissime: cinque anni in prigione, con o senza multe di 10.000 - 50.000 TK. (125 - 625 euro) e, come gruppo di minoranza, hanno maggior paura degli altri.

Relazioni tra ufficiali preposti alla selvicoltura e utenti

Le regolamentazioni della gestione della Riserva Forestale di Sarsa prevedono il divieto di taglio di rami o di alberi, ad uso personale o per successiva vendita, mentre ciò è possibile per le piante secche. Raccolta di cibo selvatico come tuberi e rampicanti, bacche e miele è formalmente vietato, ma spesso permesso.

Purtroppo la dilagante corruzione esiste anche qui e spesso le guardie chiudono un occhio se sono ben foraggiate e, in questo campo, i Bangladesi sanno muoversi molto meglio dei Santal.

Spesso ai Santal viene anche ingiunto di lavorare gratuitamente, per continuare ad entrare nella foresta e prendere le radici di alberi illegalmente tagliati, col beneplacito di guardie corrotte. Si è anche avuto il caso di due donne Santal violentate, mentre erano nella foresta per raccogliere qualche tubero.

Gli ufficiali preposti alla conservazione della foresta hanno discusso con noi sui vari problemi ed hanno ammesso che uno dei maggiori di essi è il taglio illegale. Hanno anche ammesso che tutte le infrazioni sono state fatte da Bangladesi e non da Santal; questa ammissione è ancora più grave se consideriamo che tutti i salariati del Dipartimento Forestale sono Bangladesi e che nessun Santal effettua del lavoro retribuito

Il fallito programma agro-forestale

Il Dipartimento forestale ha affittato dei lotti di 1 acro (0,4 ettari) a locali per far piantare alberi a rapida crescita come Eucalipto, Akasmuni, Minjuri, Segun, Mogano, Shisu, Ipil e Raintree con libertà di coltivazione tra i filari di alberi. Dopo dieci anni il provento della vendita degli alberi viene spartito al 50% tra l'affittuario ed il Dipartimento Forestale.

Ma tra i filari di alberi i raccolti non sono stati buoni e molti si sono anche lamentati di non aver ricevuto la parte spettante dalla vendita del legname. Sono stati creati dei comitati, molti dei quali poco funzionanti, e con scarsissima rappresentanza dei Santal.

I Santal hanno vissuto in una situazione di apparentemente illimitata abbondanza per molti secoli. Il Santal del Bangladesh non hanno poi potuto rispondere alla rapida diminuzione delle risorse con migliori istituzioni di controllo. Questo non è dovuto ad un fattore culturale ma soprattutto alla marginalità ed alla discriminazione di tutti gli adibasi, presenti già dal tempo del dominio coloniale inglese. Nel periodo postcoloniale questo non è diminuito ma si è addirittura accentuato.

Il crescente consenso globale sulla Gestione Sostenibile della Foresta

Il problema del disboscamento su base planetaria ha avuto l'attenzione di molte istituzioni, negli ultimi 15 anni. Al Summit di Rio de Janeiro nel 1992, è stata creata la Commissione sullo Sviluppo Sostenibile (CSD) e, nel 1993, formulata la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD).

Esperienze recenti in India e Nepal

Negli anni 1970 e 1980, i dipartimenti forestali indiani si preoccuparono soprattutto dei progetti sociali di selvicoltura, non curandosi della protezione delle foreste. In Bengala occidentale e, successivamente in Orissa e in Bihar migliaia di villaggi cominciarono a proteggere le vaste foreste di Sal, ormai degradate. Finalmente, nel 1988 e nel 1989 Orissa e Bengala occidentale promulgarono delle leggi in proposito; seguiti qualche anno dopo da altri 16 stati.

Mentre il processo di formalizzazione della gestione è stato agitato da conflitti e dissidi tra governo ed abitanti dei villaggi, oggi viene riconosciuto che importanti passi in avanti sono stati fatti.

C'è in India una corrispondenza tra le aree di concentrazione tribale e le popolazioni che maggiormente dipendono dalle foreste. Fra le tre maggiori zone forestali: Himalaya, Ghat Occidentale e la cintura centrale è questa la terra natia per la maggior parte dei Santal.

