Giacomo Matteotti

di Elisa Maria Sutera 3E

In occasione del 25 aprile di quest’anno, reputo di fondamentale importanza ricordare un personaggio storico la cui storia merita di essere raccontata e divulgata sempre più: Giacomo Matteotti.

Giacomo Matteotti nacque a Fratta Polesine nel 1885. Si era iscritto, subito dopo la sua laurea in giurisprudenza, al partito socialista, in cui ebbe un’ottima carriera. Egli fu segretario del PSU (Partito Socialista Unitario) e un antifascista italiano, che visse durante gli anni che succedettero alla prima guerra mondiale. Era molto attivo in politica: la sua carriera da politico iniziò nel 1919 all'interno del Parlamento con il Partito Socialista. Quando si sviluppò la dittatura di Benito Mussolini, Matteotti  divenne la voce dell'opposizione e si dedicò autonomamente alla lotta contro il fascismo, sfidando spesso il duce. Aveva capito che Mussolini non sopportava essere messo in ridicolo, così Matteotti continuava ad alimentare una polemica sulla sua ideologia in Parlamento, in modo tale da provocarlo. Ma Mussolini reagì e, un anno prima di essere ucciso, Matteotti venne avvertito attraverso un articolo del quotidiano “Il popolo d'Italia”, che citava: Quanto a Matteotti, volgare mistificare, notissimo vigliacco e spregevolissimo ruffiano, sarà bene che si guardi. Che se dovesse capitargli di trovarsi, un giorno o l'altro, con la testa rotta (ma proprio rotta) non sarà certo in diritto di dolersi dopo tanta ignobilità scritta e sottoscritta. 

Durante i primi anni del 1920, mentre la dittatura fascista stava sempre più affermandosi, Giacomo Matteotti pubblicò un saggio dal titolo “Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia” che marcava l'opposizione del politico nei confronti della violenza squadrista ed in cui affermava che la ripresa economica che si stava verificando in seguito alla guerra non era dovuta all'intervento fascista, bensì all'energia popolare. Le elezioni politiche del 6 aprile del 1924 vennero vinte dal Listone, cioè la  Lista Nazionale fondata e guidata da Benito Mussolini per le elezioni della Camera dei deputati. Poco dopo, Giacomo Matteotti si fece avanti e denunciò le anomalie delle elezioni, in quanto si verificarono molte intimidazioni che condussero alla vittoria del partito. Importante anche da ricordare una delle intimidazioni più significative avvenute in occasione di queste elezioni, quella di Antonio Piccinini manifestatasi a Reggio Emilia. Dopo aver concluso il suo discorso in Parlamento ai i suoi compagni, Matteotti disse: “Io il mio discorso l'ho fatto. Ora tocca a voi preparare un discorso funebre per me”, riferendosi ai suoi compagni di partito, e aggiunse “Uccidete pure me, ma è l'idea che è in me non la ucciderete mai”. Furono delle frasi profetiche in quanto, dopo il suo discorso in cui denunciava le intimidazioni si aspettava di essere ucciso, e così fu. Matteotti era uno degli ultimi ostacoli per il regime di Mussolini, perciò doveva essere necessariamente eliminato.

Il 10 giugno del 1924 fu l'ultimo giorno di vita di Giacomo Matteotti. Uscì dal suo appartamento nel pomeriggio per recarsi a palazzo Montecitorio, scegliendo di proseguire lungo un tragitto diverso rispetto al solito che percorreva, passando per il lungotevere Arnaldo da Brescia. Nel luogo si trovava un'automobile ferma con dentro cinque persone, che vennero identificati successivamente in componenti della Ceka del Viminale, un' organizzazione segreta nata per colpire gli oppositori del regime e responsabili di molte operazioni extralegali, la polizia antifascista. Si trattava di Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacrima, Amleto Poveromo.

Matteotti venne inizialmente aggredito da due individui, di cui uno riuscì a svincolarsi, ma venne aggredito da un terzo subito dopo. Altri due lo caricarono in macchina dove venne ucciso con un coltello da Giuseppe Viola o Albino Volpi durante una pesante rissa in cui il politico riuscì a lanciare fuori dal finestrino il suo tesserino da parlamentare che venne ritrovato da due contadini vicino al Ponte del Risorgimento. La polizia politica antifascista girò dentro la macchina fin quando non raggiunsero un bosco di Riano, la Macchia della Quartarella, dove seppellirono il corpo della vittima.

L'opinione pubblica diede la colpa del delitto Matteotti a Benito Mussolini ma il duce, nella Camera, il 3 gennaio del 1925, respinse la sua accusa. Poco dopo, però, ammise il suo coinvolgimento pronunciando il seguente discorso:

Ma o poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l'arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di quest'Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e via la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato  un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi!”.