Paese che vai usanza che trovi
Il mercato delle stelle
Capitolo 6
Paese che vai usanza che trovi
Sommario
Ma tu puzzi di che cosa?
Un prete indiano, avuta la possibilità di fare un viaggio in Italia, arrivò a Milano, dove un suo amico missionario si fece premura di portarlo a visitare la meraviglia della città, il duomo. Usciti dalla metropolitana nella grande piazza, il visitatore d'oltre oceano girò lo sguardo attorno e subito uscì in un "Oh!" di ammirata sorpresa; l'amico milanese pensava che fosse la facciata del famoso tempio ad attirare la sua attenzione: no, era il monumento a Vittorio Emanuele. Infatti poco dopo il reverendo turista commentava: "Mai visto, in vita mia, un cavallo così grosso!"
Lo stesso capita a chi viene in Asia: ad ogni passo egli si imbatterà in qualcosa che, per i nativi, è roba di tutti i giorni, mentre per lui è motivo di grande sorpresa.
Ad un matrimonio, ad esempio, non ti aspetti certo di dover assistere a lunghissimi piagnistei (la sposina deve piangere e deve fingere di non volersi sposare). Né ti aspetti schiamazzi in un funerale! Non avevo mai visto come si fa la cremazione di un morto; un giorno per caso mi capitò di assistervi e non potei non trovare la cosa sensazionale.
E' incredibile quanta poca legna sia sufficiente per bruciare un morto: bastano 7-8 bambù verdi, appena tagliati dal ceppo! (E' che quando il cadavere incomincia a ... colare, il fuoco proseguirà ad ardere gagliardo). Ben presto l'atmosfera è satura del terribile odore di carne umana e di interiora bruciate. Osserverai con raccapriccio gli scatti del morto i cui tendini si ribellano al contatto col fuoco. Resterai perplesso per le stangate da orbi che gli officianti, muniti di lunghe pertiche, fanno piovere sul defunto per romperne le ossa ed aiutare l'incenerimento. E poi le loro grida e sghignazzi, quando lo scoppiettare del fuoco proietta qualche favilla sui loro torsi nudi. Che dire poi quando il ventre scoppia!...
Infine il cadavere comincerà a rimpicciolirsi e finirà col ridursi ad un groviglio annerito e deforme di tendini: quando da esso non cola più niente il fuoco si spegne. Allora le ceneri verranno raccolte e gettate nell'acqua, vicina alla quale è avvenuta la cremazione, il groviglio di tendini sotterrato e i tizzoni spenti resteranno là, sparpagliati sul terreno, a testimoniare che il funerale è avvenuto. Vi garantisco che ve ne partirete da quella funzione completamente stomacati. lo vi assistetti dalla parte della brezza e a rispettosa distanza, pure, quando arrivai a casa, il mio compagno torse il naso e disse: "Accidenti che odore! Ma tu puzzi di che cosa?"
Guardo te - guardi me
Se poi passiamo ai complicati procedimenti matrimoniali troveremo curiosità a non finire e tante cose ci lasceranno perplessi.
La cerimonia preliminare del guardo-te-guardi-me (cioè il primo incontro) non è cosa che riguarda solo lui e lei: essa è organizzata ed interessa i due parentadi. Il pretendente verrà osservato nel suo aspetto fisico, lo faranno parlare per sentirne il timbro di voce e lo faranno camminare avanti e indietro per vedere 'come butta le calcagna'. Poi sarà la volta della sposa: dal gruppo del giovanotto si staccherà una vecchietta esperta che si avvicinerà a lei, le prenderà un braccio per vedere quanto carnosa è di fisico, le farà sciogliere la treccia per vedere quanto nera e consistente è la sua capigliatura e le farà aprire la palma della mano per leggerne i segni. Da entrambe le parti lo scrutinio è rigido, anche se non maleducato.