In 5-10 anni foreste di bassi cespugli hanno formato alberi di 7-8 metri e anche la biodiversità è raddoppiata, nel Bengala occidentale, in cinque anni.

In Bihar il programma di selvicoltura sociale del Reparto della Foresta negli anni 1980 (finanziato dalla SIDA svedese) non ha invece interagito con successo con le iniziative delle comunità locali. Anche in questo caso gli interessi dei commercianti di legname si sono scontrati con quelli degli abitanti.

Il diboscamento nell' Orissa ha avuto un impatto negativo. (Ricordiamo la siccità e la carestia del 1993 che ha colpito oltre dieci milioni di persone.) Negli ultimi trent'anni le comunità locali sono state coinvolte nella gestione delle foreste.

È divenuto ormai evidente a tutti che lo stato delle foreste nelle montagne dell'Himalaya è direttamente collegato alle inondazioni, e quindi al benessere, di molte centinaia di milioni di persone che vivono nella pianura del Gange, in India settentrionale e in tutto il Bangladesh.

Si sono avuti e si hanno ancora oggi ritardi notevoli, anche per evidenti conflitti di interesse.

Molto di più, e più velocemente, è stato fatto in Nepal.

Di interesse per le nostre raccomandazioni per politiche, pianificazioni e realizzazioni è il riconoscimento di: il bisogno di ammettere le differenze etniche; conoscenza differenziata e usi dei prodotti della foresta; il ruolo delle donne nella raccolta e nell'utilizzo dei prodotti della foresta; il bisogno di flessibilità nel definire i confini tra i gruppi degli utenti (non necessariamente seguendo confini amministrativi); e infine il bisogno di risolvere i conflitti.

Programmi in Bangladesh sulla gestione delle foreste

Un progetto di piantagione di alberi della gomma cominciò su base sperimentale nei Tratti Collinari di Chittagong nel 1959, e su base commerciale, nel 1969. Un secondo maggiore progetto cominciò nel 1987 nella foresta di Madhupur. La Banca del Sviluppo asiatica (ADB) finanziò dal 1981 al 1989 un progetto agroforestale a Dinajpur e Rajshahi, indirizzato anche agli adibasi, inclusi i Santal. Un altro progetto fu iniziato da FAO, la Banca del Mondo, UNDP e WRI. Il Ministero dell'Ambiente e delle Foreste pubblicò un Piano ventennale nel 1993, con lo scopo di: "Preservare le foreste attuali, creare nuove riserve su terreni degradati e proteggere le comunità che vivono dei prodotti della foresta "

Il Bangladesh è stato tra i primi firmatari della Convenzione sulla Diversità Biologica e si è impegnato a promuovere la biodiversità nei suoi programmi del rimboschimento, ed inoltre a riconoscere la conoscenza e la gestione pratica da parte dei gruppi indigeni. La Convenzione afferma: "Pratiche ed innovazioni sviluppate dalle popolazioni indigene che contribuiscono all'uso sostenibile delle risorse biologiche ed alla conservazione della biodiversità dovrebbero essere riconosciute, e ricompensate; lo stato dovrebbe controllare o dovrebbe sradicare le specie "aliene" e dovrebbero adottare misure per il ricupero e riabilitazione delle specie indigene minacciate e la reintroduzione nei loro habitat naturali. "

Il Piano sottolinea il rapporto molto basso di copertura forestale nel paese e l'alto tasso di diboscamento, aggiungendo che la causa principale di questo è lo spostamento delle coltivazioni. Dire questo è quasi incolpare i tribali dei Tratti collinari di Chittagong e delle Foreste di Madhupur e, naturalmente, non siamo d'accordo. Dei 3 maggiori programmi di investimento proposti nel piano - produzione della foresta e gestione, industrie basate sulla foresta e selvicoltura, l'ultimo sembra maggiormente indirizzato alle persone. Il piano parla di coinvolgere donne, con maggiore enfasi rispetto ai tribali. Quando si parla di tribali, poche volte, si fa riferimento solo a quelli del nord-est e della cintura centrale. Alcune opportunità molto interessanti esistono comunque anche per iniziative di gestione con gli adibasi del nordovest.

