ACQUA

Rapporto nazionale pesticidi 2013-2014

pubblicato da Ispra nel maggio 2016

http://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/rapporti/rapporto-244/Tabelle%20regionali.pdf

Da L'Inkontro

19 luglio 2012

L'Europa condanna l'Italia sulle acque reflue

La Corte di giustizia europea ha stabilito che l'Italia ha violato le norme Ue sulla raccolta, trattamento e scarico delle acque reflue urbane non rispettando i tempi stabiliti per la loro applicazione.

La Corte ha dato quindi ragione alla Commissione europea che nel 2009 ha avviato una procedura d'infrazione contro l'Italia per il mancato rispetto delle norme Ue in decine di comuni italiani con una popolazione uguale o superiore ai 15.000 abitanti.

La sentenza emessa ribadisce l'obbligo per circa un centinaio di comuni (fra cui Reggio Calabria, Trieste, Rapallo, Capri, Frascati, Porto Cesareo, Cefalù a Ragusa) di avviare al più presto le opere necessarie per mettersi in regola con la direttiva Ue. Iniziative che, osservano fonti comunitarie, dovranno essere realizzate "al più presto possibile": altrimenti la Commissione potrà avviare una nuova procedura d'infrazione chiedendo stavolta allo Stato italiano, ultimo responsabile della corretta applicazione del diritto comunitario, di pagare delle multe.

L'Unione europea, con la direttiva 271 del 1991, ha introdotto norme per proteggere l'ambiente dalle ripercussioni negative degli scarichi di acque reflue fissando in particolare al 31 dicembre 2000 il termine ultimo per dotare tutte gli agglomerati urbani con 15.000 o più abitanti di reti fognarie.

Ma stabilendo anche che le acque reflue urbane fossero sottoposte, prima dello scarico, a trattamento biologico. Nel 2009 la Commissione aveva deciso di aprire una procedura d'infrazione contro l'Italia dopo aver constatato che decide e decine di comuni - tra i quali anche famose località turistiche - non si erano ancora adeguati, ben nove anni dopo la scadenza del 2000, agli obblighi imposti dalla direttiva Ue per tutelare l'ambiente e la salute dei cittadini.

Nella sentenza pronunciata oggi dalla Corte sono in totale otto le regioni (Calabria, Sicilia, Campania, Puglia, Abruzzo, Lazio, Friuli Venezia Giulia e Liguria) citate perché sul loro territorio si trovano città e paesi che non si sono ancora dotati di una rete fognarie e impianti di trattamento adeguati sia alle 'normali' condizioni climatiche e sia ai carichi eccezionali derivanti da fattori stagionali, in primo luogo l'afflusso di turisti.

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SPECIALE REFERENDUM DI WW.ALTRECONOMIA.IT

Giugno 2011

Luigino Bruni

docente di economia politica all’Università di Milano Bicocca

PRIVATO È CONTRO L’OTTIMO SOCIALE

Mito numero 1: con la legge Ronchi (166/2009) si completa la liberalizzazione del servizio idrico

integrato.

Falso: acquedotti, depurazione e fognature sono un“monopolio naturale”; affidarne la gestione a un privato,significa privatizzare un monopolio. Perché non può esistere concorrenza in un mercato di questo tipo.

Mito numero 2: gli acquedotti “pubblici” sono dei colabrodi.

Falso: secondo i dati di Mediobanca, il peggior acquedotto italiano, se guardiamo alla dispersione idrica (litri immessi in rete e non fatturati/abitanti/lunghezza della rete gestita), è quello di Roma, dove l’acquedotto è affidato ad Acea, una spa quotata in Borsa i cui principali azionisti sono il Comune di Roma, Francesco Gaetano Caltagirone e Suez.

Mito numero 3: la privatizzazione è un falso problema, perché sono “privati” solo 7 dei 114 soggetti affidatari (dati del Comitato nazionale di vigilanza sulle risorse idriche).

