Sofia Maria Sorace

1° BBIO

IL TRENO FANTASMA

Ero sdraiato sul divano a vedere una classica serie TV su Netflix mentre mangiavo il mio solito panino con prosciutto e formaggio, quando suonò il campanello.

Sbuffai, non mi piaceva essere interrotto durante i miei pasti, per di più alle nove di sera! Chi poteva mai essere a quell'ora?

Andai ad aprire controvoglia. Non c’era nessuno, se non una lettera abbandonata sul pavimento davanti alla porta. Rientrai e chiusi la porta alle mie spalle. Era da parte di mia nonna. La aprii subito, non la sentivo da tanto e il fatto che mi avesse

scritto non poteva farmi più che piacere.

“Carissimo nipote, spero tanto che questa lettera ti arrivi il prima possibile, si sente la tua mancanza qui. L’ultima volta che ci siamo visti è stato due anni e tre mesi fa, i giorni non li ho contati purtroppo. D’inverno la neve non manca mai a Manchester, certe volte fatico pure ad uscire di casa!

A Londra invece come te la passi ? Trovata la fidanzatina? Mi raccomando, appena ci rivedremo vorrò sapere tutto sulla tua vita sentimentale!

Ti aspetto domani mattina, vieni a trovarmi, stare da sola senza il mio nipotino è così noioso!

Tanti saluti, la tua nonnina.”

Sorrisi, non mi aspettavo una lettera da parte sua. In effetti non la sentivo da tantissimo e non ho mai avuto tempo per andarla a trovare a causa del lavoro: in questo periodo mi stanno chiamando tutti per andare in tribunale, come avvocato

difensore. È un lusso ma anche una vera seccatura. Decisi di prendermi qualche giorno di ferie per poter stare con lei, in fondo era da tanto che non le parlavo dal vivo. Presi anche dalla dispensa un pacchetto di cioccolatini regalati da alcuni clienti, non potevo di certo arrivare lì a mani vuote.

Sarei arrivato da lei nella tarda mattinata. Avrei preso il treno delle 5:45 da Londra a Manchester; di solito il viaggio dura qualche ora.

Notai che al binario non c’era anima viva, evidentemente la gente andava a lavorare più tardi. Dopo una decina di minuti, il treno arrivò. Ero seduto su una panchina così intento a giocare a “scopa” sul telefono che quasi non mi resi nemmeno conto del suo arrivo.

Salii. L’interno mi sembrava simile allo stesso treno della serie thriller che stavo guardando la sera prima, prima che arrivasse la lettera. I sedili erano a scacchi rossi e neri e i cuscini poggiatesta blu. Erano tutti disposti a quattro e dalla parte del finestrino c’era un piccolo davanzale con sotto il cestino.

I corridoi erano lunghi, così come lo erano i vagoni. All’interno non c’era nessuno, tutto il treno era vuoto, completamente.

Girovagai per vedere se ci fosse qualche sparuta presenza oltre me; tutti i vagoni erano vuoti, tranne uno, l’unico dove tutte le postazioni erano messe una di fronte all’altra, con alle spalle i finestrini. C’era giusto qualche sedile vuoto. Tutti i passeggeri si stavano guardando, o almeno, così mi sembrava. Non riuscivo ad intravedere i loro volti, credo a causa della lontananza.

Mi avvicinai senza girare lo sguardo verso di loro e mi sedetti su un sedile che si trovava nello scompartimento di fianco a loro.

Accesi il telefono: non c’era segnale. A questo punto non potevo far altro se non aspettare sperando che il viaggio non mi sarebbe sembrato troppo lungo.

Passò circa mezz’ora e io non sapevo che fare. Mi sentivo un bambino che faceva i capricci quando i genitori non volevano comprargli un giochino. Mi alzai. Girai lo sguardo verso quel misterioso vagone e notai che le facce dei viaggiatori erano tutte indescrivibili. Non riuscivo a vederle, una improvvisa miopia? Mi avvicinai cautamente cercando di mettere a fuoco il viso di ognuno, ma non ci riuscivo. La noia certe volte gioca brutti scherzi! Continuai il mio breve percorso verso quel mistero. Una sensazione di mancamento mi colpì il petto man mano che io mi avvicinavo. Aumentava sempre di più, mi mancava il respiro. Mi girai di scatto e tornai indietro buttandomi a peso morto sul primo sedile che trovai. Non mi ero mai sentito così, non sapevo descrivere quello che stavo provando. Non era una semplice nausea quella che provavo, era come se dentro di me ci fosse un corpo estraneo o un qualcosa che mi impedisse di avanzare. Il cuore batteva all’impazzata senza mai rallentare, ero completamente terrorizzato, ma soprattutto confuso. Appena mi allontanai, i sintomi scomparvero, come se non fossero stati reali, come se tutto fosse accaduto nella mia testa. Ma io l’avevo sentita, quella sensazione, l’avevo provata sulla mia pelle, non potevo essere pazzo! Come faceva la gente lì dentro a non essere colpita da quel mal di testa tremendo? Forse ero io ad essere fuori di testa.