Un giorno, dall'interno della cappella del villaggio, avevo osservato tutto il procedimento del guardo-te-guardi-me. Poco dopo, un gruppetto di donne partecipanti alla cerimonia se ne tornava a casa, commentando animatamente. Quando mi passarono vicino chiesi: "Com'è andata?" "Niente da fare" risposero. "Come mai , dissi, sorpreso, il ragazzo mi sembra un buon partito!" Una vecchia rallentò il passo per spiegarmi: "Eh no! Non l'hai visto bene! Ha il collo sottile e la bocca da donna, non può fare per noi!"
Di solito la ragazza si terrà vergognosetta e seminascosta dietro le altre donne. Alzerà sì e no gli occhi per dare un'occhiata a chi sarà il suo futuro marito: nel consentire a sposarlo, ella, di solito, si attiene al giudizio dei suoi.
Quando, fatto il matrimonio, la sposa starà per partire, la faranno sedere per l'ultima volta sulle ginocchia di sua madre; allora ci sarà chi le metterà in bocca una moneta, che ella farà cadere in mano alla mamma, come per dirle: "Mi hai allattato: ecco la mia mancia prima di lasciarti!" La mamma le laverà il musetto lacrimoso, le metterà in bocca dello zucchero grezzo e le farà bere un sorso d'acqua. Dopo di che, anche lo sposo siederà sulle ginocchia della suocera, per farsi pure lui lavare la bocca e per mangiare dalla sua mano una zolletta di zucchero, come se fosse lui pure diventato suo figlio.
E' invece un disappunto indicibile l'arrivo della sposa a casa dello sposo. Si ha l'impressione che l'idea base sia: "Ecco la merce che ci siamo presi; vediamo un po' che acquisto!" Il carro che la porta viene circondato da una piccola folla di donne e ragazzine che urlano alla nuova arrivata una nenia furibonda, la quale non è altro che una serie di insulti e di volgarità. Scesa dal carro, la poverina, la quale molto spesso è poco più di una bambina, verrà sospinta verso una stuoia, dove ella si accascerà con i capelli sciolti, come l'adultera del Vangelo. Lì ella sembra essere sommersa in un mare di malevolenza femminile; solo la nonna e la sorellina, che l'accompagnano da casa, le stanno accoccolate vicino. Gli uomini restano raggruppati qua e là, alcuni del tutto indifferenti al dramma che si sta svolgendo, altri assai divertiti. Improvvisamente mi accorgo che questi ultimi si divertono... a spese mie! Con l'espressione di forte disapprovazione, che mi si legge in faccia, io mostro di non aver capito che tutte queste cerimonie sono una finta (perfino la nonna della sposina si sta masticando la foglia di betel in santa pace); si finge il rigetto, per esprimere, a modo di gioco, la gioia pazza prodotta dall'arrivo della sposa novella! Beh, come Dio vuole, una parente dello sposo mostra di muoversi a compassione e va ad accoccolarsi vicino alla sposa, la pettina, le aggiusta il vestito e le rifà il dischetto di vermiglione sulla fronte. Ed ecco di nuovo la nostra sposina seduta sulle ginocchia, questa volta del la suocera che, come già la mamma, le lava il musetto, le dà da mangiare lo zucchero e da bere un sorso d'acqua. La nenia insultante finisce; le cantanti si fanno avanti, scostano a gomitate nonna e sorellina e, intonando un canto d'allegria, prendono possesso della sposa. E così questa, portata e sospinta da loro, fa il suo ingresso tumultuoso nella casa del marito.
Queste celebrazioni sociali sono delle vere recite teatrali, in cui tutti sono attori. Irresistibilmente tu ti senti contagiato dall'atmosfera che ti circonda. Dopo tanti anni dacché mi trovo qui in Bangladesh, mi basta sentire il rombo lontano di un tamburo per sentirmi io pure eccitato e preso da sentimenti contrastanti di gioia e di fratellanza, da una voglia matta di accorrere e dal rammarico di dovermene star lontano.
Un microbo caccia l'altro
Se poi entriamo nel mondo delle superstizioni bengalesi, ci sono curiosità per tutti i gusti.