Falso: sette gestori del servizio idrico integrato sono società quotate in Borsa: A2a, Acea, Acegas-Aps, Acque potabili, Acsm-Agam, Hera, Iren; moltissime sono, invece, le società miste pubblico-privato.

E anche le società pubbliche presenti sono comunque società per azioni, cioè soggetti di diritto privato.

Mito numero 4: “Con questo provvedimento si porta a compimento la riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, tra i quali rientra la raccolta dei rifiuti, il trasporto pubblico locale e la gestione delle risorse idriche” (www.governo.it).

Falso: l’articolo 15 della legge Ronchi (166/2009), oggetto del primo quesito referendario, non può essere considerato una riforma dei servizi pubblici locali. Disciplina, infatti, solo le modalità di affidamento dellagestione del servizio, che “sarà soggetta a gara” e non potrà più essere effettuata in house, ovvero in via diretta.

Mito numero 5: con la liberalizzazione, e la concorrenza, la tariffa sarà più bassa.

Falso: in assenza di interventi normativi, tutti gli investimenti sulla rete acquedottistica finiscono in tariffa (in virtù della legge Galli del 1994, come modificata dal Dl 152/2006). Ciò significa che a tariffe più bassecorrisponderebbe necessariamente un blocco degli investimenti.

“Il calcolo della tariffa è poco trasparente” ha detto Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente, 15settembre 2010: questo è vero. Il secondo quesito interviene direttamente sul metodo di calcolo della tariffa (chiedendo l’abrogazione dell’articolo 154, comma 1 “Tariffa del servizio idrico integrato” del Dl 152/2006). Il ministro ha ragione: sono pochi i cittadini che sanno che con la loro bolletta coprono gli investimenti e garantiscono al gestore un tasso di remunerazione del capitale investito.

PERCHÉ VOTARE 2 SÌ CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA

Quando parliamo di “bene comune”, in economia intendiamo un bene consumato da più persone contemporaneamente. A differenza dei beni pubblici, quindi, il bene comune è un bene “rivale”: il consumo degli altri interferisce con il mio consumo, e lo riduce.

I beni pubblici sono infatti quei beni che possono essere goduti da tutti, senza contrasti. Un bene pubblico è la sicurezza, ad esempio. L’acqua è un bene che sta divenendo sempre più scarso, ovunque nel mondo. Per questo da bene pubblico puro sta diventando un bene comune (common, in inglese), il cui consumo è “rivale”. Quando il bene diventa comune, si cade facilmente in quella che viene chiamata in letteratura la “tragedia dei beni comuni”: si parla di “tragedia”, perché tendiamo a distruggere il bene stesso, a consumarne troppo. Andiamo quindi oltre il cosiddetto “ottimo sociale”, quel quantitativo che garantisce a tutti di consumare quel bene, e di preservarlo per il futuro. Il nostro consumo, l’“ottimo individuale”, è a scapito dell’ “ottimo sociale”. Ora con l’acqua, se la si consuma inseguendo i nostri “obiettivi individuali”, rischiamo sempre di più questa “tragedia”. Di questo occorre tenere conto quando entriamo nel dibattito sulla privatizzazione della gestione dei servizi idrici. Si dice: affidiamo la gestione a un soggetto privato, come nel caso dell’energia o delleautostrade; poi lo Stato regolamenterà il settore. Io ho dei dubbi perché le imprese private hanno per scopo il profitto. Chi massimizza il profitto non tiene conto dell’ottimo sociale, e difficilmente può essere controllato, nemmeno con un meccanismo di sanzioni. Per questo io penso che si debba affidare la gestione dei beni comuni a soggetti che non hanno il fine del profitto. Può essere il Comune, lo Stato, o un domani anche soggetti privati, imprese civili: succede già coi consorzi di cittadini creati in alcuni piccoli centri. Ciò che è importante è il “movente” per il quale si fa impresa. I soggetti che gestiscono i beni comuni non possono fare i profitti, che per definizione sono privati. Vale per l’acqua e vale per ogni bene comune. Se il naturale proprietario di un bene è un gruppo di persone, dal punto di vista etico ed economico non è ragionevole utilizzare questo bene affinché pochisoggetti (magari nemmeno residenti, come nel caso delle multinazionali straniere) ne facciano profitto. Inoltre,il profitto guarda al breve periodo, non al lungo o al lunghissimo periodo, come invece si dovrebbe fare specie nel caso dell’acqua: l’unità di misura temporale delle multinazionali è il trimestre. Il referendum sarà un punto di partenza. Il tema dell’acqua appassiona le persone, ma ci vorrebbe più dibattito pubblico. Dopo la vittoria dei sì, che ci auguriamo, dovremo infatti chiederci che cosa fare, come trovare nuove vie di efficienza.

