Rifiuti

NUOVE TECNOLOGIE

Rifiuti, la nuova rivoluzione

nasce un'industria ecosalutare

È la nutri-energetics, settore economico alla ricerca del recupero degli scarti per nuove soluzioni alimentari ed energetiche. Così da superare il conflitto finora insanabile tra fame e necessità energetiche. Un mondo che è solo agli inizi, ma offre già spunti interessanti di PAOLO PONTONIERE

Rifiuti, la nuova rivoluzione  nasce un'industria ecosalutare

Una centrale a biomasse

SAN FRANCISCO - È possibile risolvere la dicotomia che si è creata tra le esigenze alimentari della popolazione mondiale, sopratutto quelle dei paesi emergenti, e quelle energetiche del mondo industrializzato, che ha bisogno di quantità crescenti di carburanti, soprattutto biocarburanti? E’ possibile ovvero risolvere la competizione — più volte denunciata dal Nobel Muhammad Yunus e da Lester Brown — tra il piatto e il serbatoio dell'auto in maniera tale che tutti vincano? Un quesito epocale che fino a qualche anno fa sarebbe stato addirittura impossibile formulare: ma grazie a sviluppi tecnologici di portata rivoluzionaria, un’ipotesi avveniristica s’è trasformata di recente in una sfida possibile. Alla quale stanno rispondendo non solo i filosofi e i futuristi, ma che sta stimolando l’industria - anche quella petrolifera - a rinnovarsi.

E gli scarti diventano un tesoro. A cercare una risposta è per esempio il settore della nutri-energetics, nel quale convergono gli interessi delle industrie nutraceutica (combinazione di 'nutrizionale' e 'farmaceutica'), alimentare, biotecnologica e di quella delle energie rinnovabili. Sebbene sia appena agli albori, si tratta di un compartimento industriale che fa già sognare gli operatori economici e i guru dell’innovazione, tanto che c'è chi sostiene che potrebbe rendere obsoleto lo sfruttamento delle derrate alimentari per la produzione dei biocarburanti. E non solo: potrebbe anche trasformare le biomasse di scarto dell’industria energetica e i rifiuti dell’industria alimentare in prodotti nutraceuticali dalle caratteristiche curative, in proteine per l’alimentazione umana (o animale) e in fertilizzanti biologici. Certo per adesso si tratta di esperienze pilota dal valore finanziario difficilmente quantificabile, ma non per questo sono meno significative, soprattutto se si tiene conto che l’industria nutraceutica - che ha visto la luce solo qualche anno fa - entro il 2015 è destinata a raggiungere i 250 miliardi di dollari di fatturato. Un recente rapporto del Wall Street Journal sostiene inoltre che si tratta di settori che svolgeranno un ruolo trainante nel nuovo modello di sviluppo ecocompatibile e rinnovabile al quale puntano i paesi avanzati in questo crepuscolo di recessione economica.

Un'industria virtuosa. Non si tratta necessariamente di esperienze startup, come ci si potrebbe aspettare da questo tipo di innovazioni. In molti casi a prendere l’iniziativa sono aziende multinazionali come l'olandese DSM o la BP Alternative Energy Ventures, che hanno annunciato un finanziamento alla Verdezyne, uno dei leader del settore, per cominciare a produrre acido adipico - composto usato tra l’altro anche per produrre lubrificanti industriali e moquette - dalla fermentazione della biomassa di rifiuto generata producendo etanolo. Lo stesso prodotto si ottiene tradizionalmente dalla raffinazione del petrolio. Un’altra esperienza è quella della brasiliana Amyris, anche lei nel settore dei biocarburanti, che dalla biomassa di scarto dei suoi distillati ha deciso di estrarre farnesene, un isomero che può essere usato come base per cosmetici biologici e che in natura viene sintetizzato come anti parassitario da alcune specie di patate. Simili anche le esperienze delle statunitensi Aurora Algae e la Cellana. Le due aziende, che operano nel settore dei biocarburanti ricavati dalle alghe, dai loro scarti estraggono nutraceuticali che possono essere usati come integratori dietetici e cibo per l’acquacultura, mentre l’italiana AgrOils Technologies (settore biodisel) ha sviluppato, in collaborazione con la Creagri, un metodo per l’estrazione di principi biologici attivi dalle scorie di una pianta tropicale - la Jatropha curca - che gli rimangono per le mani dopo averne estratto gli oli per la produzione di biocarburanti. Non solo: mentre prima del trattamento le scorie erano tossiche, dopo la lavorazione della AgrOils diventano utilizzabili per produrre proteine per l’alimentazione umana ed animale.

