La nostra conoscenza di ciò che chiamiamo "aldilà" è molto limitata. "Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto" (1 Corinzi 13:12). La Scrittura ne parla prevalentemente con analogie. Essendo l'aldilà cosa inimmaginabile rispetto alla nostra attuale esperienza del reale, noi ne possiamo parlare solo in modo apofatico, affermando, cioè, quel che non sarà. È solo la nostra fede, infatti, che può rapportarsi a ciò che si trova al di là dei limiti del tempo, nell'escatologico.
Esiste una vita a venire. Essa, però, non è legata al tempo cosmico. L'ordinamento temporale che può essere applicato a noi dopo la morte fisica è lo stesso che si applica al nostro cuore sovra-temporale, l'aevum "l'eternità creata" che si trova fra il tempo cosmico e l'eternità di Dio. L'evum è pure tempo, ma non tempo cosmico. Speculare filosoficamente, però, sull'essenza di questo aevum non è produttivo.
L'attuale nostra esistenza si pone sia all'interno che all'esterno del tempo cosmico e trascende ogni struttura temporale. Abbiamo un corpo terreno, ma la nostra identità più profonda si trova nella sfera "celeste". Al momento della nostra morte cessa la nostra esistenza temporale nell'ambito del tempo cosmico. La nostra esistenza "celeste" continuerà in forma diversa, avremo una nuova natura, in termini biblici, un corpo di risurrezione. "Sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d'uomo, eterna, nei cieli" (2 Corinzi 5:1). La dimensione sovra-temporale, infatti, non sarà statica, ma dinamica. La "concretizzazione" della nostra identità, infatti, è un requisito essenziale della nostra natura creata. L'essere umano aspira naturalmente all'eternità e presuppone la sua concreta attualizzazione.
Il corpo che noi deponiamo alla nostra morte è l'intera esistenza terrena dell'essere umano in tutte le sfere temporali della vita, dato che questa esistenza è intrecciata in strutture di individualità. Ciò che deponiamo è "l'intero mantello delle funzioni temporali". La morte fisica è di fatto la nostra liberazione da tutti i vincoli terreni. Non è soltanto un corpo materiale quello che abbandoniamo, un corpo concepito come plasmato dagli aspetti chimico-fisici della realtà temporale. L'anima, che le Scritture ci assicurano continuare dopo la morte, non deve essere compresa come parte dell'esistenza temporale terrena e non come l'astrazione teorica di una sostanza che solo abbia funzioni psichiche e normative. L'anima è piuttosto la piena identità umana, il proprio cuore, nel senso del centro dell'intera propria esistenza, di cui il corpo è solo l'organo temporale.
La filosofia riformata si distanzia radicalmente dalla filosofia dell'immanenza nel fatto dell'affermare che l'intera nostra esistenza temporale procede dalla nostra radice religiosa, il cuore. La Caduta consiste nell'allontanamento del cuore dal suo Creatore ed è questo che ne causa la morte spirituale. La morte spirituale non deve essere confusa con la morte del corpo né con la morte eterna. La morte del corpo è lo slacciamento di tutti i nostri rapporti terreni, non semplicemente la deposizione di un corpo fisico-chimico e di funzioni normaive. Il "corpo" è solo lo strumento (organo) temporale della piena identità umana del "cuore".