Un giorno di vento e sole e polvere, avevo preso rifugio sotto la veranda di una capannuccia, perché il vento stava trasformandosi in una bufera di sabbia. Ero li che osservavo con preoccupazione quel muraglione di polvere che stava avanzando minaccioso dall'Ovest, quando dalla capanna uscì una vecchina tutta pelle e ossa. Pareva che il vento se la volesse portar via; a fatica ella alzò le braccia scarne verso la grondaia del tetto e cominciò a slegarne i mannelli di paglia. Slegatili, li sfilacciò e la paglia se ne volò via col vento, come stormi di piccioni viaggiatori. Sentii che mormorava: "Sì, sì, ecco, prendili!" Dopo un po' le gridai: "Cosa fai, nonna?" Portò l'indice davanti alla bocca, come per dirmi: "Zitto! Non farti sentire!" Infine mi si avvicinò e, quasi per non farsi sentire dall'interessata, la quale ci infuriava attorno, mi sussurrò: "Vedi, la Pobonsori (la divinità femminile del vento) è molto dispettosa. Se non l'accontenti, con qualche mannello, è capace di portarti via tutta la casa!"
Fra i molteplici articoli di abbigliamento, qui in Bengala, ce n'è uno interessantissimo. Esso è un pezzo di tela molto grossolana, alto due spanne e lungo quattro. Si chiama 'gamcia'. E' una pezza tuttofare perché, oltre che asciugare, essa serve anche da copricapo, da sciarpa, da cinghia, da costume da bagno, da rete da pesca, da sporta per la spesa e, purtroppo, anche da corda per impiccarsi.
Ah, mi dimenticavo, molto spesso, essa serve anche da passino per il tè: nel berlo ti accorgi subito se la bevanda che ti si offre è in stretta parentela con la 'gamcia', perché il palato accuserà un varietà di sapori e di aromi e ciò ti fa un certo senso; ti passeranno per la mente tutti gli usi e tutti i contatti della pezza tuttofare. Ma tu sei bravo e ti fai coraggio e dici a te stesso: "Niente paura! Un microbo caccia l'altro! Bevi che ti fa bene!" E tu bevi e ben ti fa.
Qui si dice che Dio ha dato all'uomo una mano pura (la destra) e una impura (la sinistra). La prima serve per portare il cibo alla bocca, la seconda invece sarà usata per le pulizie private. Di conseguenza, se ti capitasse di venire da queste parti, avrai cura di mai dare o ricevere nulla con la sinistra; se lo facessi mostreresti di non essere ancora maturo per la convivenza civile oppure sembreresti mostrare disprezzo per i tuoi simili. Le mani giunte sul petto, in segno di preghiera a Dio o di saluto agli amici, simboleggiano appunto 'come queste due mani, pur essendo una pura e una impura, combaciano così bene, così pure tu ed io...'
Di solito noi occidentali, per enumerare le cose, le contiamo sulla punta delle dita ed incominciamo ad alzare il pollice...; non lo fare! E' un gesto osceno e volgare. Qualche reverendo venuto dall'occidente, lo fa anche mentre predica, ma voi noterete che gli uditori abbasseranno la testa, per non essere costretti a contemplare una persona rispettabile che, pomposamente fa gesti osceni... all'altare! Immaginarsi poi l'imbarazzo che ne viene, se chi fa questi gesti è una suora o una donna. A dir il vero, qualche buon catechista non mancherà di far notare queste cose ai missionari, ma, purtroppo, anche fra noi, c'è sempre qualcuno che non intende badare a quelle, che egli considera 'le fanfaluche di questa gente qui!'
Addio, amico pitone!
La cosa che subito compresi, riguardo ai pitoni, è che, anche per essi, le apparenze ingannano: assomigliava proprio al biscione che, nelle immagini sacre, tenta Eva; era grosso come un tronco di un piccolo albero ed incuteva rispettoso.... riguardo; quest'animale però è di natura assai mansueta. Alcuni nativi l'avevano portato per venderne la pelle al mio compagno di missione ed egli l'aveva preso. Si addomesticò subito e gli si affezionò e l'avrebbe seguito dovunque se una cordicella al collo non l'avesse legato ad una pianta, accanto alla nostra porta di casa.
