Lo studio di Samaras si configura come un ciclo di videointerviste a distanza, strutturate su quattro domande rivolte a giovani artisti che diano la possibilità di far emergere pensieri e pratiche.
Probabilmente volevo compiere il gesto più personale che un artista possa fare, cioè creare una stanza con tutte le sue cose, vestiti, biancheria, lavori in via di realizzazione. C’erano i libri che avevo letto e quelli che stavo leggendo. C’erano i miei scritti, le mie note autobiografiche. Era l’immagine più completa che potessi dare di me stesso senza la mia presenza fisica.
Lucas Samaras
Non è forse affascinante conoscere l’opera nel luogo in cui ha preso forma? In che modo lo spazio si riversa sull’arte e quanto, viceversa, l’artista si riflette nella stanza che occupa?
Un format amatoriale quello del cellulare: come una ripresa fugace e occasionale, i discorsi vengono colti nella loro spontaneità dell'emergenza, per poter salvare in memoria uno scambio di pareri ed esperienze avvenuto quasi per caso.
Lasciando che sia lui/lei stess* a mettere in mostra la sua poetica, l'artista si racconterà liberamente nel luogo in cui è solit* creare. L’idea muove dalla lettura di Autoritratto di Carla Lonzi, testo fondamentale di critica militante degli anni Settanta, nella cui premessa l’autrice afferma: “Questo libro è nato dalla raccolta e dal montaggio di discorsi fatti con alcuni artisti. Ma i discorsi non sono nati come materiale di un libro: essi rispondono meno al bisogno di capire, che al bisogno di intrattenersi con qualcuno in modo largamente comunicativo e umanamente soddisfacente”.
“Nel lavoro di Samaras, dunque, la galleria incorniciava lo studio, che a sua volta incorniciava il modo di vivere dell’artista, che a sua volta incorniciava gli attrezzi dell’artista, che a loro volta incorniciavano l’artista, che non c’era”
(B. O’ Doerthy)
Nel 1964 alla Green Gallery di East 57th Street nel New Jersey Lucas Samaras espone la sua camera-studio come opera d’arte: lo spazio in cui nascono le opere diviene il soggetto stesso del lavoro. Si crea così un cortocircuito in cui l’artista si assenta pur rimanendo presente la sua essenza, congelata nel tempo e nello spazio asettici della galleria.