5 dei 7 programmi della gestione del piano quinquennale di gestione ambientale sono di attinenza diretta per gli adibasi, inclusi i Santal.

Diritti di proprietà delle foreste in Bangladesh

Due maggiori categorie di diritti di proprietà forestale sono riconosciute: quelle relative alla proprietà privata e quelle relative alla pubblica. Oltre a questi vengono riconosciuti i diritti tradizionali.

In senso stretto nessuna foresta privata dovrebbe esistere, secondo la legge. Nella sezione 20 del SAT è indicato che la foresta non può essere soggetta a proprietà privata. Ciononostante, sia il Forest Act del 1927 e l'Ordinanza del 1959 regolano la gestione di foreste private. Fino alla creazione del Dipartimento governativo forestale erano gli zamindar che possedevano enormi estensioni di foreste. Molti Santal e altri adibasi furono mobilitati per pulire parti delle foreste. La legge del 1959 stabilisce che sia gli affittuari che gli abitanti dei villaggi vicini possono usufruire dei diritti acquisiti con la loro lunga residenza. Questa situazione è stata già esaminata nel nostro studio, per la Foresta di Sarsa.

Tutte le foreste sono quindi gestite dallo Stato e, in particolare, circa i 2/3 dal Ministero di dell'Ambiente e delle foreste ed 1/3 dal Ministero delle terre ( considerati terre khas, non classificate) e dai Consigli distrettuali.

l Dipartimento delle foreste è quello che ha la gestione delle stesse e che definisce i diritti di accesso che, come abbiamo visto, non tengono alcun conto dei gruppi etnici..

La Sfida tesa ad una Gestione cooperativa

Abbiamo documentato la lunga storia dei Santal e di altri adibasi nello sviluppare un sistema di conoscenza indigena circa l'habitat della foresta di Sal e la gestione di una serie dei suoi prodotti. Ma, a seguito dell'enorme degrado delle foreste e della perdita della biodiversità, purtroppo anche il sistema di conoscenza dei tribali diventa irrilevante.

Abbiamo anche descritto il ruolo delle autorità coloniali che sono state colpevoli, ma abbiamo anche messo in evidenza le responsabilità gestionali del Dipartimento Forestale, degli stessi Santal che hanno abusato delle risorse forestali e, naturalmente, dei Bangladesi, responsabili di vari tipi di illegalità.

È però evidente a che solamente gli adibasi in queste aree sono collettivamente preoccupati per la scomparsa della foresta.

Foresta e terra agricola, possono essere terra khas. Il terreno agricolo su cui il proprietario non ha pagato tutte le tasse può essere confiscato come terra khas. Così molti Santal, per ignoranza o inganni, hanno perso la terra. La terra khas può successivamente essere affittata ed abbiamo incontrato molti Santal che, come affittuari, sono in una situazione precaria in quanto la terra su cui vivono può sempre essere reclamata dai suoi proprietari originali, una volta che si siano messi in regola con le tasse.

Una domanda ci viene spontanea: È possibile una gestione collaborativa in questa situazione? Si potrebbe controbattere che, per l'inesperienza delle Autorità, per il rapido deterioramento ecologico e per la situazione complessa che coinvolge milioni di persone sparse in piccoli villaggi, si andrebbe incontro ad un fallimento. È comunque davvero molto difficile immaginare altre forme di gestione che potrebbero essere più efficaci.

Gli argomenti principali, ancora una volta, sono:

- I Santal e gli altri adibasi come gli Oraon potrebbero sviluppare la loro "unica" conoscenza che deriva dalla loro lunga presenza nell'habitat delle foreste. I Bangladesi hanno in contrasto vissuto essenzialmente nelle pianure, specializzandosi nella coltivazione massiccia del riso, che coltivano da molti secoli.

- L'accesso alle risorse naturali in aree della foresta rigenerate è intesa al miglioramento della sicurezza del cibo ed è anche vitale per il mantenimento dell'eredità culturale dei Santal e di altri adibasi.