All'avanzarsi del freddolino della notte, il pitone si attorcigliava su se stesso in un gigantesco gomitolo e restava immobile in quella posizione per tutta la notte, dormendo sodo e dimentico di tutto e di tutti: la testa appena affiorava di mezzo a quel groviglio di spire. All'arrivo dei primi raggi del sole, si poteva notare un lentissimo divincolarsi delle spire, senza però che il gomitolo si sciogliesse; il serpente si divincolava allo scopo di portare al sole le spire che erano state esposte al freddo della notte. Quando finalmente il sole comincia a battere, allora la bestia si sveglia e la testa sguscia fuori dal groviglio dirigendosi di qua e di là in cerca di cibo. Non trovandone e non potendo allontanarsi per via della cordicella che lo lega, fa la scalata della pianta a cui è tenuto legato, ma questa è sterile e non dà frutti, per cui il pitone scende e si mette in attesa che i suoi carcerieri si ricordino di lui. Appena sente rumori di passi, vi si dirige e, se tu ti fermi, lui ti striscia vicino, fino a toccarti i piedi; ti riconosce, allora alza la testa verso dite, ti guarda in faccia con espressione umana e pare che ti dica: "Son qui che aspetto, perché ho fame e non posso andare a procurarmi cibo. Mi dai qualcosa?"
Mi ero affezionato a quella creatura di Dio e non vi so dire quale punta di rammarico mi ferì, quando, di ritorno da un giro di missione, vidi la sua pelle disseccare al sole! Essa fu poi mandata in Italia e andrà presto a rivestire le borsette o a ricoprire i piedini di qualche dama italiana. Sì, davanti a quella pelle, stiracchiata e fissata con chiodini a terra, mi è venuto il magone: "Addio, povero pitone! Tu eri prigioniero degli uomini, ma non avevi per essi né odio, né paura: tu ti fidavi di loro. Gli uomini però sono molto più cattivi di quanto un pitone possa pensare!"
Da queste parti la torre di Babele si chiama "sistema delle caste"
Nel parlare di 'caste' non dobbiamo scandalizzarci perché anche nel nostro Occidente, nonostante l'ideologia biblica dell'unica origine dell'uomo, vi sono gruppi di gente che si considerano superiori e vi sono altri che accettano di considerarsi inferiori.
Nell'induismo invece gli uomini sono stati creati diversi: si crede, intatti, che i bramini siano usciti dalla testa di Brama (Dio), i guerrieri dalle sue braccia, i mercanti dal suo ventre e tutti quelli che devono insudiciarsi in un lavoro manuale, dai suoi piedi. Partendo da questa credenza religiosa, non solo è difficile inculcare l'ideale di uguaglianza ad un bramino, ma, forse ancor di più, agli induisti di casta bassa.
Queste quattro caste originarie sono, a loro volta, teoricamente suddivise in 36 sottocaste; di fatto però le sottocaste sono così numerose che nessuno è mai riuscito a farne una lista completa.
Oltre alle persone di 'casta' induista, ci sono 90 milioni di 'fuori casta'. La loro impurità è senza rimedio; quello che essi toccano diventa impuro, per cui sono chiamati 'intoccabili'. Se volete farvi un'idea, sarebbe come se da noi ci fossero dei credenti cristiani ai quali è lecito vestirsi bene e mangiare meglio nelle feste religiose, ma, per nascita, sono esclusi da tutti i sacramenti e, perfino, dal mettere il piede in chiesa.
Il sentimento di casta è così forte che anche i convertiti dell'islam e del Cristianesimo non riescono a liberarsi del tutto e voi potrete trovare delle caste in tono minore anche in queste due religioni indiane. Chiunque venga a risiedere in questi paesi, ben presto si accorgerà di come si vive in una società dominata dalla legge della casta.
