Inceneritori e salute
Una scomoda verità
a cura di PATRIZIA GENTILINI
oncoematologa
Associazione Medici per l’Ambiente
Il problema dei rischi legati all’incenerimento dei rifiuti è di cruciale attualità: tale pratica sta infatti dilagando nel nostro paese grazie ad improprie incentivazioni economiche, anche di recente riconfermate ed elargite solo nel nostro paese (CIP6, certificati verdi) - che distorcono gravemente l’adozione di corrette politiche di smaltimento dei rifiuti, a cominciare dalla loro riduzione, riuso, riciclo. ecc. L’incenerimento dei rifiuti riduce solo il volume dei rifiuti in entrata e trasforma anche materiali relativamente inerti in ingresso in rifiuti altamente tossici e pericolosi, sotto forma di emissioni gassose, ceneri volatili, ceneri pesanti, che a loro volta richiedono costosi sistemi di inertizzazione e di stoccaggio.
Nelle popolazioni esposte alle emissioni di inquinanti provenienti da inceneritori sono stati segnalati numerosi effetti avversi sulla salute sia neoplastici che non. Fra questi ultimi si annoverano:
incremento dei nati femmine e parti gemellari, incremento di malformazioni congenite, ipofunzione tiroidea, diabete, ischemie, problemi comportamentali, patologie polmonari croniche aspecifiche, bronchiti, allergie, disturbi nell’infanzia. Ancor più numerose e statisticamente significative sono le evidenze per quanto riguarda il cancro.
Segnalati aumenti di cancro a: fegato, laringe, stomaco, colon-retto, vescica, rene, mammella.
Particolarmente significativa risulta l’associazione per: cancro al polmone, linfomi non Hodgkin, neoplasie infantili e soprattutto sarcomi, patologia ormai considerata “sentinella” dell’inquinamento da inceneritori.
Studi condotti in Francia ed in Italia hanno evidenziato inoltre conseguenze particolarmente rilevanti nel sesso femminile. Si sottolinea che anche con i “nuovi” impianti nessuna valida garanzia di innocuità può essere fornita perché, trattandosi di impianti di taglia enormemente maggiore rispetto al passato, la quantità complessiva di inquinanti immessi globalmente nell’ ambiente non è affatto trascurabile ed inoltre, avvenendo la combustione a temperature più elevate, si ha la formazione di ingenti quantità di particolato ultrafine, che ha dimostrato di avere effetti gravissimi sulla salute umana e di possedere anche azione genotossica.
Questi rischi sono assolutamente ingiustificati in quanto esistono tecniche di gestione dei rifiuti, alternative alla combustione, già ampiamente sperimentate e prive di effetti nocivi.
Proseguire sulla strada dell’incenerimento non può che essere definita, come già affermò Lorenzo Tomatis, “una follia” e tutto ciò rende conto della resistenza che tale prassi incontra nelle popolazioni, nella comunità scientifica e soprattutto nei medici che, con assoluta fermezza e non solo in Italia, hanno preso posizione condannando senza appello l’incenerimento.
I medici sono ben consci che quando la scienza si è messa al servizio dei poteri forti ne sono derivati guai per tutti: la lista delle “lezioni apprese in ritardo da pericoli conosciuti in anticipo” è già troppo lunga: non è proprio il caso di aggiungervi anche i guai che deriveranno dall’incenerimento dei rifiuti.
Inquinanti emessi da inceneritori
Gli impianti di incenerimento rientrano fra le industrie insalubri di classe I in base all’articolo 216 del testo unico delle Leggi sanitarie (G.U. n. 220 del 20/09/1994) e qualunque sia la tipologia
adottata (a griglia, a letto fluido, a tamburo rotante) e qualunque sia il materiale destinato alla combustione (rifiuti urbani, tossici, ospedalieri, industriali, ecc) danno origine a diverse migliaia di sostanze inquinanti, di cui solo il 10-20% è conosciuto. Ricordiamo che la legge prevede controlli solo per alcuni di essi, per poche volte all’ anno, spesso con autocertificazione della ditta; per le diossine ad es. i controlli sono previsti per 2-3 volte all’anno da un minimo di 6 ad un massimo di 8 ore. .
La formazione degli inquinanti da parte di questi impianti dipende, oltre che dal materiale combusto, dalla mescolanza assolutamente casuale delle sostanze nei forni, dalle temperature di combustione e
soprattutto dalle variazioni delle temperature stesse che si realizzano nei diversi comparti degli impianti, come è stato descritto anche recentemente (1).
Fra gli inquinanti emessi dagli inceneritori possiamo distinguere le seguenti grandi categorie:
Particolato - inalabile (PM10), fine (PM2.5) ed ultrafine ( inferiore a 0.1 micron) - metalli pesanti,
diossine, composti organici volatili, ossidi di azoto ed ozono. Si tratta in molti casi di sostanze estremamente tossiche, persistenti, bioaccumulabili; in particolare si riscontrano: Arsenico, Berillio,
Cadmio, Cromo, Nichel, Benzene,Piombo, Diossine, Dibenzofurani, Policlorobifenili, Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) ecc.
