Cosa succede se cancelliamo la storia?
Nelle ultime settimane in seguito alle proteste avvenute negli Usa e legate al movimento Black Lives Matter, nelle città di tutto il mondo si è diffuso un sentimento di condivisione collettiva delle istanze e degli ideali di cui movimento si fa portavoce.
Presto le proteste hanno varcato i confini degli Stati Uniti e hanno colpito anche ambiti non direttamente collegati alla morte di George Floyd o alla rivendicazione dei diritti civili della comunità afroamericana. L'ultima levata di scudi ha investito le statue e i monumenti storici di città europee e americane, riconosciuti ora come simboli di oppressione.
Il primo episodio è avvenuto a Bristol, dove un gruppo di contestatori ha prima abbattuto e poi gettato nel fiume la statua di Edward Colston, illustre suddito britannico del XVIII secolo che sì si era meritato l'erezione di un monumento grazie alle generose donazioni alla comunità, ma che passò anche alla Storia come un noto schiavista e membro della Royal African Company.
Dopo Colston poi, a pagare le spese della protesta è stata la statua di Winston Churchill a Londra, imbrattata con scritte polemiche e spray colorati. In questo caso però l'opinione pubblica si è dimostrata meno compatta nel supportare tale azione: Churchill infatti, sebbene fosse noto per non avere posizioni molto amichevoli nei confronti di indiani e palestinesi fu comunque il Primo Ministro che resistette strenuamente contro le forze nazifasciste.
L'ultima delle celebri statue a subire una condanna senza processo è stata quella dedicata a Cristoforo Colombo, a Richmont, considerata un altro emblema del "suprematismo" bianco che portò alla colonizzazione del Nuovo Mondo e allo sterminio delle popolazioni locali.
In tutto l'Occidente ora ci si sta interrogando sulla possibilità di rimuovere i monumenti dedicati a personaggi della nostra storia. Se questo significherà cancellare la memoria della storia, questo solo il tempo potrà dircelo.
Resta a noi il compito di domandarci se ciò sia o meno una manifestazione di rispetto o di sconsiderazione. Quali saranno le ripercussioni di questa frenesia di eliminare il nostro passato? Sono davvero questi, i simboli latenti di oppressione che invadono le nostre città, la soluzione reale di un problema profondo e radicato nella nostra cultura e nell'attuale società occidentale? O è forse un vano tentativo di dimostrarci innocenti davanti a un fatto che ci ha smascherati tutti come "responsabili"?
Lavarci le mani dalle colpe dei nostri padri forse non è abbastanza per eliminare la sporcizia che ci scopriamo addosso e spurgare un sentimento antirazziale è una questione che va ben oltre l'abbattimento di qualche (oramai forse discutibile) simbolo di oppressione.
Dobbiamo chiederci se cancellare la storia e relegare le nostre colpe nel subconscio collettivo sia o no un'azione scellerata e irrispettosa nei confronti delle generazioni future, che, come noi, hanno il diritto di conoscerla, interpretarla, sovvertirla e integrarla.
Cancellare la storia significa cancellare la memoria delle nostre azioni e ci impedisce di vedere con chiarezza chi eravamo, chi siamo e chi vorremmo essere.
Irene Dioniso nasce nel 1986 a Torino, dove attualmente vive e lavora.
Attraverso l’associazione Fluxlab, di cui è socia fondatrice, cura progetti culturali e artistici su tematiche quali l’integrazione, le politiche culturali e le questioni di genere. La sua produzione artistica include videoinstallazioni e documentari, fra cui Sponde. Nel sicuro sole del nord (2015) e La fabbrica è piena. Tragicommedia in otto atti (2011) e Le ultime cose (2016).
Proibitissimo! è un progetto realizzato dalla Dioniso nel 2018 e nato da una ricerca sulla censura cinematografica che l'artista ha condotto attraverso un'analisi di oltre settanta film.
Le scene censurate, e recuperate dall'archivio del Museo del Cinema di Torino, sono state catalogate secondo quattro tematiche principali e motivi scatenanti che ne hanno fatto oggetto di censura: violenza, religione, politica e sessualità.
In Italia risale al 1913 la prima legge che introduce l’intervento censorio sulle proiezioni, allo scopo di eliminare le parti considerate non adatte al pubblico, dando vita a un sistema preventivo di censura che assoggetta la proiezione pubblica dei film e la loro esportazione all'estero.
Oltre alla censura totale, dagli anni trenta fino agli anni novanta, in Italia è stata in voga un'altra forma di censura, quella dei tagli mirati, che prevedeva l’eliminazione delle parti di pellicola che non si voleva venissero mostrate, permettendo tuttavia di mandare in visione il film mutilato.
Di questi spezzoni “proibitissimi” si conserva memoria negli archivi cinematografici italiani, dai quali Irene Dionisio ha recuperato una serie di scene censurate nel corso della storia del cinema italiano - dal 1951 al 1998 - rimettendole poi in scena attraverso un lavoro di stilizzazione di costumi e scenografie.
"Se c’è una certezza su cui tutti gli archivi di immagini poggiano, quella è la lacuna.
Il salto, il vuoto, la mancanza.
L’immagine che non c’è, l’immagine scomparsa.
Forse cancellata, forse distrutta, forse tagliata.
Nei vuoti d’archivio spesso si cela l’azione di rimozione operata da una furia iconoclasta, come più volte è accaduto nelle tragedie della storia, o dall’oblio sottile e potente di una cultura che seppellisce le tracce di un passato da dimenticare sotto la polvere del tempo.
A volte invece il vuoto è quello del taglio chirurgico della censura di stato, che interviene, con lo sguardo ammonitore e moralizzante del “padre di famiglia”, a valutare – censere, da qui deriva il termine – il grado di risonanza e di armonia con i valori morali e l’autorità delle istituzioni.
Ma la storia, diceva Walter Benjamin, va “spazzolata contropelo”, a cercare le dissonanze, le immagini distoniche, le parole che stridono e increspano la superficie di un racconto narrato nell’ovatta dell’etica pubblica dominante.
Compito dello storico è dunque mettere in atto quel ritorno del rimosso in grado di ricostruire, non senza disagio, i vuoti del passato che interrogano, incessanti, il presente.
Compito dello storico, sì, ma sempre di più anche dell’artista." scrive l'artista.
Proibitissimo è un film, una ricerca, un’installazione, dove le ferite della censura cinematografica, in Italia attiva dal 1913, riemergono a comporre, come i frammenti di un cadavre exquis, il corpo delle immagini rimosse dalla storia.