Epistemologia riformata (Plantinga)

In filosofia della religione, l'epistemologia riformata è una scuola di pensiero che teorizza l'epistemologia della fede in Dio così com'è espressa da un gruppo di filosofi cristiani protestanti, fra i quali Alvin Plantinga, William Alston, Nicholas Wolterstorff e Michael C. Rea.

Affermazione centrale dell'epistemologia riformata è l'idea che la fede in Dio sia in senso proprio una "credenza fondamentale" che, al fine di essere considerata secondo ragione, non debba essere dimostrata deducendola da altre verità. Questa concezione rappresenta una continuazione del pensiero sul rapporto fra fede e ragione che i suoi proponenti trovano nella teologia riformata del XVI secolo, in particolare nella dottrina di Giovanni Calvino che Dio ha radicato in noi il sensus divinitatis. Per questo essa è stata chiamata "epistemologia riformata".

Idee

L'epistemologia riformata intende dimostrare il fallimento delle obiezioni che il teismo - come pure la fede cristiana - sia ingiustificato, irragionevole, non all'altezza dei criteri più accreditati di valore intellettuale, epistemologicamente insostenibile. I moderni sostenitori del fondazionalismo e dell'evidenzialismo, d'altro canto, sostengono come il teismo possa ritenersi razionale solo quando lo si possa dedurre da evidenze di carattere fisico e/o propositivo. Una parte di questi ultimi ritengono che adeguate evidenze non siano di fatto disponibili.

L'epistemologia riformata cerca di difendere la fede come razionale dimostrando che il teismo sia propriamente fondamentale e ragionevole anche quando non lo si può dedurre da altre verità.

L'epistemologia riformata cresce dall'argomentazione di Alvin Plantiga sulla parità nel suo libro: "God and Other Minds" (1967): se è razionale credere nell'esistenza di altre menti, anche se questo non possa essere appoggiato da argomentazioni, così anche la fede in Dio può essere considerata razionale anche se similmente non si appoggia su corrispondenti argomentazioni. Plantinga (2000 a) sostiene che il teismo sia del tutto giustificato [comporti dei "warrant" sostanziali]. In linea di massima nella teoria di Plantinga sulla conoscenza, la giustificazione [il warrant] è quella proprietà che rende le credenze "conoscenza". In pratica:si tratta della proprietà di essere "prodotto da facoltà cognitive che funzionano correttamente (cioè non disfunzionali) in un ambiente cognitivo loro congeniale, secondo un progetto mirato al raggiungimento effettivo della verità" [(Warrant and Proper Function, New York: Oxford UP, 1993, viii)].

Proprio perché è epistemologicamente possibile un modello secondo il quale il teismo sia considerato fondazionale, vale a dire quello sul quale Dio ha disposto le nostre facoltà cognitive in modo tale da permettere la fede in Lui, il teismo è giustificato (warranted) indipendentemente da ogni argomentazione teistica.

"Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo: egli ha perfino messo nei loro cuori il pensiero dell'eternità, sebbene l'uomo non possa comprendere dal principio alla fine l'opera che Dio ha fatta" (Ecclesiaste 3:11).

Questa connessione fra il valore di verità del teismo e il suo stato epistemico positivo, suggerisce ad alcuni come l'obiettivo di mostrare come il teismo sia razionale o giustificato esiga comunque delle ragioni per supporre che esso sia verità (Sudduth, 2000). Bisogna notare che, sebbene l'epistemologia riformata neghi che l'argomentazione teistica sia necessaria per sostenere la razionalità della fede in Dio, molti fra i suoi aderenti considerano argomentazioni teistiche di varia natura in grado di fornire a questa credenza ulteriori giustificazioni.

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La fede tratta di questioni che vanno oltre l'ambito della razionalità

La posizione che la fede tratti di questioni che vanno oltre l'ambito della razionalità sostiene che la fede sia un supplemento della razionalità perché l'ambito della conoscenza umana razionale è limitato. In essenza, secondo questa concezione, la fede corrisponde a credenze che, sebbene molto probabilmente vere, non possano essere pienamente comprese dalla nostra ragione.

I proponenti ritengono che i seguenti testi biblici sostengano questa concezione di fede e ragione:

"Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono" (Ebrei 11:1).

"Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto" (1 Corinzi 13:12).