Febbraio 2010

Alda La Rosa

L'ACQUA, UN BENE COMUNE DA TUTELARE

Attorno all’acqua si muovono e si intrecciano interessi che cresceranno sempre di più con l’acuirsi della crisi idrica, inevitabile se non si pone un freno ai cambiamenti climatici. L’acqua rischia di non bastare più per tutti gli abitanti del pianeta. Il “bene acqua”, per effetto dell’azione dell’uomo, pur essendo rinnovabile, può ridursi o addirittura esaurirsi. E’ quindi individualmente e collettivamente che bisogna prendersi cura di questo bene, come suggerisce Elinor Ostrom, premio Nobel 2009, preservandolo dalle speculazioni perché sia accessibile a tutti anche in futuro. Il processo di mercificazione in atto rischia invece di trasformare l’acqua da bene pubblico a proprietà privata. Un processo da contrastare per riaffermare il diritto all’acqua come diritto naturale, universale, inalienabile ed indivisibile che rientra fra i diritti a cui fa riferimento l’art. 2 della Costituzione Italiana e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

In questi mesi in Italia con la definitiva approvazione del decreto Fitto-Ronchi l’acqua potabile viene sottratta ai cittadini per consegnarla, a partire dal 2011, agli interessi delle grandi multinazionali. Un decreto che sancisce un nuovo business per i privati, spacciando la decisione come imposta dall’Europa. Ma il Parlamento europeo il 15 marzo 2006 ha dichiarato “l’acqua bene comune dell’umanità” e ha insistito affinché “la gestione delle risorse idriche si basi su un’impostazione partecipativa e integrata…” Anche nella strategia per il mercato interno l’UE ha affermato che “essendo l’acqua un bene comune dell’umanità, la gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle norme del mercato interno”. La nuova legislazione italiana annulla invece i margini concessi alle amministrazioni locali per mantenere la gestione dei servizi fondamentali come l’acqua. Riguardo alla Lombardia, nel novembre 2009 la Corte costituzionale stabiliva l’incostituzionalità dell’articolo della legge regionale che prevedeva una divisione tra chi eroga l’acqua e chi gestisce le reti e stabilisce che sia lo stesso ente a programmare e realizzare gli investimenti alle reti e a distribuire l’acqua ai cittadini. Il CO.VI.RI. bocciava a fine 2009 il piano d'ambito dell’ AATO di Pavia che, primo in Italia, aveva indetto un bando di gara per consegnare al migliore offerente l’erogazione del servizio idrico provinciale. A livello nazionale molte sono state le iniziative per contrastare la mercificazione dell’acqua: dalla raccolta firme svolta in tutti i comuni italiani alle manifestazioni di piazza. A Roma sabato 20 marzo vi sarà una grande manifestazione nazionale per bloccare la privatizzazione dell’acqua e chiedere l’approvazione della legge d’iniziativa popolare proposta dal Forum italiano dei movimenti dell’acqua. Ed è stata quindi la grande mobilitazione dei cittadini a muovere gli Enti locali che hanno costituito un Coordinamento Nazionale Enti Locali per l’Acqua Bene Comune e la Gestione Pubblica del Servizio Idrico e che il 16 marzo hanno indetto a Roma la prima Assemblea nazionale. La definizione del servizio idrico quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica è il fondamento di una buona azione di governo a difesa dei beni comuni ed è questo che stanno perseguendo molti comuni italiani. L’ultima in ordine di tempo Torino, che, grazie alle tante firme raccolte tra i cittadini, ha deliberato una modifica dello Statuto per mantenere in mano interamente pubblica gli impianti e la gestione senza scopo di lucro del servizio idrico integrato. In provincia di Pavia è stata avviata una raccolta firme in difesa dell’acqua - a Mortara, Olevano e Castello d’Agogna dalla nostra associazione - e già molti consigli comunali hanno modificato il proprio statuto. Sono stati avviati progetti educativi, come a Belgioioso, che si svilupperanno attraverso laboratori, visite all’acquedotto, al depuratore, un concorso sull’acqua e la partecipazione di educatori ambientali.

