La festa dei morti
e la sua tradizione
La Festa dei Morti è una tradizione molto antica ed è nata per creare un legame fra i più piccoli componenti di una famiglia e gli antenati scomparsi; è oggi una tradizione che tende a scemare anche se resta l'abitudine di regalare dolci e in qualche caso anche doni.
Ma come nasce e perché?
Si narra che nella notte tra l’1 e il 2 novembre, i morti si risveglino e vaghino per procurarsi dolciumi e giocattoli per i bambini a loro cari che durante l’anno si sono comportati bene e hanno pregato per loro. I bambini, prima di andare a letto, preparano un cesto sotto il letto che i morti riempiranno durante la notte con i regali e nasconderanno da qualche parte in casa. Al risveglio i bambini, festanti, dovranno cercare i doni nascosti in giro per casa. A coloro che non sono stati buoni, invece, i morti verranno a grattugiare i piedi, per questo motivo si nascondono le grattugie in modo che i morti non le trovino.
U cannistru
Ancora oggi si usa fare “u cannistru” (il canestro), pieno di biscotti tipici della festività come gli “ossi ri morti” (dolcetti di farina e zucchero aromatizzati con chiodi di garofano e cannella e dalla forma simile alle ossa umane) e i “tetù” o misto siciliano, castagne, scaccio (frutta secca), dolci di martorana, cioccolata e giocattoli. Non può mancare la “pupaccena”, un pupazzo di zucchero dipinto a mano con sembianze umane.
Piatto tipico di questo giorno sono, poi, le “favi a cunigghiu” (fave a coniglio), dette in alcune zone anche “favi ’n quasuni”. L’uso delle fave era in voga anche a Palermo nel XVIII secolo, ma in città si prediligono tuttora le “muffulette schiette o maritate”, pane morbido e tondo ripieno. In alcune parti della Sicilia, si è soliti accompagnare le fave alle “armuzzi”, pane antropomorfo raffigurante fino al tronco le anime del purgatorio con le mani incrociate sul petto.
Usanza di questo giorno di commemorazione è recarsi al cimitero per far visita ai parenti defunti. Fino a qualche decennio fa, molti usavano restare tutto il giorno presso la tomba del defunto, dove si apparecchiava per il pranzo.
Altra tipica usanza di questa festa è visitare le
Catacombe dei Cappuccini a Palermo
un cimitero sotterraneo del XVI secolo dove si possono vedere ancora i corpi mummificati di quanti lì hanno trovato sepoltura.
Fra cibo, dolci e usanze, dunque, la Sicilia ha una lunga tradizione relativa alla Festa dei Morti.
C’è una filastrocca relativa alla festa dei morti ed è:
"Armi santi, armi santi (anime sante)
Io sugnu unu e vuatri siti tanti: ( io sono uno e Voi siete tante)
Mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai (mentre sono in questo mondo di
guai)
Cosi di morti mittitiminni assai" (Regali dei morti mettetemene molti)
Ora vi spiegheremo la festa dei morti…raccontata da…
ANDREA CAMILLERI
Andrea Calogero Camilleri nasce nel 1925 e muore qualche anno fa, nel 2019; era uno scrittore, attore e regista. Ha insegnato regia all'Accademia nazionale di arte drammatica, e tra gli studenti ha avuto Luca Zingaretti, che poi diventerà il Commissario Montalbano. Le sue opere (oltre cento) sono state tradotte in almeno 120 lingue e ha venduto più di 10 milioni di copie.
Ecco la festa dei morti raccontata da lui:
Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.
Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.
I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.
Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.
(da Racconti quotidiani di Andrea Camilleri)
Per la festa dei morti ci sono dei dolci tradizionali e sono:
Pupi di zucchero: come già si evince dal nome, si tratta di “bambole”
fatte di zucchero. I soggetti sono tanti: anticamente, si usava raffigurare
i paladini o figure femminili, ma oggi si vedono anche famosi personaggi
dei cartoni animati.
Frutta di Martorana: si trova nelle pasticcerie siciliane tutto l’anno, ma è
tipica del periodo della Festa dei morti. Sugli scaffali, i frutti a base di
pasta di mandorla brillano di tanti colori: un vero piacere per gli occhi,
che si trasforma presto nel piacere del palato.
Ossa dei morti: la forma di questi biscotti ricorda quella delle ossa, la
consistenza è molto particolare. Il sapore, naturalmente, dolcissimo.
Tetù: già dal nome, si capisce che è difficile resistere a questi biscotti.
“Tetù”, infatti, sarebbe l’abbreviativo di “tetù e teio”, cioè “tieni tu e
tengo io”. Questo significa che il dolce va condiviso fino a quando non ne
rimane neanche uno.
Rame di Napoli: questo dolce è tipico del Catanese. L’origine del nome
risalirebbe al periodo del Regno delle Due Sicilie. A seguito
dell’annessione della Sicilia al Regno di Napoli, i borbonici coniarono una
nuova moneta in lega di rame. I siciliani, in onore del nuovo regno,
crearono la versione dolciaria della moneta che chiamarono “Rame di
Napoli”.
Nucatoli: sono dolcetti dalla forma allungata o a forma di “S”.
Anticamente si preparavano in occasione delle festività natalizie, ma si è
diffusa la tradizione di consumarlo anche durante la Festa dei Morti.
Paste ri meli: sono dolci biscotti a base di miele, dalla consistenza molto
particolare.
Alunni della II D Vanessa Schembri
Per il video: Schembri Vanessa - Frisella Miryam - Salvia Alice
Montaggio: Scasso Vincenzo