Streaming ed accessibilità ad opere d’arte, libri e film.
La maggior parte di noi, generazione di giovani lavoratori e studenti, ha trascorso questo periodo di lockdown chiusa in casa e per la maggior parte del tempo davanti ad un pc a leggere articoli online, libri in pdf, oppure per vedere film in streaming ed artisti “in azione” sul web. Credo sia giusto ora interrogarsi sulle normative che dovrebbero aver regolato la fruizione di queste opere e su quali siano le strade possibili per una condivisione universale della cultura.
In questa situazione emergenziale è diventato più che mai chiaro a tutti il ruolo delle tecnologie digitali. Abbiamo sperimentato nuove forme di partecipazione, lavoro, studio e percorsi di fitness a distanza. Il potere del digitale si è mostrato con tutta la sua forza e ci ha dato prova di quanto il suo impatto possa rivelarsi importante nel raggiungimento dei nostri obiettivi a tutti i livelli ed ha dimostrato il possibile lato positivo della Rete.
Per fare più chiarezza sulla nostra quotidianità, andiamo ad approfondire la terminologia e le possibilità che il web ci fornisce.
Il copyright (diritto di copia) è una forma di diritto d’autore in uso nel mondo anglosassone ed è un termine utilizzato anche in Italia per definire il diritto d’autore.
Il diritto d’autore è un bene non inalienabile, nel senso che può essere ceduto o venduto e addirittura espropriato, è ereditario e ha una durata variabile – a seconda dei prodotti – tra i 30 e i 70 anni.
Oggi la tendenza è che la copia di opere protette da diritti d’autore sia legittima se fatta senza scopo di lucro e a uso privato – a parte il caso di fair use, che indica la regolamentazione presente in USA per l’utilizzo del materiale coperto da copyright a scopo universitario e/o scientifico. Anche in tutto il resto del mondo si stanno studiando freni alla “copiatura” e all’uso non legittimo del materiale protetto da diritto d’autore, diventato colossale con l’avvento di Internet.
Uno dei sistemi di controllo è il cosiddetto sniffing, ovvero l’intercettazione dei dati. Particolari programmi registrano l’indirizzo IP degli utenti che utilizzano le reti peer-to-peer (di download gratuito): tramite lo sniffing, in pratica, è possibile verificare operazioni illegali, o considerate tali, e individuare i colpevoli. Pare inutile sottolineare che questa procedura si scontra con la tutela della privacy e che l’operazione di sniffing dovrebbe essere possibile solo con l’autorizzazione di un magistrato, in quanto risulta una sorta di perquisizione.
Al copyright si oppone il copyleft, lanciato dal 1984 da Richard Stallman attraverso la sua organizzazione Free Software Foundation. Il progetto prevede una nuova licenza, la GNU - General Public License, che consente al detentore del copyright di concedere l’uso del proprio software a chiunque. Non si tratta solo di uso gratuito, ma di messa a disposizione del codice sorgente, cioè della stringa di dati alla base del programma, affinché chiunque possa farla propria e anche manipolarla, arricchirla e creare nuovi aggiornamenti.
Va sottolineato che esiste un’enorme differenza tra software libero e software gratuito: la discriminante sta proprio nella disponibilità del codice sorgente o meno.
Copyleft è un gioco di parole sul copyright dove la parola left ha contemporaneamente il significato di “lasciato” o di “sinistra” in opposizione a right, che può significare “diritto” o “destra”. Lo slogan che lo accompagna è abitualmente all rights reversed ovvero “tutti i diritti rovesciati”.
Quello del copyleft si può considerare a tutti gli effetti un movimento culturale ed è ovviamente inviso ad alcuni giganti dell’informatica a causa della viralità di questa licenza che si espanderebbe all’infinito minando l’industria commerciale. Anche se i realizzatori di software copyleft non sono per definizione anticommerciali, in quanto vendono l’assistenza.
Nel mezzo, tra Copyright e Copyleft, si è inserita infine nel 2001 la licenza Creative Commons, dedicata ad ampliare la gamma di opere disponibili alla condivisione e all'utilizzo pubblico in maniera legale. L'organizzazione ha stilato diversi tipi di licenze note come licenze Creative Commons che forniscono un modo semplice e standardizzato per comunicare quali diritti d'autore dell'opera si riserva e a quali altri rinuncia, a beneficio degli utilizzatori. Ciò ha introdotto il concetto di "Alcuni diritti riservati" (Some rights reserved) a metà tra il rigido modello di copyright "Tutti i diritti riservati" (All rights reserved) e il modello troppo permissivo di pubblico dominio "Nessun diritto riservato" (No rights reserved).
Il mondo del diritto d’autore è quindi diventato variegato ed ampio all’interno del Web. Lo stesso però non è accaduto per le leggi in merito che, almeno in Italia, tardano ad aggiornarsi e così noi reclusi del lockdown ci siamo salvati per il momento dal dover incorrere in sanzioni amministrative o penali.
Ora che abbiamo chiarito quali sono le potenzialità del Copyright e del suo avversario Copyleft, scenderei nel dettaglio di alcuni esempi tra libri, opere d’arte, opere cinematografiche ed opere musicali che si destreggiano fra queste due fazioni.