da La Repubblica, 7 ottobre 2010

LA CAMPAGNA

Quanto è buona l'acqua di casa

Ora arriva anche al supermercato

La Coop lancia una campagna per incentivare l'uso di quella del rubinetto. In Italia è quasi ovunque sicura e di qualità, eppure siamo i più grandi bevitori di minerale. Allo store di Gavinana una fontanella per rifornirsi senza pagare di MONICA RUBINO

Quanto è buona l'acqua di casa Ora arriva anche al supermercato

Luciana Littizetto, testimonial della campagna "Acqua di casa mia"

IN ITALIA l'acqua di rubinetto è buona e, nonostante i recenti rincari delle tariffe, costa ancora poco. Gli italiani però sono i più grandi consumatori di acqua in bottiglia di tutta Europa (ne bevono 195 litri a testa all'anno) e i terzi al mondo dopo arabi e messicani. Può sembrare un paradosso, ma è la realtà. Qualcosa, però, comincia a cambiare: da oggi in un grande supermercato toscano alla periferia sud di Firenze l'acqua viene distribuita gratis. All'interno della Coop di Gavinana, infatti, è possibile trovare un fontanello di Publiacqua, utility dell'area fiorentina, dove rifornirsi di acqua senza sborsare neanche un centesimo. Un risultato raggiunto grazie all'accordo, primo del genere in Italia, tra Publiacqua e Unicoop Firenze, che si inquadra all'interno di una campagna a favore del consumo di acqua del rubinetto promossa dalla principale catena della grande distribuzione italiana.

Bere acqua imbottigliata, del resto, non incide solo sul bilancio familiare, ma costa caro anche all'ambiente. Dalle fonti alla tavola il trasporto dell'acqua mette in movimento nel nostro paese ogni anno 480.000 tir (che, messi uno accanto all'altro, formerebbero una fila di 8.000 km, un viaggio andata e ritorno Roma-Mosca). Se poi all'acqua bevuta si aggiunge quella consumata (per mangiare, lavare, far funzionare siti produttivi e agricoli e così via) si scopre che ogni italiano usa al giorno 237 litri d'acqua (uno statunitense 425, un francese 150, un abitante del Madagascar 10).

Sul prezzo non c'è competizione: la cosiddetta "acqua del sindaco" secondo Legambiente costa in media 0,5 millesimi di euro al litro, mentre quella in bottiglia si aggira intorno ai 50 centesimi di euro al litro. Secondo una recentissima indagine di Federconsumatori svolta su un campione di 72 città italiane, negli ultimi dieci anni la bolletta dell'acqua è salita dell'85%, con differenze notevoli tra i vari capoluoghi (a Milano si pagano in media 107,79 euro l'anno contro i 447,23 di Firenze e i 204,08 di Roma). Nonostante quest'impennata, però, in Italia ci si disseta a prezzi ancora molto bassi rispetto ad altri paesi europei.

