PALESTINA: LA DEMOGRAFIA DEL MANDATO BRITANNICO    

di Giustiniano Giuseppa e Ludovica Giammona

L'idea di Israele nasce sulla spinta dei nazionalismi europei,in quanto,il giornalista europeo T. Herzel elaborò l'ideologia del Sionismo  che rivendicava il diritto all'autodeterminazione del popolo ebraico,ipotizzando la Palestina come destinazione dell’insediamento dei coloni. Tutto ciò trasse forza dalla Dichiarazione  Balfour, promulgata il 2 novembre 1917 che sosteneva la creazione di una nuova entità territoriale sovrana e di uno stato coloniale per il popolo ebraico in Palestina. 

Allo stesso tempo, la dichiarazione negava ai palestinesi i loro diritti a uno stato nazionale e offriva loro solo diritti civili e religiosi. In fondo, e in linea con i gli scritti di Balfour, i palestinesi erano orientali incapaci di auto-governarsi e di raggiungere l’auto-determinazione.  I paesi vincitori si spartirono le province arabe dell’impero ottomano. Alla conferenza di Sanremo la Palestina,l’Iraq e la Giordania furono affidati alla Gran Bretagna,mentre i territori corrispondenti all’attuale Siria e Libano passarono sotto il controllo della Francia. 

La presenza di Londra e Parigi rappresentava il nucleo delle Nazioni Unite con la creazione dei Mandati.

Dopo il secondo conflitto mondiale, Londra decise di rimettere il mandato alle Nazioni Unite e di lasciare loro la decisione sul futuro della regione. La risoluzione 181 dell’ONU, approvata il 29 novembre 1947, prevedeva di dividere il territorio palestinese in due parti, una per gli arabi e una per gli ebrei. La risoluzione, che favoriva soprattutto la parte ebraica, fu rifiutata dagli arabi. La proposta dell’ONU non era il primo tentativo di spartizione, perché già nel 1937 una commissione nominata dal Regno Unito, che governava la Palestina su mandato della Società delle Nazioni, aveva avanzato l’idea di fondare due Stati etnici, uno per gli arabi e uno per gli ebrei. Nuovi tentativi di divisione del territorio sono stati proposti in tempi recenti, ma le due parti non hanno mai trovato un accordo. Inoltre, insieme alla definizione dei confini sussistono altre questioni che rendono ancora più difficile la risoluzione del conflitto israelo-palestinese.

Al termine del conflitto (1949) con la sconfitta degli eserciti arabi,i confini di Israele comprendevano il 78% del territorio della Palestina mandataria.

La “NAKBA” è ricordata dai palestinesi ogni anno il 15 maggio, un giorno dopo la fondazione dello stato di Israele. All’epoca gli ebrei perseguitati in Europa fuggirono in Palestina. Con la fine della guerra, l’Onu fece un piano di partizione: il 56% del territorio doveva andare agli ebrei e il resto ai palestinesi. Gerusalemme rimaneva territorio neutrale. La leadership ebraica accettò la proposta dell’ONU, e il 14 maggio 1948 David Ben Gurion, diventato primo ministro, dichiarò la fondazione dello stato di Israele. Stati Uniti e Unione Sovietica riconobbero il nuovo Stato. I palestinesi invece rifiutarono la risoluzione poiché la Palestina era stato per secoli territorio arabo. Nei giorni successivi una coalizione di Stati arabi attaccarono Israele. L’esercito israeliano contrattaccò, conquistando enormi porzioni di territorio che l’Onu aveva attribuito ai palestinesi. In seguito alla vittoria di Israele, centinaia di villaggi vennero distrutti e circa 700mila palestinesi furono costretti a lasciare le proprie case.

Gli israeliani, quindi, si ritrovarono a controllare un territorio molto più ampio di quanto prevedeva il piano proposto dall’Onu: avevano in più la regione di Acre vicino al confine col Libano, il deserto del Negev nel Sud del Paese e una fascia di territorio fra Tel Aviv e Gerusalemme. Il guaio è che questi territori erano abitati da migliaia di arabi palestinesi. Molti di loro furono costretti a fuggire, altri vennero espulsi dall’esercito israeliano. Un esempio tra tutti è Giaffa, storica città araba, diventato quartiere di Tel Aviv, la città israeliana fondata nel 1909. Ad Haifa, altra città portuale araba, decine di villaggi palestinesi furono distrutti e ripopolati da insediamenti israeliani.

Alla fine del 1948 l’Onu dichiarò una nuova risoluzione che garantiva ai palestinesi “il diritto di ritorno” alle proprie case, ma Israele non accettò la decisione. Anche prima della guerra, diversi ebrei arrivati in Israele ritenevano che per i palestinesi fosse più semplice trasferirsi in uno Stato arabo limitrofo. Oggi per i palestinesi tornare alle proprie case è impossibile, visto che nel frattempo sono state demolite e sostituite da altre abitazioni oppure mai ricostruite.