Un giorno, mentre prendevo il tè nel botteghino di un mercato, venne un cliente che, notai, portava con sé il suo bicchierino. Quando la bevanda fu pronta, l'oste, invece di offrirgli la tazza fumante, gliene versò il contenuto nel bicchiere che egli prontamente gli protese. Non è che quel cliente si schifasse delle tazze usate dai gran pubblico, era vero l'opposto: lui era un intoccabile ed era il gran pubblico che non avrebbe più frequentato il botteghino, se sulle chicchere avesse posato le labbra gente come lui.
Ben presto notai che gli intoccabili, nell'incontrarti, avranno cura di girarti un po' alla larga: lo fanno perché la loro ombra, cadendo su dite, ti potrebbe contaminare!
Piatti e stoviglie di cucina saranno tabù per gente non della tua casta. Se dei fuori-casta lavorano in casa tua, essi mangeranno a parte e il cibo verrà loro servito su foglie di banana (ci fu qualche mamma che servì il cibo in questa maniera al proprio figlio, dopo che questi si era fatto battezzare).
Un giorno, mentre ero in viaggio verso un villaggio Santal (fuori-casta), stavo riposandomi sotto una pianta. Poco dopo, quell'ombra benefica attirò un altro viandante, che attaccò bottone e mi chiese dove andavo. Sgranò gli occhi per la sorpresa quando gli dissi che avrei alloggiato per la notte dai Santal. Poi, come ricordandosi di cosa per lui problematica, mi chiese: "E per il cibo, com'è che la combini?" (il bramino in visita usa cucinarsi lui stesso il cibo). Risposi: "Mangerò quello che mi daranno!" "Come, esclamò esterrefatto, tu mangi da loro?" Risposi:
"Certo! lo ho dato loro la mia religione e se la mia religione non li può far degni di sedersi a mangiare con me, allora vuoi dire che la mia religione non vale niente!" Ripartii lasciando quel brav'uomo lì a digerirsi una frase per lui indigeribile.
Sembra, d'altra parte, incredibile che il paese delle caste abbia venerato un uomo come Gandhi, il quale condannava continuamente la fisima sociale dell'intoccabilità; vestiva lui stesso come un intoccabile e chiamava gli intoccabili Harijan (gente di Dio). E, al giorno d'oggi, quello stesso paese si gloria di una Madre Teresa di Calcutta, la quale ama farsi fotografare tenendo in braccio un bambino intoccabile.
E noi Europei, di che casta siamo? Legalmente anche noi siamo dei fuori-casta. Talvolta capiterà di mangiare in casa di gente 'alta': tutti sono lì a servirti, nessuno però si siederà a mangiare con te e, dopo la tua partenza, una donna si affretterà a scopare il pavimento dove eri seduto per il pasto e lo purificherà per bene, spalmandolo col sacrosanto sterco di vacca. Sentimentalmente noi missionari siamo e stiamo con la gente di casta bassa, anche se questa di solito è meno evoluta e anche se non e detto che i bramini siano inconvertibili; infatti, circa 400 anni fa, i missionari gesuiti del gruppo di Padre Nobili, vivendo essi stessi da bramini, riuscirono a portare al Vangelo molta gente di quella casta.
Ma i tempi, qui in Bangladesh, stanno cambiando anche per i bramini: la fede del popolo è in diminuzione e.... le offerte pure. La presenza di un bramino ad un matrimonio o ad un funerale costa molto e i poveri hanno cominciato a farne a meno. lo conosco un bramino che, a chi lo invita, chiede: "Riuscirai a pagare tutte le spese?" "Temo di no!" "Allora non posso venire!" "E noi cosa facciamo?" "Per voi c'è un rimedio: voi poveri fatevi cristiani, il prete non vorrà nulla per i suoi servizi, anzi... Tanti di questi hindù poveri (e tanti anche non poveri) hanno in cominciato a prenderlo in parola e vengono appunto da noi.