- Questo rapporto può soltanto proporre la selezione di alcune aree per la gestione collaborativa. La Stromme Memorial Foundation, che ha commissionato questo studio, altre ONG che lavorano con e per gli indigeni tribali in Bangladesh, e agenzie bilaterali e multilaterali che sono interessate alla gestione delle risorse naturali, sono in una posizione di incoraggiare e sostenere tali progetti. La eventuale decisione del Ministero per Ambiente e Selvicoltura sarà seguita dall'identificazione del luogo.

Le forme diverse di gestione partecipatoria

Vi sono varie forme di gestione. Quella più debole è soltanto consultiva, ma coinvolgere gli utenti nelle decisioni è una forma più forte.

Quando i popoli indigeni, dopo il riconoscimento che la terra è il loro dominio ancestrale, sono in pieno accordo con le autorità, come avvenuto in Canada (Colombia britannica), la gestione cooperativa può funzionare senza problemi.

Noi consigliamo di esplorare se i Santal e gli altri adibasi possono essere incoraggiati ad esse

Conclusioni

La visione del mondo dei Santal considera la foresta come un dominio sacro, che li costringe a fare tutto il possibile di mantenere un'armonia tra le divinità e gli uomini.

Il sistema comporta una elaborata conoscenza sulla vita e sull'habitat della foresta dominata dai Sal e sul suo utilizzo.

Ai Santal e agli altri adibasi, nei luoghi indagati, non è mai stato dato un particolare riconoscimento come utenti della foresta, dalle autorità.

Le tecniche silviculturali finora attuate sono una delle principali cause della degradazione della biodiversità, malgrado il Bangladesh sia uno dei primi firmatari della Convenzione sulla biodiversità e su quella dei Diritti dei popoli indigeni.

Coinvolgere i Santal e gli altri adibasi in questi programmi è, a nostro avviso, essenziale.

Clan e sotto clan

tabella clan.xls

TRIPURA

Dopo i Chakma e i Marma, costituisco il terzo gruppo tribale dei Tratti collinari di Chittagong (CHT). Persone Tripura che ora vivono in Bangladesh avevano la loro residenza originale nello stato indiano di Tripura, sebbene molti li considerano discendenti del gruppo Bodo, indicato come gruppo originario per i popoli di Assam, Birmania e Thailandia. I Tripura emigrarono inizialmente a Comilla, Sylhet e aree di Chittagong così come in altre regioni come Noakhali, Dhaka, Faridpur e Barisal. Nel corso di tempo, si concentrarono principalmente nei CHT, ed in particolare a Ramgarh e Khagrachhari dove vive oltre l'80% dei Tripura dei CHT. I Tripura chiamano loro stessi Tipara e anche Tipra, mentre i Marma li chiamano Mrong, i Lushei li chiamano Tuibuk e i Phanko li chiamano Bai. Il censimento del 1881 registrò la distribuzione di Tripura come segue: CHT 15.054, Comilla 1.895, Faridpur 101, Barisal 45, Noakhali 16, Dhaka 4, Sylhet e altre aree 268. Il numero di Tripura nell'area dei CHT era 79.772 nel 1991 (il 6.6% della popolazione tribale totale nei CHT).

I Tripura sono divisi in almeno 36 gruppi (dafas) dei quali 16 sono in Bangladesh. Alcuni di questi gruppi hanno anche sottogruppi. Ognuno di essi ha propri dialetti, vestiti e ornamenti. Il nome di ciascuno di essi deriva da un avvenimento o dalla principale occupazione. La lingua dei Tripura (Kokborok) appartiene al gruppo Bodo che ha la sua origine nel ramo Assamese della lingua Tibeto-Birmana della famiglia Cino-tibetana. La scrittura della lingua Tripura ha delle somiglianze con quella della lingua di Chakma ma sebbene l'alfabeto appaia essere simile, le due lingue differiscono moltissimo in pronuncia e nella procedura di lettura. Il Kokborok fu usato estesamente per scrivere lettere, ricette di medicina indigena o formule di magia. Ma in seguito al poco utilizzo, la scrittura è al limite di estinzione.