Alcuni sostengono che uno stretto razionalismo che escluda questo tipo di fede, erroneamente giunga alla conclusione che in quanto il pensiero razionale riesce a spiegare alcune cose, la conoscenza che provenga da oltre il pensiero razionale sia illegittima. Secondo questa linea di pensiero:

La nostra cultura dominata dalla scienza ha escluso che l'esperienza religiosa possa essere un'indicazione affidabile sulla realtà delle cose, ma su quale base? La scienza nel XVI secolo aveva conseguito un successo tale nel comprendere la dimensione fisica della realtà che nel XVII secolo la gente aveva cominciato a credere che quella fisica fosse l'unica dimensione della realtà. Avere successo, però, in un'area dell'investigazione, non invalida altre aree. Coloro che escludono un tipo particolare di esperienza come fonte di conoscenza sono loro che devono provare d'aver ragione. [1]

In questa prospettiva, la fede non è credenza statica disgiunta dalla ragione e dall'esperienza, e non è illegittima come fonte di conoscenza. Al contrario, la credenza per fede prende avvio dalle cose conosciute dalla ragione e si estende alle cose che sono vere, per quanto non possano essere completamente comprese. Essa è quindi legittima perché risponde a questioni che il pensiero razionale è incapace d'affrontare. Come tali, le credenze che sono sostenute da questo tipo di fede sono considerate dinamiche e in via di sviluppo allorché si cresce nell'esperienza e nella conoscenza, fintanto che la "fede" diventa "visione". Questo tipo di credenza si trova comunemente nel misticismo.

Le obiezioni evidenzialiste al teismo

L'epistemologia riformata è una risposta all'obiezione evidenzialista alla fede in Dio, obiezione che può essere formulata nella seguente argomentazione:

  1. È irrazionale o inaccettabile accettare le concezioni teiste senza sufficienti ed appropriate evidenze o ragioni.

  2. Non vi sono evidenze sufficienti/appropriate e ragioni per le credenze teistiche.

  3. La credenza in Dio è irrazionale [3].

La conclusione non è che Dio non esista, ma piuttosto che sia irrazionale credere che Dio esista.

I teisti hanno risposto a quest'argomentazione in maniere diverse. Pochi (forse Kierkegaard) accettano l'affermazione che la fede in Dio sia irrazionale, ma considerano questo come una virtù ed accettano una qualche sorta di fideismo. Tradizionalmente molti teisti negano la seconda premessa dell'argomentazione e fanno appello alla teologia naturale per mostrare come vi siano evidenze sufficienti per dimostrare l'esistenza di Dio facendo uso di premesse che tutte le persone razionali dovrebbero accettare. (Forse il più grande esempio di quest'aspirazione è la prova fornita da Cartesio sull'esistenza di Dio nel suo "Meditationes de prima philosophia").

Gli epistemologi riformati, però, negano la prima premessa, cioè che la fede in Dio sia irrazionale a meno che non sia supportata da evidenze sufficienti, dove si intenda per evidenza la formulazione di proposizioni rispetto alle quali dedurre l'esistenza di Dio. Essi contestano a questa argomentazione l'essere indebitamente ristretta perché vi sono molte credenze ragionevoli che si possono accettare senza argomentazioni (per esempio, fede nell'esistenza di altre menti, del mondo esterno, o del passato). Inoltre, molte credenze percettive non sono formate per via di argomentazioni. Ad esempio: "Mi si presenta qualcosa dall'apparenza di albero. Ciò che appare alla mia mente è il modo in cui sono le cose, quindi, sto vedendo un albero". Si potrebbe dire che l'esperienza "fondi" epistemologicamente la credenza senza contribuire ad un'argomentazione sulla base della quale la si accetta. Queste esperienze sono propriamente fondazionali e non hanno bisogno di un'argomentazione per sostanziarle. L'epistemologia riformata, quindi, respinge come arbitrario il requisito evidenzialista di un'argomentazione per provare l'esistenza di Dio, ma non l'esistenza di altre persone, la verità di proposizioni sul passato, o la realtà del mondo esterno.

Critiche

Sebbene l'epistemologia riformata sia fiorita fra filosofi teisti, essa è stata criticata sia da teisti che da non-teisti. Nel campo dei credenti, l'epistemologia riformata è stata frequentemente criticata per essere fondamentalmente un'apologetica negativa, si contrappone, cioè, a coloro che vedono la fede come non-razionale, per il fatto che non offra ragioni per supporre che il teismo cristiano sia vero (la cosiddetta apologetica positiva), e per la sua pretesa che qualsiasi conclusione di quel genere non sia sana.

