L'errore di assolutizzare una logica

L’errore di assolutizzare una logica

Si trova spesso chi fa uso delle argomentazioni della logica (o meglio, di una determinata logica) per discreditare le affermazioni della fede cristiana ortodossa e/o la stessa esistenza di Dio e dire poi “che non regge”. Si presume così che quella logica sia un assoluto, il criterio stesso per determinare ciò che è “reale” e “credibile”. Si tratta però di una fallacia1, di una procedura ingannevole. La logica, così come di solito la si comprende, è uno strumento prezioso per la ragione a certi livelli, ma non ha un carattere ultimativo e assoluto. Di fatto, quella logica è limitata, un’astrazione che appiattisce la realtà a livello mono-dimensionale, inadeguata a comprendere il carattere ricco e multiforme della realtà e sicuramente di Dio stesso, che la trascende. La precede e deve determinarla, però, la logica stessa di Dio, così come Egli ha rivelato di essere, logica che, di fatto, allarga le nostre prospettive.

Dio e la logica: due proposte popolari

Oggigiorno è popolare la questione "Dio e la logica", come se l'uso stesso della logica escludesse l'esistenza di Dio. È una questione che merita di essere esaminata.

Gli approcci a questa questione incorrono generalmente in due errori complementari.

(1) Vi sono scrittori che sostengono come la logica, così come noi la conosciamo (in gran parte logica aristotelica2) sia la logica stessa di Dio. Queste proposte non tengono in considerazione sia il del ruolo della Rivelazione e della Scrittura, che la distinzione che sussiste fra Creatore e creatura e l'aseità e trinità di Dio. Questo approccio si comprova fuorviante quando se ne considerano le implicazioni per la teologia stessa. In breve, se riteniamo che la logica aristotelica sia identica con la logica di Dio, finiamo solo per avere il Dio di Aristotele.

(2) Altri scrittori vanno troppo in direzione opposta quando sostengono che la logica sia qualcosa di creato, che la logica sia un prodotto della mente umana, o qualcosa di simile. Posso ben comprendere la motivazione di questo approccio: nel nostro fare teologia, infatti, incontriamo non di rado quelle che sembrano semplici ed insolubili contraddizioni. Se Dio è da considerarsi esente dalla nostra logica, allora queste contraddizioni sembrano meno scoraggianti, o scompaiono del tutto. Sfortunatamente, questa concezione è pure inadeguata e deludente, almeno per due ragioni: se l'accettiamo è inevitabile giungere a pensare a Dio come a qualcosa non solo di incomprensibile (per noi), ma assolutamente incomprensibile (illogico, disordinato) anche di per sé stesso. Siamo pure lasciati nella posizione non invidiabile di dover difendere la nostra sottovalutazione della logica, cosa che dovremmo fare facendo uso di argomentazioni logiche...

Vi sono così fondamentalmente due approcci alla questione: (1) la logica così come noi la conosciamo (aristotelica) esiste eternamente con Dio e sarebbe la logica stessa di Dio; (2) la logica è una cosa creata e solo le cose create sarebbero da sottoporsi ad essa in termini relativamente limitati. Vorrei però proporre un terzo approccio.

Dio e la logica: un terzo approccio

(3) Vi è una logica originale non creata, che è la logica del Dio trino. Questa logica è eterna, infinita, semplice, trinitaria e personale. Si tratta della stessa "coerenza interna" di Dio, la sua coerenza divina e trinitaria. Il rapporto esistente fra la logica di Dio e la logica così come noi la conosciamo (come quella aristotelica) è complesso. Faccio due suggerimenti:

(3.1) In primo luogo, la logica come la conosciamo dipende dalla logica originale di Dio. Per esempio, Dio è3. Quindi sbagliata è la frase: "È falso che Dio è (sia)". La legge del tertium non datur (una terza soluzione o possibilità non esiste rispetto a una situazione che ne prefiguri soltanto due)4 è operante nell’ordinamento creato perché Dio, essere increato, è eternamente. Potrei anche dire che l’atto della creazione e la costante opera provvidenziale del Dio trino è la condicio sine qua non5 (condizione senza la quale non si può esistere) della logica come noi la conosciamo.

