L'impugnazione delle delibere condominiali

venerdì 22 giugno 2018 di Emilio Curci

Un contesto da sempre caratterizzato da estrema litigiosità è notoriamente quello condominiale, ove spesso la convivenza forzata tra soggetti e la difficoltà a trovare delle soluzioni conciliative rendono alquanto complesse ed articolate le problematiche giuridiche ad esso sottese.

Senza entrare nel dettaglio delle molteplici questioni nelle quali ci si può imbattere quando si affronta la materia condominiale dal punto di vista legale in questo breve contributo cercheremo di concentrarci sullo strumento essenziale messo a disposizione dalla legge in favore del condominio dissenziente per contestare la validità delle decisioni assembleari.

E' bene sul punto ricordare, infatti, che il Condominio può prendere le sue decisioni unicamente attraverso lo strumento della delibera assembleare che, così come previsto dall’art. 1137, primo comma del Codice Civile è obbligatoria per tutti i condomini siano essi comunque assenti o dissenzienti purchè la stessa si sia regolarmente formata secondo i criteri previsti dalla legge (articoli 1132-1135, 1136, 1137 cod. civ.).

Tra questi assumono particolare rilevanza, ad esempio, la modalità di convocazione dell'assemblea (che deve necessariamente contenere l’indicazione dell’ordine del giorno e deve essere comunicata almeno 5 giorni prima della data di svolgimento della stessa), le modalità di redazione del verbale (che deve essere scritto con chiarezza e in modo che sia possibile verificare la correttezza dei quorum deliberativi), le modalità di computo di quorum deliberativi che devono essere appunto raggiunti in misura uguale o superiore a quelli prevista dalla legge.

Prima di entrare nel dettaglio delle modalità di impugnazione è bene però ricordare che l'invalidità delle delibere può essere più o meno grave a seconda della tipologia dei vizi in essa contenuti e tale distinzione comporta anche delle differenze a livello processuale. Si distingue, infatti, tra nullità e annullabilità della delibera.

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale sono da considerare nulle quelle delibere "che siano prive di elementi essenziali, quelle con oggetto impossibile o illecito, quelle con oggetto non rientrante nella competenza dell’assemblea, ancora quelle delibere che vadano ad incidere su diritti individuali su cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ogni condomino, ed infine quelle invalide in relazione all’oggetto" (così in il Tribunale di Torino - III sezione civile sentenza n. 2396 dell'1° aprile 2014.

In particolare si tratta di quelle delibere che sono fuori dai poteri dell'assemblea ovvero sono contrarie a norme imperative di legge, o comunque a norme costituzionali.

Per fare degli esempi, tra le prime, rientrano quelle delibere che prevedono il voto favorevole dell'unanimità dei condomini, (previsto o dal codice civile o da norme contrattuali del regolamento condominiale) e invece vengono prese a maggioranza, ovvero quelle che non riguardano la proprietà o le parti comuni dell'edificio e incidono, illegittimamente nei diritti del singolo proprietario.

Sono da considerare, invece, annullabili richiamando la definizione contenuta in Cass. civile, Sezioni Unite, 7 marzo 2005, n. 4806 "quelle delibere che abbiano vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta da legge o regolamento condominiale, quelle che siano affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o informazione dell’assemblea; ancora devono considerarsi annullabili quelle delibere che siano genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione e quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto".

Anche in tal caso, esemplificando, si può affermare che una delibera che sia stata presa a seguito di comunicazione dell'ordine del giorno inviata ai condomini in un termine inferiore a quello previsto dalla legge (cinque giorni prima dell'assemblea) dovrà considerarsi annullabile e non nulla.

L’impugnazione delle delibere condominiali trova la propria disciplina nella disposizione di cui all’art. 1137 del codice civile che consente appunto di adire l’autorità giudiziaria, con l'introduzione di un vero e proprio giudizio ordinario per ottenere l’annullamento della deliberazione che si ritiene essere illegittima.

La differenza rilevante sta nel fatto che, mentre come si vedrà meglio più avanti, per le delibere annullabili il condominio dissenziente dovrà impugnarle entro 30 giorni dalla data della delibera stessa ovvero, se assente entro 30 giorni dalla comunicazione, per le delibere nulle non vi è alcun termine e, dunque, le stesse potranno essere impugnate in ogni momento.

Prima di entrare nel merito della descrizione della procedura da adottare per l'impugnativa giudiziale vale la pena ricordare che, in prima convocazione, l'assemblea è regolarmente costituita se sono presenti i due terzi dei condomini che rappresentino anche i due terzi del valore dell'edificio (ed ossia 666,66 millesimi), mentre in seconda convocazione occorre la presenza di un terzo dei condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'edificio (333,33 millesimi).