Il problema più grave e urgente da noi non è il costo dell'acqua ma il modo in cui questa viene distribuita. Gli acquedotti italiani rimangono i colabrodo di sempre: più di un quarto dell'acqua che trasportano si perde per strada.

GUARDA IL GRAFICO 1

Una volta entrata nelle case, lo spreco continua: consumiamo molta più acqua del necessario mentre al Sud, soprattutto d'estate, 8 milioni di italiani scendono sotto la soglia di emergenza e hanno il rubinetto a secco diverse ore al giorno. Basterebbe cambiare qualche abitudine per risparmiare acqua e denaro 2.

In questo quadro dai numeri sorprendenti, la campagna di Coop "Acqua di casa mia" punta proprio a diffondere un uso consapevole delle risorse idriche a partire dallo slogan: "Hai mai pensato a quanta strada deve fare l'acqua prima di arrivare nel tuo bicchiere?". Alla domanda, sui manifesti e negli spot interpretati da Luciana Littizzetto che presto appariranno in giro per l'Italia e in tv, segue un invito piuttosto inusuale per chi l'acqua la vende da sempre: "Salvaguardiamo l'ambiente: scegli l'acqua del rubinetto o proveniente da fonti vicine". Al consumatore resta poi la libertà di scelta tra queste diverse opzioni. Se per motivi di gusto o di salute non si vuole o non si può rinunciare alle acque in bottiglia (ma i dati Nielsen relativi al primo semestre 2010 registrano un calo del 4,7% del consumo di acque minerali rispetto al 2009) allora si può prestare attenzione a scegliere quelle minerali provenienti da sorgenti vicine che non hanno fatto molti chilometri sulle strade. L'imbottigliamento e il trasporto su gomma di 100 litri d'acqua che viaggiano per 100 Km (mediamente ne fanno molti di più) corrispondono, infatti, a circa 10 Kg di anidride carbonica (CO2) immessi in atmosfera. Se invece si sceglie l'acqua del rubinetto la produzione di CO2 è pari solo a 0,04 Kg. Un rapporto di 1 a 250.

A parte l'iniziativa di Gavinana, nei punti vendita Coop saranno presenti "scaffali parlanti", nei quali verrà indicata la mappa delle acque 3, ossia la precisa localizzazione geografica delle fonti, in modo che il consumatore possa verificare quanti chilometri ha percorso la bottiglia che sta acquistando prima di finire nel suo carrello. Dal punto di vista delle acque minerali a proprio marchio, Coop ha "alleggerito" le bottiglie, riducendo la quantità di plastica impiegata in una percentuale tra il 13 e il 20%. Un'operazione che, nel complesso, ha prodotto un risparmio all'anno di 3300 tonnellate di CO2. Per evitare inutili sprechi nei consumi idrici dei propri punti vendita, inoltre, sono state adottate iniziative come l'utilizzo di riduttori di flusso per i rubinetti, scarichi a doppia cacciata per i wc, raccolta delle acque piovane. Infine, in coerenza con la campagna, Coop da un mese ha raddoppiato le fonti di approvvigionamento della propria acqua a marchio aggiungendo alle due sorgenti originarie (Grigna in provincia di Lecco e monte Cimone in provincia di Modena) quelle di Valcimoliana (Pordenone) e Angelica (Perugia). La disponibilità di quattro fonti (più un'altra al Sud ancora da individuare) permetterà di ottenere, a regime, una riduzione della distanza media che le bottiglie devono compiere di circa il 12%. Su scala annuale significa 235.000 chilometri in meno, pari a 388 mila chilogrammi di CO2 non emessi.

