Rapporto TEEB

da Greenbiz.it, Anna Moccia, 27 luglio 2010

Integrare la biodiversità all’interno dei piani aziendali dell’imprenditoria privata risulta vantaggioso sia per le imprese, sia per il Pianeta. A stabilirlo una nuova relazione finanziata dalla Commissione europea che mette in luce il considerevole aumento di prodotti e servizi eco-certificati e le crescenti preoccupazioni dei consumatori sulla produzione sostenibile.

Gli studi rientrano nell’ambito del “Teeb for business”, progetto che fa parte della relazione di sintesi del Teeb (The Economics of Ecosystems and Biodiversity) per la gestione intelligente delle risorse naturali. Il “Teeb for business” sottolinea che, sebbene la maggioranza delle imprese consideri l’ambiente ancora come un “optional”, esiste un numero sempre crescente di aziende che si mostra consapevole dei potenziali benefici di un’ottica “green” per il settore commerciale.

In particolar modo, gli autori puntano a dimostrare come l’integrazione tra la biodiversità e i servizi ecosistemici possa creare un considerevole valore aggiunto, attraverso la garanzia della sostenibilità delle catene di approvvigionamento, lo sviluppo di nuovi prodotti, la penetrazione su nuovi mercati e l’attrazione di una nuova clientela. In termini numerici, si stima che il mercato “verde” possa raggiungere un valore da 2 a 6 trilioni di dollari entro il 2050.

Sono sette le raccomandazioni chiave contenute all’interno del documento per aiutare le imprese a minimizzare i rischi per la biodiversità e cogliere le opportunità commerciali create dai servizi ecosistemici:

1) individuare gli impatti e le dipendenze dell’impresa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici;

2) valutare i rischi e le opportunità connessi a tali impatti e dipendenze;

3) sviluppare sistemi di informazione sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, fissare obiettivi specifici, misurabili, raggiungibili, realistici e attuali (SMART), misurare e valutare le prestazioni e riferire in merito ai risultati;

4) prendere provvedimenti per evitare, minimizzare e attenuare i rischi per la biodiversità e i servizi ecosistemici, includendo compensazioni in natura laddove risultino necessarie;

5) sfruttare le opportunità imprenditoriali offerte dalla biodiversità e dai servizi ecosistemici, come l’efficienza dei costi, i nuovi prodotti e i nuovi mercati;

6) integrare l’azione sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici nella strategia aziendale mediante iniziative di responsabilità sociale più ampie;

7) assumere l'impegno di migliorare la politica e gli orientamenti in materia di biodiversità e servizi ecosistemici, attraverso la partnership con altre imprese o con i soggetti interessati all'interno dei governi, delle organizzazioni non governative e della società civile.

La biodiversità può dunque diventare anche una grande opportunità per le imprese trasformandosi in una nuova area di business. Investire infatti nell’utilizzo di risorse efficienti, sviluppare tecnologie a basso impatto ambientale, gestire e ideare progetti per ridurre l’impronta ecologica, può comportare per le aziende una diminuzione dei costi di produzione e di gestione, e può aiutare contemporaneamente la tutela del Pianeta.

Unione Europea

PREFAZIONE AL RAPPORTO TEEB

di Pavan Sukhdev, Responsabile dello studio

Non sempre a tutto ciò che è molto utile viene attribuito un gran valore (ad esempio, l’acqua) e, viceversa, non tutte le cose che hanno un grande valore sono automaticamente molto utili (si pensi ai diamanti).

Questo esempio illustra ben due sfide in termini di apprendimento che oggi la società si trova a dover affrontare. Innanzitutto, stiamo ancora imparando a conoscere la “natura del valore”, ampliando il nostro concetto di “capitale” fi no a includere anche il capitale umano, sociale e naturale: riconoscendo l’esistenza di questi diversi capitali, e cercando di aumentarli o conservarli, possiamo avvicinarci alla sostenibilità. In secondo luogo, abbiamo ancora diffi coltà nell’individuare il “valore della natura”. La natura è infatti la fonte di molta parte di ciò che defi niamo “valore” al giorno d’oggi, eppure solitamente

aggira i mercati, sfugge alla fi ssazione di un prezzo e si ribella alla valutazione. Proprio questa mancanza di valutazione si sta rivelando una causa soggiacente al degrado degli ecosistemi e alla perdita di biodiversità ai quali assistiamo.

Il nostro progetto, “L’economia degli ecosistemi e della biodiversità”, si concentra sulla risposta a questa seconda sfida e mira inoltre a produrre una tesi economica completa e convincente a favore della conservazione degli ecosistemi e della biodiversità.

LA BUSSOLA DELL’ECONOMIA È DIFETTOSA?

Alcuni lettori potranno esserne sorpresi, ma l’esempio illustrato più sopra è vecchio quanto l’economia stessa, essendo infatti tratto da “La ricchezza delle nazioni”, il classico della letteratura economica pubblicato nel 1776 da Adam Smith. Forse, quindi, si profila una terza, ma più limitata sfida: capire perché all’umanità ci sono voluti oltre 200 anni per affrontare le prime due!

Circa 230 anni fa, la terra a disposizione era molta, l’energia non era un elemento fondamentale nel processo di produzione e il capitale fi nanziario era il fattore produttivo più scarso. Come sono cambiati i tempi! Adam Smith sviluppò il suo quadro di pensiero per l’economia in un mondo in cui il capitale mondiale e gli scambi commerciali venivano misurati in milioni (non in milioni di milioni) di dollari. Bill McKibben (2007) ritiene il motore a vapore e la “crescita del PIL” due delle scoperte più importanti

del XVIII secolo, perché hanno migliorato il benessere di una parte considerevole dell’umanità. La crescita del PIL ha creato posti di lavoro ed evitato recessioni, diventando pertanto il metro di paragone preferito per il progresso, anche se non è in grado di cogliere molti aspetti vitali della ricchezza e del benessere

delle nazioni, quali il cambiamento nella qualità della salute, la portata dell’istruzione e i mutamenti nella qualità e nella quantità delle nostre risorse naturali.