Nel campo dei non-credenti o in quello che al riguardo sono agnostici, coloro che criticano la razionalità della fede affermano che l'epistemologia riformata si fondi sul presupposto che esista una verità religiosa, ma che non presenti argomentazioni per provarlo (vedasi il fideismo). Un altra critica comune è che essa, come strumento per distinguere credenze giustificate da credenze ingiustificate, l'epistemologia riformata sia fallace perché sorge dal presupposto che in ciascuno di noi risieda un meccanismo doxastico (vale a dire un meccanismo per ragionare su credenze) che genera persuasioni religiose, fede in Dio ecc. supportando la concluisone che tali credenze siano innate e quindi propriamente fondamentali.

I razionalisti sostengono che le credenze supportate dalla fede, non comprovate, si contraddicono vicendevolmente. È così che la maggior parte delle "fedi", nel senso di "religioni", affermano che le proprie concezioni siano corrette e che le altre siano false. La Bibbia, per esempio, dice: "Non avrai altro dio che me". Quindi, delle religioni esclusiviste supportate dalla fede, o una è corretta e tutte le altre sbagliate, o sono tutte sbagliate. I razionalisti sostengono che se, in tutti i casi meno uno, la fede conduce alla credenza incorretta, allora è errato, in quell'unico caso, aspettarsi che la fede conduca ad una credenza corretta.

L'anglicano C. S. Lewis sostiene che le affermazioni del cristianesimo siano verosimili proprio perché la risurrezione dai morti, il miracolo ed il racconto su Lazzaro sembrano sfidare la razionalità. Egli descrive, però, la sua esperienza di fede nel libro Mere Christianity (Il cristianesimo così com'è) operando una distinzione fra due modi di intendere la fede. Egli descrive il primo come: "Fede sembra essere usato dai cristiani in due sensi o su due livelli ... il primo senso è quello di una semplice credenza ... il secondo è l'arte di attenersi a cose che la tua ragione ha una volta accettato nonostante i cambiamenti di umore" (4).

Un'altra obiezione comune va sotto il nome di "Obiezione del grande cocomero". Plantinga (1983) presenta quest'obiezione nei termini seguenti:

"È sicuramente una tentazione sollevare la seguente questione. Se la fede in Dio può essere considerata propriamente fondazionale, perché non assumere pure una qualsiasi credenza come altrettanto propriamente fondazionale? Non potremmo dire lo stesso per qualsiasi bizzarra aberrazione che potessimo immaginare? Perché non il vudù o l'astrologia? Perchè non la credenza che il Grande cocomero ritorni ad ogni Halloween? Non potrei forse prendere quello come altrettanto fondazionale? Supponete che io creda che se solo potessi sbattere nell'aria le mie braccia come ali con forza sufficiente io mi librerei in volo nella mia stanza. Potrei io forse difendermi contro l'accusa di irrazionalità sostenendo che questa credenza sia fondazionale? Se noi diciamo che la fede in Dio sia propriamente fondazionale, non potremmo ugualmente sostenere che qualsiasi cosa, o quasi qualsiasi cosa, possa propriamente essere assunta come fondazionale, spalancando così le porte all'irrazionalità ed alla superstizione?" (p. 74).

In breve, l'Obiezione del Grande Cocomero afferma che l'epistemologia riformata è così liberale da permettere di giustificare qualsiasi sorta di persuasione? Qualcuno potrebbe, per esempio, assumere come fondazionale la credenza che il Grande Cocomero sia onnipotente, proprio come gli epistemologi riformati assumono come fondazionale una simile credenza in Dio. Forse questa credenza è radicata nello sperimentale come descrive lo stesso Plantinga (1993 b). Questa obiezione, così, intende mostrare come vi debba essere qualcosa di sbagliato nell'epistemologia riformata se consente ce si permetta che la credenza nel Grande Cocomero sia giustificata come fondazionale.

A questo Plantinga risponde che l'obiezione semplicemente presume che il criterio della "fondazionalità propria" proposto dal Fondazionalismo classico (auto-evidenza, incorreggibilità e percezione sensoriale) sia il solo possibile criterio per le credenze propriamente fondazionali. È come se chi fa l'obiezione del Grande Cocomero sentisse che se alle credenze propriamente fondazionali non si arrivasse tramite uno di questi criteri, allora ne conseguisse che "qualsiasi" credenza possa essere propriamente considerata fondazionale, proprio perchè non vi sono altri criteri. Plantinga, però, dice che semplicemente non ne consegue che dal rigetto dei criteri fondazionalisti classici, che siano esaurite tutte le possibilità di altri criteri, e questo è ciò che presuppone l'obiezione del Grande Cocomero.

