Ballata

Ballata to forma włoska zbliżona pod względem budowy do ballady francuskiej. To zarazem gatunek i for ma wersyfikacyjna (układ stroficzny). Składa się analogicznie z trzech strof i przesłania, z tym, że w balladach francuskich przesłanie kończy utwór, a w ballatach włoskich go rozpoczyna. W zależności od rodzaju ballaty przesłanie może mieć przeważnie trzy lub cztery wersy, a strofy główne są siedmiowersowe, lub ośmiowersowe. Ballaty identycznie, co ballady francuskie są oparte na powtarzaniu tych samych rymów przez cały utwór. Ballaty pisali miedzy innymi Guido Cavalcanti i Gabriele d'Annunzio. Zdarzają się też ballaty o zmodyfikowanej budowie. Oto utwór Gabriele D'Annunzio z tomu L'Isottèo (1886), Ballata di Astìoco e di Brisenna.

Amor, quando fiorian ne ’l bel paese

il biondo Astìoco e Brisenna reina,

da ’l colle a ’l pian, da ’l fiume a la marina

sonavan alto le tue chiare imprese.

La terra di Brolangia era un verziere,

in figura d’un sistro, ismisurante.

Il verde paradiso due riviere

cingeano, come braccia d’un’amante.

Il suol crescea meravigliose piante,

nudrito da le pingui alluvioni.

Quivi tennero lieti eptamerori

il dotto Astìoco e Brisenna cortese.

La bontà che venia da’ lor costumi

era sì dolce, o Amore, e sì profonda

che il suolo si coprìa di rose e i fiumi

volgean oro smeraldi ambra ne l’onda;

e, come ne la Tavola Rotonda,

ragionavano i tronchi e le fontane,

potea la Luna su le menti umane,

munìan li incanti ai prodi elmo e pavese.

Su la cima de ’l bel colle d’Orlando

sorgevano i palagi, aperti a ’l giorno.

Diecimila colonne scintillando

ricorrevan per l’alte moli a torno.

Vi saliva una scala, in doppio corno,

ampia, coperta di fanti e d’arcieri,

di messi, di valletti e di levrieri,

di dame e di donzelle in ricco arnese.

Convenivan le donne de’ poeti

ivi, in un luogo detto Galaora;

e sedeano in su’ fulgidi tappeti,

ove li amor di Cefalo e d’Aurora,

illustri opere d’ago, uscieno fuora

qua e là di tra le vesti ricoprenti.

Sedean le donne, in bei componimenti

di grazia, ad ascoltar la serventese.

Oh fontana d’Elai, per molti getti

ricadente ne ’l vaso di porfìro,

che dieci ninfe e dieci satiretti

reggean, piegati ad una danza, in giro!

Immergeavi una coppa di zaffiro

Brisenna, e la porgeva a ’l rimatore.

Celava l’acqua in sé virtù d’amore

che in cor mortale si facea palese.

Ma le belle traevansi in disparte.

Venivan quindi per eguali torme

di sette; e digradando in lungo ad arte

imitare volean l’ìmpari forme

de ’l flauto che il dio Pan seguendo l’orme

di Siringa construsse in su ’l Ladone.

Come le canne, l’agili persone

tutte vibravano, a la danza intese.

Ogni torma correa verso l’eletto.

Ad una ad una le bocche fragranti,

le bocche dolci più che miel d’Imetto,

egli baciava, splendido in sembianti.

Fuggìa la torma, ed ecco l’altra avanti.

E svolgeasi così, lungo i roseti,

la danza; mentre li èmuli poeti

a tal vista fremean nuove contese.

Oh fontana d’Elai, dove son l’acque

che un dì fluiron per sì larga vena?

Dov’è il murmure tuo che tanto piacque

a ’l mite Astìoco e a Brisenna serena?

Cadde una notte ne ’l tuo sen la piena

Luna, divelta per forza di carmi.

S’infransero a ’l tremore orrido i marmi,

e fumaron stridendo l’acque incese