Del resto di fonti, nel nostro paese, ce n'è in abbondanza e l'Italia è ancora un paradiso per chi decide di entrare nel business dell'acqua in bottiglia. Ogni territorio dispone di un ricco patrimonio di sorgenti, dalle quali le aziende imbottigliatrici attingono a prezzi spesso irrisori. Le Regioni, infatti, elargiscono concessioni in cambio di tariffe molto convenienti. Non esiste una legge nazionale che regoli la materia, perciò ogni Regione si regola a modo suo. Alcune esigono una somma per ogni ettaro di terreno sfruttato; altre per ogni metro cubo d'acqua prelevato; altre impongono sia l'una che l'altra tassa. Le regioni più all'avanguardia hanno fissato tariffe diverse a seconda della quantità d'acqua estratta.

In realtà negli ultimi anni c'è stata un'inversione di tendenza. Prima la Lombardia, poi il Piemonte, il Veneto, il Lazio e la Toscana hanno cambiato sistema: più acqua si imbottiglia, più si paga. L'ultima regione ad essersi messa al passo con i tempi è la Puglia. La giunta regionale, a giugno scorso, ha aumentato il canone di concessione da 50 a 130 euro per ettaro.

Se nel settore delle acque minerali la concorrenza è spietata, non tutta l'acqua di rubinetto è buona allo stesso modo. Secondo un'indagine di Altroconsumo 13 città su 34 hanno ottenuto il massimo dei voti sul piano della qualità. Tra le prime della classe ci sono Ancona, Bergamo, Bologna, Perugia, Roma e Trento. Bocciate, invece, Catanzaro e Genova per la presenza di sostanze indesiderate come trialometani, nichel e alluminio. Si pone, dunque, la questione dei limiti di potabilità. Per poter entrare nelle nostre case, l'acqua deve rispettare parametri fissati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Sostanze come cloriti, arsenico, fluoro sono tollerate fino a una certa soglia. Il decreto legislativo 31/2001, oltre ad aver reso più stringenti questi parametri, ha introdotto la possibilità, per Regioni e Province, di derogare alle regole per 3 anni fino a un massimo di 9. Come evidenziato dall'Osservatorio di Cittadinanzattiva sui servizi idrici 2009, otto regioni (erano 13 nel 2007), hanno chiesto deroghe al ministero della Salute per poter dichiarare bevibili le acque in alcuni comuni dei loro teritori. Si tratta di Lazio, Lombardia, Piemonte, Trentino, Umbria, Toscana e Puglia, per livelli di arsenico e cloriti fuori norma. Problemi che in parte derivano dall'origine vulcanica di alcune aree geografiche, in parte da un eccesso di sostanze chimiche utilizzate soprattutto in agricoltura. Secondo la legge, chi sfrutta una deroga dovrebbe informare tempestivamente la popolazione. Un dovere che non sempre viene assolto. In tutta Italia 25 aziende locali di gestione dell'acqua - tra cui Hera, Smat, Acea e Mediterranea delle Acque con bacini di utenza che comprendono grandi città come Bologna, Torino, Roma e Genova - hanno aderito alla campagna di Legambiente e Federutility "Acqua di rubinetto? Si grazie!" e fanno controlli con una frequenza più alta di quella prevista per legge. Inoltre rendono disponibili i risultati delle analisi tramite i propri siti internet, le bollette o la stampa locale. Queste buone pratiche sono di esempio. Le aziende che distribuiscono acqua nelle nostre case possono fare di meglio per garantire ai cittadini qualità e sicurezza.

Qui sotto il link all'inserto sull'acqua pubblicato sulla Provincia Pavese il 23 febbraio 2010

http://static.repubblica.it/laprovinciapavese/flash/Speciale_Acque/Default.html#/0

Da La Repubblica, 19 agosto 2010

IL PERSONAGGIO

La democrazia dell'acqua

e l'economia dei cowboy

La scienziata indiana e la sua lotta per i diritti idrici. "La democrazia si fonda su questo bene comune. La creazione di un mercato non gestito dalla collettività ci riporta al far west. Non possiamo diventare egoisti nell'uso delle risorse della natura" di VANDANA SHIVA

La democrazia dell'acqua e l'economia dei cowboy

Ci troviamo di fronte a una crisi idrica globale, che minaccia di peggiorare nei prossimi decenni; e man mano che la crisi si aggrava proseguono gli sforzi per ridefinire il concetto di diritti idrici. Un passo storico è avvenuto il 28 luglio, quando le Nazioni Unite hanno adottato una risoluzione che recita così: "L'acqua è una risorsa limitata e un bene pubblico fondamentale per la vita e la salute. Il diritto a disporre di acqua è indispensabile per condurre una vita dignitosa. È un prerequisito per la realizzazione di altri diritti dell'uomo".