Le conseguenze che ciascuno di essi, a dosi anche estremamente basse, esercita sulla salute umana sono documentate da una vastissima letteratura; tali effetti inoltre possono essere diversi e più gravi in relazione alla predisposizione individuale, alle varie fasi della vita e sono soprattutto pericolosi per gli organismi in accrescimento, i feti e i neonati.
Arsenico, Berillio, Cadmio, Cromo, Nickel, sono cancerogeni certi (IARC 1) per polmone, vescica, rene, colon, prostata; Mercurio e Piombo sono classificati con minor evidenza dalla IARC (livello 2B) ed esplicano danni soprattutto a livello neurologico e cerebrale, con difficoltà dell’apprendimento, riduzione del quoziente intellettivo (QI), iperattività.
Per quanto riguarda le diossine gli inceneritori risultano essere la prima fonte di emissione in Italia (2). La tossicità di queste molecole è elevatissima e si misura in picogrammi (miliardesimi di milligrammo), si tratta di sostanze liposolubili e persistenti (tempi di dimezzamento 7-10 anni nel tessuto adiposo, da 25 a 100 anni sotto il suolo), vengono assunte per il 95% tramite la catena alimentare in quanto si accumulano in cibi quali carne, pesce, latte, latticini, compreso il latte materno, che rappresenta il veicolo in cui esse maggiormente si concentrano.
La più tristemente nota è la TCDD (2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-dioxin) (tetraclorodibenzodiossina) che, a 20 anni dal disastro di Seveso, è stata riconosciuta nel 1997 dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) a livello I, ossia come cancerogeno certo per l’uomo ad azione multiorgano (3).
Le diossine, esplicano complessi effetti sulla salute umana in quanto sono in grado di legarsi ad uno specifico recettore nucleare - AhR - presente sia nell’uomo che negli animali, con funzione di fattore di
trascrizione. Una volta avvenuto il legame fra ligando e recettore la trascrizione di numerosi geni - in particolare P4501A1 - viene alterata sia in senso di soppressione che di attivazione, con conseguente turbamento di molteplici funzioni cellulari, in particolare dell’apparato endocrino (diabete, disfunzioni tiroidee), dell’apparato riproduttivo (endometriosi, infertilità, disordini alla pubertà), del sistema immunitario e, soprattutto, con effetti oncogeni, con insorgenza soprattutto di linfomi, sarcomi, tumori dell’apparato digerente, tumori del fegato e delle vie biliari, tumori polmonari, tumori della tiroide, tumori ormono correlati quali cancro alla mammella ed alla prostata.
Gli inquinanti emessi dagli inceneritori esplicano i loro effetti nocivi sulla salute delle popolazioni residenti in prossimità degli impianti o perché vengono inalati, o per contatto cutaneo, o perché, ricadendo, inquinano il territorio e quindi i prodotti dell’agricoltura e della zootecnia. Questo è il caso in particolare delle diossine. Non a caso, il Decreto Legislativo 228 del 18/05/2000 stabilisce che non sono idonee ad ospitare inceneritori le zone agricole caratterizzate per qualità e tipicità dei prodotti. In diversi paesi europei ( Olanda, Spagna, Belgio, Francia) sono state segnalate contaminazioni da diossine, specie di latte e suoi derivati, in aziende agricole poste in prossimità di tali impianti.
Del tutto recentemente anche in Italia si sono registrate contaminazioni in allevamenti siti in prossimità di impianti di incenerimento: si ricorda quanto verificatosi nel dicembre 2007 a Brescia, ove in numerose allevamenti si è dovuto distruggere il latte bovino per eccessi di diossine e PCB dioxin-like, (valori che sono rientrati a norma quando non sono più stati utilizzati foraggi coltivati in loco).
Inoltre del tutto recentemente (9 aprile 2009) è stata presentata una interrogazione al Parlamento Europeo circa una diffusa contaminazione da diossine in alimenti in Toscana: su 8 campioni di carne di pollo ben 5 sono al di sopra dei 4 ng/kg; tali indagini sono state eseguite dopo vivaci polemiche occorse per gli sforamenti dell’impianto di incenerimento. di Montale nel 2007 , sforamenti che ne comportarono la chiusura, solo purtroppo temporanea. Non va dimenticato inoltre che gli alimenti eventualmente contaminati possono essere distribuiti e consumati altrove, per cui la popolazione esposta può essere ovviamente molto più numerosa. La stima dell’esposizione di fondo (TCDD e similari) nei paesi dell’Unione Europea è compresa fra 1,2-3.0 pg/WHO TEQ/kg pro capite; tali limiti sono già ampiamenti superati in diverse realtà e, se pensiamo che l’UE raccomanda come dose massima tollerabile 2pg/TEQ/kg.day, è ovvio che qualsivoglia ulteriore esposizione porterebbe facilmente a superare ciò che la stessa Unione Europea raccomanda.