(3.2) In secondo luogo, alla logica come noi la conosciamo è falsamente accreditata l’auto-sufficienza - è considerata come qualcosa di ultimativo, di assoluto. In altre parole, spesso si nega il 3.1 implicitamente od esplicitamente. È negato da scrittori non-teisti o anti-teisti che affermano che la logica “è”, che il teismo cristiano viola le leggi della logica e che, quindi, il teismo cristiano sia falso, o irrazionale. Questa linea di pensiero assume la logica, così come la conosciamo, come qualcosa di ultimativo, di assoluto, di esistente di per sé stessa.

Ho descritto qui sopra i filosofi teisti che assumono la logica così come la conosciamo essere l’eterna logica di Dio. Si tratta pure di una negazione della logica come la conosciamo dall’eterna logica di Dio, dato che descrive Dio in termini di logica e non la descrizione della logica nei termini di Dio: la sua metodologia è creato-centrica,

La seconda alternativa che ho descritto ha a che fare con coloro che forse sono troppo zelanti per la distinzione fra il Creatore e la creatura e che affermano come la logica sia una cosa creata; essi pure negano la dipendenza organica della logica come noi la conosciamo dall’eterna logica d Dio. Essi affermano che le due siano del tutto non relazionate e non relazionabili.

La logica come la conosciamo - secondo il terzo approccio: di fronte a Cristo come Signore

Se è vero che la logica originale è la logica del Dio trino, sembrerebbe allora che, per comprendere la logica rettamente (o in modo ultimativo, o vero, o qualcosa di simile) sia necessario credere nel Dio trino o, potremmo dire, rendervi conto. Se questo è il caso, le semplici verità della logica come la legge dell’identità, la legge del terzo escluso e la legge di non-contraddizione6, pongono di fronte a noi la questione del fondamento stesso del nostro pensiero e della nostra comprensione del mondo.

Appaiono così esservi due alternative di base: (1) il riconoscimento del Dio trino creatore come Signore e Giudice di ogni cosa, oppure (2) l’affermazione dell’auto-sufficienza e carattere ultimativo delle leggi della logica. O Dio è la nostra logica, oppure la logica è il nostro Dio.

Logica, fede cristiana e presunte difficoltà

Supponiamo che un lunedì mattina io mi rechi al lavoro e cominci a raccontare ai miei colleghi di come ho trascorso il fine settimana, Supponiamo che parte della mia storia sia questa: “Ieri, in chiesa ho udito dal nostro pastore un meraviglioso sermone. Inoltre, mentre mi recavo in chiesa, è capitato che mi si bucasse una gomma e così ho perduto l’intero culto”. Il mio collega mi potrebbe dire: “Un attimo, quale delle due? Sei andato in chiesa ed hai udito un meraviglioso sermone, oppure ti si è bucata una gomma e, per cambiarla, ti sei perso il tutto?”. Se continuo ad affermare che le due cose siano vere: che ho udito un sermone meraviglioso e che mi sono perso il tutto, il mio collega avrebbe buone ragioni per dubitare del mio racconto - o una delle cose è completamente falsa o parzialmente falsa oppure io sono piuttosto confuso. In qualche modo, egli pensa, c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato nell’intero racconto. E probabilmente ha ragione.

Il principio operante qui è qualcosa come: nulla che sia (logicamente) contraddittorio è credibile, o persino possibile. La questione è questa: si dice frequentemente che il teismo cristiano soffra precisamente dello stesso problema. I critici spesso cercano di dimostrare come la fede cristiana sia logicamente incoerente e l’implicazione è che essi riescono a dimostrarlo, la fede cristiana non è (razionalmente) credibile e neanche solo possibilmente vera. Di fatto non appare essere troppo difficile trovare esempi di tali difficoltà nell’ambito della fede.