Mi sedetti di nuovo. Quel malessere, quella strana sensazione di poco prima non voleva andarsene. Provai a stendermi e mettermi comodo per riposare un po’ e riprendermi. Ogni trenta secondi mi giravo e rigiravo, ero scomodo e in quel modo non riuscivo a dormire.

Perciò mi alzai nuovamente aggrappandomi a uno dei pali fissati al pavimento e al soffitto per potermi reggere in piedi. Ero sfinito, ma la mia curiosità non cessava e la voglia di ritornare in quel vagone aumentava sempre di più.

Dopo qualche minuto, pensando al da farsi, decisi di ritornare lì, stavolta correndo, senza farmi scoraggiare dalla nausea improvvisa che sapevo sarebbe arrivata. Feci un respiro profondo e corsi, come un cagnolino quando va a raccogliere il bastoncino lanciato dal suo padrone oppure come un bambino quando scappa pur di non esser preso dai suoi amici mentre giocano a “ce l’hai”.

Dopo una grande fatica, ci riuscii. Ero di nuovo dentro, ma non ne ero affatto felice. Il disagio che provavo in quel momento era allucinante, mi avrebbero preso tutti per uno scemo che si comporta come un misero bambino spaventato. Ma nessuno mi aveva dedicato un solo momento della sua attenzione, tutti avevano lo sguardo puntato in basso, come se stessero guardando il vuoto. Nessuno si era mosso di un solo millimetro, sembrava non stessero nemmeno respirando. La cosa che mi spaventava era che l’immagine del loro viso sembrava come sfocata, non riuscivo a distinguere la bocca, gli occhi, il naso, nulla. Non vedevo nulla. Notai che indossavano vestiti sporchi, rovinati, strappati e... antichi, simili a quelli del secolo scorso. Da quanto tempo si trovavano qui? La loro pelle era quasi invisibile, più che vederla, la sentivo. In questo vagone c’era “un’aura” inquietante, come se mille anime si fossero radunate tutte lì dentro a festeggiare la loro morte.

Mi sedetti di fianco a uno di loro, ignaro della vera situazione. Aveva lo sguardo puntato sui suoi piedi, la testa priva di capelli, pallido e anche se era magro, non si intravedevano le ossa. Nonostante ciò, riuscivo a stare seduto comodamente e, perso nei miei pensieri, mi addormentai beatamente.

Non so quanto tempo fosse passato. Aprii gli occhi, prima uno e poi l’altro. Non c’era molta luce, quindi non ci misi molto tempo a mettere a fuoco. Guardai dietro di me per cercare di capire dove si trovasse il treno, ma non riuscii. Era tutto nero, nessun suono, nessun rumore dei binari che passavano sotto, il nulla.

Perché non si intravedeva nulla? Eravamo forse all’interno di una galleria? In un sotterraneo? Ma com’era possibile che lì dentro fosse così silenzioso? Iniziai ad agitarmi, ero così assalito dalla preoccupazione che non mi ero accorto del fatto che tutti mi stessero guardando, anzi, letteralmente fissando. Persino il passeggero al mio fianco aveva la testa girata verso di me. Capii solo in quel momento il motivo per il quale non riuscivo mai a intravedere le loro facce: non possedevano un volto, non ero ad essere io pazzo o miope, erano loro ad essere tremendamente spaventosi. Eppure, io li sentivo. Sentivo le loro anime perseguitarmi da quando ero salito in questo treno. ‘Cosa sta succedendo? Dove mi trovo veramente? Chi sono queste creature?’