Inceneritori e Salute Umana
La letteratura medica segnala circa un centinaio di lavori scientifici a testimonianza dell’interesse che l’argomento riveste. Fra questi, diverse decine sono costituiti da studi epidemiologici condotti per indagare lo stato di salute delle popolazioni residenti intorno a tali impianti e/o dei lavoratori addetti e, nonostante le diverse metodologie di studio applicate ed i numerosi fattori di confondimento, sono segnalati numerosi effetti avversi sulla salute, sia neoplastici che non, ed una accurata revisione è quella riportata negli Annali dell’ Istituto superiore di Sanità (4).
Gli effetti non neoplastici più segnalati sono ascrivibili soprattutto agli effetti di diossine (e più in generale degli endocrin disruptor) ed all’emissione di particolato e ossidi di azoto.
Sono stati descritti: alterazione nel metabolismo degli estrogeni (5), incremento dei nati femmine e parti gemellari (6-7), incremento di malformazioni congenite (8-9), ipofunzione tiroidea, disturbi nella pubertà (10) ed anche diabete, patologie cerebrovascolari, ischemiche cardiache, problemi comportamentali, tosse persistente, bronchiti, allergie.
Un ampio studio (11) condotto in Giappone ha analizzato lo stato di salute di 450.807 bambini da 6 a 12 anni della prefettura di Osaka - ove sono attivi 37 impianti di incenerimento per rifiuti solidi urbani (RSU) - ed ha evidenziato una relazione statisticamente significativa fra vicinanza della scuola all’impianto di incenerimento e sintomi quali: difficoltà di respiro, mal di testa, disturbi di stomaco, stanchezza.
Ancor più numerose e statisticamente significative sono le evidenze per quanto riguarda il cancro: segnalati aumenti di: cancro al fegato, laringe, stomaco, colon-retto, vescica, rene, mammella.
Particolarmente significativa risulta l’associazione per cancro al polmone (12-13) , linfomi non Hodgkin (14-15-16-17), neoplasie infantili (18) e soprattutto sarcomi, patologia ormai considerata “sentinella” dell’inquinamento da inceneritori (19-20-21).
Studi condotti in Francia ed in Italia hanno evidenziato inoltre conseguenze particolarmente rilevanti nel sesso femminile.
In particolare nell’ aprile 2008 (22) sono stati resi noti i risultati definitivi della ricerca condotta da La Veille Sanitarie in Francia nelle popolazioni residenti in prossimità di impianti di incenerimento.
I risultati preliminari erano stati presentati nel novembre 2006 ed avevano riguardato 135.567 casi di cancro insorti nel periodo 1990-1999 su una popolazione di circa 2.5 milioni di persone residente in prossimità di 16 inceneritori di rifiuti urbani attivi tra il 1972 ed il 1990.
Lo studio aveva considerato l’esposizione a diossine valutate in diversi percentuali, trovando un aumento del rischio coerente col crescere dell’esposizione.
Le preoccupazioni, già a suo tempo emerse dai risultati preliminari, si sono ulteriormente rafforzate davanti ai risultati definitivi che evidenziano i seguenti incrementi (di cui molti statisticamente significativi) : sarcomi + 22%, linfomi non Hodgkin + 12% in entrambi i sessi + 18% nelle femmine, cancro al fegato +16%, tutti i cancri nelle donne +6% ed ancora, dato in precedenza non rilevato, incremento del rischio di incidenza per mieloma multiplo in entrambi i sessi +16% e per i maschi addirittura + 23%.
Risultati altrettanto preoccupanti sono quelli che emergono dallo studio condotto nel quartiere di Coriano a Forli, nell’ ambito dello studio Enhance Health, finanziato dall’ UE (23). A Coriano sono attivi due impianti: uno per rifiuti ospedalieri ed uno per rifiuti solidi urbani.
L’indagine è stata condotta con metodo Informativo Geografico (GIS) ed ha riguardato l’esposizione a metalli pesanti (stimata con un modello matematico) della popolazione residente per almeno 5 anni entro un’area di raggio di 3.5 km dagli impianti.
Sono stati analizzati dati di mortalità (per tutte le cause e per singole cause, per tutti i tumori e per singole neoplasie), di incidenza per i tumori ed i ricoveri ospedalieri per singole cause.
Il confronto è stato fatto prendendo come popolazione di riferimento quella esposta al minor livello stimato di ricaduta di metalli pesanti.
Per il sesso maschile non emergono differenze per quanto attiene la mortalità complessiva e la mortalità per tutti i tumori, ad eccezione del cancro a colon retto e prostata, che presentano entrambi un RR statisticamente significativo pari a 2.07 nel terzo livello di esposizione.
Risulta inoltre che “l’analisi dei ricoveri ospedalieri mostra un aumento nella frequenza di angina, BPCO e asma negli uomini residenti nell’area più vicina agli impianti”
Per il sesso femminile i risultati che emergono sono invece particolarmente inquietanti.