Ma l'economia globalizzata trasforma sempre di più la definizione dell'acqua da proprietà comune a bene privato, da estrarre e rintracciare senza limiti. L'ordine economico globale esige la rimozione di tutti i vincoli, la deregolamentazione dell'uso dell'acqua e la creazione di mercati dell'acqua. I fautori del libero scambio delle risorse idriche considerano i diritti di proprietà privata l'unica alternativa alla proprietà pubblica, e il libero mercato l'unico sostituto della regolamentazione burocratica delle risorse idriche.

L'acqua deve rimanere, più di qualsiasi altra risorsa, un bene pubblico e dev'essere gestita dalla collettività. Nella maggior parte delle società l'acqua era ed è un bene che non può essere posseduto da privati. Testi antichi come le Istituzioni di Giustiniano dimostrano che l'acqua e altre risorse naturali sono beni pubblici: "Per legge di natura queste cose sono comuni all'umanità: l'aria, l'acqua corrente, il mare e di conseguenza la riva del mare...".

L'arrivo delle moderne tecnologie di estrazione dell'acqua ha accresciuto il ruolo dello Stato nella gestione delle risorse idriche. Soppiantando i metodi di autogestione, queste tecnologie hanno inflitto un duro colpo alle strutture democratiche per la gestione delle risorse idriche, che giocano un ruolo sempre meno importante nella conservazione. La globalizzazione e la privatizzazione delle risorse idriche stanno erodendo i diritti della popolazione e la proprietà collettiva si sta trasformando in proprietà delle grandi aziende. Le comunità di persone reali, con bisogni reali, vengono messe da parte nella corsa alla privatizzazione.

La spinta a privatizzare le risorse idriche comuni nasce da quella che io chiamo "l'economia del cowboy": se arrivi per primo in un posto hai il diritto assoluto di stuprare, saccheggiare, inquinare. Non hai nessun dovere verso i tuoi vicini, verso quelli che sono venuti prima di te, verso gli abitanti del luogo o quelli che sono venuti dopo di te. È interessante osservare che gli attuali tentativi di privatizzazione e queste leggi da far west sulle risorse idriche sono visti come un modello dal Cato Institute, un istituto di ricerca della destra americana: "Dalla frontiera occidentale, in particolare dai giacimenti minerari, sono nate la dottrina dell'appropriazione preventiva e le basi della commercializzazione dell'acqua. Questo sistema ha offerto gli ingredienti fondamentali per un mercato efficiente dell'acqua, dove i diritti di proprietà sono ben definiti, rispettati e trasferibili". (T. Anderson e P. Snyder).

La tendenza attuale a estendere l'economia del cowboy a livello globale è la ricetta ideale per distruggere le scarse risorse idriche mondiali e per escludere i poveri dal diritto all'acqua. Dal momento che l'acqua cade sulla terra in modo disomogeneo, dal momento che ogni essere vivente ha bisogno dell'acqua, la gestione decentralizzata e la proprietà democratica sono gli unici sistemi efficienti, sostenibili ed equi per il sostentamento di tutti.

Un elemento fondamentale della filosofia indiana, essenziale per la giustizia sociale, è l'uso accorto e morigerato delle risorse. Secondo un antico testo indiano, le Ishopanishad: "Un uomo egoista nell'usare le risorse della natura per soddisfare i propri bisogni crescenti non è nient'altro che un ladro, perché usare le risorse al di là del proprio bisogno vuol dire usare risorse a cui altri hanno diritto". E come disse con straordinaria concisione il Mahatma Gandhi: "La terra offre abbastanza per i bisogni di ciascuno, ma non per l'avidità di ciascuno".

