Un dialogo fra le stelle
di Marco Lanza - 5K
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È notte. Mi trovo sulla terrazza di casa di nonna. Quel luogo che un tempo conoscevo così bene, dalla sua scomparsa mi appare ora lontano, quasi sfocato, soprattutto ora che non capisco come ci sia arrivato. L'altezza a cui mi trovo non permette alla luce dell'unico lampione per strada di illuminare i miei dintorni, ma il cielo sopra di me è limpido e cosparso di stelle, e il loro barlume mi permette di distinguere i contorni di ciò che mi circonda; la luna assente, come se non mi trovassi in un luogo reale. Infine un silenzio quasi inquietante domina la scena, come solo nel sogni puo' esistere. Guardandomi intorno riesco a distinguere le vecchie sdraio colorate, ancora li, proprio come le ricordavo; come se al primo sguardo non avessi prestato veramente attenzione, però, quando le osservo una seconda volta posso constatare la presenza di due figure sedute sopra, una a destra, una a sinistra. Altro elemento in quel paesaggio già così eccezionale, ma che non mi stupisce più di tanto; al contrario, percepisco una certa necessarietà in ciò che osservo. Sotto il peso di quelli che la mia mente identifica quasi inconsciamente, come Viktor Frankl e Friedrich Nietzsche, le sdraio non si piegano, i due sono intangibili, eppure presenti. Non sono sorpresi: in accordo con quella necessarietà che sentivo, essi mi aspettavano. Capisco allora, è un sogno, un reame onirico all'interno del quale però mi ritrovo stranamente lucido, cosciente. Il mio subconscio ha orchestrato questa scenografia dal mio profondo bisogno di risposte. Mi siedo anch'io, e, affacciati sopra quel paesaggio a metà urbano a metà naturale, con gli occhi puntati sull'orizzonte, comincia il nostro dialogo.
Io: vi ringrazio per aver accettato questo incontro fuori dal tempo. Entrambi avete espresso le vostre riflessioni, i vostri pensieri e nel farlo le vostre filosofie sono diventato oggetto di studio mio e dei miei compagni. Vorrei porvi una domanda: io vivo in una società liquida dove Dio resta morto, questa crisi non accenna a terminare e ciò non fa che peggiorare la situazione. Vi chiedo quindi, cosa suggerireste voi due per sanare la frattura fra gli individui e la loro alienazione dalla società?
Nietzsche: Se non è un problema comincio io; caro Marco, come già saprai la crisi di cui parli deriva da quella che provocatoriamente chiamo “morte di Dio”, vale a dire la caduta dei dogmi e dei punti di riferimento che fino a prima avevano sorretto l’esistenza degli uomini. Ora, privi di una bussola vagano con la loro vita alla pari del flusso in divenire senza senso. Si tratta del nichilismo passivo: niente ha più valore, tutto sembra indifferente.
Frankl: La morte di Dio, però, o meglio, la perdita di un senso imposto dall'esterno, apre anche la possibilità di trovare un senso personale, autentico. Come scrivesti tu stesso: “finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; (...) Il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi. Forse non vi è ancora mai stato un mare così "aperto"”. L'uomo moderno è confuso, sì, ma ancora capace di cercare. E proprio nella ricerca può riscoprire se stesso.
Nietzsche: Ma cercare che cosa, Viktor? L’uomo moderno spesso non ha il coraggio di guardarsi dentro. Troppo spesso si rifugia nel conformismo, nel più superficiale empirismo, nei valori preconfezionati. Serve una volontà nuova, capace di creare, non solo di adattarsi. Io parlo di volontà di potenza, l’essenza della vita stessa, la spinta all’autoaffermazione propria di ognuno di noi; coloro che restano indietro vengono sopraffatti, è naturale.
Frankl: Premettendo innanzitutto il mio distanziamento dalla tua ultima affermazione, io parlo di senso non come qualcosa da inventare arbitrariamente, ma qualcosa da scoprire. La vita pone domande, e noi siamo chiamati a rispondere; anche chi soffre ed è più debole può e ha diritto a trovare un significato al proprio dolore. La mia esperienza nei lager ne è un esempio lampante: ciò che mi ha, e ci ha salvati, è stato trovare una ragione per vivere, anche se minima, silenziosa, e dunque soggetta alla sopraffazione naturale di cui parli, a mio parere, sbagliandoti.