Ecco un altro esempio. L’astuta questione: “Potrebbe Dio, per sua volontà, creare un sasso così pesante che nemmeno egli stesso sia capace di sollevarlo?” è intesa a rilevare l’incoerenza logica che sta al cuore stesso dell’idea di onnipotenza. Se affermiamo che Dio è onnipotente (che non c’è limite a ciò che Dio possa fare, come dice Matteo 19:26), allora neghiamo che vi possa essere qualcosa di troppo pesante che Dio non possa sollevare, e neghiamo che vi possa essere un qualsiasi tipo di pietra che Dio non possa creare. L’onnipotenza appare costringerci ad affermare proposizioni contraddittorie. Se definiamo la credibilità e la possibilità nei termini della logica, se trattiamo la logica come noi la conosciamo come ultimativa - persino più ultimativa di Dio stesso - allora la fede cristiana deve affrontare sfide molto difficili. Prendere la logica come la conosciamo come ultimativa significa scambiare l’analogico con l’originale e quindi, di fatto, prendere il mondo (creato) stesso come ultimativo ed auto-sufficiente.

L’insufficienza della logica come la conosciamo

Coinsiderate questo sillogismo: Tutti gli uomini sono mortali - Socrate è un uomo - Quindi Socrate è mortale.

L’argomentazione è corretta? Certo, è corretta - a meno che pure il mio gatto si chiami Socrate. Dato che io potrei avere un gatto (o qualsiasi altro) chiamato Socrate, dobbiamo prima chiarire che cosa si intenda per “Socrate” e dobbiamo pure stipulare che ogni volta che lo diciamo, pure ci riferiamo alla stessa cosa: ogni qual volta “Socrate” sia pronunciato o appaia sulla pagina, se ci si riferisca alla stessa entità. Dobbiamo pure sperare che il referente sia lo stesso nella mente di chi lo pronuncia e in quella che lo ode, il che non è sempre facile da stabilire. Non solo quello, ma dobbiamo pure ripetere tutto questo ad ogni persona che legga questa argomentazione ogni volta che viene letta. Oppure possiamo semplicemente presumere che questo sia il caso, come spesso facciamo, ciuoè che “Socrate” si riferisca sempre al maestro di Platone, e che “Platone” non si riferisce al nome del gatto di qualcuno che ha studiato filosofia presso il mio gatto…

Un altro problema che sorge, uno che non si riferisce ai termini che si usano, ma alle cose alle quali ci si riferisce: che accade se, mentre noi leggiamo questa argomentazione, Socrate (l’uomo) cessa di esistere, senza spiegazione, o se Socrate (l’uomo) si trasforma in una rana, o in un numero a sei cifre, o se Socrate (l’uomo) si rivela essere parte di un sogno che sto avendo proprio ora? L’argomentazione, allora, cadrebbe del tutto. Dobbiamo così presumere che il referente del termine “Socrate” non sia un oggetto mentale, ma Socrate stesso, e che rimanga lo stesso, che Socrate rimanga lo stesso nel corso del tempo.

Uno dei problemi costanti della filosofia sta nella natura dell’essere: com’è che, o che cosa significa, che io sia la stessa persona che ero vent’anni fa? Se il mio essere di quando avevo tre anni sedesse qui vicino a me, sembreremmo la stessa persona o agiremmo nello stesso modo?

Oggi sappiamo che ogni individuo possiede il suo proprio ed unico codice genetico. Quando però mi riferisco a “Socrate”, ci riferiamo al codice genetico di un greco antico? Forse che Socrate, o qualsiasi altra persona, è identificabile solo con il suo codice genetico? “Maestro di Platone” non è nel suo codice genetico. Ed io stesso sono molto di più che il mio codice genetico. Non c’è alcuna menzione nel mio codice genetico di mia moglie o di mio figlio, della mia istruzione, esperienze, gusti, preferenze, hobby o abitudini. I miei amici più stretti non conoscono il mio codice genetico. Forse che allora posso dire che essi non mi conoscano? La logica non può entrare in questa confusione. Essa deve semplicemente presumere che Socrate sia conoscibile e che rimanga identico nel corso del tempo.