Dodici mammelle e tredici porcellini
Il bengalese, oltre ad essere l'ottava lingua del mondo, parlata da 180 milioni di persone, è anche dotata di una letteratura monumentale ed ha autori, come Tagore, di fama mondiale. Della difficoltà di essa mi sono reso conto subito quando ho notato che persino i numeri sono differenti: basta dire che il nostro 4 si scrive 8 e che tutta la numerazione ha riferimenti diversi (esempio il nostro milione verrà espresso come 10 lakh).
E' però una lingua dolce e musicale. Una particolarità di Tagore e di altri autori bengalesi è che essi non solo composero le loro poesie, ma anche le musicarono, cosicché esse vengono trasmesse regolarmente per radio e sono canticchiate dalla gente. Infine, la parlata bengalese è estremamente pittoresca, il suo frasario è ricco di proverbi e di indovinelli.
Sentite questo: la vacca è di legno, il vitellino è di terra, cosa sarà? Ci potete pensare su per anni e non riuscirete ad indovinare. Beh, ecco, guardate un francobollo da due taka: lì c'è la risposta. La vacca è la palma da dattero: nella parte tenera del suo tronco, sotto la corona del fogliame, viene piantato un beccuccio di bambù, attraverso il quale il succo vitale della pianta scolerà in una piccola anfora di terra (il vitellino), debitamente appeso al tronco. Il succo che vi scola durante il fresco della notte è molto gustoso ed è quello che molti giornalisti d'Occidente usano chiamare 'vino di palma'. Resterete perplessi a sentire un papà o un maestro rimproverare il ragazzo neghittoso: "In vita tua, vedrai, la tua parte sarà quella di mungere la vacca dalle corna!" Il ragazzino capisce cosa gli si dice, perché egli sa bene la storia dell'unica vacca ereditata da due fratelli, uno furbo e uno scemo. Il furbo offre al fratello di tenersi la parte anteriore dell'animale. Questo, scemo, accetta. Fu quando egli chiese parte del latte che il furbo gli disse: "Mungila anche tu... dalla tua parte!" E, visto che all'altezza delle zampe anteriori, di mammelle non ce n'erano, fu ancora il furbo a suggerirgli: "Prova, allora, dalle corna!" Da quel giorno in poi gli scemi continuano a mungere la vacca dalle corna.
La storia dice anche che un giorno un rospo, nell'uscire dal suo buco, si trovò la strada sbarrata da un grosso serpente. Si rintanò subito, in attesa che se ne andasse. Visto però che, dopo tre giorni, la bestiaccia era ancora là, il rospo ragionò così: "Meglio rischiare di morire in bocca a quel serpentaccio che star qui a morire di fame in casa mia". E così il rospo si mise in posa e spiccò un salto, mai fatto in vita sua così alto. Alfine, vistosi salvo, si voltò a guardare come avesse reagito il suo nemico. Questo era ancora là, immobile come prima. Guardò meglio e si accorse di aver saltato per una pelle di serpente. Se qui ti si dice: "Va là, non far salti per una pelle di serpente!" tu capirai subito che ti si vuoi dire solo: "Non aver paura per niente!"
Per dire che uno se ne approfitta della debolezza altrui, diranno: "Si sa il gatto non va a far la cacca nella terra dura!"
Per dire che di uno non c'è da fidarsi, diranno: "Ma chi è che mette i propri pulcini a chioccia... dallo sciacallo?" Di un ingordo diranno: "Quello lì, se glielo dai gratis è capace di berti anche il catrame!"
Quando a Togliatti menzionavano certi scandaletti finanziari di alcune amministrazioni rosse dell'Emilia, si dice che rispondesse: "Non c'è cavallo, per quanto puro di razza, che non abbia qualche pidocchio nella criniera!" Qui Togliatti avrebbe detto: "Non c'è luna che non abbia le sue macchie!"
Il Presidente Lincoln, vedendo di non riuscire ad accontentare tutti, diceva: "Mi pare di essere quella scrofa che aveva dodici mammelle e tredici porcellini!" Anche qui si usa quest'espressione, ma anche: "E chi ha mai visto un uomo con due teste sulle spalle?"