Quanto alle deleghe va invece ricordato che, anche se un condomino possiede più unità immobiliari può rilasciare solo una delega e che, tendenzialmente è possibile che vengano rilasciate all'amministratore sebbene il regolamento condominiale possa porre un divieto in tal senso, soprattutto nei casi di possibile conflitto di interesse (es: quando si deve revocare o confermare l'amministratore).

Nel verbale devono essere indicati la data, l'ora, l'ordine del giorno ed il luogo ove si svolge l'assemblea oltre che, i nominativi precisi dei proprietari presenti (con i rispettivi millesimi), di coloro che hanno espresso voto favorevole o contrario e degli astenuti.

Il verbale deve contenere anche la precisa allegazione dei documenti ai quali si fa riferimento (es: i bilanci) e secondo giurisprudenza lo stesso assume valore di prova presuntiva con la conseguenza che l'onere della prova contraria incombe su cui vuole dimostrare che non corrisponde al vero quanto in esso indicato.

Ciò premesso è opportuno concentrarsi sulle modalità di proposizione delle impugnazioni alle delibere condominiali e, come detto sopra anche sui termini per la loro presentazione.

Quanto alla legittimazione ad agire va detto, in via preliminare, che la stessa spetta unicamente a chi abbia votato contro la deliberazione impugnata (ovvero come chiarito dalla giurisprudenza anche a chi si sia astenuto dal votare) e a chi sia stato assente all'assemblea.

E' evidente, dunque, che il condominio presente che abbia votato a favore non potrà mai essere legittimato ad impugnare la delibera assembleare.

Invero, anche il condomino che abbia espresso il proprio voto favorevole potrà a proporre impugnazione, soltanto con riferimento delibere nulle e non annullabili, quando dimostri di avere interesse a far valere la nullità, poichè leso dalla delibera stessa (così in Cass. Civ. 1511/97).

Quanto alle modalità e ai termini di proposizione va detto, invece, quanto segue.

Prima dell'entrata in vigore della legge n. 220/2012 (c.d. riforma del condominio) l'art. 1137 del Codice Civile statuiva che il condomino per impugnare la delibera doveva far "ricorso all'autorità giudiziaria", mentre, a seguito delle modifiche, è stato eliminando qualsiasi riferimento al termine ricorso risolvendo, così una volta per tutte, una questione ampiamente dibattuta in giurisprudenza relativamente alla tipologia dell'atto introduttivo.

Se da un lato si riteneva, infatti, che entro il termine di trenta giorni doveva intendersi quello entro il quale depositare il ricorso presso l'Ufficio giudiziario competente, per altro verso, la Corte di Cassazione aveva legittimato la possibilità di proporre l’impugnativa anche con atto citazione purché la relativa notifica al destinatario avvenisse sempre entro trenta giorni dalla redazione del verbale (in caso di presenza) ovvero dalla comunicazione dello stesso (in caso di assenza).

Come detto, a risolvere definitivamente tale discussione è intervenuto il legislatore che con la legge 220/2012 ha eliminato del tutto il termine ricorso dall'art. 1137 C.C. aprendo, così, la strada all'atto di citazione come mezzo ordinario di impugnazione.

Peraltro, portando alle estreme conseguenze tale interpretazione il Tribunale di Milano con sentenza n. 37 del 23.01.2014 ha dichiarato inammissibile l'impugnativa proposta con ricorso, motivo per cui, al fine di evitare di incorrere in eventuali eccezioni o decadenze, oggi appare quantomai opportuno introdurre tali azioni unicamente tramite atto di citazione.

Invero, a seguito dell'introduzione del c.d. “decreto del fare” (d.l. 21.06.2013, n. 69), convertito con modificazioni nella legge n. 98/2013, ha reintrodotto (dopo l'intervento della Corte Costituzionale del 2012 che lo aveva eliminato) l'obbligo della mediazione civile e commerciale, per le materie di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 tra le quali vi è anche quella condominiale.

Tale norma va letta in coordinamento con l'art. 71 quater delle disposizioni di attuazione del Codice Civile (introdotto dalla legge n. 220/2012) che ha disciplinato il procedimento di mediazione per le controversie condominiali.

La lettura coordinata delle dette disposizioni incide non solo sulla determinzione della competenza territoriale (che ai sensi dell'art. 23 c.p.c. è del luogo ove si trova l'immobile) ma anche sulla specificazione di quali sono le controversie condominiali soggette a mediazione obbligatoria facendo espresso rinvio a tutto il capo II del titolo VII del libro III del Codice Civile e cioè agli articoli che vanno dal 1117 al 1139 e, dunque, anche alla validità delle delibere assembleari (di cui appunto all'art. 1137 C.C.).