Io: Non volevo portarvi a discutere, vi chiedo scusa. Frankl, è molto bello ciò che dici, ma nella società di oggi siamo bombardati da aspettative, da standard; le persone si sentono perse, ed è come se cercassero qualcosa da seguire senza trovarla. Ciò che io chiamo fede, non in senso religioso, ma fede come la dedizione della propria vita a qualcosa. In altre parole, un perché.
Frankl: Da un veloce sguardo alla tua società, mi balza subito all’occhio lo stato in cui essa si trova: uomini che permangono nella liquidità, anestetizzati, impauriti dal vuoto, e che cercano di riempirlo con piaceri momentanei ed immediati.
Nietzsche: In questo concordo con te, Viktor, gli uomini hanno rinunciato a creare il proprio cammino, si sono adagiati sui valori della tradizione; è dunque chiara la prevalenza di cammelli, la quasi totale assenza di leoni, per non parlare della carestia di fanciulli...
Io: E quindi, cosa dovremmo fare oggi, noi giovani, che nonostante questa quiescenza che ci affligge, siamo continuamente percorsi dal crudele “fosco battitore”, senza tregua, se non nei momenti di piacere effimero; non possiamo ritenerci giustificati della nostra superficialità? O siamo da essere condannati senza possibilità di appello?
In quel momento alzo lo sguardo, distratto per un attimo dal passaggio rapido di una luce nel cielo. Una stella cadente. Mi colpisce come l’universo, silenzioso spettatore, sembri in ascolto anche lui. Poi torno a fissare i due filosofi, ansioso della loro risposta.
Nietzsche: Non posso rispondere al tuo quesito, in quanto non spetta a me fare da giudice alla tua generazione; quello che posso dirti è di abbracciare il Dionisiaco, abbraccia la vitalità e la leggerezza della tua vita, non irrigidirti su delle posizioni consolidate e non aver paura ad avventurarti su sentieri sconosciuti. La chiave non è crogiolarsi nel divertissement, ma abbracciare la vita nella sua insensatezza.
Frankl: Io aggiungo: trovate qualcosa per cui valga la pena soffrire. Una causa. Una persona. Una fede, come la chiami tu, caro Marco; la felicità arriverà di conseguenza, senza dover inseguire i piaceri immediati per raggiungerla. La sofferenza fa parte della vita, ma non va subita passivamente: può diventare occasione di crescita se la si riesce a trasformare.
Io: Grazie. Le vostre parole non risolvono tutto, ma danno degli strumenti. Ma forse è proprio questo il punto: non trovare risposte immediate, ma imparare a cercarle. Grazie a entrambi, e grazie di questa breve ma esauriente conversazione; spero di rivedervi tra le pagine dei vostri scritti.
Nietzsche: Il piacere è stato nostro, essere entrati a contatto col tuo tempo, e con te come portavoce del suo pensiero ci darà molto su cui riflettere, adieu.
Frankl: Mi auguro che tu possa trovare le risposte alle tue domande, Marco, addio.
Il dialogo si conclude, tanto rapidamente quanto è cominciato. Dopo avermi rivolto un ultimo sguardo, i due filosofi evaporano, innalzandosi sotto forma di nebulosa verso quel cielo stellato, unendosi a quel campo sterminato di astri. Resto quindi solo, e nonostante sia conscio della natura di quel paesaggio mentale, mi rifiuto di andarmene, voglio restare lì ancora qualche momento. Quel cielo abissale sconosciuto, quell’altezza da capogiro, i suoni delle creature della notte: non mi spaventano più, non mi incutono più il timore che erano soliti fare. Cullato dunque da quella ritrovata serenità, rifletto sulle parole che ancora sento sospese in aria; e al tempo stesso riaffiorano voci familiari, risate, ricordi di un’infanzia passata circondato dal calore dei cari. Ma non dimentico l’identità fittizia di quel luogo, e, quasi cominciando a mettere in pratica gli insegnamenti di cui sono reduce, chiudo gli occhi. Li riapro sul mio letto. È mattina, e raccogliendo le prime forze della veglia, inizio una nuova giornata.