Sobbalzai quando all’interno del vagone entrò un loro simile, che però si muoveva, al contrario degli altri. Stavo per avere una crisi di panico, non riuscivo a controllare il tremolio delle mie gambe, ero terrorizzato.

Fece un passo, due, tre, poi si fermò dinanzi a me. Non riuscii ad alzare lo sguardo verso di lui, ero troppo concentrato sul coltellino che teneva nella sua mano sinistra. Le sue mani non possedevano vene, le nocche non si notavano affatto e le dita sembravano quasi morbide. Nessun osso in nessuna parte del corpo, questo sì che è davvero sconvolgente!

Mi alzai di scatto e lo sorpassai. Corsi verso la testa del treno, la cabina dove si trova solitamente il macchinista. Andare lì era l’unico modo per ricevere qualche informazione, però dovevo sbrigarmi. Quando entrai però, non vidi anima viva.

Era tutto oscurato e vuoto, mi sembrava di trovarmi all’interno di un buco nero. Non ero nella stazione da cui ero partito, quindi immagino il treno si stia muovendo! Santo cielo, stava andando da solo! Era impossibile!

Provai in tutti i modi a fermarlo, toccando tutti i pulsanti, pur non sapendo la loro funzione. Avevo schiacciato persino il tasto di emergenza, che come gli altri, non rispondeva. Non capivo se avessi fatto qualcosa, la visione rimaneva scura, non potevo nemmeno affidarmi ai rumori poiché il silenzio era assoluto.

Tornai indietro, cercai un cartello o un qualcosa da usare come punto di riferimento per capire dove mi trovassi, ma erano tutti spenti.

Stavo correndo, dovevo nascondermi da quel mostro! Trovai un bagno: entrai e chiusi a chiave la porta alle mie spalle. Dovevo ancora ricostruire il tutto: sono salito su un treno, apparentemente normale e innocuo. Tutti i vagoni erano deserti, a parte uno con all’interno delle specie fantasmi privi di faccia, seduti e immobili. L’autista non c’è e questo sta a significare che il treno sta andando da solo, anche se non riesco a capire come. In più, oltre a tutto questo, come se già non fosse abbastanza inquietante, appare un altro fantasma altrettanto spaventoso quanto i suoi “amici” e che ha l’obiettivo di uccidermi e probabilmente tagliarmi a pezzettini e usarmi come colazione. Stavo tremando, sudando, non ero più lucido.

Non riuscivo a trovare una via d’uscita a tutto questo. Come avrei potuto riuscire ad andarmene? Dovevo difendermi da loro? Si, sicuramente. Ma come? In che modo?

Presi a girare intorno all’interno del piccolo bagno accogliente, nel vero senso della parola. Era fornito di tutte le comodità basilari. Sotto il piccolo lavandino di ceramica trovai un portafoglio. Lo aprii: conteneva un paio di documenti, compresa la carta di identità. La foto era in bianco e nero, il che stava a significare che deve essere qui da moltissimi anni. C’era anche un portachiavi con delle chiavi e un coltellino svizzero associati. Quella poteva essere l’unica via da usare per poter scappare e forse rimanere vivo. Dovevo impegnarmi e concentrarmi ad escogitare un piano.

Uscii dal bagno, non c’era nessuno ancora. Decisi di andare verso il corridoio che mi avrebbe portato in testa a quel vagone. Incamminandomi, lo incontrai. Era lì, che avanzava cautamente verso di me. Non sentivo il rumore dei suoi passi, da lontano mi dava l’impressione che fosse leggero come una piuma. Era il momento: corsi a più non posso ritornando sui miei passi, dovevo attirare la sua attenzione, e ci ero riuscito perfettamente, dato che iniziò a correre anche lui. Non era una corsa normale, quasi non muoveva le gambe, eppure, non gli mancava la velocità con cui mi inseguiva. Il coltello era sempre nella sua mano sinistra.

Entrai nella testa del treno mettendomi sopra il sedile dell’autista e aspettai. L’adrenalina e l’eccitazione che stavo provando in quel momento non erano nulla in confronto alla paura e l’ansia che provavo prima. Mi sentivo vivo come non mai, e sì, avevo perso la lucidità, ma non mi importava. Sapevo che c’era solo il 50% di possibilità che io potessi uscire da lì una volta per tutte.