Ora vediamo come sia necessario mantenere almeno due presupposti affinché questo sillogismo possa funzionare - che i termini, sempre e per tutti, si riferiscano alla stessa entità e che i referenti dei termini rimangano assolutamente identici a sé stessi. Cominciamo allora a vedere come la logica operi solo in un’istantanea artificiale del mondo, un tipo di fermo-immagine ontologico. Essa opera sul presupposto che il mondo sia ontologicamente piatto o monotono, o mono-ontologico, tanto per coniare un neologismo non troppo bene riuscito. È piuttosto ovvio che la realtà non è così. Il mondo non è, se mai lo è stato, ontologicamente piatto, lineare, unitario. Non è mono-ontologico.

Il mono-ontologico contrapposto al triuno-logico

Vern Poythress ha discusso questo in maggiore dettaglio nel suo articolo “Riformare la logica e l’ontologia alla luce della Trinità”7, come pure in: “Un approccio teocentrico al fondamento del pensiero occidentale”8. Egli osserva che: “i sillogismi possono operare solo nell’ambito di un’ontologia unitariana. Il ragionamento sillogistico, quindi, è in sé stesso tacitamente unitariano”. Con questa ontologia unitariana spuria in mente, Poythress conclude che: “Non esiste nulla che possa definirsi un sillogismo valido nel senso aristotelico (204-5). Egli intende dire che la logica non descrive di fatto come stiano le cose, perché l’ontologia unitariana che presume non si trova da nessuna parte - anch’essa è solo un’astrazione.

Si prenda per esempio la legge dell’identità, che dice che A = A. È vero in senso ovvio che Dio è identico a sé stesso, o che se hai Dio, allora hai Dio. In che modo, però, questo è esattamente il caso? Considerate le persone della Trinità. Se avete una persona della Trinità, avete Dio. Ma se avete Dio, non è così ovvio che abbiate una persona della Trinità. In Dio, l’identità personale è fondamentale, basilare. Se non fosse così saremmo tri-teisti. In Dio (il Dio trino), però, la non-identità (le persone che non sono identiche fra di loro) è pure fondamentale, basilare. Se non fosse così saremmo modalisti (le persone, infatti, non sono semplici modi d’esistere). La legge di identità in Dio, che Dio è eternamente ed immutabilmente ciò che è) è così sicuro che diciamo che è un “a se stante”. L’identità di Dio, però, è ricca ed incomprensibile, un’identità personale trina.

La logica come la conosciamo dovrebbe essere usata comprendendo che dietro ad essa si trova la personalità trina ed irriducibile di Dio. Spesso, però, come abbiamo visto, non la si considera così.

Cornelius Van Til scrive: “Dio ha determinato tutto ciò che accade. Gli atti morali dell’uomo sono cose che accadono. Gli atti morali dell’uomo, quindi, sono determinati, e l’uomo non ne è responsabile”. Egli dice pure: “Dal punto di vista di una logica non-cristiana, la fede riformata può essere distrutta9 con un semplice sillogismo”10. Se noi trattiamo la logica come criterio auto-sufficiente che determina il possibile, dobbiamo negare o la responsabilità morale o la piena sovranità di Dio (cfr. Romani 9:19ss). Il semplice fatto che la Scrittura non ci permetta di rinunciare a ciascuna di queste affermazioni di logica è l’indicazione che la logica come la conosciamo ci sta portando in qualche modo fuori strada.

Il modo per superare queste difficoltà apparenti è di comprendere la logica come (3.1) derivativa e riflessa della logica originale non creata della natura eterna di Dio, e rammentarci che (3.2) noi non dovremmo assumere la logica come determinante indipendente della possibilità e della credibilità, soprattutto quando la Scrittura ci invita a non farlo.