Del famoso proverbio creato dal Manzoni: "Va' là, povero untorello, non sarai tu che spianterai Milano!", me ne ricordai l'altro giorno, quando ebbi a sentire quest'altro: "Va' là, povero topo, non sarai tu che metterai la museruola al gatto!" Era una circostanza che metteva tristezza. Assistevo ad un incontro di tribali Santal, che discutevano sul come salvare le loro proprietà. Da decenni, ormai, certi gruppi della maggioranza musulmana, con sotterfugi ed intimidazioni e con l'aiuto di qualche ufficialetto del catasto, si sono organizzati a sottrargliele e ci riescono. All'incontro tutti dicevano: "Basta! Organizziamoci! Sbaragliamo questa cricca!" Senonché, ad un certo momento, ci fu chi pronunziò la frase riferita sopra. Ammutolirono tutti: essa li metteva nella posizione dei topi della storiella che mi feci narrare dopo. Si dice che un giorno i topi si radunarono a congresso per risolvere il problema: "Perché noi topi, che siamo così numerosi, continuiamo a lasciarci acchiappare e mangiare da questo miserabile gatto?" Anch'essi, come i poveri Santal, gridavano: "Basta! Organizziamoci!" Ci fu anche un topo che suggerì: "Mettiamo la museruola al gatto e saremo liberi per sempre!" A questa trovata ci fu un'ovazione di trionfo (e la narrazione mi faceva immaginare una selva di zampine topesche alzate su, chiuse a pugno); ma in mezzo a quella turba di roditori, ci fu uno, più dentuto degli altri, che gridò: "Evviva la museruola! ma.. .e chi di noi andrà a mettergliela?" Ancor oggi questa domanda attende risposta. Non riuscii a far rivivere quell'assemblea dei Santal: la saggezza millenaria della razza aveva parlato. Non restava nulla da aggiungere.
Per chiudere la bocca dei chiacchieroni qui si sbufferà: "Cos'è che non bruca una capra, cos'è che non dice un chiacchierone?" .
In Italia si dice: "Fare di necessità virtù", qui si dice: "Per la fame, anche la tigre mangia l'erba!"
Quando uno considera se stesso poco fortunato, dirà: "A me è toccato morire prosciugando la palude, gli altri ne mangiano i pesci!".
Per consigliare moderazione qui ti diranno: "Picchia, in modo che il serpente non muoia e che il bastone non si spezzi (qui si crede che se ammazzi il serpente morsicatore, anche la persona morsicata morirà. Se poi, nel colpirlo, sei maldestro e ti si rompe il bastone in mano, rischi di restar disarmato e di morire pure tu).
Se rifiuti un favore ti borbotteranno dietro: "Dal cuculo non si trova un nido, da te non si ha un favore!"
Ai malauguri ribatteranno: "Non è per la preghiera dell'avvoltoio che il bue cadrà morto!" Per dire: "Basta, mi hai stancato!" diranno: "Quant'è che può durare la mia pazienza? Strappata sette volte, anche la gramigna muore!" E così, per non arrivare anch'io a dare a voi il settimo strappo, faccio punto e basta.
Una barba di un solo pelo
Voi sapete che i musulmani ci tengono a portare la barba e, quanto più essa è fluente, tanto più essi hanno fiducia nella benevolenza di Allah. Finalmente ho saputo il perché: la barba è considerata un dono di lui e viene portata come professione della fedeltà della sua legge e di rinunzia alle vanità mondane, più o meno come i frati, i quali portano i loro abiti come simbolo dei loro voti.