Si registrano infatti rischi -statisticamente significativi- per patologie non neoplastiche nel 3° livello quali: ricoveri per patologie renali (RR= 3.06) e abortività spontanea (RR = 1.44). Ancor più drammatici gli eccessi (statisticamente significativi) sia nella mortalità complessiva che nella mortalità per tumori. Nello specifico risulta nelle donne sia un aumento del rischio di morte per tutte le cause, correlato alla esposizione a metalli pesanti, tra il +7% e il +17% che nella mortalità per tumori, come ben risulta dalla Tabella 1.
TABELLA 1
MORTALITA’ NELLE DONNE RESIDENTI ALMENO 5 ANNI ENTRO 3.5 km DA 2 INCEERITORI PER: TUTTE LE CAUSE, TUTTI I TUMORI, ALCUNI TUMORI : RISCHIO RELATIVO (RR* statis. sign.) E CASI OSSERVATI
La mortalità per tutti tumori aumenta nella medesima popolazione in modo coerente con l’aumento dell’esposizione dal +17% al +54%.
In particolare per il cancro del colon-retto il rischio è compreso tra il + 32% e il +147%, per lo stomaco tra il +75% e il +188%, per il cancro della mammella tra il + 10% ed il +116%.
Questa stima appare particolarmente drammatica perché si basa su un ampio numero di casi (358 decessi per cancro tra le donne esposte e 166 tra le “non” esposte) osservati solo nel periodo 1990-2003 e solo tra le donne residenti per almeno 5 anni nell’area inquinata.
Tali risultati potrebbero essere ancora di ancora maggior rilievo, qualora la popolazione di riferimento fosse realmente non esposta: infatti il livello minimo di esposizione, preso come riferimento, corrisponde ad una ricaduta stimata dei metalli pesanti compresa tra 0,61 e 1.9 ng/m3, valore certo non nullo né trascurabile.
Davvero singolari appaiono pertanto le Conclusioni dell’indagine suddetta in cui letteralmente si afferma “…lo studio epidemiologico dell’area di CF nell’analisi dell’intera coorte per livelli di esposizione ambientale potenzialmente attribuibili agli impianti di incenerimento (tracciante metalli pesanti) con aggiustamento per livello socio-economico della popolazione, non mostra eccessi di mortalità generale e di incidenza di tutti i tumori .Tuttavia, analizzando le singole cause, sono stati riscontrati alcuni eccessi di mortalità e incidenza da considerare con maggior attenzione. Infatti è stato riscontrato nelle donne un eccesso di mortalità per tumori dello stomaco, colon retto mammella e tutti i tumori”..
E’ palese che ponendo come prima frase un commento in cui si aggrega insieme il sesso maschile (in cui non si registrano particolari eccessi) ed il sesso femminile si ottiene una “diluizione” dei risultati emersi e una sottostima di quelle che sono le reali condizioni di salute della popolazione esaminata.
Per i sarcomi possono farsi analoghe considerazioni. Anche in questo caso emergono dati inquietanti: sono infatti riportati ben 18 casi di sarcoma, di cui si perde in qualche modo traccia nelle tabelle generali, in cui sono disaggregati per sesso.
Trattandosi di patologie rare, disaggregando per sesso si perde di significatività, con l’effetto di togliere rilievo ad un dato altrimenti particolarmente significativo in quanto riferito a una patologia “sentinella” dell’inquinamento da inceneritori.
Gli stessi estensori dello studio annotano nella discussione (pag. 42) che “gli eccessi di mortalità per sarcoma dei tessuti molli sono degni di nota” affermando, a pag. 39, che, “si osserva un aumento
statisticamente significativo della mortalità nel livello più elevato di metalli pesanti ( RR = 10.97, IC 95%=1.14-105.7, 3 casi) per la coorte di tutti i residenti”.
Informazione: Problema cruciale
Lo studio di Coriano, sopra citato, rappresenta un tipico esempio di comunicazione ambigua e distorta, in cui il messaggio finale appare falsamente rassicurante e fornisce ai decisori politici l’avvallo per scelte spesso già prese in partenza.
Il Prof. Lorenzo Tomatis che faceva parte del comitato scientifico dello studio si dissociò da tali conclusioni affermando : “lo studio è di tutto rispetto, ma le conclusioni che gli Enti promotori hanno tratto sono ambigue e contradditorie allo stesso tempo”.
A nostro avviso sarebbe stato più coerente con i risultati ottenuti trarre , ad esempio, conclusioni di questo tipo: lo studio epidemiologico dell’ intera coorte per livelli di esposizione ambientale potenzialmente attribuibile agli impianti di incenerimento (tracciante metalli pesanti), con aggiustamento socio-economico della popolazione, mostra una relazione inequivocabile tra esposizione ed effetti sanitari per la salute femminile.
Infatti è stato riscontrato nelle donne un eccesso di mortalità generale e per tutti i tumori, in particolare per i tumori dello stomaco, colon-retto e mammella nonchè , all’aumentare del livello di esposizione, un aumento dell’incidenza di tumori del colon retto.
Sempre nelle donne, si è registrato un aumento di ricoveri per malattie respiratorie acute, ricoveri per patologie renali ed abortività spontanea nel 3° livello di esposizione.
