Capitolo ultimo


Il mercato delle stelle

Capitolo 14

Capitolo ultimo

Le lacrime di Giacobbe

Quando arrivai a Saidpur, trovai un centinaio di vecchi cattolici, tutta gente navigata delle cose del mondo, anche troppo direi. Trovai pure nei villaggi intorno alla città una comunità di nuovi cattolici, in gran parte analfabeti, poveri e timidi: fu più forte di me, questi divennero il mio "piccolo Giuseppe". Non che trascurassi i cattolici della città o che non accudissi ai loro problemi: il fatto è che alcuni dei miei fedeli cittadini, più che frequentare la chiesa, frequentavano certi circoli mafiosi (dato che anche nei bazar del Bangladesh, seppur sotto altro nome, fiorisce la mafia). Per loro il prete era una vacca da mungere e in tutte le mie attenzioni e spese per i miei nuovi fedeli, essi non vedevano altro che uno svantaggio per loro; per impedire l'afflusso dei nuovi alla missione fecero ricorso a minacce e dispetti.

Il colmo fu raggiunto la notte di Pasqua. Dopo la benedizione del fuoco e l'accensione del cero, entrammo in chiesa cantando; un giovane catecumeno che si trovava al margine della folla fu spinto in un angolo del sagrato, picchiato e fatto fuggire. Dopo la comunione un catechista fu chiamato fuori ed anche lui picchiato. In entrambi i casi noi in chiesa cantavamo e nessuno si accorse di nulla, ad eccezione delle due sposine dei giovani. Quando, rientrato in casa, sentì i singhiozzi di queste e vidi i visi tumefatti dei ragazzi, compresi tutto e mi sentì distrutto. Passai il resto della notte insonne. Mi sentivo sconfitto e terribilmente solo. Sentivo che la piccola comunità cittadina, pur disappro­vando la dissacrazione della celebrazione, non era immune da germi dell'invidia ed aveva paura dei mafiosi. La mattina di Pasqua cantai messa, ma non mi sentì di fare la predica. Rientrato in casa, ero preoccupato di come riuscire a trascorrere il resto della giornata.

Ma ecco un gruppetto di amici. Sono gli esponenti della comunità anglicana e sono venuti per augurarmi buona Pasqua. "Sì- dissi - buona Pasqua a tutti! Per me però continua il venerdì Santo!" In quel momento successe una cosa che non mi era mai capitata: scoppiai a piangere. Quei bravi anglicani mi furono subito attorno e, dopo essere riusciti a consolare questo anziano prete cattolico, invece di andare a festeggiare con le loro famiglie, si dispersero per la città alla ricerca del caporione del gruppo, lo portarono a casa loro e tanto lo subissarono di rimproveri che alla fine il tipaccio accettò di chiedermi scusa. Accettai il gesto, anche se si capiva che egli era tutt' altro che convertito. Infatti, prima di notte, mi mandò a dire di prepararmi ad altro ed ebbi paura.

Il giorno dopo avevo in programma di andare a dir messa in un villaggio nuovo ed abbastanza lontano e fui felice di togliermi dall'atmosfera opprimente di Saidpur. Partii, ma il Signore dispose che, prima di raggiungere la destinazione, mi si forasse la moto. Feci l'ultimo chilo­metro spingendo il mio veicolo sotto il sole cocente. Arrivai completa­mente sfatto in corpo e spirito, e, nello stendermi su una stuoia nella cappelletta, dissi come Elia: "Signore, basta, accetto la sconfitta e mi ritiro!" Ero così esausto che quasi subito caddi nel sonno. Dopo un pò un certo fruscio mi svegliò: una vedova stava uscendo e chiudendo la porta. Lo credereste? Aveva silenziosamente deposto accanto alla stuoia una brocca d'acqua ed una manciata di biscotti casalinghi. Avevo sete e, postomi a sedere, bevetti; mangiai i biscotti per bere ancora ed in quel momento mi vennero in mente le altre parole: "...e con la forza di quel cibo egli camminò ancora per 40 giorni e 40 notti". Mi ridistesi sulla stuoia, dicendo: "Signore, credo di poter tirare avanti ancora per 40 giorni, ma non di più! " Dentro di me però sentivo un'altra persona che diceva: "E come riuscirai a perdonarti di aver lasciato questi nuovi fedeli che tu stesso hai battezzato?" Mio Dio! Mi venne forte l'impres­sione di trovarmi in trappola, lo stare lì mi faceva morire e mi faceva morire anche l'andarmene.