Tutti i profeti la portavano. Fra di essi (l'Islam ne enumera 140 mila, di cui il primo è Adamo e l'ultimo Maometto stesso), ve ne fu uno, che di barba ne aveva un solo pelo: il brav'uomo accettò di buon grado la barba che Allah gli aveva dato ed aveva gran cura nel conservarsi quell'unico pelo. Senonché spesso gli capitava di incontrarsi per la strada con un altro profeta più grande di lui. Questi ogni volta, nel vederlo, si illuminava di un grande sorriso. Al nostro piccolo profeta non ci volle molto per concludere che quell'anziano collega si divertiva per la pochezza della sua barba. Un po' alla volta il suo disagio divenne tale che, un giorno, preso quel pelo, con un colpo netto, lo strappò, liberando una volta per sempre il mento dal ridicolo ingombro.
Si sentì soddisfatto ed era ansioso di vedere la reazione del profeta grande. Ed ecco che un giorno i due si incontrarono: questa volta però il venerabile amico non sorrise, anzi, il suo volto si oscurò di tristezza. Ciò fece sorpresa al nostro profeta di poca fede, che non poté trattenersi dal chiedergli come mai. Il grand'uomo rispose: "Ogni volta che ti incontravo, gioivo nel vedere un grappolo di diavoli legati ed intrappolati in quel tuo pelo di barba. Oggi sono triste nel constatare che tu hai deciso di metterli in libertà. Ahimè, essi adesso stanno percorrendo le strade del mondo per portare gli uomini alla perdizione".
La fioritura dei bambù
Ed eccovene un'altra. Questa viene dal mondo induista. lì Signore Iddio aveva assegnato, fin dall'inizio, ad ogni casta il proprio lavoro: ci sarà chi lavora il ferro e chi l'oro, chi farà i vasi di terra e chi la tessitura e così via. Fin d'allora i lavoratori delle pelli e dei bambù si trovavano agli ultimi gradini della famiglia umana. Allora come oggi essi erano gente ossuta, macilenta, povera e quasi disprezzata. lì progenitore dei lavoratori del bambù era così consunto che la sua donna era costretta ad andare con lui nel bosco per aiutarlo a portare a casa il bambù e, curvi sotto il suo peso, riposandosi ripetutamente per la via, lo portavano a casa.
Ma ecco che un giorno, per la stessa strada, il Signore Iddio passò a cavallo. Non poté non notare la fatica disumana dei due poverini, tanto che Egli stesso, mosso a compassione, scese da cavallo e, curvando la sua spalla sotto il fardello, li aiutò a portarlo.
Pare che l'esperienza personale della sofferenza umana abbia scosso il Buon Dio, il quale decise di accompagnare i due fortunati coniugi, non al loro tugurio, ma al proprio palazzo perché vi si riposassero e vivessero felici come due suoi figlioli.
Tutto andò bene finché un giorno il Signore Iddio dovette fare uno dei suoi viaggi attraverso il creato. Nel partire Egli disse loro: "Eccovi padroni della mia casa! Fate come vi piace! Attenzione però ad una piccola cosa: vedete questo piccolo vaso di terra, capovolto in mezzo a questo tavolo di marmo, qui nell'atrio? Ebbene, lasciatelo com'è: non raddrizzatelo e neppure toccatelo; tutto andrà bene!" Tutto andò bene solo per qualche giorno, poi, com'era da aspettarsi , quei due disgraziati si avvicinarono a curiosare e finirono con l'allungare la mano e sollevare un tantino quel benedetto vaso di terra..., tanto per vedere cosa diavolo... Non furono svelti abbastanza nel riabbassarlo; da lì sotto guizzò via un topolino, il capostipite dei topi, che si riproducono a milioni ogni cento anni, dopo la fioritura del bambù (sotto il vaso, il Buon Dio l'aveva provveduto di chicchi di riso e di rametti di gramigna, ma tant'è...).
I due malaugurati progenitori si guardarono in giro costernati e videro, a perdita d'occhio, la lugubre fioritura del bambù e tutta la terra brulicante di topi! Proprio in quel momento riapparve il Signore Iddio: nel suo sguardo severo essi videro la gravità della loro disobbedienza. Furono cacciati dalla casa e tornarono, da soli, a curvarsi sotto il peso insopportabile del bambù.