Da ciò ne consegue che prima di proporre la citazione all'autorità giudiziaria il condominio che intende opporre la delibera deve necessariamente rivolgersi in via preliminare ad un organismo di mediazione regolarmente iscritto negli elenchi ministeriali avviando la relativa procedura entro trenta giorni che decorrono, per i dissenzienti (e gli astenuti), dal giorno in cui si è svolta l’assemblea, mentre per gli assenti, dalla data in cui hanno avuto comunicazione della deliberazione stessa da parte dell’amministratore.

Invero sul punto va detto che al comma 6 dell’art 5 D.lgs. 28/2010 si prevede espressamente che: “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale ad impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale di cui all’art. 11 presso la segreteria dell’Organismo”,

Dunque affinchè sia impedita la decadenza dall'azione è necessario che entro il termine dei 30 giorni pervenga alle parti la convocazione dinanzi all'organismo e non è dunque sufficiente il semplice deposito della domanda di mediazione.

Per la verità alcuni Tribunali hanno ritenuto eccessivamente rigorosa tale interpretazione e hanno sostenuto che “l’effetto impeditivo della decadenza, sulla base dei principi generali espressi dalla Cassazione e dalla Corte Costituzionale, non può che collegarsi, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato della attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione alla controparte, il che in ragione di un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti, dovrebbe valere altresì laddove, una volta presentata la domanda di mediazione, la fissazione della data del primo incontro e le stessa comunicazione rimangono demandate all’Organismo e perciò sottratte all’ingerenza dell’istante” (in questo senso cfr Tribunale di Firenze 19.07.2016 n° 2718).

Effettivamente tale intepretazione appare più logica e aderente a dei principi di equilibrio processuale che, diversamente vedrebbero troppo gravosa la posizione del condominio che intende impugnare la delibera ritenuta nulla.

In ogni caso, al fine di evitare possibili eccezioni di decadenza è sempre opportuno che il condomino che intende impugnare la delibera si attivi subito presso il competente organismo per fare in modo che la convocazione pervenga all'amministratore effettivamente entro il detto termine di trenta giorni.

Effettuato il tentativo di conciliazione si possono verificare due differenti ipotesi e cioè la conclusione di un accordo che rende dunque inutile un'eventuale prosecuzione giudiziaria ovvero il fallimento della mediazione o per mancata adesione di una parte ovvero per mancata conclusione di accordo dopo i primi incontri.

Si pone, dunque, infine, il problema di comprendere, una volta definito il procedimento con esito negativo l'individuazione del termine dal quale iniziare a far decorrere i trenta giorni previsti dall'art 1137 per l’impugnativa della delibera in ambito giudiziario.

Sul punto si sono espressi due differenti orientamenti dei quali uno più restrittivo rappresentato tra gli altri dal Tribunale di Palermo (sentenza n. 4851/2015) il quale ritiene che l'istanza di mediazione produrrebbe un'effetto sospensivo e non interruttivo del termine ed un altro più estensivo più recentemente espresso dal Tribunale di Milano (sentenza n. 13360/2016) e di Monza (sentenza n. 65/2016) con il quale si afferma l'esatto contrario.

La differenza non è di poco conto in quanto, secondo il primo orientamento, una volta comunicata alle parti l’istanza di mediazione, si produrrebbe unicamente la sospensione del termine ex art. 1137 C.C. (con la conseguenza dopo il deposito del verbale negativo di mediazione, il termine riprenderebbe a decorrere non ex novo, ma sommando quello già decorso sino al momento della comunicazione dell’istanza di mediazione.

L'interpretazione del Tribunale di Milano che, anche a parere di chi scrive appare molto più equilibrata e, comunque, più conforme al dato letterale dl Dlgs 28/2018 (che parla espressamente di interruzione della prescrizione) invece di fatto afferma che, una volta esaurito in senso negativo il procedimento di mediazione il nuovo termine di 30 giorni per avviare l'azione giudiziaria riprende a decorrere dal momento del deposito del verbale negativo di conciliazione.

Contestualmente alla proposizione della domanda principale di annullamento il condominio che impugna in sede giudiziaria la delibera può anche chiederne la sospensione dell'efficacia soprattutto al fine di evitare che in attesa della decisione del giudizio di merito la stessa possa produrre effetti pregiudizievoli nei propri confronti.

Sebbene sul punto la normativa non specifichi quali siano i presupposti necessari per ottenere la sospensione della delibera la giurisprudenza, uniformando tale istanza a quella di natura cautelare ritiene che sia necessario accertare i presupposti tipici dell'azione cautelare e cioè il fumus boni juris ed il periculum in mora.

In conclusione, dunque, ed esaminate tutte le problematiche esposte nel presente contributo che non si propone comunque di essere esaustivo, prima di procedere all'impugnazione di una delibera condominiale è sempre necessario effettuare un approfondita verifica preliminare della stessa sia per valutare nel merito sotto quali profili sia illegittima, sia per evitare errori nella fase di introduzione