La persona di Nico Vascellari (perché di persona si tratta e non di personaggio, come tanto usano dire), nasce nei primi anni novanta come musicista sperimentale. La sua formazione non avviene nei luoghi canonici deputati all’istruzione come le università o le Accademie di Belle Arti, ma avviene fluida e libera negli ambienti underground di Treviso prima e Milano poi. Frequenta, esibisce, amplifica ed isterizza la sua pratica colandosi a picco nella vita, come una mano che si immerge in un barattolo di miele: il risultato è un invischiarsi di realtà e situazioni che lo porteranno ad salto decisivo della sua carriera; Nico persona diventa artista visuale. Nico Vascellari si fa continuum di una ricerca che risalta l’aspetto sonoro, significante della vita, dove i contenitori non lasciano spazio ai contenuti perché ciò che interessa è il motivo linguistico, ancestrale, primigenio della comunicazione: uno sciamano che emette versi cercando di invocare qualcosa di cui non si sa bene la funzionalità. In questo panorama di indagine, si situa la performance avvenuta all’inizio del maggio di questo anno. A 24h prima della riapertura del mondo post lockdown causa Covid, Nico decide di resistere e lo fa scegliendo un mezzo che non è portato alla resistenza. Ed è qui che si cela il cortocircuito: essere granelli di polvere che esaltano un sistema per incepparlo, portare in superficie per far vedere, per far prendere coscienza; criticare non per spettacolarizzare la critica stessa, ma per portarla fuori. L’artista resiste in un luogo non adibito a questa pratica: i social media sono sistemi binari, veloci, che pongono il fruitore di fronte ad una scelta, un aut-aut che è la base del sistema gerarchico in cui siamo inseriti da millenni e che migliaia di voci da sempre han cercato di scardinare (ben lo ha capito Vezzoli, nel suo lavoro per Fondazione Prada). Nico Vascellari no, lui non ti fa scegliere. Tu devi rimanere lì a guardarlo, studiarlo, sezionarlo come un criceto all’interno di una stanza bianca e asettica di cui scopriamo una finestra a causa del riverbero del sole. Un corpo-evento che vuole essere vittima di uno sguardo pornografico ma che allo stesso tempo non si dà per intero perchè si cela dietro ad un vetro: quello del nostro schermo (che scherma, appunto). La performance ha inizio e per 23h e mezza noi saremo vittima della sua voce, del suo linguaggio che perde di senso perché privo di referente. Il referente non esiste sui social media, noi possiamo commentare ma i nostri commenti si perdono e scorrono fluidi e dimenticati su una lavagna senza limiti.
Ancora una volta: che senso ha il linguaggio? Cosa ci diciamo? E che valore hanno queste parole gettate dentro questo spazio? (che non è altrove ma è qui, presente, nel tempo più che mai). Il tempo è il presente, un’immanenza che si rende ubiquitaria perché fruibile da tutti in modo indistinto. L’hic et nunc propri della performance art vengono inghiottiti dalla possibilità di essere simultaneamente a tutte le ore e in tutti i luoghi e allo stesso tempo mai da nessuna parte. Il ritmo usato è quello sincopato, tribale, da evento pagano-primitivo, e assistiamo ad una preghiera che ci viene direttamente sbattuta in faccia, ad un invito mancato: “I trusted you” - mi fidavo di te. In cosa Nico aveva fiducia in noi? È rivolto a noi questo suono o a se stesso? Domani, quando usciremo dalle nostre case per tornare ad abitare quella anormalità di cui ci facevamo promotori come Mangiafuoco per Pinocchio, potremmo fidarci gli uni degli altri? Nico Vascellari decide di dircelo e di emetterlo in un luogo che crea una coincidenza fra autore-mezzo-fruitore.
La realtà virtuale è infatti il primo medium in cui si crea un collasso, un’aderenza fra questi tre soggetti in cui non vi è più distinzione fra corpo e medium. A livello oggettuale questa differenza permane, ma se i nostri dispositivi si sono fatti protesi delle nostre braccia, dove è il limite? Ed è qui lo scatto: tali mezzi chiedono un esercizio sovra-aumentato di coscienza, proprio com’è sovra-aumentata la realtà fruita attraverso loro. Nico forse ci sta chiedendo consapevolezza in più, un esercizio percettivo che vada oltre al senso comune. Oppure ci sta solo dicendo che aveva fiducia in noi e noi lo abbiamo tradito. Qualsiasi sia il suo messaggio questo non ha importanza, Nico Vascellari apre una stagione nuova nel mondo dell’arte come nel contemporaneo: la sua è una performance transumana.