Plantinga estende la sua contro-argomentazione chiedendo a chi propone l'obiezione del Grande Cocomero se "sa" che tali criteri siano gli unici criteri. Certamente quest'obiettore sembra sostenere che i criteri del Fondazionalismo classico siano gli unici disponibili. Una tale pretesa, però, non è né auto-evidente, incorreggibile oppure evidente ai sensi. Questo smentisce l'obiezione del Grande Cocomero dimostrando come il Fondazionalismo classico sia internamente incoerente, proponendo una posizione epistemica che essa stessa non regge.

Le giustificazioni della razionalità della fede sono basate su strategie semantiche ed epistemologiche:

1. Definizioni semanticamente meno precise del razionalismo che permettono di considerare la fede come razionale:

1a. Allargando la definizione di fede fino ad includere la fede come credenza che si appoggi su prove logiche o evidenze materiali.

1b. Indebolendo la definizione di prova, evidenza, logica, razionalità ecc.. per permettere uno standard di prova più basso.

2. Attaccare i puntelli epistemologici della razionalità affermando che certe credente non supportate dalla ragione o dalle evidenze sono ancora sempre propriamente basilari perché sono intuitive o che noi siamo "naturalmente inclini" a crederle.

La strategia semantica n. 1 è comune fra quelli che sostengono che la fede si rivolga a questioni che vanno oltre alla pertinenza della razionalità, mentre la strategia epistemologica n. 2 è usata da coloro che sostengono come la fede stia alla base della razionalità..

Altri credenti hanno adottato la posizione che la fede sia implicitamente irrazionale abbracciando l'rrazionalità putativa della fede come dimostrazione della devozione alle proprie credenze e divinità. Per esempio, il fideismo raccomanda specificatamente che uno, in questo campo, non debba essere razionale.

Note

    1. ^ Vedasi, Calvino, Istituzione della religione cristiana, Libro I, cap. III.

    2. ^ (Warrant and Proper Function, New York: Oxford UP, 1993, viii)

    3. ^ Alvin Plantinga. "Reason and Belief in God". Faith and Rationality (Notre Dame: University of Notre Dame Press, 1983) 27.

    4. ^ a b Lewis, C. S. (2001). Mere Christianity: a revised and amplified edition, with a new introduction, of the three books, Broadcast talks, Christian behaviour, and Beyond personality. [San Francisco]: HarperSanFrancisco. ISBN 0-06-065292-6.

Bibliografia

    • Alston, William P. (1991). Perceiving God: The Epistemology of Religious Experience. Cornell University Press.

    • Alston, William P. (1996). "Belief, Acceptance, and Religious Faith". In Faith, Freedom, and Rationality: Philosophy of Religion Today, Jordan & Howard-Snyder (eds.). Lanham: Rowman & Littlefield Publishers.

    • Clark, Kelly James. (1990) Return to Reason. Grand Rapids: Eerdmans.

    • Plantinga, A. & Wolterstorff, N., eds. (1983). Faith and Rationality: Reason and Belief in God. Notre Dame: University of Notre Dame Press.

    • Plantinga, Alvin. (1967). God and Other Minds: A Study of the Rational Justification of Belief in God. Cornell University Press.

    • Plantinga, Alvin. (1983). "Reason and Belief in God". In Plantinga & Wolterstorff (1983), pp. 16–93.

    • Plantinga, Alvin. (1993a). Warrant: the Current Debate. Oxford University Press.

    • Plantinga, Alvin. (1993b). Warrant and Proper Function. Oxford University Press.

    • Plantinga, Alvin. (2000a). Warranted Christian Belief. Oxford University Press.

    • Plantinga, Alvin. (2000b). "Arguments for the Existence of God". In the Routledge Encyclopedia of Philosophy. New York: Routledge.

    • Plantinga, Alvin. (2000c). "Religion and Epistemology". In the Routledge Encyclopedia of Philosophy. New York: Routledge.

    • Sudduth, Michael. (2000). "Reformed Epistemology and Christian Apologetics". <http://academics.smcvt.edu/philosophy/faculty/Sudduth/3_frameset.htm>.

    • Wolterstorff, Nicholas. "How Calvin Fathered a Renaissance in Christian Philosophy". Lectureat Calvin College.

    • Wolterstorff, Nicholas. (1976). Reason within the Bounds of Religion. Grand Rapids: Eerdmans.

    • Wolterstorff, Nicholas. (2001). Thomas Reid and the Story of Epistemology. New York: Cambridge University Press.

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