In una quotidianità fatta di ripetitività in cui "i giorni si confondono", lo sguardo dell'artista Matilde Stolfa prende la parola, registrando attimi fuggenti e lunghe presenze, come quella di sua madre, in un groviglio di gusti e sensazioni che cercano una via di fuga dalla monotonia.
Matilde Stolfa (Ravenna, 1996) è una designer, architetto e fotografa. Dopo aver conseguito una doppia laurea (in italiano e inglese) in Architettura presso il Politecnico di Milano, si appresta nel prossimo settembre ad approfondire nuove applicazioni e soluzioni nella gestione dello spazio con un master in Contextual design presso DAE, Eindovhen (NL). Si è inoltre formata a Milano nel 2018 con un tirocinio curricolare presso l’Arch. Giovanni Bassi, e nel 2019 presso lo Studio UAO.
Dal 2013 esplora il rapporto tra uomo e città. La affascinano le terre di confine e la loro funzione regolatrice nelle realtà urbane. Per questo ha realizzato un reportage fotografico per il Comune di Ravenna sulla Darsena e il suo ruolo in relazione al centro abitato (2013), ha collaborato ad un progetto sui segni della guerra in Bosnia (2015) e, sempre nel 2015, ad un progetto per riqualificare le mura della città di Cortona. Con il programma ‘Ravenna città d’acqua’, nel 2019 ha tenuto una serie di lezioni presso la scuola secondaria di primo grado Morandi, per analizzare attraverso il processo di osservazione e sintesi fotografica i cambiamenti che i corsi d’acqua e la bonifica avevano apportato alle periferie.
Ha collaborato come ritrattista per agenzie di moda e riviste, in particolare con Spacialbeauties modelling agency, eseguendo degli scatti anche a Ellia Sophia, testimonial Gucci. Sue illustrazioni e fotografie sono state pubblicate sulla fanzine Parole femminili parole maschili del collettivo Drinchendrò, sul terzo numero di Jaamzine magazine, e su Perimetro Magazine il reportage BALL4ALL.
Come è nata l'idea di iniziare un Visual Diary?
Avisualdiary è un progetto che nasce nel 2016, poco dopo il mio trasferimento a Milano. Più che da un'idea nasce dalla necessità di avere uno spazio nel quale poter raccontare, forse più a me stessa che agli altri, cosa significasse il cambiare vita, il distacco dalla provincia, da una vita ideale codificata e diffusa tramite i social, con un'estetica anch'essa codificata, fatta di aperitivi al tramonto, sorrisi, viaggi esotici e filtri caldi. Nel tempo è diventato un mezzo di emancipazione attraverso il racconto di una quotidianità intima, a volte ripetitiva, senza pretese. Un diario visivo per l'appunto che raccontasse una cena tra amici, un sbronza settimanale o una giornata in università, ma che potesse mostrare anche una crisi di pianto, l'inizio e la fine di un amore, e tutti quei momenti che normalmente saremmo riluttanti a mostrare, che tendiamo a sopprimere ed eliminare. In avisualdiary c'è tutto, nulla è nascosto, ogni elemento viene inquadrato da vicino e mostrato dalla nitida luce di un flash.
Parlaci della luce di questo flash.
Il flash è un po' il mezzo di un occhio inquisitore, è credo uno degli elementi più importanti all'interno di questa narrazione; diventa in maniera molto semplice, quasi didascalica, una sorta di luce onnipresente che mostra ciò che accade. Può quasi fare un po' ridere perché all'interno di questo racconto i mezzi formali utilizzati mi rendono una sorta di paparazzo della mia stessa vita. Ogni scatto è realizzato col telefono, fatta forse eccezione per un paio di foto. Il telefono è quell'elemento onnipresente che ti permette di immortalare ogni momento per quanto fugace possa essere. Telefono, flash, tanta nitidezza, tempi lunghi e foto sovraesposte, nulla di più nulla di meno. L'output visivo può ricordare foto scattate con vecchie usa e getta, che comunque incarnano perfettamente lo spirito del "cogliere l'attimo" con i pochi mezzi che si hanno.
Vi sono temi ricorrenti nel tuo lavoro?
I temi ricorrenti sono le persone e le situazioni che si creano all'interno di un giorno qualunque, non c'è niente di eccezionale, di straordinario, solo le persone che orbitano all'interno di quella che è la mia vita. Ci sono soggetti ricorrenti, le persone con cui vivo, le amicizie più strette. Compare molto mia madre, con la quale ho sempre avuto un rapporto molto viscerale, sia nel bene che nel male. Il cibo, la cucina, le mani e i momenti che normalmente non si rendono pubblici, come l'essere in bagno, il depilarsi o farsi le unghie, i dietro le quinte che ognuno di noi vive sono al centro di questa ricerca.
Come sono cambiati i luoghi e i soggetti del tuo "Diario" in questo periodo di quarantena?
In questo periodo di quarantena AVD si è un po' bloccato, perché questo modo di documentare ha lasciato spazio ad altre tecniche narrative più lente, delicate, che mi dessero il tempo di elaborare come stesse cambiando la vita all'interno di quello che era diventato un sistema chiuso e ripetitivo. Escludendo una decina di scatti realizzati per il progetto di avisualdiary, che più che essere legati alla quarantena erano legati all'essere tornata a Ravenna, tutto il resto del mio lavoro ha preso altri ritmi, altre modalità.
Ho cercato di realizzare un ritratto al giorno a mia madre, la persona con la quale ho condiviso il lockdown. Sono scatti che si differenziano molto dal documentare il quotidiano. Per lo più sono foto nelle quali abbiamo costruito set, trucchi, styling e situazioni; queste foto sono servite da fuga in un mondo immaginario, quando quello vero presentava solo dolore e ostilità. Ho documentato anche la routine, scattando però sempre in analogico, gestendo i mezzi in maniera da ottenere risultati ovattati, privi di contrasto o profondità, che si mescolassero tra loro un po' come si confondevano i giorni.
Ci sono alcune fotografie o vicende immortalate a cui sei particolarmente legata?
Ho un particolare legame con le foto delle feste in maschera in casa organizzate con i miei amici, sono sempre stata una delle mie cose preferite del vivere a Milano, l'aver trovato persone e luoghi dove far prevalere fantasia e immaginario su una realtà a volte un po' grigia e soprattutto veloce. Le foto scattate in casa in cucina sono le altre alle quali mi sento più vicina: l'aver vissuto con persone alle quali mi sono affezionata e l'aver cucinato insieme come rito quotidiano di fine giornata è stato qualcosa che ha segnato profondamente sia la mia vita sia il modo di immortalarla.
Quali sono i tuoi progetti futuri a livello artistico ora che la reclusione in casa sta giungendo alla fine?
Ho in ballo più progetti al momento, ad esempio un progetto fotografico legato alla famiglia nel suo termine più ampio, quella biologica nella quale nasciamo e quelle che creiamo crescendo tessendo relazioni. Sto portando avanti anche una sperimentazione con tecniche di stampa antica, e ho già realizzato la prima parte di una serie di cianotipi su stoffa che raccontano un percorso intimo tra femminilità e solitudine. Infine, mi sto approcciando a realizzare prodotti più 'plastici' attraverso sperimentazioni con la ceramica.
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