Mancava poco, qualche passo ancora e mi avrebbe raggiunto. Se avessi voluto salvarmi, avrei dovuto gettarmi dal treno in corsa. Dovevo prepararmi e saltare al momento giusto, calcolare la traiettoria e il percorso da fare per far funzionare il piano escogitato in soli due minuti. Ero un pazzo, oh sì se lo ero, ma avevo scelta?

Nel momento in cui lo vidi entrare e avanzare a passo svelto verso di me, saltai giù dal sedile, sfrecciai come mai avevo fatto verso la porta passandogli di fianco in un microsecondo e la chiusi a chiave alle mie spalle. Usai una delle chiavi che si trovavano all’interno del portafoglio che avevo notato nella cabina di guida, che avevo intuito fosse del vecchio capotreno. Non so cosa sarebbe probabilmente successo se non fossero state le chiavi giuste.

Mi diressi verso le porte che mi avevano accolto in quell’incubo da cui forse sarei uscito. Avevo escluso la possibilità di un combattimento a corpo a corpo, sapevo che non ce l’avrei mai fatta.

Provai febbrilmente tutte le chiavi che possedevo in quell’istante, fino a trovare finalmente quella giusta. Finalmente, stentavo a crederci.

Il mio cuore batteva come non mai, avevo paura di morire per un attacco cardiaco prima di essere ucciso da quel mostro. Mi sentivo libero, come quando da piccolo uscivo da scuola dopo otto ore di lezione obbligato a star fermo.

Ma quando le porte si aprirono, la mia momentanea euforia si esaurì presto: Fuori era tutto nero, c’era solo il vuoto, proprio come dai finestrini e dalla visuale frontale della cabina del macchinista. Sentivo crollarmi il mondo addosso, come avevo potuto non pensarci prima? Avevo programmato tutto, nei minimi dettagli.

Certo, il piano era pazzo, nessuno tranne me, disperato, avrebbe mai pensato di riuscire, però aveva funzionato. Era tutto perfetto, eppure eccomi qui, fermo, immobile, dinanzi alla porta, senza via d’uscita.

Mi girai lentamente. Loro erano lì, tutti. Ero circondato, non avevo nessuna speranza di fuga. Mi guardavano, sapevano che non sarei più riuscito a scappare un’altra volta. Io ero la preda e loro i cacciatori. Le favole a lieto fine terminano con la vittoria della mancata vittima e la cattura del cacciatore, il cattivo. Non mi sentivo affatto in una di quelle favole. Mi veniva da piangere e da ridere allo stesso tempo. Sapevo che non avevo scampo, eppure ero felice di averci provato e di essere riuscito, almeno in parte.

Mi arresi a loro.

Allargai le braccia, alzai la testa e chiusi gli occhi sorridendo. L’unica cosa che non mi sarei mai aspettato era che la mia vita sarebbe finita così, in quel luogo, con quelle creature davanti.

Non pensavo che dopo la morte ci fosse un’altra vita, diversa da quella che tutti gli umani immaginano. Questa ha solo un obiettivo: quello di far finire la vita degli altri, nello stesso modo in cui è finita la mia.

Sono qui, seduto con altri miei simili sul treno. Siamo tutti silenziosi, non abbiamo la possibilità di parlare, poiché ci manca la bocca per farlo. Sono seduto accanto ad un mio amico, siamo già stati vicini una volta, solo che io ero ancora vivo. Si chiama John, è un ex avvocato, possedeva una casa di lusso che ai tempi solo i più ricchi potevano permettersi. È morto all’età di 57 anni e si trova qui da ben 75. Gli altri invece si chiamano Cordelia, Steve, Margaret, James e Trevor. Di alcuni non conosco il nome, alcuni di loro non sanno scrivere, il che significa che si trovano qui da prima di frequentare la scuola.

Adesso capisco tutti loro, il loro aspetto, il loro, anzi il nostro, viso scomparso, la loro immobilità, i loro vestiti sporchi e malconci... tutto.

Oggi ci è stato detto che arriverà una nuova vittima, questa volta una donna.

Anche lei diventerà una come me, come noi. Sarà una nuova compagna che terminerà i suoi giorni come è capitato a me, così come sono morti tutti gli altri per mano del nostro capogruppo, uccisi da lui per un motivo che tuttora ignoro e di cui non riesco ancora a trovare una ragione.

Ma la vera domanda a cui non trovo risposta e che mi perseguiterà in eterno è se mai più potrò gustare il mio panino al prosciutto e formaggio.