I Tripura sono principalmente indù ma le loro credenze e pratiche religiose sono diverse dagli indù di casta in molti modi. Loro adorano il dio Shiva e la dea Kalì e 14 altri dei e dee. Credono anche in un numero di spiriti cattivi, di esseri incorporei e di demoni che hanno la loro dimora nelle giungle e che danneggiano le persone infliggendo malattie. Sacrificano animali e uccelli nel nome dei loro dei e dee. Credono che fiumi, laghi e canali erano una volta esseri umani e ma sacrificarono le loro vite e si convertirono in elementi della natura per servire l'umanità. Come gli indù, i Tripura credono nella vita dopo la morte, vita in cui quelli che hanno fatto opere buone vivranno in agio e conforto ma quelli che si sono comportati male avranno una nuova vita piena di problemi.

I Tripura non hanno un uniforme sistema di lignaggio. In alcuni gruppi, i figli prendono il loro lignaggio dal lato del padre, mentre in alcuni altri, le figlie lo prendono dal lato della madre. Il figlio più anziano eredità tutta la proprietà ed agli altri non viene dato niente. Comunque, questo diritto del figlio maggiore si perde per inadempimento se lui si separa dalla famiglia del genitore quando il padre è ancora vivo.

Il vestito tradizionale di un uomo include il dhuti (un pezzo stretto di stoffa tondo che passa tra le gambe e ha una frangia che pende dal retro) e un khaban ( turbante). In inverno portano anche una rozza giacca. Il vestito di una donna Tripura è simile a quello di una donna Chakma e spesso è una semplice veste con una camicia sulla parte superiore del corpo. Nel passato le donne sposate non indossavano niente per coprire le mammelle. Ragazze non sposate indossano vestiti molto colorati. Uomini e donne, portano orecchini d'argento a forma di mezzaluna. Le donne portano collane fatta di perline e conchiglie, piercing sul naso e ornamenti sui capelli, collo, polsi e caviglie.

La cerimonia sociale più importante dei Tripura è il Baishuki che dura per tre giorni a partire dal penultimo giorno del calendario Bengalese. Nel primo giorno della festa chiamata hari baishuk i bambini decorano le case con fiori, indossano vestitini puliti e visitano i vicini. I vecchi anche vanno in visita dai vicini ed a loro viene offerto da bere. Da questo primo giorno di festa un gruppo di non meno di 15 ragazzi va a danzare in ogni casa nel loro villaggio. I balli e le visite continuano nel secondo e terzo giorno chiamati rispettivamente baishukma e bisikatal. Ai danzatori sono offerti bibite, pollo e riso, in ogni casa visitata. Dopo che sono state visitate tutte le case si celebra una puja in cui si offrono i doni ricevuti dalle varie famiglie. Una regola dei rituali è che se qualcuno partecipa al ballo di un anno, deve fare lo stesso per tre anni consecutivi. Si crede che se non farà così il dio non sarà soddisfatto.

I Tripura seguono l'usanza di matrimonio "prearrangiato" che non è permesso, tradizionalmente, fra i membri dello stesso gruppo. È possibile sposarsi anche al di fuori della tribù. Il padre dello sposo deve pagare le spese per il vestito della sposa e i suoi ornamenti. Il sistema della dote non esiste nella società Tripura ma la festa richiede un grande ammontare di spese. Lo sposo prende dimora nella casa della sposa per due anni prima del matrimonio, e diviene un membro della sua famiglia. Il raccolto durante questo periodo è riservato a beneficio della nuova coppia. Il divorzio non è illegale ma deve avere beneplacito mutuo. Nel caso che una parte vuol separarsi senza motivo, deve provvedere a un maiale per tutta la comunità. Quando nasce un bambino, la madre deve osservare giorni di impurità e non le è permesso di cucinare. Dopo alcuni giorni dalla nascita, quando l'ombelico è asciutto, una festa cerimoniale è organizzata per dare un nome al nuovo nato.

I Tripura bruciano i morti e, quando il fuoco si estingue, le ceneri e le ossa non bruciate sono raccolte e sono gettate in un fiume o uno stagno. Il Shraddha (funerale) è osservato dopo 13 giorni dalla morte. I Tripura, comunque, non bruciano sempre i morti. In caso di morte per malattie come colera, vaiolo o lebbra, il corpo è seppellito. Il corpo di un bambino che muore prima della crescita di denti qualche volta è avvolto in un panno e appeso al ramo di un albero nella foresta.