Il teismo trino e la struttura uno-e-molti della realtà

Secondo le Scritture cristiane, il Dio trino è il Creatore di un universo che è, al tempo stesso, uno-e-molti. È proprio perché il Dio uno-e-molti è coerente con sé stesso ed auto-esistente che la logica funziona. Al tempo stesso, è proprio perché Dio, Creatore e sostenitore, è Egli stesso essenzialmente uno-e-molti che la realtà è troppo ricca per essere compresa in tutta la sua ricchezza, ed ancor meno può essere governata dai sillogismi, proposizioni e leggi della logica.

Dopo il Diluvio, il Signore rinnova il suo Patto con Noè. Parte del linguaggio di ri-creazione in quel rinnovamento, dice: “Finché la terra durerà, semina e raccolta, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte, non cesseranno mai” (Genesi 8:22). Questa affermazione è straordinaria. Con una singola parola e con una dichiarazione unificata Dio ha determinato che la storia debba andare in un certo modo e in quel modo - notate - vi è cambiamento e variazione, pluralità. Nell’inverno non c’è nulla di intrinseco a sé stesso che produca la primavera, né vi è qualcosa di intrinseco all’estate che inviti l’autunno. Questi cambiamenti non sono né naturali né logicamente necessari. Sebbene i cambiamenti stagionali siano attribuibili al movimento dei corpi celesti - la terra, la luna, il sole - ed alla forza gravitazionale, la forza gravitazionale non è neppure di per sé naturalmente o logicamente necessaria, né l’esistenza stessa di ciascuno di questi corpi. E se questo è il caso, in Genesi 8:22 Dio sovranamente e singolarmente ordina la variazione e un cambiamento storico genuino. Possiamo così contemplare stupiti le mutazioni stagionali attraverso l’anno e questo flusso stabile ed unificato, la fondamentale caratteristica uno-e-molti del mondo naturale - una realtà profondamente cristiana,

La ricchezza del tessuto uno-e-molti dell’ordinamento creato va oltre la capacità della logica di spiegarlo, ma la logica è uno strumento molto potente; di fatto è sublime e, se compresa rettamente, riflette la natura e la maestà di Dio. Van Til afferma da qualche parte che “il non credente prende per scontato il carattere ultimo dell’universo”. Si tratta di un pensiero indubbiamente utile. I problemi, però, emergono quando la logica, così come la conosciamo, viene trattata come realtà ultima, auto-sufficiente e auto-esistente, particolarmente quando trattiamo con la Scrittura. La logica stessa è talvolta intesa come la prima e l’ultima, quella attraverso la quale sono state fatte tutte le cose e che tiene insieme ogni cosa, ma quell’onore appartiene solo a Cristo.

Nathan D. Shannon, in Reformed Forum

Note

1 http://www.treccani.it/vocabolario/fallacia/

2 https://it.wikipedia.org/wiki/Logica#Aristotele

3 Diciamo non che Dio “esiste”, ma “è”: Quello che intendeva dire, ed a ragione, è che il significato letterale, etimologico, del verbo "esistere" non può applicarsi a Dio, ma solo alle creature! Non si tratta di un gioco di parole, ma della necessità che abbiamo di esprimerci con chiarezza. Benché comunemente il verbo "esistere" significa "avere attuale e reale esistenza", di fatto, etimologicamente, "esistere" significa "stare da o stare fuori", perché deriva dal composto latino ex + sistentia, che vuol dire avere l'essere da un altro, esterno a sé. L'esistenza infatti non ha l'essere in proprio, ma esiste solo in quanto è subordinata ad un essere superiore.

4 https://it.wikipedia.org/wiki/Tertium_non_datur

5 https://it.wikipedia.org/wiki/Condicio_sine_qua_non

6 https://it.wikipedia.org/wiki/Sillogismo

7 Westminster Theological Journal 57, no. 1 [1995].

8 A God-Centered Approach to the Foundation of Western Thought (Crossway 2013).

9 Qui il termine esatto è “bocciata”, secondo la terminologia del gioco delle bocce: colpita da una boccia che la distanzia dal pallino.

10 Common Grace and the Gospel, 73.