Il cappellano del Re

 

 

Da Ferrara a Torino il 23 luglio 1866 affrancata con 20c sovrastampato III tipo.

 

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                                                                       Ferrara, 23 luglio 1866

 

Carissimo Sig. Commendatore

 

 

(…omissis….) Da più giorni io mi proponevo di scriverle ma cosa scrivere quando siamo condannati ad una vita così nulla, così vana , così oziosa che diventa un vero abbruttimento. Dopo l’infausta giornata del 24 giugno ci condussero a Cicognolo dove, separati dal quartier generale, in mezzo ai campi e fra il canto delle rane e dei rospi, avevamo almeno la risorsa di ricevere lettere e giornali e fare qualche gita a Cremona. Ma dopo 15 giorni fummo trasportati a Ferrara dove sembra che ci abbiano condannati al domicilio coatto con l’impegno di farci sospirare le delizie di Cicognolo. Siamo privi d’acqua, tormentati dalle zanzare, oppressi da un caldo soffocante e per sovrappiù ci hanno privato della posta militare che seguitò il quartiere di Lamarmora e non riceviamo che raramente il corriere, cioè ogni tre o quattro giorni quando piace a S.E. di spedirci un plico. Le poche notizie che abbiamo sono quelle che attingiamo dai bollettini che si stampano a Ferrara e dei dispacci che giungono al Re e purtroppo le due ultime furono tristissime, quella cioè della flotta, che fece così cattiva prova di sé e quella di stamane che annuncia essere i Garibaldini stati battuti colla perdita di oltre mille tra prigionieri, feriti e morti. Così si dice che l’armistizio sia stato anche accettato per parte dell’Italia e che siano pure segnati i preliminari della pace. Dio voglia che sia vero perché, malgrado i sacrifici ed il sangue versato, questa campagna incominciò con troppo infausti auspici e temerei che finirebbe per non riuscirci troppo gloriosa. Per me non sono di natura pessimistica ma vedendo le cose da vicino mi sento sconfortato. Il Re gode ottima saluta e fa una vita occupatissima, sta molto con Venosta e riceve tutto il giorno o gli inviati Francesi o Prussiani e molte delegazioni che piovono dal Veneto. La casa militare non ha altro compito che distruggere in grande bistecche e pollastri e dormire saporiti e lunghi sonni (…omissis…)

 

                                              Valerio Anzino

                                                                                      

                                              Cappellano maggiore del Re

 

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Valerio Anzino fu figura storica molto potente ma scarsamente conosciuta. Una vera eminenza grigia entrata nel Clero Palatino nel 1848, come chierico aggiunto, e diventato nel tempo Cappellano del Re. Alla morte di Vittorio Emanuele diventò Cappellano di Re Umberto e divenne una sorta di tramite speciale di cui si serviva la Chiesa per perorare discretamente cause realizzabili nella società civile. Nello specifico la lettera ben rappresenta lo sconforto che aleggiava ovunque nel Paese. Anche la battaglia di Bezzecca viene vissuta come una sconfitta nella lettera di Anzino. Va detto che Garibaldi perse effettivamente più di 1000 uomini ma si trattò in massima parte dei volontari del 5° Reggimento fatti prigionieri dagli Austriaci. I morti per parte Italiana in effetti  furono circa 100 ed il loro sacrificio condusse peraltro alla vittoria ed alla riconquista di Bezzecca. In quel momento di tristezza tuttavia è comprensibile che ogni nuova informazione venisse rappresentata come un'ennesima sciagura che si abbatteva sul Paese. Il personaggio politico che Anzino riferisce passare molto tempo con il Re è Felice Venosta, Ministro degli Esteri e critico feroce dell'operato di La Marmora. Per quanto riguarda le informazioni sull'armistizio infine sappiamo che proprio il 23 luglio il Re riuniva a consiglio il Barone Ricasoli, Felice Venosta e il Generale Lamarmora e al termine della riunione si convenne di combinare con le autorità austriache una tregua di otto giorni. L'incarico fu affidato al Generale Lamarmora e di li a poco si sarebbe giunti all'armistizio di Cormons ed alla fine della guerra.