C'è anche l'industria biofarmaceutica. Secondo Heather Youngs, analista bioenergetica dello Energy Bioscience Institute della Berkeley University, si tratta di un trend destinato a durare: "È un buon metodo per risolvere il problema della gestione dei rifiuti, uno dei problemi più pressanti e costosi di quest’industria”, ha affermato la Young. “Quei sottoprodotti - continua - hanno una profittabilità maggiore del biodiesel che invece tende a produrre profitti molto bassi, sopratutto tenendo conto del fatto che l’industria dei integratori dietetici e quella cosmetica sono costantemente alla ricerca di nuovi ingredienti per creare cibi e bevande funzionali e nuovi prodotti per la cura della persona”. Anche l’industria biofarmaceutica sta puntando sui composti ricavati dai coprodotti dell’industria agricola. Un recente rapporto del bimestrale Pharma, il maggiore periodico scientifico dell’industria farmaceutica mondiale, sosteneva la validità dell’uso dell’idrossitirosolo e delle catechine - due classi di molecole che si possono estrarre dai rifiuti dell’olio d’oliva e dalla lavorazione degli scarti delle pere, delle pesche e delle mele - nella lotta ai superbatteri che stano causando la gran parte delle contaminazioni alimentari del nostro tempo, batteri che sono immuni all’uso dei normali antibiotici a largo spettro che si usano in questi casi.

Non disperdere niente. Il problema dell’utilizzo dei coprodotti è particolarmente sentito dall’industria agricola e da quella alimentare, che hanno a che fare con quantità crescenti e difficilmente gestibili dei derivati del loro processo produttivo. Per fare un esempio, le acque di scarico per la produzione dell'olio d'oliva, solo nel bacino del Mediterraneo, superano i cinque miliardi di litri annuali. Come confronto, si pensi che l'incidente della DeepSea Horizon ha sversato 'solo' 651 milioni di litri di petrolio nell’Atlantico. In California, per affrontare questo problema di recente s’è costituito un consorzio di aziende ed istituti accademici. Le soluzioni esaminate variano dalla liofilizzazione della biomassa alla loro digestione in una camera di fermentazione. Sistemi che, oltre a creare le condizioni ideali per l’estrazione di molecole utili al sistema cardiovascolare e digerente, permette anche di produrre gas naturali per il consumo energetico.

(04 novembre 2011) © Riproduzione riservata

Come smaltire l’indifferenziato: una proposta

di gestione senza inceneritori

Presentiamo la proposta di Margherita Bologna, giornalista scientifica free lance basata su un progetto di smaltimento dell’indifferenziato mediante quattro impianti di trattamento a freddo, senza utilizzare inceneritori, con un risparmio energetico complessivo quattro volte superiore. Progetto scaricabile in allegato

mercoledì 16 febbraio 2011 16:11


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Dottoressa Bologna, il suo progetto "Proposte per controllare gli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti nella gestione dei materiali post utilizzo senza inceneritori" (scaricabile in allegato a fondo pagina) si fonda su 4 impianti di trattamento a freddo in grado di trattare circa l'80-90% dei rifiuti, più un quinto impianto, il mulino Thor, necessario per il trattamento della frazione residua. E' possibile quantificare il risparmio economico e i vantaggi ambientali che ne deriverebbero?

