Il canto del lebbroso


Il canto del lebbroso

Fu su un marciapiede di Calcutta, al mio arrivo in missione, quando mi imbattei per la prima volta in un lebbroso. Era lacero e fetido e, seduto per terra con la schiena appoggiata al muro, stendeva verso i passanti il moncherino devastato dal terribile male, chiedendo l'elemosina. Nel passargli davanti trattenni il fiato, quasi temevo di aspirare il bacillo.

Col tempo però questo mio orrore, quasi senza accorgermene, passò. Difatti, mentre risiedevo nella missione di Andharkota, durante i miei giri pastorali, usavo fare tappa presso una famiglia di brava gente. Ebbene col tempo non potei non notare che il padrone di casa, nel portarmi il mio piatto di riso, lo bilanciava a malapena nelle sue mani che parevano rattrappite. Alla fine chiesi a qualcuno che male avesse; fu così che seppi che era lebbroso. A questa scoperta non ci fu per me alcun trauma e neppure ripetei il gesto di s. Francesco d'Assisi che incontrando un lebbroso (e vedendo in lui Cristo ferito) si chinò a baciargli le mani: semplicemente continuai a fare tappa dal mio cristiano lebbroso, a mangiare nel piatto che egli mi portava e a dormire sulla lettiera di corde che egli ogni volta gioiosamente mi cedeva. In lui, anch'io come Gesù, avevo trovato il mio Simone lebbroso, perché anche lui, come fu discepolo di Gesù, era benestante e in casa sua, lebbra o non lebbra, si mangiava bene e non veniva lo scrupolo di sfruttare un poveraccio.

Io non sono un medico, ma la porta di casa del missionario è come una spiaggia sulla quale il mare continua a deporre relitti d'ogni genere. Sono così venuto a conoscere molte cose che riguardano il mio prossimo lebbroso.

Nel mondo i lebbrosi sono circa 15 milioni e, in ogni paese, la lebbra è sempre proporzionata alla sua povertà, perché è la malnutrizione che favorisce questo male. La lebbra, credetelo o no, è pochissimo contagiosa. Ho cono­sciuto lebbrosi che passarono una vita con le loro famiglie senza contagiare coniuge e figli. Il contagio avviene per contatto diretto, avviene cioè nel caso che il bacillo riesca a trasmigrare direttamente dal corpo di un malato al sangue di un sano, attraverso qualche ferita. Si può mangiare un piatto di riso formicolante di bacilli ma, se nel loro passaggio attraverso il sistema digerente, questi bacilli non riescono a trovare una piccola ferita attraver­so cui sgattaiolare nel sistema sanguigno, finiranno tutti male, saranno essi pure digeriti. Se invece riusciranno ad entrarvi, l'incubazione durerà cinque anni e la dia­gnosi sarà facilissima.

La lebbra è guaribile se propriamente curata. Vi risparmio la descrizione di farmaci, dosi e periodi di cura. I risultati sono che il bacillo prima verrà ridotto alla sterilità, dopo di che scomparirà dall'organismo. Dopo la sua scomparsa comunque si proseguirà la cura per maggior sicurezza per un certo periodo. Alla fine il paziente viene proclamato guarito e gli verrà proposto di sottoporsi a terapie e massaggi per ripristinare eventuali articolazioni lese o per la cura di chiazze o gonfiori cutanei. Però non ci si scappa, anche se il lebbroso è clinicamente guarito, lo stigma resterà: nella mente della gente tu sei stato lebbroso una volta, lo sei per sempre. Un' ultima curiosità: il bacillo della lebbra, dopo aver devastato il malato per trent'anni, morirà (posto che in quel trentennio il malato non sia morto per altre malattie).

