Immagine e parola: questa è la breve storia di due compagne di banco a lezione di espressione. Fin dal principio delle narrazioni, della cultura e dell'agire umano, si cercano e si evocano a vicenda in un rimando costante, circolare. La loro amicizia storica continua tutt'ora, appropriandosi dei mezzi del tempo che attraversa. Dall'incisione alla fotografia, dalla scrittura al profilo Instagram.
Potremmo affermare che comunicare è il tratto distintivo della nostra specie: in varie forme e con strumenti sempre nuovi, il linguaggio genera una viscosa rete di relazioni senza la quale non saremmo quel che siamo. Anche la comunicazione culturale, parte del grande insieme della diffusione di saperi e informazioni, si aggrappa alle spalle della coppia vincente e si appropria del metodo del rimando, facendone il proprio asso nella manica. Sgomitando tra un'immagine e una parola, la cultura si fa strada nella produzione di contenuti per poi continuare il viaggio ipertestuale verso la nuova meta che è il link in bio. La tratta prosegue ora nel sito, ora in progetti digitali che, come protesi, rimpiazzano l'opacità del mondo alla quale ci eravamo abituati e che, di questi tempi, è stata amputata per cause di forza maggiore. Tante le iniziative online nate dal desiderio di continuare ad esserci, di esistere nello spazio virtuale che riflette quello concreto messo a distanza di sicurezza per un periodo più o meno lungo. Adesso il tempo muta di giorno in giorno, si dilata e non ci sembra poi così rapido e fugace come allora; un mese può prolungare finalmente la sua durata scorrendo lento, nell'attesa di un futuro nuovo ed incerto.
La pandemia è stata un elemento fondamentale per proseguire rapidi nell'affannosa corsa al digitale. Corsa in atto ormai da tempo, ma che sembrava ancora sostenere timidamente la realtà fisica, palpabile e più "vera", rivestendo il ruolo secondario dell'ancella. Nonostante ciò, è ben noto che l'arte sonda il terreno digitale da diversi anni, sperimentando tecnologie e strumenti della società delle comunicazioni, divenendo molto spesso un'operazione smaterializzata, virtuale e di rete, che va oltre l'oggetto artistico per come siamo abituati a pensarlo. Da qualche decennio poi, l'arte fa propria anche la necessità d'esser raccontata, spiegata, precisata, scritta; dai primi passi concettuali essa ha innestato letture altre dei fatti e ha alimentato il dibattito circa la questione estetica riguardante l'idea e il pensiero: il concetto come opera.
Sembra essere una questione di equilibrio tra le sue componenti analogiche e digitali quindi la probabilità che un'opera possa svanire, possa deperire, o possa rimanere pura idea. O ancora, che l'arte del nuovo millennio possa fare a meno di pratiche definite a primo impatto anacronistiche e tradizionali. L'arte e la sua comunicazione si muovono ogni giorno sul nostro smartphone e ci ricordano quanto sia urgente pensare a modi innovativi con i quali dar forma alla realtà in cui ci troviamo. Perché temiamo che l'arte concreta possa sparire? Possono la digitalizzazione e la comunicazione riscoprire il gusto rinnovato di quel binomio antico come la storia dell'uomo, fatto di rappresentazione e parola scritta? La realtà dei social si edifica a partire proprio dalle due inseparabili, immagine e parola, ampliando lo spettro d'azione con i suoi processi mentali e gli innumerevoli utilizzi che vengono alla luce. Tutto questo, però, in una prospettiva da schermo e tastiera; chi è ancora in grado di scrivere a mano?
Siamo in Francia. Hans Ulrich Obrist e la poetessa Eten Adnan stanno trascorrendo alcuni giorni di vacanza insieme. È durante un aquazzone che, rifugiato in un locale con lei, il curatore svizzero globetrotter dalla fama mondiale rimane incantato nel vedere la scrittura della poetessa su un pezzo di carta: il gesto semplice, un esercizio quotidiano di creazione ed elaborazione del pensiero, gli suggerisce la fragilità del conservare e preservare questa pratica, da Obrist stesso definita arte. Pare essere iniziata così la ricca collezione The Art of Handwriting, archivio digitale di segni, disegni e scritte, origami e appunti, che prende forma giorno dopo giorno dal 2012 sul profilo Instagram del curatore. Artisti ed intellettuali rispondono alle sue domande e regalano un concetto alla carta, per consentire alla grafia di esistere ancora entro i nuovi parametri della contemporaneità e attraverso quegli stessi mezzi che ne minacciano l'estinzione. Obrist approdò a questa considerazione in seguito alla pubblicazione di un articolo di Umberto Eco per il Guardian, nel quale il semiologo lamentò la perdita, soprattutto tra i giovanissimi, della capacità di scrivere senza una tastiera. Come sostiene il curatore, l'utilizzo del digitale può riportare in auge la scrittura a mano, celebrandone l'inno alla differenza e all'unicità. È una questione di messaggio e di elaborazione grafica: nel post-it il contenuto ed il contenitore si sovrappongono e coesistono, in un ibrido tra parola ed immagine. Ad oggi il profilo continua ad evolversi, diffondendo anche una versione digitale e realizzabile da casa della celebre mostra Do It (1993). Do It around the world offre istruzioni per la creazione e vere e proprie "ricette artistiche" allo spettatore, per consentirgli di dar vita ad un'opera seguendo passaggi definiti dagli artisti. Con 309 mila followers, Hans Ulrich Obrist è diventato, anche sui social, un punto di riferimento per l'arte ed un catalizzatore di creatività per elaborare, comprendere, sezionare e utilizzare a fini culturali qualsiasi strumento la società metta a disposizione del genere umano.
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