Dai grafici riportati nella mia proposta di gestione dei rifiuti senza inceneritori a colpo d'occhio si può desumere che i vantaggi economici sono notevoli. Se consideriamo il fatto che il risparmio complessivo di energia derivante dal riciclo dei materiali selezionati è circa quattro volte superiore all'energia prodotta con l'incenerimento e che, con la soluzione che propongo, si produce biogas mediante digestione anaerobica della parte organica dei rifiuti (e volendo elettricità), i vantaggi economici per tutta la comunità nazionale sono indubbi. Una calcolo preciso potrebbe essere oggetto di un successivo approfondimento. Il mio lavoro ha lo scopo di fornire un veloce quadro d'insieme a molti amministratori che molto spesso sono guidati nelle loro scelte da una visione estremamente parziale e riduttiva: quella della eliminazione dei materiali postutilizzo considerati come un problema e non come una risorsa, eliminazione che appare ai più un'ottima scelta soprattutto perché finalizzata alla produzione di energia.

Per quanto riguarda i vantaggi ambientali si stima che dalla riduzione dei rifiuti avviati in discarica,dal recupero della materia organica per produrre compost e dalla sostituzione delle materie prime vergini con materie riutilizzabili, si avrebbe una riduzione delle emissioni di CO2 corrispondente al 30% degli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto al 2020. Per quantificare altri indubbi vantaggi ambientali derivanti dai danni evitati alle persone ed all’ambiente, la Commissione europea ha creato un software apposito Ecosense-Web (Progetto Externee della Commissione Europea) http://scenarios.ew.eea.europa.eu/fol079729/online-model-inventory/ecosense mediante il quale è possibile calcolare i costi provenienti dagli impatti ambientali prodotti da qualsiasi fonte emissiva che produce elettricità. Anche qui occorrerebbe uno studio comparativo e particolareggiato specifico che lascio agli esperti del settore.

A suo parere, il fatto che in Italia la prima scelta ricada sempre sugli inceneritori da cosa dipende?

In parte dal fatto che molti amministratori a cui spettano certe scelte non conoscono le tecnologie di trattamento meccanico-biologico e si affidano alle proposte suggerite dalle multiutility che gestiscono i rifiuti. A loro volta i gestori sono spinti unicamente dalla volontà di intascare gli incentivi che vengono dati sotto forma di Certificati verdi alla (scarsa) produzione di energia ottenuta con l'incenerimento dei rifiuti. Poi una parte di responsabilità è da attribuire all'atteggiamento compiacente verso la politica di certa stampa che nasconde l'informazione sulle tecnologie alternative idonee a gestire i rifiuti senza inceneritori.

Nelle Sue proposte, Lei fa riferimento all'ecodesign e al concetto di simbiosi industriale. Può farci qualche esempio che ritiene riuscito con successo?

Oggi non tutti i materiali sono riciclabili quando giungono a fine vita. La Direttiva europea 2008/98 sollecita i produttori a prendere in considerazione il destino finale di una merce fin dal momento della sua ideazione. L'ecodesign non è altro che la progettazione di merci scegliendo le componenti e i materiali più idonei ad essere riciclati nel momento in cui ce ne disfiamo. In questo modo si riducono i rifiuti arrivando al riciclo totale.

Tuttavia 4/5 dei rifiuti sono di origine industriale. Il sistema migliore per ridurli è la creazione di una rete di scambio tra diverse aziende che utilizzano i sottoprodotti derivanti da un processo produttivo come materia prima da impiegare in un nuovo ciclo, con il duplice beneficio di ridurre i costi e rispettare l'ambiente. Ad esempio a Kalundborg, in Danimarca, un'industria farmaceutica produceva degli enzimi insieme ad una certa quantità di biomasse di scarto risultante dal processo di produzione. In un primo momento la biomassa veniva dispersa nelle acque di scarico dell'impianto, ora invece una parte di questa viene impiegata come fertilizzante organico, mentre quella di maggior pregio costituita dai lieviti, è rivenduta per l'alimentazione dei suini. Faccio un altro esempio di simbiosi industriale realizzata a Kalundborg: la desolforazione dei gas di scarico della centrale elettrica produce gesso che viene venduto ad un'altra ditta la quale non importa più del gesso naturale. Allo stesso modo il calore in eccesso dei processi produttivi può essere riutilizzato per il riscaldamento o per produrre energia e calore in altri impianti vicini. Sono tanti i modi e le forme per realizzare la simbiosi industriale tra imprese. A Kalundborg è nata in modo spontaneo e nel tempo. Ora, per applicare questo modello si stipulano accordi di cooperazione sul nascere che spesso danno origine a dei veri e propri parchi eco-industriali costruiti nell'ottica della produzione di zero scarti e zero rifiuti.