Negli uomini si osserva un aumento statisticamente significativo della mortalità per cancro alla prostata ed al colon retto nel penultimo livello ed un aumento dei ricoveri ospedalieri per angina, BPCO e asma negli uomini residenti nell’area più vicina agli impianti.
SI evidenzia, mettendo insieme i dati di uomini e donne, un aumento della mortalità per sarcoma dei tessuti molli in rapporto al livello di esposizione. (RR = 10..97).
Pertanto lo stato di salute della popolazione esposta alle emissioni dei due inceneritori risulta gravemente compromessa.
Lo studio di Coriano non è purtroppo il solo esempio di comunicazione mistificata ed è noto da tempo come conflitti di interesse possano condizionare le conclusioni tratte nella ricerca scientifica e biomedica. (24). Sempre a proposito di rifiuti vale comunque la pena riportare qualche altro esempio.
Sul sito istituzionale (25) del Governo italiano è possibile accedere ad un Piano di intervento operativo sulla salute per l’emergenza rifiuti in Campania redatto, nel maggio 2008, dal Ministero del Welfare ed alla cui redazione hanno dato la loro collaborazione l’Istituto Superiore di Sanità, la Regione Campania e l’Ordine dei Medici di Napoli.
Il piano prevede, tra l’altro, “la corretta informazione al pubblico su eventuali rischi per la salute derivanti dall’accumulo dei rifiuti e del loro smaltimento” e, riferendosi agli impianti di incenerimento, fornisce questo messaggio: “Gli impianti di incenerimento e termovalorizzazione (quale quello di Acerra) sono costruiti secondo le moderne tecnologie e non rappresentano un rischio aggiuntivo per la salute delle popolazioni residenti nelle aree circostanti. Il loro impatto ambientale è paragonabile a quello conseguente a normali situazioni di traffico urbano”.
E’ davvero stupefacente che il traffico urbano venga, a seconda di ciò che torna più utile, ora indicato come fonte precipua dell’inquinamento, ora, come in questo caso, di non particolare rilievo, al fine di sminuire l’impatto dell’inceneritore ( “normale traffico urbano” ).
Inoltre questa affermazione è quantomeno assai imprecisa se si osservano i dati relativi ad alcuni inquinanti, quali, ad esempio, le diossine.
Dai documenti ufficiali Europei (2) risultano i seguenti dati per l’Italia: 295,5 gr/anno di diossine in tossicità equivalente (TE) prodotte dagli impianti di incenerimento (pari al 64% del totale), e di questi 170,6 gr/anno (pari al 37% del totale) prodotti dai soli impianti di incenerimento per rifiuti urbani presenti in Italia ( circa 50 ), a fronte di 5,1 gr/anno ( pari all’ 1,1%) prodotti dai trasporti stradali (oltre 30 milioni di autovetture, senza tener conto degli altri autoveicoli): ogni commento appare superfluo.
Si consideri che 295,5 grammi di diossine in TE equivalgono a quasi 3 miliardi di dosi massime tollerabili annue per adulti ed ad oltre 11 miliardi di dosi massime tollerabili annue per bambini, tenendo conto
delle soglie fissate dall’OMS nel 1998 (il dato è, con buona probabilità sottostimato, in quanto il calcolo della tossicità equivalente dell’OMS è più cautelativo rispetto a quello previsto per le emissioni dalla vigente normativa comunitaria).
Tra i redattori del documento citato è presente anche l’Istituto Superiore di Sanità, che è il “principale organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale.
Ricordiamo che il SSN (art. 2) ha tra gli obiettivi …” la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di un’adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità; … la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro; ….la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’ambiente naturale di vita e di lavoro”.
Non vorremmo l’ ISS incorresse, con affermazioni quali quelle sopra riportate circa l’ impatto dell’ inceneritore di Acerra, in gravi “infortuni” come quello in cui occorse nel caso del Cloruro di Vinile
Monomero (CVM).
In un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità del 1991, riferito al Petrolchimico di Porto Marghera si ritrovavano, riferite agli esposti al Cloruro di vinile monomero (CVM), affermazioni di questo tipo,: “la
mortalità per tutte le cause risulta significativamente inferiore a quella attesa in base ai dati nazionali che regionali …..La mortalità per tutti i tumori è inferiore alle attese…”.
Ricordiamo che fu solo per merito di Gabriele Bortolozzo, operaio del Petrolchimico, che non si rassegnò e scrisse su Medicina Democratica:
“i dati forniti dagli Enti Pubblici e dalla aziende non sono credibili… ciò avviene per mancanza di una legge specifica e l’ occultamento e la falsità dei dati biostatistici concernenti gli addetti esposti al tossico“, che fu possibile arrivare ad una corretta lettura dei dati tecnici ed anche fare giustizia, seppure con notevole ritardo (26).
L’autorevolezza delle Istituzioni, del nostro Servizio Sanitario Nazionale ed in primis l’Istituto Superiore di Sanità, richiede che le affermazioni siano sempre basate su dati credibili e verificabili e non siano di volta in volta piegate alle “pressioni” dei decisori.