Oltre lo Stato e oltre il mercato c'è la forza della partecipazione collettiva. Oltre le burocrazie e oltre il potere delle aziende c'è la promessa della democrazia idrica.

da http://www.terranews.it

La rivoluzione parte da Parigi L’acqua torna a essere pubblica

Susan Dabbous

FRANCIA. Bernard Delanoe, sindaco della città della Senna, ha mantenuto la sua parola. Il servizio sarà nuovamente municipalizzato. Colpo basso per le multinazionali dell'oro azzurro Veolia e Suez. Sconti per le famiglie a basso reddito.

Lo aveva promesso in campagna elettorale e alla fine si è dimostrato un uomo di parola. Bertrand Delanoe, sindaco socialista di Parigi ha portato a termine la sua missione per municipalizzare di nuovo l’acqua nella sua città. Davanti ad una agguerrita resistenza del partito di destra all’opposizione in sede di consiglio comunale, martedì scorso ha esposto gli ultimi particolari tecnici della rivoluzione idrica nella città della Senna. Il capogruppo dell’Ump, partito di destra, Jean-François Lamour, ha parlato di ritorno al passato e di interruzione di un servizio efficiente basato su una «sana concorrenza tra le due concessionarie» mentre ora la distribuzione dell’acqua verrà trasformato in una sorta di «macchina da guerra»; in altre parole il consigliere teme l’istituzione dell’ennesimo enorme apparato burocratico. La terza e ultima delibera nell’Hotel de Ville è servita, infatti, a definire i termini del trasferimento del personale nella transizione dal privato al pubblico. Nessuno perderà il lavoro e i 900 dipendenti delle concessionarie verranno tutti assunti nell'ente municipale Eau de Paris (Acqua di Parigi), nato il primo maggio scorso. I contratti delle due multinazionali Veolia e Suez che gestiscono il servizio idrico nella capitale francese, inerenti alla distribuzione, scadranno il prossimo 31 dicembre, mentre il 2011 sarà la deadline per ciò che attiene la produzione. Il ritorno alla gestione municipalizzata farà risparmiare al Comune circa 30 milioni di euro l’anno, che porteranno il prezzo dell’acqua per metro cubo a 2,77 euro fino al 2014. I risparmi saranno reinvestiti in opere di risanamento delle infrastrutture idriche. Durante l’operazione, che va tutta a loro svantaggio, le perdite economiche di Veolia e Suez sono stimate intorno ai 200 milioni di euro. In realtà le intenzioni del sindaco non sono state ispirate da posizioni puramente ideologiche, anche se è stato ribadito più volte che l’acqua è un diritto e non solo un servizio, bensì dalla constatazione di numerosi disservizi che vanno dalla scarsa manutenzione delle tubature all’aumento costante dei prezzi. Con il passaggio al servizio pubblico, invece, questi ultimi rimarranno bloccati per 5 anni, mentre aumenteranno le campagne di informazione al cittadino, che potrà controllare la composizione chimica dell’acqua che esce dal proprio rubinetto. E se da un lato è vero che non vi saranno variazioni sensibili nella bolletta dei cittadini, lo è anche che d’ora in poi le famiglie a basso reddito avranno uno sconto del 50 per cento. A precisarlo è Anne Le Strat, assessore all’Acqua che segue passo dopo passo la difficile riforma da lei stessa definita una «rivoluzione storica». Mettere fine agli interessi dei leader mondiali del business dell’oro azzurro, Veolia e Suez, non è stata cosa semplice. Fu l’allora sindaco di Parigi Jaqcues Chirac nel 1984 a consegnare l’acqua della capitale nelle loro mani. Evidentemente in questi 25 anni non sono stati in grado di farne un uso corretto.