Libri
Nel variegato panorama precedentemente descritto è apparso, nel 1999, un romanzo intitolato “Q” che ha subito riscosso un discreto successo. Gli autori ai tempi decisero di rimanere anonimi utilizzando lo pseudonimo Luther Blissett. L’anno successivo gli autori rivelarono le proprie identità e mutarono il nome del collettivo in “Wu Ming Foundation”, meglio conosciuto nella versione abbreviata “Wu Ming” che in cinese mandarino significa “Senza nome”.
Un’importante peculiarità di questi autori è quella di aver scelto di pubblicare i propri libri con licenze Creative Commons. Ciò ha consentito la pubblicazione contemporanea in due diverse modalità: una più tradizionale che prevede la distribuzione di opere cartacee attraverso i normali canali distributivi a prezzo di mercato e una più innovativa per cui le stesse opere sono gratuitamente scaricabili dal sito internet degli autori in formato digitale.
Tre sono le motivazioni principali che secondo questi autori collegano positivamente le due modalità. Prima fra tutte che l’apprezzamento dell’opera scaricata possa portare all’acquisto per sé o per farne un regalo ad amici o parenti. In secondo luogo che il download possa portare ad una maggiore diffusione dell’opera nel pubblico e ad una pubblicità positiva gratuita tramite il passaparola. Infine l’assenza di spesa dovrebbe ridurre il rischio di passaparola negativo da parte di un consumatore eventualmente insoddisfatto. Ciò porta a riconsiderare l’equazione copia scaricata = copia non venduta aprendo le porte a nuovi diversi scenari in cui le due modalità possano integrarsi e sostenersi a vicenda.
Considerando che in Italia la tiratura media di un titolo è di circa 4300 copie si può dire che le opere di Wu Ming siano state accolte positivamente dal pubblico date le 265.000 copie di Q vendute in 9 anni.
Opere d’arte
La discussione legata alla riproduzione delle opere d’arte in rete è un po’ più complesso e a completa interpretazione del legislatore che dovrebbe tutelarla. Il diritto d'autore, disciplinato dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 (Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) garantisce agli artisti il godimento sia dei diritti morali sia dei diritti patrimoniali connessi all'opera realizzata.
I diritti morali consistono: nel farsi riconoscere autore dell'opera (onde evitare imitazioni o plagi), nel decidere se e quando pubblicarla (diritto di inedito), nell'apportare all'opera modificazioni e nel divulgare l'opera sotto altro nome (diritto di anonimo). Mentre i diritti patrimoniali, consistono nella possibilità di riprodurre l'opera e di sfruttarla economicamente.
In base a questa legge l'artista, pur cedendo l'opera, continua a vantare sulla stessa dei diritti morali e, salvo patto contrario, anche i relativi diritti economici connessi all'uso commerciale dell'opera. Probabilmente la causa delle problematiche è l'errata interpretazione del concetto di riproduzione (tanto degli operatori del settore quanto dei venditori occasionali del web): infatti nell'opinione comune si crede che riproduzione sia solo quella che moltiplica l'opera in esemplari dotati delle stesse caratteristiche dell'originale e non, quindi, la riproduzione fotografica di un'opera dell'arte figurativa (cioè il catalogo cartaceo o digitale), tuttavia la Suprema Corte con una sentenza del 1996 ha disatteso questa tesi.
Opere cinematografiche
L’ampia diffusione di servizi commerciali per la visione di video d’artista, documentari, serie tv e film trova origine nell'ormai assunta consapevolezza che il fenomeno dello streaming sarà destinato ad aumentare esponenzialmente nel corso degli anni e che si sono rese necessarie alternative legali al fenomeno della pirateria. Servizi in streaming on demand sono oggi disponibili legalmente, anche se spesso non rendono visibili certi prodotti se non con un ulteriore sovrapprezzo. Lo streaming invece permette la visione di quasi tutti i film che stiamo cercando.
Lo streaming è un flusso di dati audio/video diretto da una determinata sorgente a una rete telematica. Di per sé, il concetto esprime un'attività perfettamente legale che, tuttavia, viene spesso utilizzata per la trasmissione illecita di materiali coperti da copyright, come ad esempio film e musica.
Si può dire però che chi si collega a siti di streaming illegali e guarda un contenuto senza effettuare il download sul PC e senza quindi condividerlo, non è passibile di alcuna sanzione, proprio perché non esiste alcuna norma di legge che regoli tale comportamento. L’unico rischio per l’utente, non ha niente a che vedere con la sanzione amministrativa o penale, piuttosto riguarda la salvaguardia dei propri dati e del proprio PC. Infatti, utilizzando siti di dubbia provenienza, spyware o adware potrebbero installarsi senza che neanche ce ne accorgiamo.
Musica
Nel 2006, la casa discografica tedesca Peppermint si rivolse al Tribunale di Roma per ottenere il rilascio dei nominativi dei 3600 utenti che erano da loro accusati di aver condiviso dei file protetti da copyright. In quel caso la casa discografica era riuscita ad individuare gli IP degli utenti che scaricavano e condividevano le loro canzoni, ma non i nomi di ciascuno di loro. Il Giudice ha negato l’accesso ai nomi, sostenendo che il diritto alla privacy è un bene superiore al diritto d’autore e che quindi gode di tutela maggiore.