Si può affermare che stiamo tentando di navigare in acque perigliose e sconosciute con una bussola dell’economia vecchia e difettosa. Ma non si tratta soltanto di un problema di contabilità nazionale: è un problema di criteri di misurazione che affligge tutti gli strati della società, dal governo alle imprese

ai singoli individui, e infl uisce sulla nostra capacità di forgiare un’economia sostenibile in armonia con la natura.

L’ECONOMIA DEGLI ECOSISTEMI E DELLA BIODIVERSITÀ – (THE ECONOMICS OF ECOSYSTEMS AND BIODIVERSITY, TEEB)

Nel marzo 2007, i ministri dell’ambiente del G8+5 si sono riuniti a Potsdam. Ispirati dalla spinta verso un’azione tempestiva e un cambiamento politico creata dalla Stern Review of the Economics of Climate Change hanno espresso la necessità di vagliare un progetto simile sull’economia della perdita degli ecosistemi e della biodiversità. Con il sostegno del Commissario europeo per l’Ambiente, Stavros Dimas, il Ministro tedesco dell’ambiente Sigmar Gabriel si è assunto l’onere e la responsabilità dell’organizzazione dello studio.

La complessità e la portata del compito erano palesi e la sua urgenza lo rendeva improrogabile: mi sono dunque sentito onorato e piuttosto preoccupato quando Dimas e Gabriel mi hanno offerto l’incarico di responsabile dello studio. La scienza della biodiversità e degli ecosistemi è in via di sviluppo e i loro

servizi all’umanità sono ancora mappati in maniera parziale e non perfettamente compresi, mentre i sistemi economici usati per assegnare loro un valore monetario sono talora controversi. Ho comunque creduto nella visione che trainava questo progetto, ritenendolo cruciale e tempestivo, e ho pertanto accettato con gioia l’incarico.

Mi è subito tornata alla mente la trepidazione che avevo avvertito quattro anni fa, quando con alcuni amici varai un ambizioso progetto di “contabilità verde” per l’India e i suoi Stati con l’obiettivo di fornire un termine di paragone pratico in termini di sostenibilità per le loro economie, adeguando le classiche misurazioni del PIL e includendo esternalità di grandi dimensioni previamente non quantifi cate, come quelle concernenti gli ecosistemi e la biodiversità. La maggior parte dei risultati di questo progetto è già stata pubblicata (Green Indian States Trust, 2004¬-2008) e alcuni sono già stati utilizzati. È stata un’esperienza gratifi cante dalla quale abbiamo appreso, tra l’altro, l’importanza di mettere in discussione le aspettative delle persone, anche le proprie.

LA STRETTA RELAZIONE TRA LA POVERTA' E LA PERDITA DEGLI ECOSISTEMI E DELLA BIODIVERSITA'

Lo studio ci ha portati ad analizzare chi fossero gli immediati beneficiari di molti servizi ecosistemici e della biodiversità ed è risultato che sono soprattutto i ceti sociali meno abbienti. Le fonti di reddito più colpite sono l’agricoltura, l’allevamento, la pesca e le attività forestali di sussistenza, occupazioni da cui dipende la gran parte dei poveri di tutto il mondo. Questa presa di coscienza (vedere Capitolo 3, “Il PIL dei poveri”) richiede ulteriori ricerche per una conferma globale miriamo a espletarle nel corso della Fase II.

È prassi stimare che le perdite annuali di capitale naturale ammontino soltanto ad alcuni punti percentuali del PIL. Purtuttavia, se le esprimiamo nuovamente in termini umani, basandoci sul principio di equità e

sulle nostre conoscenze relative alla destinazione del fl usso dei benefici della natura, l’argomentazione a favore della riduzione di tali perdite guadagna notevolmente terreno. Stiamo infatti parlando del diritto dei ceti sociali più poveri in tutto il mondo di godere dei fl ussi di sostentamento che originano dalla natura, fonte di almeno la metà del loro benessere e assolutamente insostituibili. Si potrebbe anche dire che la

maggior parte degli obiettivi di sviluppo del Millennio è in realtà ostaggio di questa problematica molto semplice.

Il secondo ambito concerne l’etica: i rischi, l’incertezza e l’attualizzazione del futuro, problematiche già portate alla lucenella Stern Review. Nella maggior pare degli studi di valutazione esaminati, i tassi di attualizzazione utilizzati erano nell’ordine del 3-5 % o superiori. Si noti che con un tasso di attualizzazione del 4 % stiamo valutando un servizio naturale per i nostri nipoti (50 anni da adesso) a un settimo dell’utilità che ne traiamo: una posizione etica alquanto diffi cile da difendere. Nel corso della

Fase II, ci occuperemo di questa problematica applicando una rosa di tassi di attualizzazione al fi ne di rappresentare differenti punti di vista etici.

Infi ne, l’ambito forse più importante: siamo infatti convinti che ciascun aspetto dell’economia degli ecosistemi e della biodiversità che esaminiamo e illustriamo in questa sede, ma anche nella Fase II, debba essere totalmente incentrato sull’utente finale, sia esso il legislatore, l’amministratore locale,

l’azienda o il cittadino.

http://ec.europa.eu/environment/nature/biodiversity/economics/pdf/teeb_report_it.pdf