Ritornai a casa, riparata la moto; che impressione però! Mi pareva di essere un estraneo in quella casa che avevo risistemato ed in quella chiesa di cui ero stato così orgoglioso e che avevo curato e ridipinto dentro e fuori. Non mi ci ritrovavo più. Tra l'altro gli incidenti di Pasqua erano riusciti nel loro scopo: dai villaggi nessuno più veniva in missione.

Fu proprio in uno di quei terribili giorno che mi si presentò la necessità di prendere una decisione. Avevo per tanto tempo pregato e tentato di riuscire a comprare un terreno a 15 km. da Saidpur, col desiderio di aprirvi un sottocentro di missione. No, niente da fare, i proprietari musulmani non volevano cederlo. Ed ecco che quegli stessi musulmani mi si presentarono e me lo offrirono; come era facile immaginare, adesso ero io che non ero per niente in vena: che senso aveva acquistare terreni, quando in me non c'era altro desiderio che quello di andarmene? Per scoraggiare i miei visitatori, tirai fuori il libretto di banca e dissi che avevo poca sostanza. "Dacci quanto hai - insistettero - e facciamo la registrazione. Il resto ce lo darai in seguito." Trattandosi di denaro sacrosanto, la loro disponibilità e fiducia nel prossimo era inaudita. Non seppi resistere e cedetti. Furono quei musulmani che fecero pendere la bilancia: che senso aveva andarmene adesso che avevo comperato quasi un ettaro di terreno?

Fatto l'acquisto, i cristiani del posto ripararono le tre capanne abbando­nate. Vi fecero anche l'aggiunta di una croce e, dato che la volevano alta, usarono un lungo bambù: stesi per terra i bambù sono abbastanza diritti, ma messi in posizione verticale essi riprendono la vecchia curva­tura che hanno quando dondolano al vento; più che una croce, sem­brava un punto interrogativo. Quando tutto fu pronto, fui invitato a dire messa. La messa fu celebrata e di ritorno scrissi, per i posteri, questa nota nel diario della parrocchia: "Prima messa a Taragani. Ringraziamo Dio che la messa è in se stessa di valore infinito. Guai se il valore dipendesse dal prete: in tutta la diocesi non c'è un altro prete così avvilito e debole di fede come quello che ha detto la prima messa in questo nuovo centro!"

Taraganj (il nuovo centro, il cui nome significa "Mercato delle Stelle") ebbe ben presto anche la visita del vescovo; gli piacque il posto. ll presule seppe anche della terribile Pasqua che avevo passato e mi promise un compagno nella persona di un diacono, ordinando prete in autunno. In attesa che la promessa abbia il suo compimento, io resto qui come un uccello sul ramo. Verrà presto, spero, a posarmisi vicino un altro uccelletto, bello, di prima piuma e con negli occhi una visione di tante cose belle. Intanto mi sono dato a riassestare il mio vecchio piumaggio, ma soprattutto ho deciso di non volarmene via.

Cari amici, dopo aver scritto tutto questo, l'ho riletto e l'ho buttato nel cestino della carta straccia: mi sono vergognato delle mie traversie poco edificanti. Dopo un po', però, l'ho estratto dal cestino e mi sono detto: "Lasciamo che gli amici vedano anche l'altra faccia della medaglia: vedano come siano miserabili gli strumenti che il Signore deve usare per l'espansione del Suo Regno!"