La virtualità è quindi realtà?
VIRTUALE In filosofia, sinon. di potenziale, cioè «esistente in potenza» (contrapp. ad attuale, reale, effettivo). b. In fisica, in matematica e nella tecnica, in contrapp. a reale, effettivo, si dice di enti o grandezze che, pur non corrispondendo a oggetti o quantità reali, possono essere introdotti o considerati per determinati scopi di calcolo, di rappresentazione o di deduzione logica; realtà v., simulazione al calcolatore di una particolare situazione reale con la quale il soggetto umano può interagire, anche involontariamente, per mezzo di interfacce non convenzionali estremamente sofisticate (dispositivi).
Quando si parla di virtuale, si tocca subito il grande terreno della percezione dove il ruolo del virtuale è quello di un movimento: il movimento virtuale destina l’immediatamente visibile al futuro possibile, e in questa destinazione c’è un “esonero” motorio, per cui la percezione non è solo una facoltà accanto alla facoltà motoria, ma una facoltà sostitutiva di quella motoria e, in quanto sostitutiva, esonerante dalla motricità, dal maneggio delle cose, quindi “simbolica”. Il movimento virtuale è quel movimento proprio della percezione che attraverso la selezione dell’oggetto di interesse da una porzione limitata di realtà, pone, a questo stesso oggetto una progettualità, una significazione. La virtualità è quindi il ponte mediante il quale vi è creazione di senso. Attraverso la non-azione, ma utilizzando la riflessione, l’uomo virtualmente già anticipa un futuro e un avvenire delle cose, del mondo e degli altri. Proprio per questo motivo, il filosofo francese Lévy sottolineava che ogni rappresentazione immateriale è anch’essa reale e che il virtuale è uno dei modi possibili di essere della realtà, che non ha nulla a che vedere con la falsità. La parola virtuale, di derivazione latina, ha infatti un significato semantico ben preciso: essa si riferisce ad una potenza in atto, ad una possibilità. Quindi è erroneo contrapporre tale termine con quello di realtà. Il virtuale non è contrapposto con la realtà ma con l’attuazione (nel senso dell’agire), l’effettuazione. La categoria della virtualità, assimilata in quella della possibilità, diventa quindi una modalità di esistenza differente nel reale (ma comunque esistente). Il virtuale e il reale quindi non sono contrapposti fra loro, ma sono due facce della stessa medaglia, anche se l’una non presente nel mondo effettivo. Di conseguenza, il virtuale non è un concetto così astratto come si potrebbe pensare, ma occupa concretamente spazi della nostra esistenza e la sua pervasività contribuisce notevolmente a rivoluzionare non soltanto la cultura e l’economia del pianeta, ma anche l’immaginario di ogni individuo.
La realtà virtuale non è quindi mera simulazione quando al suo interno sono iscritti progetti e desideri; quando cioè vi sono ancora dei referenti a cui rivolgersi. Il problema si pone appena questi stessi referenti, coloro che quindi dovrebbero dare avvio alla potenza in atto del virtuale, spariscono inghiottiti da questa stessa potenza. Quando i soggetti perdono o si dimenticano il motivo per cui sono all’interno di quel mondo possibilistico, ecco che il virtuale diventa un danno, un terreno oscuro, uno specchio di Narciso.