Cercando la definizione di Spazio sul Web troviamo che lo spazio è “un’entità indefinita e non limitata che contiene tutte le cose materiali”. Possiamo però prendere questa definizione come assoluta? Assolutamente no, questo perché l’utilizzo della stessa nozione di spazio in altre aree di ricerca ha portato al raggiungimento di nuovi concetti all’interno dei quali troviamo importanti varianti che possono essere funzionali agli scopi e ai nuovi metodi di ricerca. Non esiste quindi uno spazio oggettivo, ma un rapporto tra lo spazio e le dimensioni che ci circondano. L’affermazione centrale che raggruppa questa prima idea di definizione di spazio può essere quindi che “lo spazio è informazione”.
Lo spazio assume una connotazione diversa a seconda del contesto in cui ci troviamo, è quindi il risultato della tessitura di oggetti, di persone, di relazioni e di narrazioni. Ma anche in questo caso, possiamo definire questo “contesto” come un qualcosa di assoluto? La risposta è nuovamente no. Scrive R. Arnheim “A dispetto delle indicazioni che ci vengono dalla percezione spontanea, lo spazio non è affatto dato di per sé. Esso è creato da una particolare costellazione di oggetti naturali o artificiali alla quale l’architetto reca il suo contributo”. La percezione di quello che ci circonda varia quindi non solo dagli oggetti che ci circondano, ma anche dal modo in cui questi oggetti vengono percepiti attraverso luci, colori e dalla loro distanza; scrive infatti “l’interspazio stabilisce un particolare rapporto di lontananza e di collegamento che influisce sull’insieme del complesso spaziale. Gli oggetti che sembrano troppo vicini l’uno all’altro manifestano una repulsione reciproca. Ad una distanza maggiore l’intervallo può sembrare quello giusto, eppure gli oggetti possono sembrare attirati l’uno all’altro”. Questo concetto lo possiamo collegare anche al concetto del colore, esso non è assoluto, ma contestuale; possiamo fare un esperimento che il Prof. Antonino Saggio ha esposto nel suo libro:
Disegniamo una croce con un colore sull’asse verticale e con un colore diverso sull’asse orizzontale. Nel quadrato corrispondente dei due assi il colore apparirà più scuro. Chiunque guardi il disegno nel suo insieme non avrà dubbi sul processo seguito per la sua realizzazione. Eppure se si tagliasse il disegno intorno al quadrato centrale, quest’ultimo apparirà semplicemente come un segno di un altro colore.
La percezione del colore non dipende solo dalla distanza, ma anche da un altro importante aspetto, quello dell’occhio umano. La cornea e soprattutto il cristallino, nell’occhio umano costituiscono un sistema ottico centrato che permette la formazione delle immagini sulla retina. Questo sistema ha una diversa sensibilità alle radiazioni delle varie lunghezze d’onda, e associa ad ogni lunghezza d’onda della banda visibile una sensazione di colore variabile. Possiamo quindi dire che la radiazione elettromagnetica è un dato, mentre il colore non è altro che l’applicazione di un’informazione ad un dato. Proprio per questo motivo non tutti gli essere umani, uomini e animali che siano, vedono allo stesso modo, nel momento in cui queste informazioni non sono più necessarie il corpo le elimina. Ad esempio prendiamo gli uccelli, essi hanno una caratteristica degli occhi, chiamati coni, diversa da quella dei mammiferi; questo gli permette di avere uno spettro di radiazioni più ampio rispetto al nostro, vedono perciò di più. Ma questo perché? Perché, a differenza nostra, ne hanno più bisogno per vedere meglio il cibo e gli insetti sulle piante, per individuare con più rapidità le prende e quindi per avere più informazioni sullo spazio. Altri animali invece hanno dei sensi diversi, quindi ad esempio vedono solo in bianco e nero o hanno una vista estesa all’infrarosso in quanto devono vedere molto di più al buio. Lo spazio che ci circonda rimane comunque lo stesso, cambia solo il modo in cui noi lo viviamo e lo percepiamo.
ESPERIMENTO
Nell'esperimento realizzato nel 1995 dal professor Edward Adelson dell'MIT, i quadrati denominati A e B, hanno la medesima tonalità di grigio, anche se appaiono differenti. Tendiamo a vedere il quadrato A più scuro perché è circondato da colori chiari e il B più chiaro perché è circondato da colori scuri. Inoltre il cervello fa anche una correzione sui dati che gli arrivano in base alle ombre. Il quadrato B sembra essere in ombra per il cui il cervello presuppone che sia più chiaro di quanto in realtà gli appare e corregge la tonalità.