Una informazione scientificamente corretta ed indipendente rappresenta uno dei principali doveri dello scienziato, in particolare di chi è deputato a tutelare la Salute Pubblica, ed è uno dei fondamenti della
democrazia come Lorenzo Tomatis con queste parole, più attuali che mai, ci rammenta: “adottare il principio di precauzione e quello di responsabilità significa anche accettare il dovere di informare, impedire l’ occultamento di informazioni su possibili rischi, evitare che si consideri l’intera specie umana come un insieme di cavie sulle quali sperimentare tutto quanto è in grado di inventare il progresso
tecnologico [………. ] .
Al di là degli esempi specifici sopra riportati vorrei ricordare un altro evento, passato quasi sotto silenzio, e cioè il fatto che il 1° Maggio 2008 con Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) , a governo scaduto, è stato allargato, in nome della tutela della sicurezza nazionale, il campo d’applicazione del segreto di Stato ad una lunga serie di infrastutture critiche tra le quali “gli impianti civili per produzione di energia”, depositi di scorie nucleari, centrali nucleari, rigassificatori, inceneritori/ termovalorizzatori.
Segreto che si estende anche agli iter autorizzativi, di monitoraggio, di costruzione, della logistica di tutta la filiera e che ha posto i presupposti per l’attuale militarizzazione dei territori in Campania, dove le stesse sentenze della Magistratura vengono disattese, dove territori che dovrebbero essere bonificati sono fonte di ulteriore profitto per coloro che hanno speso disinvoltamente i soldi pubblici e che hanno realizzato interventi non idonei a risolvere lo scandalo rifiuti e dove, viceversa, i pacifici cittadini, che nulla hanno a che fare con la malavita organizzata e che legalmente difendono il proprio diritto all’ ambiente e alla salute, vengono pesantemente vessati.
Ci chiediamo se è così che si rispetta quanto sancito dal Diritto Internazionale e dalla Convenzione di Aarhus e possiamo solo ancora ricordare ciò che Tomatis già decenni fa scriveva: “invece di accettare una società che sta diventando sempre meno democratica, in cui le scelte sfuggono ormai completamente agli individui e domina il principio della crescita economica ad ogni costo, si può pensare ad uno sviluppo che si attui sui principi di Precauzione e Responsabilità, dando priorità alla qualità della vita e all’ equità sociale e ponendo il mantenimento della Salute al di sopra dell’ interesse economico”.
In conclusione parlare di informazione/comunicazione in ambito di relazione medico/paziente ed in ambito di salute pubblica è tema delicatissimo quando gli interessi economici in gioco sono enormi come nel caso della gestione dei rifiuti diventa addirittura cruciale.
Non può essere infatti che - di fatto - esistano due diversi approcci: nel caso in cui l’informazione venga data ad un paziente nulla deve essere sottaciuto circa diagnosi, prognosi, possibilità terapeutiche esistenti ed eventuali alternative, (consenso informato) viceversa nel caso in cui venga fornita all’intera popolazione in relazione all’impatto sanitario di possibili inquinamenti ambientali si parla di “comunicazione del rischio”, dando quasi per scontato che il rischio ci sia e debba solo essere “accettato” dalle popolazioni, anche quando evitabile.
Sembra che in quest’ultimo caso la priorità sia quella di non destare allarme, sottacendo gli eventuali rischi e finendo in tal modo per sminuire rischi potenziali importanti e prevenibili. Ci si chiede se sia prioritario tutelare gli interessi economici che sottendono tante scelte che vanno a discapito della salute delle popolazioni o non piuttosto il loro diritto ad una completa ed esauriente informazione sui rischi a cui possono essere esposte. Purtroppo la Storia ci insegna che quando la “scienza” si è messa al servizio dei poteri forti ne sono derivati guai per tutti. Le lezioni del passato sono molte, ma, sembra, ancora non sufficienti (27).
Ed i “nuovi” impianti di incenerimento?
E’ tema ricorrente sulla stampa ed anche in ambito sanitario, come ad esempio, nel recente documento della Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE) (28).
Secondo i fautori di tale tesi gli effetti sulla salute dei “nuovi impianti” di incenerimento sarebbero, se non trascurabili, certamente non tali da destare allarme; non potendo però portare dati epidemiologici in grado di supportare scientificamente tali affermazioni (non essendo ancora trascorso un tempo sufficientemente lungo), essi giustificano le loro asserzioni su due principali caposaldi: i “nuovi limiti “ più restrittivi alle emissioni ed il fatto che i “moderni” inceneritori applicano le migliori tecnologie disponibili, dette BAT (Best Available Tecnology) che ridurrebbero a livelli trascurabili le emissioni inquinanti.
A proposito dei limiti normativi si fa notare che essi non sono affatto più restrittivi come parrebbe, ad es, nel succitato documento dell’AIE, gli estensori sono incorsi in un grossolano fraintendimento.