E' evidente che se la stessa società gestisce un inceneritore e la raccolta differenziata si crea un conflitto di interessi, che porta inevitabilmente ad abbassare il livello della raccolta per garantire un afflusso di rifiuti sufficiente all'impianto di termovalorizzazione. Ritiene che questo conflitto di interessi sia molto diffuso sul territorio nazionale?

Partendo dal presupposto contenuto nella sua asserzione direi proprio di sì anche se ho conoscenze dirette solo per la regione in cui abito, L'Emilia Romagna. Nella mia Regione ci sono ben otto inceneritori ed anche là dove si raggiungono alte performance di raccolta differenziata come a Parma se ne vogliono costruire altri col pretesto di bruciare i rifiuti speciali, come se non ci fossero tecnologie in grado di selezionare e avviare al riciclo anche questa tipologia di rifiuti. Ci sono impianti che selezionano i RAEE ed altri che selezionano e recuperano i rifiuti residui che provengono dalla rottamazione dei veicoli, il cosiddetto car fluff. E' ora di dare una svolta alla politica di gestione dei rifiuti nella mia Regione. Sarà quello che chiederò al Presidente Vasco Errani in marzo quando mi riceverà.

Parliamo di certificati verdi: come funziona il sistema e per quale motivo Lei ritiene necessario eliminarli?

E' noto a molti ormai che i certificati verdi sono incentivi dirottati dai finanziamenti previsti per lo sviluppo delle vere energie rinnovabili verso le fonti energetiche "assimilate alle rinnovabili" tra cui gli inceneritori con recupero energetico. Questi incentivi sono pagati dai cittadini nella bolletta elettrica sotto la voce A3. Secondo i dati forniti dal Gse nel 2009 ammontano a 33 miliardi di euro, mentre alle "vere rinnovabili" nello stesso anno vanno 13,5 miliardi. Gli inceneritori sono impianti talmente costosi che diventerebbero automaticamente una soluzione impraticabile nel momento in cui fossero tolti gli incentivi all'energia che producono. A mio parere tutte le tecnologie per trattare i materiali postutilizzo dovrebbero avere pari opportunità economiche. Invece con i certificati verdi ai cosiddetti termovalorizzatori il mercato è drogato.

"Proposte per controllare gli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti nella gestione dei materiali post utilizzo senza inceneritori" [0,92 MB]

Progetto di Margherita Bologna

http://www.greenreport.it

[ 12 gennaio 2011 ] Rifiuti e bonifiche

La prevenzione della produzione dei rifiuti nel nuovo codice ambientale

Eleonora Santucci

LIVORNO. Il Dlgs 205/2010 che recepisce la Direttiva europea 2008/98 e modifica la parte IV del cosiddetto Testo unico ambientale (Dlgs 152/06) introduce una serie di novità che riguardano la gerarchia della gestione dei rifiuti. Una gerarchia che se pur riconfermata, nel'individuare nell'ordine la prevenzione, riciclo, recupero e smaltimento viene innovata con l'inserimento del principio del "ciclo di vita" dei rifiuti che rende possibile in certi casi, discostarsi dall'ordine di priorità. Le novità riguardano anche l'introduzione della definizione di preparazione al riutilizzo e la previsione di nuove disposizioni che riguardano direttamente il principio di prevenzione (primo "step" della gerarchia).

Una corretta gestione dei rifiuti dovrebbe, infatti, passare in primo luogo attraverso la politica di prevenzione della produzione dei rifiuti, in secondo luogo attraverso la preparazione per riutilizzo (ossia le "operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui i prodotti o i componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento"), in terzo attraverso il riciclaggio (ossia "qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i rifiuti sono trattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini."), in quarto attraverso il recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia ed in ultima istanza attraverso lo smaltimento.