Se isoliamo i due riquadri dal contesto, ecco cosa succede...
il disco di newton
Il disco di Newton è un disco composto da sette settori colorati secondo i colori dell'arcobaleno. Prende il nome dal suo inventore: Isaac Newton. Facendolo ruotare, il disco mescola la luce riflessa dai colori diversi, riflettendo una luce biancastra. Si ottiene dunque l'illusione che i colori tendano ad uniformarsi e a diventare bianchi. I settori circolari colorati del cerchio di Newton sono di dimensioni diseguali, essendo basate sugli intervalli di una scala musicale dorica. Il 16 febbraio 1672, Isaac Newton scrisse un articolo sugli esperimenti che stava conducendo dal 1666 con la rifrazione della luce attraverso prismi di vetro. Ha così trovato i sette colori primari: rosso, arancione, giallo, verde, blu, viola e indaco. Quando mescolava i raggi colorati di un prisma, scoprì che sorprendentemente la fusione generava il candore, se i colori primari erano "miscelati nella giusta proporzione".
IL CONTRASTO SIMULTANEO
Il contrasto simultaneo è il fenomeno che si verifica tra colori vicini che si influenzano a vicenda, cambiando la nostra percezione di quei colori (più o meno saturi, più o meno luminosi). Si tratta di un fenomeno che è possibile valutare esclusivamente attraverso il confronto. Il contrasto simultaneo, insomma, è un fenomeno di percezione visiva. Il termine percezione ci suggerisce l’inganno. Perché di inganno si tratta.
space as information
chapter 7
Looking up the definition of Space on the Web we find that space is "an indeterminate and unconfined entity that contains all material things." However, can we take this definition as absolute? Absolutely not, this is because the use of the same notion of space in other areas of research has led to the achievement of new concepts within which we find important variations that can be functional to the purposes and new methods of research. Therefore, there is no objective space, but a relationship between space and the dimensions that surround us. The central statement that groups this first idea of defining space can thus be that "space is information."
Space takes on a different meaning depending on the context in which we find ourselves; it is thus the result of the interweaving of objects, people, relationships and narratives. But again, can we define this "context" as something absolute? The answer is again no. R. Arnheim writes "In spite of the indications that come to us from spontaneous perception, space is by no means given in itself. It is created by a particular configuration of natural or artificial objects to which the architect brings his contribution." The perception of our surroundings thus varies not only from the objects around us, but also from the way these objects are perceived through lights, colors and their distance; in fact, he writes, "Interspace establishes a particular relationship of distance and connection that affects the whole of the spatial complex. Objects that seem too close to each other manifest mutual repulsion. At a greater distance the interval may seem to be the right one, yet objects may seem drawn to each other." This concept we can also relate it to the concept of color, it is not absolute, but contextual; we can do an experiment that Prof. Antonino Saggio set forth in his book:
Let's draw a cross with one color on the vertical axis and with a different color on the horizontal axis. In the corresponding square of the two axes the color will appear darker. Anyone who looks at the drawing as a whole will have no doubt about the process followed in making it. Yet if one were to cut the design around the central square, the latter would simply appear as a mark of a different color.
Color perception depends not only on distance, but also on another important aspect, that of the human eye. The cornea and especially the lens, in the human eye constitute a centered optical system that enables the formation of images on the retina. This system has a different sensitivity to radiation of various wavelengths, and associates each wavelength of the visible band with a varying color sensation. We can therefore say that electromagnetic radiation is data, while color is nothing more than the application of information to data. For this very reason not all human beings, humans and animals alike, see in the same way, the moment this information is no longer needed the body eliminates it. For example, take birds, they have a feature of the eyes, called cones, different from that of mammals; this allows them to have a wider spectrum of radiation than ours, they therefore see more. But why is this? Because, unlike us, they need them more in order to see food and insects on plants better, to pinpoint prey faster, and thus to have more information about space. Other animals, on the other hand, have different senses, so they see only in black and white, for example, or have extensive infrared vision as they have to see much more in the dark. The space around us still remains the same, it only changes the way we experience and perceive it.