Il confronto, esplicitamente citato nel documento, fra il valore di 4.000 ng/m3 per le diossine della vecchia normativa e gli 0.1 ng/m3 dell’attuale risulta palesemente errato in quanto il primo valore si riferisce alle diossine totali, mentre il secondo è riferito al valore”ponderato” come “tossicità equivalente”(TE) che riduce anche di 4 ordini di grandezza il valore grezzo della diossina, (per esempio per le OCDD e per gli OCDF) prendendo in considerazione solo le 17 specie “tossiche”.
Risulta pertanto evidente che la vigente normativa non differisce in modo significativo dalla precedente ed anzi, nel caso di alcuni profili emissivi addirittura meno restrittiva (29).
I campionamenti inoltre per alcuni inquinanti quali le diossine sono previsti solo poche volte all’anno e per la massima parte in regime di autocontrollo.
Per quanto attiene poi l’applicazione delle BAT rimangono tuttora aperti numerosi aspetti critici, legati alle caratteristiche dei sistemi di abbattimento, alla composizione dei rifiuti ammessi all’inceneritore, al controllo delle fasi critiche di accensione e spegnimento durante le quali i processi di combustione - e di conseguenza le emissioni - sono difficilmente controllabili.
Non si deve trascurare poi il fatto che la taglia assai maggiore dei nuovi impianti rispetto ai precedenti si tradurrà in una maggiore massa di inquinanti immessi in atmosfera. Infine non va dimenticato che una maggiore efficacia dei sistemi di abbattimento delle immissioni in atmosfera determina il trasferimento degli inquinanti (in particolare i più pericolosi e persistenti) dai fumi ai rifiuti prodotti dall’incenerimento e quindi una ridislocazione nel tempo e nello spazio dell’impatto sanitario e ambientale. Infatti anche gli inceneritori cosiddetti di “ultima generazione” hanno la necessità di discariche di servizio, in ragione del 20-30% della massa dei rifiuti in ingresso a cui si aggiunge un ulteriore 3-5% di rifiuti altamente pericolosi, costituito dalle ceneri volanti e dai residui degli impianti di abbattimento.
Infine una delle problematiche più importanti poste dagli impianti di nuova generazione, è proprio quella della formazione di ingenti quantità di particolato fine e soprattutto ultrafine, tanto primario quanto secondario, in proporzioni ben superiori a quelle dei precedenti inceneritori; nei confronti di questo tipo di particolato, anche le più recenti e migliori tecnologie si rivelano inefficaci, essendo in grado, nel migliore dei casi, di trattenere solo una parte della frazione fine, mentre sono del tutto impotenti nei confronti di quella ultrafine che, come abbiamo visto, è viceversa la più pericolosa.
Conclusioni
Le gravissime ed evitabili conseguenze dell’incenerimento sulla salute hanno attivato un vasto movimento di opinione fra cittadini, associazioni ambientalisti, comitati in tutta Europa, ma in particolare in Italia ove, per una serie di illeciti contributi la combustione di qualunque materiale è incentivata con i denari dei contribuenti: questo meccanismo è stato esemplarmente descritto dall’ ing. Paolo Rabitti, consulente per la Procura di Napoli, nel suo libro documentatissimo libro “Ecoballe” in cui si dimostra come, nel nostro paese, anche a “bruciare acqua ci si guadagni”, calpestando non solo le leggi della fisica e della termodinamica, ma anche il più elementare buon senso.
Purtroppo questi assurdi incentivi alla combustione sono stati anche di recente riconfermati (30), tutto ciò rappresenta un immenso business per chi gestisce rifiuti, con intrecci economico/finanziari lucidamente messi in evidenza, specie per quanto riguarda la situazione campana, con un articolo comparso sul Ponte (31) da cui si evince come l’emergenza campana rappresenti potenzialmente il paradigma per tutto il paese.
L’attenzione è ancor più viva oggi, dal momento che secondo Autori di rilievo internazionale (32) la combustione di una tonnellata di rifiuti, in termini di danni alla salute ed all’ambiente arriva a costare 21.2 euro.
Questi costi per ogni tonnellata di rifiuti bruciati possono scendere paradossalmente fino a 4.5 euro se compensati con il recupero di energia, calore e materiali. Tuttavia il costo per la collettività, in termini di mortalità e morbilità, rimane comunque invariato.
I medici stanno facendo la loro parte, facendo sentire con forza la propria voce : in Italia si registra la richiesta di moratoria avanzata dagli Ordini dei Medici dell’ Emilia Romagna, la Posizione della FNOMCeO, documenti sottoscritti da medici indipendenti fra cui Lorenzo Tomats (33,34 ) una recente monografia dell’ ISDE (35); anche in altri paesi d’Europa una decisa presa di posizione di Medici e Società scientifiche non si è fatta attendere, particolarmente dettagliate ed esaurienti il Rapporto dei Medici Francesi, della Società di Medicina Ecologica Britannica e dell’ ISDE internazionale
(36,37, 38).