Lo sfacelo che la lebbra porta è diverso nei diversi malati. In alcuni il male resta scarsamente visibile. In altri invece porta alla deformazione della fisionomia, alla raucedine, alla cecità e alla perdita delle dita. Ho conosciuto una lebbrosa (con marito e figli sani) ridotta all'invalidità non solo perché aveva perso le dita di mani e piedi, ma anche perché la pianta dei piedi le si era così ridotta che non poteva più star ritta e d'altra parte anche le palme delle mani erano così consunte che non poteva più afferrare un bastone e sorreggersi. In altri il male si localizza alla base del naso producendo un vuoto nel quale questa prominenza facciale letteralmente si sprofonda: quando poi il malato parla egli emetterà un suono nasale difficilmente comprensibile.

Ad Andharkota avevo un lebbroso (con moglie e cinque figli sani) come vicino di casa. Era diventato cieco e passava le sue giornate seduto sotto un albero accanto alla sua capanna. Gli era rimasta una bella voce e nelle lunghe serate, sempre restando sotto il suo albero, cantava di amore, di bellezza e di gioia: a sentirlo, nessuno avrebbe immaginato che quelle melodie venissero da un essere umano sfasciato dalla lebbra. Non si può dire quanto io stesso trovassi pesante il silenzio delle prime serate dopo la sua morte. Quel silenzio fu certamente pesante per sua moglie la quale, finite le faccende del dopocena, andava essa stessa a sedersi sotto quell'albero a piangerlo, prima sommessamente e dopo a voce spiegata: tant'è vero che non c'è lebbra al mondo che spenga il vero amore coniugale.

I lebbrosi non mancano di amici. Per il non-cristiano la lebbra non solo è una brutta malattia, essa è anche una impurità. Per il cristiano invece il lebbroso è Gesù Cristo ferito: ciò spiega come in molte zone del Mondo sono solo le Chiese che fattivamente si occupano dei lebbrosi.

Ecco come funziona un centro per la cura della lebbra. Esso è dotato di un piccolo ospedale dove alcuni malati vengono ammessi per brevi degenze specialmente per la rimozione di qualche parte cancrenosa. Però la parte del leone del centro è l'ambulanza che la fa: essa e un vero ambulatorio che tutti i giorni si muove alla ricerca dei propri pazienti. C'è da aspettarsi che la gente non ami vedere nelle proprie strade assem­bramenti di lebbrosi e così l'ambulanza, ogni giorno del mese, a date fisse, va a posteggiarsi lungo il ciglio di qualche strada all'ombra di una pianta fuori dei paesi e delle città. Tutti i lebbrosi della zona conoscono la data e conoscono la pianta sotto la quale i buoni samaritani (suore e paramedici) li aspettano. Schedatura dei malati, del progresso della cura e del risultato degli esami vi vengono fatti con grande efficienza e del tutto gratis. Viene proprio da ricordare la parola di Gesù: "Curate i lebbrosi e date gratis quello che avete ricevuto gratis!".

I lebbrosi hanno anche amici lontani e sconosciuti: questi sono i sostenitori di agenzie italiane ed estere per la cura della lebbra. Una ben nota è l'Associazione degli Amici di Raoul Follerau di Bologna. Queste agenzie pensano e provvedono alla logistica e ai mezzi dei centri per la cura della lebbra sul campo delle missioni.

A questo punto non si può non far notare che per il buon samaritano non c' è sosta: nei paesi poveri s' incontra un altro malanno più grave ancora della lebbra: la tubercolosi. L'Organizzazione Mondiale della Sanità informa che attualmente è in corso una recrudescenza di questo male che nel mondo uccide tre milioni di persone all'anno. I casi di tubercolosi sono raddoppiati negli ultimi 5 anni. Il 50% della popolazione del Bangladesh ne è affetta e nello Sri Lanka il 70%. Il lebbroso può continuare ad arare i suoi campi e ad accudire alla sua famiglia: non così il tubercolotico, si sa che la tubercolosi debilita ed uccide.

In Bangladesh il p. Piero Porolari del PIME, medico, ha iniziato un programma per la lotta contro la tubercolosi sulle linee di quello per la cura della lebbra. Ha costruito un ospedaletto ed ha preparato un corpo di paramedici. Sta avendo ottimi risultati, ma cos'è una goccia nel mare?

Padre Luigi Pinos : L' altra faccia della luna pag. 95 e seg.