Per quanto riguarda la prevenzione della produzione dei rifiuti il legislatore oltre a introdurre il programma nazionale di prevenzione che deve essere varato e adottato dal Ministero dell'ambiente entro il dicembre 2013 (che a ben vedere rischia di essere un "libro dei sogni" colmo di buoni principi senza riscontro pratico) punta il dito sulla prevenzione quantitativa e qualitativa affermando e chiamando in causa la responsabilità del produttore.

Inserisce quindi un nuovo articolo "Responsabilità estesa dei produttori" (articolo 178-bis) con l'intento di rafforzare la prevenzione e facilitare l'utilizzo efficiente delle risorse durante l'intero ciclo di vita comprese le fasi di riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti, evitando di compromettere la libera circolazione delle merci sul mercato.

Prevede inoltre la possibilità da parte del Ministero dell'Ambiente di poter adottare - con uno o più decreti aventi natura regolamentare - le modalità e i criteri di introduzione della responsabilità estesa del produttore del prodotto. Il produttore è inteso come "qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti, nell'organizzazione del sistema di gestione dei rifiuti, e nell'accettazione dei prodotti restituiti e dei rifiuti che restano dopo il loro utilizzo".

Ai medesimi fini potranno anche essere adottate - con uno o più decreti del Ministro dell'Ambiente con il Ministero dello Sviluppo Economico - le modalità e i criteri di gestione dei rifiuti e della relativa responsabilità finanziaria dei produttori del prodotto. Potranno essere indicate le modalità di pubblicizzazione delle informazioni relative alla misura in cui il prodotto è riutilizzabile e riciclabile; i criteri della progettazione dei prodotti volta a ridurre i loro impatti ambientali e a diminuire o eliminare i rifiuti durante la produzione e il successivo utilizzo dei prodotti.

Così come potranno essere enunciati i criteri volti a favorire e incoraggiare lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti adatti all'uso multiplo, tecnicamente durevoli, e che, dopo essere diventati rifiuti, sono adatti a un recupero adeguato e sicuro e a uno smaltimento compatibile con l'ambiente.

In definitiva la nuova disposizione risulta quasi una petizione di principio che coinvolge gli stessi produttori e tutto il mondo industriale, che non sembrano ancora così pronti a scommettere fermamente su innovazione tecnologica di processo e di prodotto e che nei fatti sono invitati ma non obbligati a farlo da queste norme. Una progettazione ecosostenibile che introduce criteri e tecnologie nell'intento di migliorare le prestazioni ambientali nel corso dell'intero ciclo di vita di un prodotto che va dalla limitazione del consumo o la sostituzione di materie prime in fase di costruzione, al pensare ad un suo più facile smontaggio e riciclo fino allo smaltimento del prodotto, andrebbe quantomeno incentivata. Mentre non si intravedono strumenti in tal senso nel testo in esame e per questo il rischio è quello di incontrare la classica e consueta resistenza da parte del sistema introduttivo.

Del resto l'integrazione degli aspetti ambientali nelle caratteristiche del prodotto sin dalla loro concezione si riallaccia da un lato agli sviluppi della politica integrata relativa ai prodotti e dall'altro alle tre dimensioni economica, sociale e ambientale, della sostenibilità dei prodotti. Cosa che in Italia sembra un po' mancare.

Potremmo dunque definire il nuovo articolo come un compromesso fra il libero mercato e l'ambiente. Dove però quando il mercato è in difficoltà e l'economia vacilla, l'ambiente soccombe.

E in Norvegia i cittadini sono incentivati alla raccolta differrenziata. Più differenzi più guadagni. Guardate questo filmato girato a Oslo.

Siamo anni luce dall'Italia degli inceneritori e delle discariche!

http://www.youtube.com/watch?v=KK1oslkabxc&feature=aso

da http://www.ecodallecitta.it

Seconda edizione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti

Dal 20 al 28 novembre 2010

Record di adesioni per la seconda edizione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti: 4.000 azioni in Europa e circa 600 solo in Italia

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In allegato il rapporto sui rifiuti dello IEFE - Istituto di economia e politica dell'energia e dell'ambiente dell'Università Commerciale L. Bocconi