Il mondo politico condizionato dagli interessi delle grandi le grandi lobbies appare come non mai sordo ed indifferente alle istanze della popolazione e le amare parole di Irwin Bross appaiono quanto mai attuali: “quando ( ..il governo e la classe dirigente medica e scientifica…) dicono che qualcosa è sicuro e buono per te, ciò che questo significa veramente è che è sicuro o buono per loro.
A loro non importa quello che succede a te (…) Se c’è qualcuno che proteggerà la tua vita e sicurezza, quel qualcuno non potrai essere che tu.”
Fortunatamente però la consapevolezza circa la necessità e l’urgenza di invertire la rotta di uno “sviluppo” dissennato e fallimentare, che trova nell’ incenerimento dei rifiuti il suo apice, sta crescendo a macchia d’olio.
Sempre più numerosi sono i cittadini, le associazioni, i medici che non si rassegnano e che non vogliono perdere una ottima occasione per fare Prevenzione Primaria scegliendo metodi di gestione dei rifiuti
alternativi all’incenerimento ed evitando di costruire impianti inutili, pericolosi e gravemente nocivi: le generazioni future non ce lo perdonerebbero.
patrizia.gentil...@villapacinotti.it
Comunicato stampa della Società Italiana di Pediatria
AUMENTANO TUMORI INFANTILI
NEL PRIMO ANNO DI VITA, LA SIP IN CAMPO PER L’AMBIENTE
Roma, 28 settembre 2010. Non solo allergie e malattie respiratorie, ma anche aumento di leucemie e tumori, soprattutto nel primo anno di vita, e di patologie neuro-psichiche hanno come primo indiziato l’ambiente e in particolare le modificazioni subite dal feto nella vita intrauterina. Partendo da questa considerazione la Società Italiana di Pediatria scende in campo con una serie di iniziative per l’ambiente, anche in vista del Congresso nazionale, in programma dal 20 al 23 ottobre a Roma, dove esperti nazionali e europei si confronteranno su questo tema, tra cui Ernesto Burgio, Coordinatore del Comitato Scientifico ISDE (International Society of Doctors for Environment) e Dominique Belpomme Presidente di ARTAC (Association de Recherche Thérapeutique Anti-Cancéreuse).
I dati non lasciano molti dubbi: negli ultimi 20 anni in Europa si è registrato un incremento dell’1,2 % annuo di tumori infantili, questa percentuale in Italia è pari al 2%, quasi il doppio che negli Stati Uniti e nel resto d’Europa. L’incremento più consistente ha riguardato i bambini sotto l’anno di età (+ 3,2%) e alcune forme tumorali (linfomi: + 4,6%; tumori del sistema nervoso centrale: + 2,0%); è quindi probabile che alla genesi dei tumori contribuisca un’esposizione materna o gametica a sostanze tossiche.
Non è più confortante il capitolo delle malattie neuro-psichiche. Che la diffusione in ambiente di molecole mimetiche, metalli pesanti e altri inquinanti in grado di interferire pesantemente sullo sviluppo neuro-endocrino dell’embrione, del feto e del bambino rischi di produrre danni gravissimi è un dato che emerge da centinaia di studi scientifici. Tanto che pochi anni fa uno studio pubblicato sul Lancet a firma di due prestigiosi ricercatori della Harvard School of Pubblic Health ha rilanciato con forza la tematica della “pandemia silenziosa” di danni neuro-psichici che si starebbe diffondendo, nell’indifferenza generale, interessando ormai il 10% dei bambini.
“Il nostro Paese, in tutte le sue componenti _ la politica, i pediatri, le scuole, le famiglie _ deve diventare più consapevole dei rischi dell’ambiente per la salute dei bambini”, sottolinea Alberto Ugazio, Presidente della Società Italiana di Pediatria. “A breve faremo partire corsi di aggiornamento su tutto il territorio nazionale rivolti ai pediatri per l’approfondimento delle patologie pediatriche legate all’ambiente, ma riteniamo importante agire sull’educazione sin dalla più tenera età: chiederemo al Ministro Gelmini di introdurre sin dalle elementari, un’ora di educazione ambientale”, prosegue Ugazio.
“La SIP _ afferma Maria Grazia Sapia responsabile Nazionale per l’Ambiente _ vuole essere il punto di raccolta e di promozione di tutte le iniziative e gli studi riguardanti il bambino e l’ambiente, perché il Pediatra è la figura cardine per la prevenzione e la cura. A tale riguardo sta per partire un protocollo di intesa tra la Sip e l’Isde (associazione medici per l’ambiente) che si occupa a tutto campo delle patologie legate all’ambiente e esiste già una collaborazione con il Cnr”. “Le iniziative in campo sono tante”, aggiunge Sapia, “stiamo progettando con il Ministero della Salute, dell’Ambiente e dell’Istruzione una campagna di sensibilizzazione ed educazione nelle scuole rivolta ai bambini perché siano più consapevoli dei danni prodotti dagli abusi dell’uomo. E a maggio 2011 si terrà ad Assisi il primo congresso internazionale su ambiente e bambini che vedrà la partecipazione dei maggiori esperti mondiali”.
Cinthia Caruso
Direttore Comunicazione SIP
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